CAPITOLO
TRENTATREESIMO: GLI ULTIMI RE DEI MARI.
Toru non sapeva cosa fare, perché di fatto c’erano troppe cose di cui
avrebbe dovuto occuparsi. Combattere, in primis, contro gli invasori che ancora
tentavano di avanzare verso la Conchiglia Madre, ma anche infondere speranze e
certezze a un popolo che pareva averle smarrite. Lo guardavano tutti, mentre
correva, stanco, ferito e con la bianca corazza macchiata di sangue, per le vie
dell’Avaiki, cercando nei suoi occhi un cenno di
sicurezza, che li confortasse dell’angoscia che li aveva invasi da quando era
iniziato l’attacco. Ma il Comandante degli Areoi non
era mai stato un abile oratore, sempre sfuggendo la retorica e preferendo la
concretezza delle azioni, così non disse niente, mostrando loro il pugno chiuso
e sforzandosi di sorridere, mentre superava il centro abitato, dirigendosi
verso il ponte che conduceva alla Conchiglia Settentrionale, dove uno scontro
era in atto.
Non riuscì a raggiungerlo che venne sbattuto a terra da un improvviso
smottamento, cui seguirono grida e lamenti provenienti dall’intero Avaiki. La grande cupola azzurra resistette, e Toru comprese che un secondo cosmo si era unito a quello di
Hina, un cosmo vasto, potente e al tempo stesso così
legato a quello dell’Areoi del Lactoria.
Chiunque fosse colui che li stava aiutando di certo non era un estraneo, si
disse, rimettendosi in piedi, prima che un secondo smottamento, accompagnato ad
una deflagrazione energetica lo facesse barcollare di nuovo.
“Comandante! Laggiù, guardate!!! Lampi di luce!” –Esclamò il giovane
Istioforo, indicando un punto in lontananza, dove la via maestra portava alla
Conchiglia Occidentale.
“È dove il giovane Ascanio combatte!” –Rifletté Toru,
valutando l’ipotesi di unirsi a lui. –“Ma non è solo! Qualcun altro è
intervenuto in suo soccorso!” –Aggiunse, percependo un secondo, giovane e
fresco cosmo sorreggerlo e coadiuvarlo. –“Se la caveranno!” –Chiosò, mentre la
terra tremava di nuovo. –“Noi dobbiamo occuparci di questo…
Scoprire le cause di questi smottamenti e porvi fine!”
“Se è solo questo che vuoi sapere, Comandante Toru,
allora risposta avrai! Ah ah ah!” –Esclamò una voce
all’improvviso, risuonando per l’intero Avaiki,
costringendo Toru e Kohu a
guardarsi attorno per capire da chi provenisse. Non videro nessuno, ma ne
percepirono la potenza, ne percepirono il vasto cosmo che pareva provenire dal
mare stesso che attorniava la casa del popolo libero. Un cosmo profondo e
vasto, ben diverso da quelli dei Forcidi affrontati
fino a quel momento. Un cosmo di una tale
ampiezza, rifletté l’Areoi dello Squalo Bianco, può appartenere solo a un Dio!
Il suolo tremò di nuovo e ugualmente fecero le Conchiglie ancora in
piedi, forzando Hina e Asterios
a un impegno maggiore per mantenerle integre, mentre ovunque, tra gli Areoi, dilagava il panico, spingendoli a correre in ogni
direzione, affannandosi alla ricerca di un luogo sicuro.
“Fermi! Aspettate! Dobbiamo restare uniti!” –Urlò il giovane Istioforo,
correndo dietro ad alcuni compagni spaventati, non ottenendo altro che sguardi
colmi di terrore. –“Comandante, io…”
“Non è colpa tua, Kohu! Solo mia!” –Chiosò
questi, stringendo i pugni. –“Mia è della mia avventatezza o forse della mia
superbia, sentimento che mi ha spinto a credere che il nostro regno fosse al
sicuro, al di fuori dalle guerre del mondo, riducendo le difese e le nostre
armate! Una politica di cui adesso tutti pagano le conseguenze!”
“Non crucciatevi!” –Lo rincuorò il ragazzo, fissandolo con grandi occhi
neri. –“Siamo ancora qui, insieme, e insieme ne usciremo vivi!”
