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Autore: Lacus Clyne    27/06/2014    1 recensioni
"Cominciò con un incubo. Un incubo tornato dalle profondità dell’anima in cui avevo cercato di relegarlo innumerevoli volte, da quando ne ho memoria." Per Aurore Kensington i sogni si trasformano in incubi sin da quando era una bambina. Sempre lo stesso incubo, sempre la voce gentile del fratello Evan a ridestarla. Finchè un giorno l'incubo cambia forma, diventando reale. Aurore è costretta a fare i conti con un mondo improvvisamente sconosciuto in cui la realtà che le sembrava di conoscere si rivela essere una menzogna. Maschere, silenzi, un mistero dopo l'altro, fino al momento in cui il suo adorato fratello Evan e la loro mamma scompaiono nel nulla...
Genere: Drammatico, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Buon pomeriggio!! Eccomi qui, tornata dopo il silenzio esame! Ok, tornando a noi, devo dire che mi sarei aspettata qualche commento in più relativamente al finale dello scorso capitolo, ci tenevo particolarmente, però pazienza... Ad ogni modo, prima parte del nuovo capitolo, ora che finalmente Neo Esperia è rinata, cos'accadrà? Un grazie alle visite, al mio Oscuro preferito e a Giacchan!! Ragazzi, vi adoro!! Ma lo sapete, vero? n_- 

Alla prossima!

 

 

 

 

Abituarsi al ritrovato equilibrio, nei giorni che seguirono, si rivelò più complicato del previsto. Essendo avvezzi ormai, a vivere di notte, gli abitanti di Neo Esperia avevano manifestato sintomi simili a quelli del jet-lag. Persino noi, che venivamo da un mondo del tutto diverso e non avevamo mai avuto una situazione come quella, inizialmente avemmo dei problemi nell’alternanza sonno-veglia. Per giunta, far ripartire letteralmente tutte le attività, che per così tanto tempo erano state sincronizzate secondo la maggiore o minore luminosità del cielo, si rivelò più difficile del previsto. Era un po’ come se si avesse a che fare con la riabilitazione dopo un brutto incidente. La convalescenza necessitava di tempo e di pazienza. E tanto aiuto. Evan aveva gettato le basi, aprendo le porte al futuro, ma le spalle della nuova generazione erano ancora in formazione. Amber, nonostante la fiducia che aveva dimostrato di saper meritare, era ancora giovane e inesperta. Non era affatto raro vederla affrontare momenti di sconforto, dovuti a una responsabilità decisamente molto importante per lei. Ma Shemar e Blaez erano al suo fianco e anche Lord Oliphant e Angus le sarebbero stati accanto, per coadiuvarla, per aiutarla con la loro pluriennale saggezza. C’era molto su cui lavorare e sarebbero stati necessari molti anni per riuscire a far funzionare tutto. Ma sapevo che nessuno dei miei amici avrebbe mollato, nonostante le difficoltà. Ognuno di noi aveva sofferto e il ricordo di quello che era accaduto in passato sarebbe stato per sempre un monito affinchè gli errori compiuti non fossero più ripetuti. Amber decise di avvalersi dell’aiuto della popolazione, affinché essa stessa fosse coinvolta e non fosse spettatrice e destinataria delle decisioni prese dal governo centrale. Soltanto in quei primi giorni, vi furono incontri con rappresentanze provenienti da ogni angolo di Neo Esperia. A volte duravano intere giornate. Anche papà si offrì di aiutare i ragazzi, collaborando temporaneamente, persino col professor Warren, alla riorganizzazione dell’esercito. Era strano vederli insieme, dopo tutto ciò che avevano passato e considerando che papà gli aveva giurato che l’avrebbe ucciso. Eppure, alla fine, il professore si era reso conto dei suoi errori e aveva cominciato il suo percorso verso la redenzione. Einer, Eyde, Gourias e Leandrus furono assegnati alla ricerca e al recupero di altre documentazioni sopravvissute alla caduta di Esperia. Si voleva, in questo modo, metterle al sicuro, affinché non cadessero ancora una volta in mani sbagliate. Il Sancta Sanctorum, che da cinquecento anni aveva visto al suo interno tanto dolore e terribili sacrifici, fu distrutto. Non si voleva rinnegare ciò in cui si era creduto. Gli abitanti di quel mondo avrebbero continuato a venerare la Croix du Lac, ma senza alcun mistero stavolta. Nella cattedrale eretta dai Delacroix presto sarebbe stato creato un nuovo altare che raccoglieva le fedeli riproduzioni delle nostre gemme e una nuova rappresentazione stilizzata, scolpita nella parete frontale, raffigurante un piccolo bagliore proprio sopra il ciglio dell’acqua. Luce e acqua, emblemi della vita. Spesso, durante quei giorni, la mamma e io ci recavamo in preghiera, assieme a Lady Octavia, la quale si intratteneva volentieri in conversazioni che vertevano sull’importanza della speranza, soprattutto nei confronti di Arabella, che trascorreva tutto il suo tempo a vegliare mio fratello. Non sapevamo se e quando il Thurs avrebbe avuto effetto. Sapevamo soltanto che pulsava, ma niente più. E questo atteggiamento ostinato da parte di mia sorella, nel voler rimanere accanto a Evan preoccupava molto i nostri genitori.

