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Autore: Red Nika    26/06/2014    1 recensioni
Ci troviamo dieci anni dopo l'esame di stato di Ed, lui è riuscito a tornare a casa con l'aiuto del padre e ora dovrà fare i conti con l'età adulta e tutti i problemi che essa comporta. Al, intanto, si è fatto una famiglia.
Genere: Angst, Erotico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Alphonse Elric, Edward Elric, Nina Tucker, Roy Mustang, Un po' tutti | Coppie: Roy/Ed
Note: Lemon, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Note d'Autrice:

Allora.. Ho finito ieri la Maturità. *^* me tanto tanto tanto felice. Quindi oggi, per rilassarmi e fersteggiare la fine dell'incubo, ho deciso di dedicarmi al secondo capitolo della fanfic. Mi fa un sacco piacere essere riuscita a fare una cosa lunga, perché non mi andava veramente di darvi una specie di micro capitolo! Speriamo che l'ispirazione resti che entro settimana prossima posti il secondo capitolo ^^.

Ricordatevi di lasciare una recensione!

Well, for the moment,
Buona lettura,

Nika-chan!
 
****
 
Il boato risuonò per le vie di East City come l’urlo di un gigante, facendo tremare il pavimento sotto i piedi di Edward. Con aria irritata il biondo si guardò intorno alla ricerca della causa di quel frastuono, notando una grossa colonna di fumo nero innalzarsi dal centro città. Grugnì mentre correva fuori dalla stazione e dritto per il corso principale, sbrigandosi verso il quartier generale. Non gli piaceva per niente tutto quel fumo, e visto il tipo di missione scommise che ci avrebbe trovato il ricercato. Sbuffando per la folla che era scesa per strada si fermò, unendo sonoramente le mani e creandosi una via prioritaria per la piazza grande. Ciò che vide fu esattamente ciò che aveva temuto. L’edificio principale della caserma era stato sventrato e il pavimento era puntellato di puntini blu. Non li aveva comunque uccisi o feriti tutti, molti erano disposti in cerchio vicino quello che restava dell’entrata principale. Il biondo li raggiunse mostrando brevemente l’orologio, mettendosi in prima fila per osservare l’omaccione che riprendeva fiato e osservava a sua volta i militari intorno a lui. Sospirando profondamente si calmò, unì le mani creando una lama sull’automail, sorridendo si incamminò poi verso l’alchimista.
 
“Affrontami. Se vinci ti cederò il mio orologio.” disse mostrando il suddetto e guardandolo con aria di sfida. “E’ quello che vuoi, no? Vuoi essere un’Alchimista di Stato, un cane dell’esercito!” lo stuzzicò mentre Varg caricava verso di lui con uno spadone a due mani. Schivò agilmente, facendogli lo sgambetto, guadagnando qualche secondo per contrattaccare. Sopra le loro teste si sentì il rombo dei tuoni, i nuvoloni carichi di pioggia avevano iniziato ad addensarsi sulla città ancora prima che Ed vi arrivasse e ora poteva sentire sul viso le prime goccioline di un temporale estivo. Schivò l’attacco successivo rotolando a terra, continuando a prendere tempo, studiandolo affondo. Era grosso e massiccio, una vera macchina da combattimento ma pareva più avvezzo alla lotta a distanza che al corpo a corpo. Sorridendo tra sé e sé il biondo si alzò in piedi attendendo il prossimo fendente, bloccandogli la spada tra le mani prima di mandarla in frantumi. L’incontro con Scar di tanti anni prima gli era stato molto utile, ora invece di trasmutare qualsiasi cosa in qualcosa di equivalente sapeva che poteva bloccare il processo alla scomposizione, guadagnando punti contro tipi come Varg. “Ops, non credevo fosse così fragile.” Disse in tono di scherno mentre gli piazzava un calcio alla bocca dello stomaco, facendolo indietreggiare di qualche passo.