“Questo è tutto da dimostrare!” –Riprese allora la voce che poc’anzi
aveva parlato, invadendo con il suo cosmo tutte le Conchiglie, sia all’esterno
che all’interno, finché tutta quell’energia non andò concentrandosi in un unico
luogo, oltre il quale non riuscì ad andare.
“Il Palazzo di Corallo!!!” –Gridò Toru,
percependo l’ammassarsi di una potentissima energia a pochi passi dalla Perla
dei Mari. –“Devo tornare indietro! Tu raduna tutti gli Areoi
che trovi, cerca di calmarli e impedisci che si abbandonino a gesti estremi! Ho
fiducia in te, Kohu!” –Intimò il Comandante, prima di
scattare verso il cuore dell’Avaiki.
Proprio di fronte al Palazzo di Corallo una sagoma di puro cosmo era
appena apparsa, stupendo Avatea e Hubal
che stazionavano di fronte all’ingresso. Una sagoma che aveva presto assunto
chiare connotazioni umane, quelle di un uomo adulto, dal fisico corpulento,
rivestito di un’armatura di oricalco ornata da una corona e da uno scettro con
l’impugnatura a conchiglia. Il Selenite della Terra non ebbe bisogno di
chiedergli chi fosse perché ne riconobbe il volto, avendolo già incontrato
secoli addietro.
“Ci rivediamo, Forco!” –Parlò l’anziana Dea,
con voce quasi dispiaciuta.
“Avatea! Dunque sei scampata alle vampe di Ares? Me
ne rallegro, così potrò essere io a porre fine alla tua inutile esistenza,
vendicando l’oltraggio di cui ti macchiasti! Quante volte te lo chiesi, di
unirti a me? Quante volte implorai l’appoggio tuo e del regno che Antalya aveva fondato? Avresti avuto protezione e il tuo
popolo avrebbe conosciuto lo splendore di un’Età dell’Oro che l’oblio in questi
fondali non vi ha mai permesso di raggiungere!!!”
“Umpf, le tue parole non dicono il vero,
figlio di Ponto! Non oltraggio ti offrii, bensì un
rifiuto! Il rifiuto di unirmi a te in quella futile contesa per il dominio
degli oceani che scatenasti contro Nettuno! Il rifiuto di usare il mio popolo,
il popolo libero delle correnti, per scopi bellici, piegandolo alla volontà di
un tiranno che del mare non ha mai compreso la volontà!”
“Oh, e quale sarebbe questa volontà, Avatea?!”
–Ringhiò Forco, sollevando lo scettro e dirigendo un
raggio di energia contro la donna, sbattendola contro le mura esterne del
Palazzo di Corallo. –“Credevo fosse quella del più forte! Colui che trova sempre
il modo di sopravvivere, nonostante tutto, come gli affascinanti organismi che
popolano i fondali oceanici riescono a vivere pur in assenza della luce del
sole!”
“Il tuo fanatismo ti perderà, Forco!”
–Rantolò il Selenite, cercando di rialzarsi. Ma fu il suo compagno a porsi
davanti a lei, facendole cenno di stare indietro, prima di fissare il Dio
invasore con occhi decisi ed espandere il proprio cosmo.
Divertito, Forco fece altrettanto, degnandosi
infine di osservare il nuovo avversario. Un Dio della Luna di certo, proprio
come Avatea, per qualche dimenticato popolo
mesopotamico, dall’aspetto di un uomo in età avanzata, rivestito da una
semplice armatura rossastra, attrezzata con un arco, che già aveva impugnato,
caricandolo di una freccia di energia.
“Fatti avanti dunque! Chiunque tu sia!” –Lo derise, mentre questi
scagliava il dardo, che lampeggiò verso il Nume dei Mari, venendo deviato da
quest’ultimo con una semplice rotazione dello scettro.
“Il suo nome è Hubal!” –Intervenne allora Avatea. –“Antico Dio della Luna dei popoli della penisola
arabica! E, per quanto tu possa rivolgergli domande, egli non ti risponderà,
avendo fatto voto di silenzio!”
“Un muto? Sarà uno scontro assai noioso, allora!” –Sghignazzò Forco. –“Sarà meglio porvi fine all’istante!” –Aggiunse,
liberando un nuovo fascio di luce dallo scettro, che però Hubal
evitò scartando di lato e scagliando lesto una seconda freccia, seguito da una
terza e da altre, in una successione così rapida da obbligare il Dio greco ad
un impegno continuo per non essere raggiunto. –“Parli poco ma hai buona mira!