Poi, la notte prima dell’incoronazione di Amber, circa una settimana più tardi, non riuscendo a chiudere occhio, decisi di alzarmi. Avevo mantenuto la stanza che Evan mi aveva riservato e con me c’era Violet. La guardai, mentre dormiva. Avevamo chiacchierato a lungo, poche ore prima e mi aveva confessato di essere molto combattuta nei confronti di Ruben. Era indubbio che si amassero. Lui le aveva addirittura detto che avrebbe lasciato tutto e l’avrebbe seguita nel nostro mondo. E il problema era proprio quello. Violet non voleva che Ruben rinunciasse alla sua vita per lei. Sapevamo che il momento di tornare a casa sarebbe giunto presto e per loro più di tutti, sarebbe stato difficile. Mio padre, ad esempio, alla richiesta di Lord Oliphant di rimanere lì e di prendere il comando generale dell’esercito, aveva rifiutato. La mamma gli stava tagliando i capelli, quando Lord Oliphant ci aveva raggiunti avanzando quella proposta. Ma papà era stato irremovibile. “Ho già preso la mia decisione diciassette anni fa, Milord. E il mio posto è con la mia famiglia. Ha atteso fin troppo e anch’io. Non c’è altro che desideri più che vivere con loro, nel mondo in cui avevamo scelto di ricominciare”, aveva detto.

Accarezzai i boccoli setosi della mia dolce amica, ripensando a quante volte lei avesse tifato per me e per Damien e a quante io avessi cercato di sondare il terreno con Evan, per lei. E invece, alla fine, si era innamorata proprio di quel bel ragazzo un po’ più grande, alle volte un po’ diretto nei modi, ma infinitamente dolce. Oramai, non avrei saputo vederli separati. Scosse la testa, scrollando la mia mano, abbracciando il cuscino. Sorrisi, nel rimboccarle le coperte.

- Sono certa che farete la cosa giusta…

Mormorai, prima di alzarmi. Infilai velocemente le ballerine e mi avvolsi intorno uno scialle leggero, poi uscii. Camminai attraverso i lunghi corridoi illuminati del palazzo di diamante. Ero abituata a farlo di notte, ma la prima volta che l’avevo visto immerso nella luce del giorno ero rimasta persino disorientata da quanto apparisse grande e luminoso. Le grandi finestre erano state spalancate, gli archi tenevano libero il passaggio e la luce giocava come mai avevo visto. Forse era uno dei motivi per cui mia madre adorava gli spazi luminosi. Aveva sempre scelto delle case che avessero almeno un soggiorno con delle larghe vetrate e amavo vederla inspirare a pieni polmoni l’aria carica di luce e di calore. Nel camminare, sentii le voci soffuse di chi era ancora sveglio. Riconobbi la voce di Rose, squillante, lamentarsi con Blaez di non averle ancora regalato lo spillone che desiderava. Blaez si era messo a ridere e ben presto avevo sentito anche lei farlo, nel dargli dello stupido. Capii allora cosa intendeva Blaez quando mi aveva detto che avevano una relazione da prendere o lasciare. Sentii Ruben, poche stanze più là, ripetersi come un mantra che la sua decisione di stare con Violet era la migliore che aveva mai preso nella sua vita. E ne fui felice, perché seppi come sarebbe andata tra loro. Imboccai le scale, sospirando nel pensare che presto avremmo dovuto salutare i nostri amici, quando vidi proprio a metà della scalinata Damien. Quella visione mi fece rivivere per un istante il nostro primo incontro a scuola. Solo che stavolta era notte e non avevamo affatto addosso le nostre uniformi. Arrossii, vedendo Damien un po’ scarmigliato, con indosso una larga camicia bianca, aperta per tre o quattro bottoni sul petto, che lasciava intravedere la ferita che gli era stata medicata decentemente. Portava dei pantaloni blu scuro ed era scalzo.

- Che ci fai in piedi a quest’ora?

Ci chiedemmo entrambi, contemporaneamente. Poi ci guardammo stupiti e ci mettemmo a ridere.

- Non riesco a dormire.

Risposi, per prima.

 - Nemmeno io. Jamie e la piccola psicopatica sono nel bel mezzo di una crisi diplomatica e mi rendono impossibile anche solo prender sonno.

Sbattei le palpebre.

- Crisi diplomatica?

Domandai, raggiungendolo.

Damien annuì.

- Jamie vorrebbe che Livia venisse con noi. Dopotutto, qui non c’è niente che la trattenga. Ormai, non possiede più il lapislazzuli, è orfana e a quanto pare Amber ha in mente forme di governo che non prevedono la supremazia di una casata sulle altre, nei territori componenti Neo Esperia. Il che significa che il suo ruolo istituzionale è decaduto.