“Sta zitto, piccoletto!” grugnì il moro, pulendosi la bocca col dorso della mano, inspirando profondamente prima di raddrizzarsi. Ed lo fissò appena irritato, per fortuna aveva usato la gamba destra, o si sarebbe fatto male: quel tipo era impossibilmente muscoloso. Spostatosi i capelli bagnati dagli occhi, Ed lo guardò drizzarsi in tutti i suoi due metri, piegare il collo facendo scrocchiare le vertebre e mettersi in posizione da difesa. Forse aveva commesso un errore di valutazione o forse era semplicemente scena. Rimaneva il fatto che se Varg lo sfiorava anche solo con un pugno sarebbe crollato a terra con qualche osso rotto. Ciò significava solo una cosa, congiunse le mani prima di toccare il suolo trasfigurandolo in un gigantesco pugno di pietra diretto verso l’altro, colpendolo e scaraventandolo oltre il piccolo cerchio di soldati ancora in piedi.
“A chi hai detto piccoletto?” disse scandendo le parole, camminando verso di lui mentre i soldati si preparavano a catturarlo. “Non ti azzardare mai più a chiamarmi piccolo fagiolino insignificante!” ringhiò tra il divertito e sarcastico mentre gli si parava davanti. “Alzati, non abbiamo ancora finito.”
Varg non se lo fece ripetere due volte, con un’agilità improbabile si rimise in piedi attaccando Ed con un montante da sinistra. Il biondo lo schivò facendo affidamento sulla loro differenza in altezza, trasmutando nuovamente un gigantesco pugno di pietra. Colpì il moro di striscò ma ciò fu sufficiente a fargli uscire un rivoletto di sangue dal labbro.
“Quindi è così. Volevi diventare Alchimista di Stato ma non sei capace di far nulla.” Lo canzonò mentre riprendeva fiato, la pioggia iniziava ad essere insistente e picchiettava sul terreno tutt’intorno ovattando i suoi che li circondavano. Un brivido percorse la schiena di Ed, e lui fu certo che non aveva visto assolutamente nulla della vera forza di Varg. Bastò quel pensiero a distrarlo quel tanto che bastava perché il suo avversario lo colpisse. Gli mancò il fiato per un attimo quando sentì un dolore lancinante al fianco sinistro, seguito dal fiotto caldo del sangue. Una lama di ghiaccio si era conficcata nelle sue carni, penetrandolo quasi da parte a parte. Gemette piano cercando di romperla, rinunciando quando il fischio, vicinissimo al suo orecchio, di un’altra lama lo riportò al combattimento. “Merda!” sibilò rompendo altri due stiletti con l’automail. “Era questo che avevi nascosto per tutto il tempo! L’Alchimia di Ghiaccio!” urlò affannosamente, la mano premuta sul fianco. Era ora di finire quel combattimento, prima di farsi ammazzare. Un sorriso ironico gli curvò le labbra, certo che non era cambiato per niente da quando era entrato nell’Esercito. Sospirando una risata si raddrizzò spezzando la lama che aveva nel fianco, trattenendo un singhiozzo di dolore. Respirò profondamente, continuando a schivare le lame ghiacciate, prima di congiungere le mani un’ultima volta, la pioggia che diventava sempre più insistente. Chiudendo gli occhi posò i palmi a terra, trasfigurando due enormi mani di pietra che si chiusero intorno al corpo di Varg. Ed lo raggiunse con calma, posandogli una mano sul viso, un sorriso torvo che gli curvava le labbra. “Se provi solo a muoverti, ad attaccarmi o a fare qualche altra stronzata ti uccido. Hai ucciso così tanto militari che se non ti danno la pena di morte sono proprio degli idioti. Ora stai buono.” Disse in tono minaccioso, facendo segno agli uomini intorno a loro di avvicinarsi.