Peccato tu difetti in potenza! Questi ridicoli fasci di luce di certo non
bastano per piegare me, il Signore dei Mari!” –E lo atterrò con un’onda di
energia, che schiantò Hubal contro la gradinata
esterna del Palazzo di Corallo, poco distante da Avatea.
–“Ecco, rimanete così, di modo che possa travolgervi con un colpo solo!”
“Folle e blasfemo! Non sarai mai re dei mari, né sovrano di alcun regno
che non sia fondato sulla violenza! Osi spargere sangue qui, alle porte del
tempio ove riposano i nostri antenati? Un tale atto non può rimanere impunito!”
–Esclamò la Selenite della Terra, congiungendo i palmi delle mani e generando
un abbagliante maroso di fresca energia acquatica, che passò sopra di lei,
abbattendosi poi su Forco.
O questo, quantomeno, era quel che Avatea
pensava.
Al Nume bastò volgergli contro il palmo di una mano, su cui lampeggiava
intensa la sua aura battagliera, per fermarne l’avanzata, osservandola
divertito scemare ed esaurirsi nel piazzale antistante la reggia della Alii. Quindi, di fronte agli occhi spaventati di Avatea e di Hubal, che nel
frattanto l’aveva affiancata, la marea stessa si sollevò di nuovo, ad un gesto
di Forco, turbinando attorno al Dio e ribollendo
furiosa, prima che questi muovesse il braccio verso i due Seleniti,
scatenandone l’impeto.
“Kata thalassa!!!”
–Tuonò, investendo le due anziane Divinità con un attacco così potente da
scagliarle contro il Palazzo di Corallo, abbattendo le pareti esterne e facendo
persino dilagare l’acqua al suo interno. Si concesse un sorriso, colui che si
proclamava Re di tutti gli Oceani, quando intravide una ben nota figura dalla
breccia apertasi nelle mura, una figura stanca e fiaccata dall’uso prolungato
del proprio cosmo, a pochi passi dal motivo per cui Forco
era giunto fin là.
“Hina del Lactoria…
Sto venendo da te!” –Momorò soddisfatto,
incamminandosi verso l’ingresso del cuore dell’Avaiki,
salvo doversi poi voltare di scatto, distratto da un ronzio improvviso, che
anticipò lo sfrecciare di una lunga asta rossastra che andò a piantarsi proprio
di fronte a lui, sprigionando un nugolo di scariche energetiche. –“Ma cosa?!”
–Brontolò il Nume, balzando indietro, proprio mentre due agili figure si
lanciavano su di lui.
“Cobra incantatore!!!”
–Esclamò una delle due, avvolta in un nugolo di scintille violacee. –“Incanto delle sirene!” –Le andò dietro
l’altra, unendo il proprio cosmo a quello della compagna. Ma entrambe furono
respinte, sbattute a terra dalla sola aura cosmica di Forco,
che poté infine guardare in faccia i suoi nuovi avversari.
Due li conosceva già, avendo difeso Nettuno il giorno prima, e due
dovevano essere Areoi, a giudicare dalle loro bianche
armature.
“Ancora vive, fanciulle? Dovete provare un vero disprezzo per la vita
se fate di tutto per gettarla via!” –Le derise il Nume.
“Combattere in difesa di un popolo invaso non è fonte di disprezzo,
bensì di rispetto!” –Parlò allora l’unico uomo del quartetto, i cui tratti
somatici rivelavano la sua provenienza da isole del Pacifico centrale. Quindi,
senz’attendere risposta alcuna, sollevò il braccio destro, richiamando a sé il
giavellotto di corallo che aveva scagliato poc’anzi contro Forco.
–“Quel punto che ho indicato nel terreno, a pochi passi dal primo gradino che conduce
dentro il Palazzo di Corallo, marca il limite che non ti è concesso
oltrepassare, la soglia che non ti permetteremo di varcare! Parola di Maru del Narvalo!”
“E di Tara di Diodon!” –Continuò la donna al
suo fianco, rivestita da una bizzarra armatura dotata di spuntoni simili a
quelli di un istrice.