Riflettei su quello che stava dicendo, ma riuscii a capire soltanto che Livia non sarebbe stata più a capo di Wiesen. Eppure, per una come lei, così fiera e orgogliosa, non doveva essere facile rinunciare a tutto così semplicemente.

- E qual è il problema diplomatico tra lei e Jamie?

Domandai.

Mi guardò come se avessi detto un’ovvietà e poi grattò il collo, guardando altrove.

- Semplicemente, Livia non se la sente di lasciare il mondo in cui è nata e in cui ha perso i suoi genitori. E Jamie non riesce a capirlo.

- Oh…

Effettivamente, non avevo pensato a quella ragione, ma effettivamente, era molto più plausibile, considerando quanto fossero importanti per lei i suoi genitori.

- E tu non hai detto niente?

Gli chiesi. Mi guardò nuovamente.

- La verità è che non so cosa dire, Aurore. In un certo senso, capisco cosa provi Livia. Almeno, me ne rendo conto ora che ho ricordato della mia famiglia. Certo, non posso dire di avere grandi ricordi del mio vero padre, dal momento che ero troppo piccolo quand’è morto, al contrario di lei. Ma è come se una parte del mio cuore fosse legata a questo luogo, adesso. E non è mai facile lasciare indietro un pezzo importante di te, quando hai dei ricordi.

Convenni, pensando a Evan e portai la mano al cuore.

- Ma per Jamie non è così. Lui è nato e cresciuto nel nostro mondo. Ha visto la separazione dei nostri genitori, certo, e ha sofferto l’allontanamento di nostra madre, ma è quella la realtà a cui appartiene.

Compresi la sua frustrazione e gli accarezzai la guancia. Quel gesto lo stupì. Poi, gli sorrisi.

- Sai, Damien… credo che indipendentemente da quale sia il luogo a cui apparteniamo, la vita sia nel luogo in cui la vivi, con le persone che ami e con cui costruisci qualcosa… tu sei nato in questo mondo, ci hai vissuto per pochi anni, due se non sbaglio… eppure, non ricordavi nulla fino a che Amelia non ti ha sbloccato i ricordi… io sono nata nel nostro mondo eppure, sono sempre stata legata a questo… ma ciononostante, ciò che abbiamo creato con le nostre famiglie appartiene a noi, al di là di tutto. Ovunque ci troviamo. Credo che sia Jamie che Livia ora abbiano bisogno di capire questo… devono crescere, devono trovare la strada che li porterà a vivere la loro vita nel modo e nel luogo che sarà loro più consono. Al momento, tu e Jamie dovete ritrovare vostra madre. Livia deve superare la sua diffidenza.

- In altre parole, mi stai dicendo che dovrei separarli?

Chiese, monocorde.

Pensai ad Arabella. Come avremmo fatto a separarla da Evan? A dirle che ogni giorno che passava, le speranze che il Thurs compisse un miracolo, si stavano affievolendo? Si sarebbe lasciata morire accanto a lui e non avrebbe mai potuto vedere quel mondo in cui Evan voleva che lei vivesse. Mi sentii triste, incredibilmente, per lei.

- Dico solo che a volte sono necessarie scelte difficili, ma che alla lunga, troveranno il loro perché.

Damien chiuse gli occhi, poggiando la mano sulla mia e baciandone il palmo. Socchiusi gli occhi anch’io, arrossendo nel sentire le sue labbra che sfioravano la mia pelle. Mi avvicinai, mentre col braccio libero mi attirava a sé, fino a sentire quel brivido che avevo imparato a conoscere e che Dio, mi elettrizzava da morire. Il corpo di Damien era un perfetto contraltare del mio. Il suo dorso era più muscoloso, le sue mani sicure, leggermente ruvide e incredibilmente calde a contatto con me. Mi puntellai sugli avampiedi, raggiungendo l’incavo della gola e risalendo, inspirando quel profumo che sapeva di notte, di nuova vita. Con le labbra sfiorai la sua mascella, mentre le sue mi solleticavano gli zigomi. Trattenni il fiato, quando scesero repentinamente fino al mio collo, inquiete, imprimendovi baci leggeri e veloci. Sussultai nel sentire la sua mano destra aprirsi sulla mia schiena, sollevando appena la mia camicia da notte di cotone candido. E io avvolsi le braccia attorno al suo collo, gemendo inavvertitamente nel suo orecchio. Lo sentii lasciarsi sfuggire un mugolio.

- Dio, Aurore…

Ringhiò, come se stentasse a controllarsi.

Deglutii, cercando le sue labbra e affondando le dita tra i suoi capelli scuri.

- Oh numi, vi sembra questo il momento di lasciarvi andare a certe effusioni?

Damien si interruppe immediatamente, così come me. Col cuore che mi martellava nel petto, mi voltai terrorizzata verso la voce maschile che solo alla base della scalinata, aveva parlato. Ed emisi un sospiro di sollievo quando vidi Shemar guardarci in tralice. Damien mise una mano in faccia, senza lasciarmi andare, mentre io tornai alla mia reale altezza, arrossendo e nascondendo il viso nel suo abbraccio.

- Non stavamo facendo niente!

Esclamò Damien.