“Portatelo in prigione, e state attenti a non fargli usare l’alchimia.” Mormorò stancamente, la ferita sanguinava tanto che i vestiti si erano inzuppati ed appiccicati alla pelle. Si scostò un’ultima volta i capelli prima di dirigersi al palazzo, si sentiva in dovere di ricostruirlo visto che era l’unico alchimista nei paraggi. Quando ebbe finito si accasciò a terra esausto sia per lo scontro sia per l’emorragia, si aprì il mantello e alzò la maglietta per vedere i danni. Aveva un foro da due dita nel fianco sinistro che non smetteva di sanguinare né di pulsare. Con un ultimo sforzo si tastò la schiena ringraziando che la punta non fosse arrivata dall’altra parte. Mentre la vista gli si offuscava osservò l’avanti e indietro dei soldati intorno a Varg, ormai in ginocchio e inoffensivo, sperava. Quello fu l’ultimo pensiero razionale che ebbe prima di scivolare nell’incoscienza più nera.
 
Quando si svegliò il dolore sordo e pulsante al fianco gli mozzò il fiato ma dopo un paio di profondi respiri riuscì a rilassarsi, poggiando mollemente la testa sul cuscino, gli occhi che guardavano intorno, riconoscendo l’ospedale di East City. Quante volte c’era stato per riconoscerlo così a istinto? Fin troppe probabilmente. Sospirando guardò fuori dalla finestra, la pioggia cadeva incessantemente, facendo tremare appena i vetri ogni volta che un tuono si faceva sentire. Gli piaceva quell’atmosfera, era rilassante oltre che era convinto del potere purificante della pioggia. Lavava via qualsiasi cosa, trasportava con sé tutto quello che incontrava, anche i brutti ricordi. Si morse il labbro per non continuare a percorrere quel filo di pensieri, non avrebbe saputo come reagire quando questo si fosse bloccato sul quel ricordo. Sbuffando irritato si issò a sedere, muovendosi piano e poggiando i cuscini dietro la schiena, raggiunse il campanello per chiamare un’infermiere e attese pazientemente. Almeno era migliorato su quel fronte, non era più tanto stupido da alzarsi dal letto subito dopo essere stato ferito e aver perso sangue. Sorrise quando un infermiere entrò in camera, era carino per essere di East City. Cavolo, quant’era che non si lasciava coccolare un po’ da un bel ragazzo? Ne aveva avuti un po’ nel mondo dove viveva ora suo padre, ma da quando era tornato non si era azzardato nemmeno a sfiorare quel pensiero. Non sapeva come avrebbero reagito le persone a lui care e non se l’era sentita di vivere qualche amore proibito. Sospirando si rilassò nuovamente contro i cuscini mentre l’infermiere gli portava dell’acqua e degli antidolorifici.
 
“Lei è molto fortunato, signor Elric.” Disse il ragazzo moro con un caldo sorriso. “La lama che l’ha ferita ha schivato tutti i punti vitali.” Spiegò controllandogli la ferita e i punti. “Non era nemmeno troppo profonda come ferita, guarirà in un paio di settimane.” Assicurò facendo per andarsene quando Ed lo richiamò. “Sì?” chiese il ragazzo osservandolo.
“Come ti chiami?” domandò sorridendo dolcemente divertito. “Visto che non potrò muovermi per un paio di giorni mi piacerebbe poter chiacchierare con qualcuno. La mia famiglia si preoccuperebbe troppo se dicessi loro che sono stato ferito..” per l’enneisma volta.. Pensò mentre il moretto arrossiva leggermente prima di rispondere. “Keith..” mormorò imbarazzato, restando in piedi a qualche passo dal letto per un lunghissimo momento.