“Devo prendervi in parola?!” –Ghignò Forco,
muovendo il braccio a spazzare e generando un’onda di energia che investì in
pieno i quattro guerrieri.
Tara tentò di sollevare una cupola protettiva, ma la fretta e la
maggior potenza dell’attacco nemico la mandarono in frantumi all’istante,
gettando tutti loro a terra, con le armature danneggiate.
“Posso andare adesso?!” –Ironizzò il Nume, per poi voltarsi verso il
Palazzo di Cristallo.
“L’unico posto in cui puoi andare è a far compagnia a Kahōʻāliʻi, nell’oltretomba!”
–Ruggì allora una voce maschile, mentre la gigantesca sagoma di uno squalo
bianco piombava su di lui, le fauci aperte e gli affilati denti pronti a
ghermire.
Forco dovette la salvezza ai suoi riflessi e al suo status divino che gli
permisero di innalzare una rapida barriera di cosmo, su cui l’assalto si
infranse, spingendolo comunque indietro, facendogli persino perdere la presa
sullo Scettro dei Mari. Stupito da una simile foga, sollevò lo sguardo per
incrociare quello di chi l’aveva appena assalito, riconoscendo il Comandante
degli Areoi, che poco prima aveva schernito per la
sua inesperienza bellica.
“Alla tattica sostituisci la potenza d’attacco, Toru
dello Squalo Bianco!”
“Come conosci il mio nome?” –Esclamò questi, mentre anche Tara e Maru si rimettevano in piedi, affiancando l’amico.
“Te lo leggo in faccia! Sei il discendente di Afa, primo Squalo Bianco,
il leggendario esploratore capo di questa colonia, che si rifiutò di vivere
sotto il mio dominio! Un personaggio che la vostra malridotta Avatea, qui presente, conosce bene, in quanto a lui si unì
per generare la prole che poi avrebbe guidato questo Avaiki!
Al pari di lei, sarà un piacere prendere la tua vita e punire quell’immeritato
oltraggio!”
“Oltraggio?! Quale oltraggio fece dunque Afa quando scelse la libertà per
il suo popolo, quando scelse di essere devoto solo al mare e alle sue limpide
correnti, ove gli Areoi potevano nuotare e crescere
liberi, privi di ogni costrizione a cui tu e i supposti Dei del Mare li avreste
invece piegati?!”
“Non vi sono altri Dei del Mare!!!” –Ringhiò Forco,
recuperando lo scettro e liberando un violento raggio di energia contro Toru, che questi parò incrociando le braccia davanti al
volto. –“Io solo sono il Signore di tutti gli Oceani! L’ultimo Re dei Mari! Gli
altri erano solo una pallida imitazione della mia potenza!”
“Parole interessanti le tue, Forco! Sia pur
non supportate da fatti concreti!” –Esclamò allora una nuova voce, risuonando
nell’ampio spazio di fronte al Palazzo dei Mari. Una voce che Titis e Tisifone riconobbero
all’istante, così come fece il figlio di Ponto e Gea.
“Ancora tu?!” –Avvampò, mentre una sagoma avvolta in un’aura celeste
appariva di fronte a lui, a pochi passi dagli stanchi Areoi,
che la osservarono interessati, percependone il potente cosmo. Una sagoma che
apparteneva ad un uomo adulto, con una folta barba grigia, rivestito da
un’armatura di scaglie dorate e arancioni e armato di un tridente d’oro.
–“Nettuno!!! Vuoi dunque procrastinare il nostro scontro?”
“Sarà così fintantoché non rinuncerai al tuo progetto di conquista, Forco! Non posso restare a guardare mentre invadi le terre
di amici lontani, la cui sopravvivenza molto mi sta a cuore! E non solo a me,
anche ad altri che in queste profondità oceaniche sono giunti, per ricordare
agli Areoi che non sono soli! Nessuno di noi lo è in
questa lotta contro l’ombra nascente!”
“Amici lontani?! Da quando hai rapporti con gli Avaiki
del Mar dei Coralli, Nettuno? Non mi risulta che alcun Generale degli Abissi vi
sia mai stato addestrato!” –Tuonò Forco, mentre il
rivale scuoteva la testa.