Aprii un occhio per sbirciare e a giudicare dall’espressione scettica di Shemar, Damien si era appena scavato la fossa.

- Sì, certo. Non sono nato ieri, Warren. E comunque ti ho già spiegato che devi avere più rispetto per la tua da--  

Non terminò il discorso, che Amber si affacciò, prendendolo sottobraccio. Vederla così spigliata, con indosso un abito color fiordaliso che avevo già visto a villa Trenchard, ci stupì.

- Non credi che siano grandi abbastanza per decidere da soli cosa fare, Shemar?

Gli domandò, sorridendo.

Damien e io ci guardammo perplessi, poi mi misi a gesticolare quando realizzai il suo tono sottintendente.

- N-Non è così, Amber!! Noi… noi ci stavamo solo… solo…

Deglutii ancora, cercando l’appoggio di Damien, che sospirò.

- Baciando. Solo baciando. Quasi.

Puntualizzò.

Io annuii. Accidenti, meglio loro che i miei genitori, ma era ugualmente una situazione imbarazzante.

- Voi due piuttosto… domani è un giorno importante e siete ancora in piedi.

Riprese Damien, abile abbastanza da sviare l’attenzione. Avrebbe avuto un gran bel futuro come avvocato, soprattutto quando carpì, dalla reazione curiosa di entrambi, che avevano avuto un rendez-vous. Guardai meglio Shemar, che pur avendo l’uniforme, non era impeccabile come al solito. Al contrario, aveva il soprabito spuntato e i primi bottoni della giacca allentati. Amber invece giocava con una ciocca ribelle dei suoi capelli biondi e aveva la fascia bianca che le fissava il vestito spostata.

- Voi due… ?

Bisbigliai, indicandoli stupita.

- Abbiamo fatto una passeggiata nei giardini… e ci siamo ritrovati a giocare…

Confessò Amber, un po’ imbarazzata.

- A giocare? Che giochi… no, non lo voglio sapere.

Ammise Damien.

A quel punto, sia io che dei perplessi Amber e Shemar lo guardammo. Damien aggrottò le sopracciglia.

- Che succede? Che ho detto di strano? Hanno fatto la morale a noi e poi loro due si sono messi a flirtare qui fuori.

Sbattei le palpebre. Shemar sospirò e Amber si mise a ridere.

- No, ci siamo messi davvero a giocare. A rincorrerci, per la precisione… è un po’ infantile, vero? Però è qualcosa che facevamo quand’eravamo piccoli… e stavamo ricordando quei tempi… prima che tutto cambiasse… e prima che sia domani e non abbia più la possibilità di farlo…

Precisò, con un lieve rossore sulle guance.

Quando Damien si rese conto di aver insinuato qualcosa di troppo, alzò gli occhi al cielo.

- Ok, ammetto di aver frainteso.

Disse, lasciando la presa su di me. Io mi ricomposi.

Alla fine, eravamo noi quelli che stavano flirtando. Scesi raggiungendo entrambi, prendendo le loro mani.

- Ci sarà sempre modo di ricordare i vecchi tempi, Amber…

Dissi. Lei sembrò stupita, poi mi sorrise.

-  Hai ragione, Aurore…

- Signorina…

Guardai Shemar, imbronciandomi.

- Uff, vuoi continuare a chiamarmi in quel modo formale per sempre? Mi chiamo Aurore!

Shemar mi guardò sorpreso, poi si rivolse ad Amber, che rise.

- Beh, ha ragione…

Rassicurato da lei, Shemar posò di nuovo i suoi occhi ambrati su di me e potei notare una nota di affetto, quando finalmente, pronunciò il mio nome senza altri appellativi. Quel gesto mi rese immensamente felice, ma poi realizzai qualcosa di nuovo.

- Ora che ci penso… voi due vi sposerete, vero?

Domandai.

Se fino a quel momento erano stati più o meno composti, a quella mia domanda il loro aplomb andò ufficialmente a farsi benedire. Shemar guardò un po’ ovunque, visibilmente a disagio, mentre Amber abbassò gli occhi, nascondendo il rossore che le aveva imporporato le guance. Non capii in quel momento, perché avessero reagito così, dal momento che era fin troppo evidente che era quella la loro strada. Mi voltai verso Damien, che fece spallucce, poi tornai a guardarli.

- Non importa… quello che volevo chiedere in realtà è: se vi sposate, considerando che Amber è l’Imperatrice, significa che Shemar diventerà l’Imperatore? Quindi non potrò più chiamarvi per nome, ma dovrò chiamarvi Vostre Maestà, giusto?

Se mi ero stupita della prima reazione, vederli impietrire alla seconda fu impagabile. Si cercarono con lo sguardo, incerti su quale risposta potermi dare, inizialmente. Comunicavano a monosillabi, più con le espressioni che con le parole, e queste declamavano tutta la loro perplessità al riguardo. Evidentemente, non avevano ancora stabilito nulla. Poi, però, a sorpresa, sembrarono intendersi e annuirono l’uno all’altra, per poi tornare a guardarmi. Stavano sorridendo.