“Keith, mmh?” ripetè Ed sovrappensiero. “E’ un bel nome. Allora quando mi sentirò solo chiederò di te..” disse curvando le labbra nell’ennesimo sorriso, lasciando finalmente che l’infermiere tornasse a lavoro. Sbadigliando tornò a stendersi, addormentandosi quasi subito, stupidi antidolorifici. Quando si svegliò di nuovo era già sera inoltrata, la pioggia sembrava essere diminuita ma si poteva ancora sentirla picchiettare dolcemente sulle finestre, leggera e ovattata. Il biondo rimase così come stava a lungo, pensando a tutto e nulla in particolare. Voleva rivedere Keith, l’infermiere sexy, ma non poteva sul serio chiamarlo quando gli pareva. Sbuffò stizzito ma i suoi pensieri vennero interrotti da un leggeto toc toc alla porta.
“Avanti.” Disse piano, osservando la porta che si apriva e una lama di luce allungarsi sul pavimento. “Chi è?” chiese non riuscendo a riconoscere la persona sulla soglia per via della penombra.
“Sono, Keith, l’infermiere di stamattina. E’ ora di cena e visto che ho finito il turno ho pensato di farti un po’ di compagnia.” Biascicò imbarazzato, accendendo la luce mise giù il vassoio e avvicinò il tavolino al letto. “Sempre che non ti dispiaccia.. Insomma, se do fastidio me ne vado.” Disse e si era già girato per imboccare la porta quando Ed gli afferrò il polso.
“No, resta. Mi farebbe piacere parlare con te, alla fine sei l’unico che conosco qui dentro.” Lo pregò facendogli spazio sul letto così che potesse stare comodo. “Allora.. Che c’è per cena?” chiese appena a disagio. Era davvero troppo tempo che non flirtava con un ragazzo e ora si sentiva arrugginito, sperava solo di non spaventarlo o rovinare tutto. Si rilassò un pochino quando lo vide sollevare il coperchio del vassoio e mostrargli la cena. Almeno non era la solita schifezza frullata o dall’aspetto indescrivibile. “Sembra buono..” commentò mettendosi a sedere lentamente.
Keith arrossì, cercando per altro di nasconderlo, mentre gli si sedeva a fianco avvicinandogli il piatto. “Mmh.. Il cuoco è un mio amico, e visto che non hai bisogno di una dieta particolare ho pensato che mangiare qualcosa di saporito sarebbe stato meglio.” Mormorò velocemente mentre guardava le proprie ginocchia, troppo a disagio per guardare il biondo. Ed, da parte sua, lo guardò stupito e grato allo stesso tempo, prendendo la forchetta con la destra iniziò a mangiare, mentre scompigliava con la mano libera i capelli castani.
“Grazie, non dovevi preoccuparti tanto per me.” Disse masticando il boccone successivo con gusto, godendo di ogni sapore e del profumino che si stava lentamente spandendo per la stanza. “E’ delizioso, ringrazia il tuo amico quando lo vedi.” Continuò a mangiare in silenzio per un po’ finché non vide con la coda dell’occhio l’altro ragazzo rilassarsi, facendolo distrarre abbastanza da versarsi il brodo caldo addosso. Un gemito gli sfuggì mentre cercava di non imprecare per la sua sbadataggine, si sentiva un vero idiota, ci mancava solo che l’altro pensasse che non era nemmeno capace di mangiare da solo. Sospirando lasciò il cucchiaio nel piatto, prendendo il tovagliolo per asciugarsi ma venne fermato da Keith, il cui viso esprimeva sincera preoccupazione.
“Ti sei fatto male? Il brodo doveva essere ancora bollente!” disse, la voce poco più alta del normale, gli occhi dilatati per lo spavento. “Posso chiamare il dottore se ti fa male..” sussurrò poi, senza però lasciare andare il braccio del biondo.
“Ah..No, no. Tranquillo, non mi sono fatto nulla, mi sono solo spaventato.” Spiegò preso alla sprovvista della reazione dell’infermiere. “Devo solo asciugare i pantaloni.” Tentò di rincuorarlo, senza suonare molto convinto nemmeno a se stesso.