“Non capisci, ed è naturale, perché sullo scontro armato hai incentrato
tutta la tua esistenza, e anch’io l’ho fatto per lungo tempo, prima di capire
che la vita è qualcos’altro! È lo splendore di un mondo ricco e pieno di
felicità, come l’Atlantide su cui regnavo un tempo e che, accecato dalla
cupidigia e dal desiderio di possesso, ho permesso che sprofondasse!” –Parlò
Nettuno, cercando lo sguardo di Titis, che si limitò
a sorridere al suo Dio. –“Sapevo da tempo dell’esistenza di questo regno, con
cui fitti rapporti commerciali ho intessuto secoli addietro, finché scelte
diverse non ci hanno reso lontani. Scelte di guerra, le mie, scelte di pace e
isolamento le loro. Scelte che comunque mai mi hanno portato ad attaccare
questo popolo che di sua sponte aveva deciso di restare fuori dai conflitti del
mondo, cercando un approccio diverso alla serenità. Un approccio che ho loro
molto invidiato. Per questo sono qua, oggi! Per lottare al loro fianco,
rinverdendo un’antica alleanza di pacifica convivenza che nessuna bieca
tirannia potrà piegare!”
“Sentirti parlare di pace mi deprime, Nettuno, e al tempo stesso genera
in me ilarità! Proprio tu che hai mandato a morire tutti i tuoi Generali in
guerre continue e fallimentari contro Atena e gli altri Olimpi! Ah ah ah! Sei uno spasso!” –E lo travolse con un’onda di energia,
cui il Cronide tentò di opporsi con la propria aura
cosmica, sia pur fiaccata dal rito cui aveva partecipato poche ore addietro. Forco lo percepì, sogghignando e reiterando l’attacco. –“Scettro dei Mari! Impala l’avversario!”
–Tuonò, puntando l’arma verso Nettuno, che rispose con la propria lancia
dorata.
“Tridente del Re Pescatore!!!”
–Esclamò, lasciando che le due aste si scontrassero, emettendo scariche di
energia che spinsero indietro tutti coloro che li attorniavano.
“Sei debole, Nettuno! Lo sento chiaramente! Ti sono sempre stato
superiore, e pure ieri ti avrei sconfitto se non fosse stato per quell’attacco
portato a tradimento! E oggi dirimeremo per sempre una controversa questione,
chiarendo a chi spetti il dominio sui mari! Oggi non c’è più nessuno a
salvarti, a meno che il tuo adorato Kevines non sia
nascosto in qualche anfratto di quest’Avaiki
attendendo il momento buono per colpirmi alle spalle!”
“Non… ho bisogno di Julian…”
–Mormorò il Dio greco, affannando nel resistere al cosmo di Forco,
che pareva essersi ristabilito completamente dalle ferite subite.
“Ah no?! A me pare proprio di sì! Sei solo, Nettuno! Come il Re
Pescatore delle leggende che tanto ami! Ma tu non vivrai abbastanza per vedere
una nuova era!”
“Ti sbagli!!!” –Tuonò allora una voce maschile, affiancando il fratello
di Zeus nella lotta. –“Egli non è solo! Nessuno che lotta per il popolo libero
può esserlo, poiché tutti siamo fratelli nelle correnti dei mari!” –Esclamò Toru, avvolto nel proprio bianco cosmo. Anche Tara e Maru si avvicinarono, unendo le loro aure a quella del
Comandante e lasciando che si scontrassero con il cosmo di Forco.
“Siete solo degli illusi!” –Chiosò quest’ultimo, socchiudendo gli occhi
e poi riaprendoli di scatto, scaraventando tutti indietro con un’onda di
energia. –“E non c’è posto per gli illusi e gli sconfitti nel nuovo mondo! Solo
per chi mi giurerà fedeltà!”
“Ti giurerà fedeltà?! Cosa sei diventato, il nuovo governatore del
pianeta per conto di Caos?!” –Rantolò Nettuno, rimettendosi in piedi a fatica,
aiutandosi con il tridente.
“Umpf, che mi importa di Caos! Che faccia
quel che crede, se davvero crede di poter fare qualcosa!” –Rispose Forco, stupendo lo stesso Dio greco. –“Non fare quella
faccia, Nettuno! Davvero pensavi che avrei messo le armate dei mari al servizio
di appena ridestatisi Dei Ancestrali? La loro forza è indubbia, questo non lo
nego, ma cosa hanno di nuovo da offrire? Solo l’ennesima guerra che isterilirà
il mondo emerso, procrastinandosi finché l’ultimo seguace dell’ultimo regno
divino della Terra non sarà piegato. Un tempo piuttosto lungo, non trovi? Un
tempo in cui il mio impero marino potrà prosperare, restaurando antichi fasti
che Dei indegni del loro nome hanno dimenticato.”