- Qualunque sia il titolo che avremo… per voi saremo sempre e solo Amber e Shemar, Aurore. E’ grazie a te, a Damien, a tutti voi e… a Evan, se siamo qui oggi e se possiamo discutere di questo.

Disse Amber, con ritrovata sicurezza.

Quell’affetto mi colpì e mi fece sorridere dal profondo del cuore. Li abbracciai entrambi, ricambiata, consapevole che oltre alla riconoscenza, c’era un profondo vincolo di amicizia che ci avrebbe legati per sempre.

- Comunque, non aspettate troppo a sposarvi. Amber potrebbe sempre piantarti per qualcun altro, Shemar.

Aggiunse Damien, pungente nel suo tono giocoso, riprendendo lo stesso tema che Leandrus aveva avanzato quando eravamo tutti nella cella. Allora, non sapevamo quale sarebbe stato il nostro futuro. Ma ora, era così ben chiaro che nessuno avrebbe potuto dubitarne. E mi fece venire in mente una delle ragioni per cui non riuscivo a dormire.

- Scusate, c’è una cosa che devo fare…

Annunciai, sciogliendo l’abbraccio.

I miei amici studiarono la mia reazione. Sorrisi.

- Devo ricordare a mia sorella quanto sia bello essere vivi…

Amber annuì, sorpresa, poi il suo sguardo si addolcì.

- Vai, Aurore. Se c’è qualcuno che può testimoniarlo, quella sei tu…

Fui d’accordo.

- In bocca al lupo.

Aggiunse Shemar, con un sorriso gentile sul viso.

Ricambiai con un piccolo inchino, emozionata per la fiducia che da sempre avevano riposto in me e guardai Damien, che si era appoggiato alla ringhiera di granito. Trovai il suo consenso nel vederlo rivolgermi il suo sguardo più comprensivo, quello che diceva che mi avrebbe sostenuta, qualunque cosa avessi deciso di fare. E così, mentre Shemar riprendeva il discorso lasciato in sospeso con Damien, mi defilai, correndo da Arabella, consapevole che non sarebbe stato facile, ma al tempo stesso, di avere una freccia importante al mio arco. I ricordi che avevo di Evan, quelli che lei non conosceva e che raccontavano di mio fratello, del grande amore che era capace di provare.

Quando giunsi davanti all’entrata della cripta, seguendo il passaggio sotterraneo che collegava il palazzo alla cattedrale per non uscire, presi fiato. Guardai il braccialetto di Evan, come facevo ogni volta che avevo bisogno di forza. E poi, entrai.

Sapevo che le cripte erano destinate a contenere le spoglie mortali dei Despoti del passato. Un’usanza tenuta in auge per molti secoli. Solo pochi erano stati tenuti fuori. Tra di essi, Tantris Rosenkrantz, mio nonno, che per sua stessa volontà, fu sepolto accanto a mia nonna Annabelle, a Challant, e Ademar, che per via della sua fine violenta, venne cremato. Si temeva che il suo spirito inquieto potesse tornare a cercare vendetta. Per fortuna, non era accaduto. Sulle prime ebbi un po’ impressione, dal momento che ci ero scesa soltanto con i miei genitori, mentre stavolta ero del tutto sola. Alla fine, seguendo il percorso, guidata da singhiozzi sommessi, raggiunsi il luogo in cui Evan riposava. Una teca protettiva di cristallo removibile era stata posta a guardia del suo corpo per mantenerlo intatto e sul suo petto era adagiato il Thurs. Sembrava ancora che stesse dormendo. E riuscivo a capire il dolore di Arabella, lo stesso che provavo io, ogni volta che lo vedevo così, perché speravo che da un momento all’altro avrebbe potuto risvegliarsi. Ma non era accaduto. Raggiunsi Arabella, che seduta accanto a lui, sembrava ormai determinata ad abbandonarsi. Non aveva mangiato nulla, nonostante la mamma avesse cercato in ogni modo di convincerla a farlo.

- Arabella…

Mormorai, e la mia voce risentì dell’eco naturale di quella sala così fredda, scavata nella roccia viva.

- Sei tornata…

Annuii, preoccupata, sedendomi accanto a lei. Poi le accarezzai i capelli.

- E sono preoccupata…

- Lo so… mi dispiace…

- Anche a me…

Un singhiozzo la scosse. Mi morsi le labbra, nel vederla così remissiva, lei che era sempre stata tanto combattiva. Ma non aveva imparato a gestire il lutto e anzi, l’aveva appreso nel peggiore dei modi, scontrandosi con qualcosa che avrebbe preferito non accadesse mai. Guardai Evan, cercando di riportare alla mente qualcosa che potesse aiutarla.

- La mamma ti ha raccontato del nostro viaggio a Verona, Arabella?

Scosse la testa, accarezzando instancabilmente il cristallo.