“No, bisogna lavarli, non puoi dormire con i pantaloni sporchi.” Affermò il moro, muovendo il tavolino e tirando via le coperte così da portergli sfilare i pantaloni. Ed lo fissò per un lungo momento prima di realizzare la situazione, o meglio rendersi conto delle sue mani sul suo corpo, del calore inaspettato che avvertiva ogni volta che le loro pelli si sfioravano. Inspirò bruscamente, bloccandogli le mani appena prima che riuscisse a scoprire i boxer.
“Posso fare da solo, davvero.” Disse col respirò veloce e le guance leggermente accaldate. Non riusciva a credere di come il suo corpo avesse reagito per un così breve contatto. E il sentirlo così vicino a sé non stava aiutando il suo autocontrollo. Vide il moro muovere le labbra, controbattendo che non doveva alzarsi dal letto. “Keith, davvero, posso farlo senza alzarmi.” Cercò di fermarlo nuovamente, incrociando gli occhi azzurri con quelli scuri dell’altro, fremendo appena. La luce gettava strane ombre sul suo viso mettendo in risalto gli occhi brillanti e vivaci, le labbra piene e sensuali, anche il colore della sua pelle sembrava esaltato da quella strana luce, o forse era solo la sua fantasia che stava cavalcando. In quel momento si arrese al suo corpo, chiudendo gli occhi e lasciando che il moretto gli sfilasse i pantaloni, fregandosene altamente che avrebbe, molto probabilmente, notato la crescente eccitazione nascosta dai boxer. In pochi secondo l’infermiere gli aveva sfilato i pantaloni, ma poteva sentirlo trattenere il respiro, immobile accanto a lui.
“Io..devo proprio andare. Si è fatto tardi e devo..devo fare delle cose.” Disse con voce flebile, non muovendosi di un solo centimetro. Ed riaprì gli occhi, guardandolo affamato, mentre sorrideva malizioso.
“Oppure potresti chiudere la porta e tornare qui.” Mormorò accarezzandogli una mano, su per il braccio scoperto, toccandolo in punta di dita, sentendolo fremere appena. Cercò i suoi occhi ma lo vide distogliere lo sguardo imbarazzato. “Nessuno ti sta costringendo a restare qui con me, se vuoi andare vai.” disse, una mano che andava a spostargli i capelli dietro l’orecchio, accarezzandogli quest’ultimo, per poi graffiare appena il collo. Lo sentì inspirare di botto, riprendendo a respirare più veloce di prima. “Dalla tua reazione sembra tu non voglia andartene..” sussurrò pianissimo, stringendogli i capelli tra le dita, tirandolo appena verso di sé. “Hai paura?” chiese strusciando il naso contro la sua guancia, inspirando il profumo di quella pelle un poco più scura della sua. Sapeva di qualcosa di dolce, quasi esotico e anche un po’ proibito. Un mix che fece fremere Ed più di prima. Keith dal canto suo si morse il labbro, trattenendo un gemito leggero, mentre il suo corpo reagiva traditore a quelle dolci lusinghe.
“Mmh.. No, non lo so..forse..” borbottò lanciando uno sguardo preoccupato alla porta, se stava per arrendersi a quell’invito malizioso avrebbe dovuto chiudere la porta. Non poteva lasciare che nessuno scoprisse una cosa del genere. Respirò a fondo, girandosi a guardare Edward. “Chi-chiudo..la porta..” biascicò, sentendo la presa del biondo allentarsi. Mordendosi il labbro per l’ennesima volta si voltò andando alla porta, chiudendola a chiave. Rimase lì davanti per qualche momento, dandosi dell’idiota per aver ceduto così facilmente ad un ragazzo che nemmeno conosceva.