“È questo che vuoi? Regnare in eterno su tutti gli oceani? E credi che
Caos te lo permetterà?!”
“Oh, credo di sì, perché gli offrirò un dono che sono certo accetterà! Sai
bene, come me, ciò di cui il Generatore di Mondi è ghiotto!”
“Energia…” –Realizzò Nettuno infine, prima di
spiegare anche agli altri combattenti. –“La Perla dei Mari!”
“Precisamente! Non è solo un centro di ritrovo per fantasmi, ma un
potentissimo contenitore di energia cosmica, di cui le anime di coloro che
hanno lottato e vissuto negli Avaiki sono ancora
intrise! Pensa agli Dei che si sono succeduti, venerati nelle remote isole del
Pacifico? Così tanti che non riusciremmo neppure ad enumerarli tutti! Le loro
aure, e quelle di coloro che li hanno serviti, riposano placide nella Perla dei
Mari ed io le offrirò a Caos, affinché possa nutrirsi della loro energia, come
ha fatto con quella di Dioniso, Ebe, Estia e di tutti gli altri Dei caduti finora!”
“Quale orrore!!!” –Mormorò il Cronide,
trovando gli Areoi concordi.
“Non ti permetteremo di violare in alcun modo il nostro santuario!”
–Ruggì Toru, stringendo i pugni ed espandendo il
proprio cosmo.
“Oh, ma io l’ho già fatto! Ah ah ah!” –Rise Forco, mentre nelle menti di tutti era vivido il ricordo
degli scontri sostenuti fino ad allora contro i Forcidi
e la consapevolezza di quelli ancora in atto. –“E ora, morite!!! Kata Thalassa!!!”
–Tuonò il Nume, sollevando un maroso di energia acquatica che avanzò imperioso
verso i sei combattenti.
Nettuno intimò alle due guerriere e agli Areoi
di riunirsi dietro di lui, il cui cosmo acceso tentò di frenare l’assalto
nemico, venendo però sconfitto dopo poco. Riuscì solo a crollare sulle
ginocchia, tenendo le braccia alzate, sui cui palmi un corno di conchiglia
dorata brillò all’improvviso. Riconoscendolo, Titis
sorride.
“Corno di Tritone,
difendici!!!” –Esclamò il Dio, mentre buona parte dell’onda di Forco veniva risucchiata all’interno del manufatto.
“Umpf, Tritone! Uno dei tuoi degni compari!”
–Commentò il compagno di Ceto, ricordando uno dei più celebri Generali degli
Abissi. –“Figlio bastardo che ti diede una ninfa marina, possedeva un corno di
conchiglia il cui suono placava le acque in tempesta! Fu musico, combattente ma
anche artigiano, poiché fu lui a forgiare le armature di oricalco, lui che più
di ogni altro ascoltava i consigli di Elmas, anziché ignorarli!”
Nettuno, quasi senza fiato, rimase in ginocchio senza proferir parola,
mentre gli ultimi spruzzi di energia acquatica si esaurivano attorno al mucchio
di combattenti, di fronte al compiaciuto sguardo di Forco,
che adesso sentiva di aver capito tutto.
“Ora so cosa ti ha spinto a tanto! Debole, infiacchito da un rito che
ti ha portato via metà del tuo sangue divino, e il cosmo in esso contenuto,
avresti potuto attendere sull’Olimpo o nascosto in qualche anfratto in cui sei
sempre stato solito rifugiarti, invece hai scelto di scendere in guerra,
proprio qua, negli abissi del Mar dei Coralli! Per espiare le tue colpe, non è
vero, Nettuno Ennosigaeum? Per questo sei qua! Non
per aiutare gli Areoi, non per vincermi, ma per
morire!”