- Sai… c’è una storia di cui si parla, riguardo a quella città… due amanti che non potevano stare insieme perché le loro famiglie erano in lotta… erano molto giovani e si erano conosciuti a un ballo, proprio come i nostri genitori… il loro amore era talmente grande che arrivarono persino a sposarsi in segreto… però, lui compì un grave peccato, uccidendo il cugino della sua amata, perché questi aveva ucciso il suo migliore amico… e fu esiliato… lei invece fu costretta dal proprio padre a sposare un uomo che non amava e per evitare le nozze, bevve un filtro che avrebbe dovuto portarla a rimanere in uno stato di morte apparente per alcuni giorni… ma alla disperazione della sua famiglia si aggiunse quella del suo amato, quando seppe che la sua dolce sposa era morta. Tornò a Verona, e sulla sua tomba, distrutto dal dolore, si uccise bevendo un veleno letale. Ma lei non era morta e quando si risvegliò, lo strazio fu così forte che si uccise a sua volta, utilizzando il pugnale del suo amato.

- Mi stai dicendo che dovrei fare lo stesso, Aurore? Perché credimi, non c’è momento in cui non pensi di farlo… ma se lui si risvegliasse, io… io…

Strinse i pugni, chinando la testa, scossa ancora dai singhiozzi. Quella reazione mi addolorò molto, ma cercai di non darlo a vedere.

- Evan pensava che quei due erano degli idioti.

Dissi. Quando me l’aveva detto, dissacrando quella meravigliosa tragedia, non gli avevo parlato per una settimana. Arabella si tirò su, voltandosi a guardarmi, sbigottita.

- C-Come?

Sorrisi, contenta di aver catturato la sua attenzione.

- Beh… mi disse, testuali parole, che: “Non puoi pensare che la morte sia la soluzione più facile per ovviare al dolore. Prendi Romeo: se avesse chiesto al prete di dirgli cos’era successo, al posto di correre da Giulietta, a suo rischio e pericolo, avrebbe potuto aspettare che lei si risvegliasse e sarebbero potuti scappare insieme. E prendi Giulietta. Paride non le piaceva, non voleva sposarlo, ma non poteva opporsi al padre. Però è riuscita a sposarsi di nascosto. Poteva chiedere al prete di farla fuggire  e raggiungere Romeo. Meglio esiliati e vivi che in città e morti. In altre parole, erano due veri e propri idioti che avevano fatto male i loro calcoli”. Giuro, non gli ho parlato per una settimana. Gli ho persino fatto sparire la playlist dal lettore mp-3!

Arabella era allibita. Non credo avesse capito granché di quello che avevo detto. Sbattè le palpebre, incerta su cosa dire. E io continuai.

- Ah, e poi una volta ho sabotato il suo soufflé. Evan sapeva cucinare, ma non mi voleva insegnare il trucco per preparare dei soufflé che non si sgonfiavano. E così ho aperto il forno a sua insaputa ed è venuto una schifezza! Oh, ricordo la sua faccia quando l’ha tirato fuori, era qualcosa del genere!

Imitai malamente la sua espressione tra lo sconcertato e il dubbioso così come il suo tono mentre si chiedeva come mai fosse venuto in quel modo.

Arabella mormorò qualcosa senza voce. A giudicare dalla sua faccia, stavo riuscendo a scuoterla.

- Ora che ci penso, per il suo sedicesimo compleanno, la mamma e io abbiamo organizzato una festa particolare… Evan adorava Assassin’s Creed, un gioco strampalato in cui un tizio viene infilato in un… ehm, lasciamo stare. Dicevo, approfittando della sua assenza abbiamo tappezzato casa con dei poster del gioco e ci siamo vestite da alcuni personaggi. Quando è tornato a casa, le luci erano spente e ci siamo buttate addosso a lui urlando che eravamo dei cavalieri templari e volevamo la sua testa!

Mia sorella sgranò gli occhi, spaventata, ma quando mi misi a ridere, rassicurandola, anche lei sorrise.

- E poi com’è finita?

Mi domandò.

- Beh… alla fine avevamo preparato un vestito anche per lui e abbiamo festeggiato il suo compleanno in stile Assassin’s Creed! Ci siamo divertiti un sacco!

- Meno male…

Disse, portando la mano al cuore, con aria sollevata.

- Ti racconterò ogni cosa che lo riguarda, Arabella… ho una miniera di aneddoti e credimi, c’è parecchio da ridere!

Le garantii. Ma anche tanti momenti in cui Evan era stato il fratello migliore del mondo.

Arabella abbassò appena lo sguardo, nascondendo gli occhi lucidi.

- Sai, Aurore… quand’era piccolo, era sempre pronto a giocare con me. Lui è stato il primo coetaneo con cui avessi mai avuto a che fare. A causa del segreto sulla mia nascita, non avevo mai avuto contatti con altri bambini, tranne che con Shemar, quando la mamma riusciva a uscire da palazzo in assenza di nostro zio Ademar, ma lui era già più grande… e poi, arrivò Evandrus, con i suoi occhioni allegri e il suo sorriso contagioso… ed entrambi passavamo ore intere a giocare, quand’era possibile. Era stato il mio primo amico… e l’ultimo ricordo assieme alla mamma.