“Keith..” chiamò Ed, seduto sul bordo del letto i piedi poggiati a terra, mentre lo guardava preoccupato. Non voleva metterlo sotto pressione, o mettergli ansia. Imprecando silenziosamente per i punti si alzò in piedi raggiungendo l’altro ragazzo, con nonchalance spense la luce e l’abbracciò da dietro. “Rilassati.. Non voglio farti male.” Gli sussurrò nell’orecchio, sporgendosi appena per poterglielo mordicchiare dolce, ottenendo in cambio un sospiro. “Vieni, non vorrai mica che mi si riaprano i punti, no?” scherzò prendendogli una mano, ritornando a letto. Il moro sospirò dandogli un pugnetto sul braccio.
“Non avresti proprio dovuto alzarti..” disse fintamente stizzito, seguendolo ubbidiente. Lo vide spostare il tavolino il più lontano possibile dal letto prima di stendercisi nuovamente e attirarlo cavalcioni su di sé. Il moro sussultò sorpreso e imbarazzato, non era abituato a stare sopra, era una posizione che lo metteva a disagio. Ed avrebbe visto tutto di lui. Deglutì a vuoto, sentendo nuovamente le mani dell’altro che gli accarezzavano, graffiandogli, le braccia. Fremette in attesa, sperando che quello stuzzicare finisse presto, non avrebbe retto molto a lungo sennò; e detto sinceramente non voleva supplicarlo di fargli qualunque cosa volesse.
I pensieri di Keith si interruppero quando sentì le mani di Ed posarsi decise sui suoi lombi e le sue labbra sfiorargli nuovamente l’orecchio, il respiro di lui tanto più caldo della propria pelle. “Ed..” sospirò, abbracciandogli le spalle, lasciando che i loro petti aderissero. Fece scivolare le proprie dita tra le ciocche bionde, sfilando l’elastico che teneva il codino. Si allontanò un poco da lui, osservandolo. “Sei..bellissimo..” mormorò arrossendo violentemente, giurando che anche nell’ombra della stanza Ed potesse vederlo. Il biondo stirò le labbra in un bellissimo sorriso, attirandolo nuovamente a sé, facendo collidere, finalmente, le loro labbra. Keith percepì la lingua calda e umida dell’altro premere gentilmente contro le proprie labbra, chiedendo silenziosamente il permesso per entrare. Con un piccolo gemito mal trattenuto schiuse le labbra, accogliendolo nella propria bocca, lasciando che dominasse il bacio, seguendo i passi di quella nuova danza.
 
I loro corpi accaldati si toccavano, sfiorandosi appena, fremendo per l’aria fredda che li circondava. Ed guardò il moro scendere a baciargli il petto, stuzzicandogli appena i capezzoli, leccando un percorso immaginario da questi al suo ombelico, soffermandosi a leccarlo e morderlo. Il biondo sospirò chiudendo gli occhi, affondando una mano tra i capelli scuri, morbidi come seta. Lo sentì staccarsi, e poi strusciare il naso nei radi peli pubici che aveva, facendogli contrarre gli addominali. Riaprendo gli occhi azzurri Ed osservò nuovamente la figura di Keith muoversi sinuosa tra le sue gambe, vide gli occhi scuri scintillare nell’oscurità poco prima di sentire la sua lingua calda sul membro congestionato. Non riuscì a trattenere un dolcissimo gemito, spingendo il bacino verso di lui, verso la sua bocca. Voleva sentirlo chiudersi attorno a sé, succhiarlo lentamente, giocare con la lingua. Annaspò quando i suoi desideri vennero esauditi. Il moro aprì la bocca, accogliendolo dentro di sé, muovendo la testa prima piano poi sempre più veloce, fermandosi ogni tanto a masturbarlo mentre la sua lingua si premeva contro la vena gonfia o la punta bagnata. Dopo un po’ di quelle deliziose attenzioni Edward non ce la fece più, voleva sentirlo gemere, supplicare, piangere dal piacere. Lo attirò nuovamente a sé, baciandolo con trasporto, coinvolgendolo in un bacio famelico e perverso, i loro sapori che si mischiavano così come i loro respiri e odori. Si staccarono dal bacio solo per mancanza d’aria, sorridendo un po’ ebeti.