Il fratello di Zeus non rispose, rimettendosi in piedi a fatica,
incurante degli sguardi di Toru e degli altri su di
sé. Che pensassero quel che volevano, sia loro che Forco,
ormai non gli importava più niente. Voleva solo rimediare ad antichi torti, da
lui stesso causati in tempi così antichi che nessuno ne aveva più memoria,
nessuno che non possedesse una memoria divina. Non era stato solo Elmas a
morire quella volta, durante il crollo di Atlantide. Non erano stati solo i
Sette Generali guidati da Arel Kevines,
ma tutta la sua vita era stata spazzata via quel giorno, quando l’isola felice
si era inabissata, portando con sé la ninfa marina cui si era unito e il figlio
che gli aveva dato.
Perdonami, Tritone! Mormorò Nettuno, gli occhi pieni di lacrime. Un altro fallimento della mia austera
carriera di Divinità!
Fu un tocco lieve a distrarlo da tristi reminescenze, la mano di Titis della Sirena che si chiuse sulla propria,
infondendogli una stilla del suo misero cosmo e della sua solida
determinazione. Una stretta che lo riscosse, ricordandogli che tutti, in fondo,
avevano perso qualcosa o qualcuno, ma che non esisteva errore senza che non
esistesse anche la possibilità di correggerlo. O di impedire che accadesse di
nuovo.
Nettuno ricambiò il sorriso della sua fedele sostenitrice, voltandosi
poi verso Forco, che era scattato avanti, sollevando
lo Scettro dei Mari e calandolo lesto sul Dio greco, che lo afferrò con
entrambe le mani, riuscendo a fermarlo poco prima che impattasse sul suo volto.
Così, vicini l’uno all’altro, con i cosmi accesi attorno a loro, gli ultimi Re
dei Mari si guardarono con astio, percependo ognuno quel che s’agitava
nell’animo del rivale. Smania, brama di possesso e voglia di vittoria
saturavano il cuore di Forco, mentre quello di
Nettuno era invaso da molti pensieri, soprattutto tristi, per quanto su tutti
brillasse una decisa luce di speranza e di riscatto.
Riscatto, sì! Avvampò, spingendo indietro il Nume
ancestrale e risollevandosi fino a recuperare postura eretta. Il tridente d’oro
tornò nelle sue mani e Nettuno si affrettò a puntarlo verso Forco,
liberando una scarica di energia, ma questi non ebbe difficoltà a pararla
torcendo lo Scettro dei Mari e rimandandogliela indietro, abbattendolo. Quindi,
non pago, piantò l’arma nel terreno, scuotendolo in profondità, come aveva
fatto poco prima, generando una nuova ondata di paura in tutti coloro che
dimoravano nell’Avaiki.
“Maledetto!!! Dobbiamo togliergli lo scettro!!!” –Esclamò Toru, scattando avanti, subito affiancato da Maru e Tara. –“Ci penso io!” –Convenne quest’ultima. –“Voi
datemi solo l’occasione!”
Il Narvalo annuì, impugnando il giavellotto con algida presa e
puntandolo verso il Dio nemico, liberando guizzanti scariche di energia, che
vennero anch’esse parate da una rapida rotazione dello Scettro dei Mari. Alle
Fauci dello Squalo Bianco però Forco non poté opporre
la sua asta, dovendo contrastarle con l’emanazione del suo cosmo che generò una
barriera di energia acquatica contro cui centinaia di predatori possenti
andarono a schiantarsi, uno dopo l’altro, per quanta foga e impegno Toru riversasse nei propri attacchi. Maru,
dal canto suo, tentò di trovare una breccia nella sua difesa, liberando
continui affondi del giavellotto di corallo, che traforarono la barriera di Forco, pur senza riuscire ad abbatterla.
“Arma interessante la tua!” –Ghignò infine il figlio di Ponto, afferrandola e notando come fosse costituita da un
unico ramo di corallo, cresciuto in forma lineare, anziché storta, carico di
una particolare forma di elettricità.
“Una creazione di Tawhiri, antico Areoi della Torpedine, che diede vita ad una coltivazione
di coralli in un lago dove vivevano quei pesci! Ed ecco il risultato!” –Precisò
Maru, ritirando a sé la lunga asta rossa, caricandola
del suo cosmo ardente. –“Ma se vuoi conoscerla da vicino, te ne darò la
possibilità! Lancia del Narvalo!!!”
–Esclamò, scattando avanti, con l’asta rivolta verso la barriera di energia
acquatica, sfondandola e piombando all’interno, a pochi passi da Forco.