Mi colpì quel breve racconto, perché era la prima volta che sentivo parlare direttamente da Arabella di qualcosa che riguardava il loro rapporto.

- Come vi siete innamorati?

Le domandai.

Arabella aprì la mano oramai libera dal diamante, poi chiuse gli occhi e sorrise dolcemente.

- Quando la mia coscienza si risvegliò, nonostante fosse stata intrappolata dalla Croix du Lac, scoprii che ero capace di interagire con lei. Eravamo due anime che condividevano lo stesso corpo e per quanto questo fosse difficile e pericoloso, come lei poteva accedere ai miei ricordi, tranne a quelli che avevo imparato, col tempo, a impedirle di raggiungere, anch’io fui in grado di vedere. Eri collegata per nascita a me e all’ametista, e di conseguenza, la stessa Croix du Lac riuscì a sapere della tua esistenza. Quando cercava di raggiungerti, io riuscivo a escluderla e a raggiungerti a mia volta, seppure fossi troppo debole per far sì che tu capissi chiaramente chi ero. Era per questo che il ricordo di quella notte in te appariva come un incubo, troppo difficile da identificare. Ma ogni volta che Evandrus ti stringeva la mano, era come se prendesse anche la mia. Come se riuscissi a vederlo. E sentivo che anche lui riusciva a percepirmi. L’ho visto crescere, perdendo quella spensieratezza che aveva da bambino, diventando il ragazzo tormentato dal cuore grande che avrebbe fatto di tutto per proteggere la sua sorellina. E amandolo per questo. Amandolo perché non c’era persona al mondo che fosse più luminosa di lui, più temeraria, al punto da non esitare a varcare la soglia di questo mondo per ritrovare me e la mamma e diventare Liger, addirittura… e amandolo anche quando si è reso conto che il solo modo per farmi tornare indietro era quello di sostituirsi alla Croix du Lac…  eppure, nonostante tutto, lui non ha sentito la mia voce… non volevo che andasse così, non avrebbe dovuto…

- E’ colpa mia… non sono stata forte abbastanza per convincerlo…

Confessai. Lei scosse la testa.

- No, Aurore, no. Hai fatto del tuo meglio… sei stata coraggiosa. E io sono fiera di te, sorellina.

Riaprì gli occhi, sorridendomi.

- Noi siamo fieri di te. Anche Evandrus... e anche noi due dobbiamo essere fiere di lui… no?

Annuii, sentendo i miei occhi velarsi. E poi l’abbracciai forte. Arabella fece lo stesso. Eravamo tutti e tre lì, insieme, forse per l’ultima volta. Ed Evan sarebbe stato felice di vederci così.

- Mi racconti qualcos’altro?

Mi domandò, poi, quando ci scostammo l’una dall’altra, asciugando quelle lacrime di commozione. Se dovevamo piangere, allora era meglio farlo per qualcosa di bello. E mi rimisi a raccontare, tanto che quando i nostri genitori ci raggiunsero, stupiti di sentire Arabella ridere, la mamma non riuscì a trattenere l’emozione. Ci sedemmo tutti e quattro a vegliare insieme Evan, a ricordare, a scoprire lati di nostro fratello che entrambe ignoravamo. A custodire quei ricordi che sarebbero rimasti dentro di noi per sempre. La nostra famiglia era finalmente completa, almeno per quella notte.

E infine, giunse il nuovo giorno.

 