“Sei bellissimo.” Disse il biondo, citando le parole di poco prima dell’altro. Gli morse il labbro inferiore, succhiandolo un poco prima di premere due dita contro le sue labbra carnose. Sospirò eccitato quando Keith le succhiò, leccandole e bagnandole a dovere. Ed lo baciò nuovamente mentre con gentilezza iniziava a prepararlo, cercando il suo centro del piacere. “Rilassati..” disse leccandogli l’orecchio, scendendo a mordergli il collo, la mano libera che lo masturbava a ritmo con le dita che lo stavano allargando. “Dei, così caldo e stretto.. Mi farai impazzire..Keith..” sussurrò nel suo orecchio, ottenendo un gemito più denso di prima. Quando finalmente sentì il moro rilassarsi sfilò le tre dita da dentro di lui, allineandosi con la sua apertura, affondando in lui lentamente, torturandolo ancora un po’, le loro dita che s’intrecciavano.
Keith gemette pianissimo, spingendosi contro il membro caldo e pulsante di Ed, muovendo il bacino in modo che gli colpisse la prostata fin da subito. Non era facile farlo venire, anche se il biondo lo aveva fatto eccitare parecchio solo coi preliminari. “E..ed..” gemette, cercando di non essere troppo rumoroso, quando una scarica di piacere lo fece contrarre. Ansimò fissando l’altro, aspettando che iniziasse a muoversi, perché se voleva che si muovesse lui aveva proprio sbagliato. Sentì le mani grandi e forti di Ed chiudersi attorno ai propri fianchi, tenendolo fermo, mentre lui iniziava a muoversi, piano e lentamente.
Da un certo punto in poi nessuno dei due seppe dire chi si stava muovendo contro chi. La stanza era satura dei loro gemiti sommessi, del rumore umido dei baci e dei corpi che si sfregavano, l’odore di sesso avrebbe impregnato anche i vestiti e le lenzuola. Si muovevano in sincronia, si graffiavano, si mordevano, si perdevano l’uno nell’altro come fossero amanti di vecchia data. Keith ogni tanto baciava la giuntura della spalla di Ed con l’automail, leccandone i bordi, mordicchiando la pelle ottenendo in cambio un gemito un po’ più roco del precedente. Ed, dal canto suo, baciava e mordeva ogni lembo di pelle a cui arrivasse, graffiando tutto il resto, marchiando il corpo di Keith con la propria firma.
 
Era quasi l’alba quando Ed sentì il corpo di Keith scivolare via dalle proprie braccia, grugnì infastidito, aprendo gli occhi e guardandolo vestirsi. “Hey..cos-ah..” sospirò girandosi sul fianco. “Vai a casa, eh?” chiese guardandolo dolcemente. “A che ora attacchi domani?” chiese, ancora mezzo addormentato.
“Mmh.. Si è fatto tardi, ti lascio la finestra un poco aperta, così circola un po’ d’aria.” Disse aprendo la finestra più lontana dal letto e tornando indietro, baciando un’ultima volta il biondino. “Alle due. Ci vediamo tra qualche ora, tu dormi e non fare movimenti bruschi. Abbiamo già stressato la tua povera ferita per tutta la convalescenza.” Rise baciandogli la guancia prima di sgusciare fuori la camera e l’ospedale. Sperando che nessuno si fosse accorto di lui.
Ed sospirò, sentendo il calore del bacio di Keith indugiare sulle proprie labbra. Si girò nuovamente sulla schiena, sentendo la mancanza di quel corpo accanto a sé, sbuffando chiuse gli occhi, tornando a dormire, ripromettendosi di chiedergli di uscire appena lo dimettevano.
   
 
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