“Maru!!!” –Gridò Toru,
sconvolto dalla temerarietà del compagno. E anche Tara, che era rimasta in
silenzio alle sue spalle, osservando attenta le mosse di Forco
per trovarvi una falla, strinse i denti, comprendendo che l’Areoi
lo aveva fatto per lei, per non vederla lottare più.
“Questo è per il popolo libero delle correnti!!!” –Tuonò Maru, caricando con il giavellotto in pugno, cui Forco rispose puntando avanti lo Scettro dei Mari.
Le armi si strusciarono, sfrigolando, mentre la corsa dei due
proseguiva, finché le punte delle due aste non impattarono contro le corazze
avversarie, liberando la loro energia. Accadde tutto in un attimo, più veloce
della luce, e forse solo Nettuno fu in grado di ricostruire i movimenti di
entrambi, prima di essere spinto indietro dal contraccolpo scaturito dallo
scontro dei loro cosmi. La barriera di energia acquatica esplose, scaraventando
lontano Toru e tutti i suoi attacchi, così come Titis e Tisifone. Anche il
fratello di Zeus fu sbattuto a terra, ma riuscì a resistere, piantando il
tridente al suolo e ancorandosi ad esso, lasciando che l’onda luminosa
scemasse.
Quando tornò a vedere, Nettuno osservò Forco
premere una mano contro un foro aperto sulla sua Veste Divina, poco sotto il
cuore, da cui sangue zampillava fuori. Non molto, in verità, ma sufficiente per
generare un ghigno furibondo sul viso del Nume.
A terra, poco distante, giaceva invece il corpo di Maru
del Narvalo, trafitto dallo Scettro dei Mari che gli aveva sfondato la cassa
toracica, spuntando dalla schiena. Gli occhi, ormai spenti, erano rivolti nella
direzione in cui sapeva trovarsi la donna che aveva a lungo amato.
Sospirando, Nettuno cercò la sagoma di Tara di Diodon,
stupendosi di non trovarla laddove Maru stava ancora
guardando. Roteò il cranio più volte, spaziando nel piazzale antistante al
Palazzo di Corallo, senza individuarla, finché non notò una nebbiolina rosacea
attorniare il figlio di Ponto. Una nube satura di
cosmo che presto cinse Forco d’assedio, strappandogli
un colpo di tosse.
“Uh?!” –Mormorò il Nume, ritrovandosi completamente avvolto da quella
strana aura cosmica. –“Tattica bizzarra ma insufficiente! Non ho bisogno di
vedere il mio avversario per scovarlo! Sono un Dio, ragazza, l’hai
dimenticato?!” –Avvampò, scandagliando l’aria attorno per individuarla,
abbandonandosi ad un ghigno divertito quando la trovò. –“Sei mia!!!” –Le disse,
volgendole contro il palmo della mano e scatenando un’onda di energia, che si
limitò a fagocitare l’aria, esaurendosi poi in lontananza, senza raggiungere
nessuno. –“Come?!” –Ma non ebbe modo di chiedersi altro che Forco
sentì due braccia chiudersi attorno al suo corpo, cingendolo in un abbraccio
improvviso. Due braccia che appartenevano a Tara di Diodon.
“Tara!!!” –Esclamò Toru, osservando la scena
da una certa distanza e comprendendo quel che l’amica voleva fare. Anche Titis e Tisifone capirono,
sospirando rattristate, mentre il cosmo dell’Areoi di
Diodon bruciava fino al parossismo.
Le spine retrattili presenti sull’armatura di Tara si erano ormai tutte
sollevate, strusciando con forza contro la corazza divina, senza riuscire a
scalfirla. Ma quelle che si trovavano dove Maru aveva
colpito poco prima affondarono dentro il corpo di Forco,
catalizzando il cosmo dell’Areoi e liberandolo tutto
assieme, in un’unica nociva puntura che rilasciò il veleno accumulato nel corso
degli anni.
“Aaargh!!!” –Gridò il Signore dei Forcidi, lasciando esplodere il proprio cosmo e annientando
Tara di Diodon, scagliandone i resti vicino a quelli
del compagno.
Toru chinò il capo, commosso da tale sacrificio e conscio che le loro anime
già vagavano assieme a quelle degli altri aumakuas nella Perla dei Mari. Un
motivo in più per continuare a lottare e a proteggerla.