Dopo un estenuante tour de force voluto dal combo Alizea-Sybille, ci ritrovammo abbigliati di tutto punto per assistere alla cerimonia di incoronazione di Amber. Fu il momento più suggestivo a cui avessi mai assistito. La cattedrale dei Delacroix, in un mattino splendente, era gremita di gente in festa. L’accesso era stato consentito a tutti coloro che avessero voluto partecipare e un discreto numero di guardie imperiali, scelte personalmente da papà e dal professor Warren, si occupava del mantenimento dell’ordine. Era così bello per me vedere il mio papà, finalmente alla luce del sole, senza doversi nascondere. Esattamente come i miei amici, anche lui era visibilmente più pallido. Le iridi d’ametista invece erano stupende. Ogni volta che incrociavo i suoi occhi, era come guardarmi in uno specchio. Ero felice, perché erano sempre stati la sola cosa che riuscivo a immaginare di lui. Per di più, avendo tagliato i capelli optando per un taglio meglio accetto nel mondo della luce, a dire della mamma, aveva decisamente un aspetto meno ribelle. Anzi, le onde d’argento appena mosse gli incorniciavano il viso in un modo che ne risaltava la nobiltà. Per l’occasione, sia lui che il professore indossavano abiti di squisita fattura, delle lunghe giacche avorio chiaro bordate da polsini e bottoni dorati che nascondevano dei farsetti neri, dello stesso colore di pantaloni e stivali. Sulla spalla sinistra della giacca di papà, però, un bottone particolare, col sigillo della nuova casata, il giglio ambrato con inserti di diamante che ricordavano una stella, che serviva a mettere in evidenza la riconoscenza che Amber aveva nei suoi confronti, fermava tre corte trecce che richiamavano le stesse dell’uniforme imperiale. Anche i ragazzi avevano un abbigliamento simile. Per tutti, si giocava sulle tonalità dell’ambrato e dell’adamantino, per simboleggiare la nuova era. Vedere Shemar, poi, fu un piacere. Inizialmente, aveva insistito per indossare la sua uniforme, ma Sybille l’aveva minacciato di morte lenta e dolorosa se non avesse obbedito. Alla fine, dopo essersi lamentato ogni volta che la governante dei Trenchard per punirlo, lo punzecchiava ad hoc, era uscito dalla sua stanza con indosso un meraviglioso completo di raso bianco, su cui erano presenti dei gigli ricamati di un dorato molto leggero. Indossava una giacca corta poco più su delle ginocchia, chiusa come un montgomery e a collo alto. Una delicata cascatella di rouches bianche gli scendeva lungo il petto. Al fianco, agganciata alla cintura dorata, la sua spada. La spada di Gregor. I pantaloni bianchi che gli fasciavano le gambe slanciate, erano infilati negli stivali color crema, bordati da un gancio dorato. Sybille completò l’opera sistemandogli i capelli in una coda più morbida, stavolta all’indietro e raccapezzando i suoi ciuffi più ribelli, poi sistemandogli un mantello chiaro sulle spalle. Quella nuova tenuta lo mise un po’ a disagio, inizialmente, ma dopo aver scambiato quattro chiacchiere col quasi cugino e con papà, sembrò recuperare un minimo di sicurezza. Lo osservai, studiando la sua postura un po’ tesa mentre attendeva Amber all’entrata della cattedrale, che era tutta meravigliosamente addobbata con gigli delicati. Chissà che tra quei fiori non ci fossero anche quelli che avevo visto portare da alcune persone la sera che Evan mi aveva portata al Sancta Sanctorum.

Violet, accanto a me, mi aveva stretto la mano. La sua espressione rilassata mi aveva fatto intuire che lei e Ruben avevano chiarito la loro situazione. Le sorrisi, appoggiando la testa alla sua spalla, quando un lieve colpetto di tosse mi fece tornare sull’attenti. Damien, insieme a Jamie e a Livia, ci aveva raggiunte. Livia era imbronciata come al solito, ma nonostante tutto, era un piacere vederla con indosso un abito dalle tonalità color perla che si intonava meravigliosamente coi suoi capelli biondo platino. Anche Jamie, che aveva optato per un completo in giacca corta dorata e pantaloni fermati da una rouche bordata di bianco sotto al ginocchio, tanto simile a un abito ottocentesco, sembrava contrariato. A quanto pareva, per una coppia che aveva rinsaldato il suo legame, un’altra doveva affrontare momenti difficili. Ma erano ancora molto giovani e avevano tutta la vita davanti. E la mia vita, Damien, era proprio di fronte a me. Arrossii nel vederlo stretto nel soprabito dorato che ne metteva bene in risalto il fisico atletico. Visto così, mentre sistemava la lunga fila di bottoni dello stesso colore e allentava appena la fascia con le rouches bianche che gli fasciava il collo, non sembrava ancora infortunato. Quando si sedette, con aria compiaciuta non appena Violet gli fece notare che sembravamo usciti dal Carnevale di Venezia, mi ritrovai a pensarci.

- Potremmo proporre quel tema per la festa di diploma!

Disse Violet, sapendo quanto lo amassi.

- A questo proposito, saresti dovuta tornare a casa già da parecchio. Non ti preoccupa la reazione dei tuoi?

Annuii anch’io alle parole di Damien. E sapevo che per quanto avessi cercato di convincerla, Violet non avrebbe accettato di tornare a casa prima di noi. La mia migliore amica alzò gli occhi al cielo.

- Certo che mi preoccupa… ma dal momento che sono con voi due, sono al sicuro.

Damien aggrottò le sopracciglia.

- Ehm… non credo fosse questo che Damien intendeva, Violet…

Le feci notare. Invece di rimuginarci, Violet sorrise.

- Piuttosto, non vi sembra di essere intervenuti a un matrimonio? Ah, mi chiedo quando toccherà a voi…

Commentò, sorniona.

Ma se io arrossii protestando e dichiarando ufficialmente che non sarebbe accaduto quantomeno prima di diecimila anni, Damien mi stupì per la sua reazione.

- Hammond, capisco che tu non ambisca a vivere in eterno, ma sembra che tu non voglia arrivare nemmeno al tuo.

Rispose, inarcando il sopracciglio.

Violet sorrise candidamente.

- Beh… c’è un tempo per ogni cosa.

- Ok, ma possiamo riparlarne tra vent’anni?

Commentai, in imbarazzo. In realtà non c’era tanto da esserlo, dal momento che Violet e io avevamo sempre fantasticato sulle nostre nozze future, ma non mi sarei mai aspettata che avremmo affrontato quel discorso in un’occasione del genere. E per di più, con tutto quello che era accaduto, pensare a un’eventualità del genere mi riportava automaticamente al pensiero di Arabella, che non avrebbe mai potuto coronare il suo sogno d’amore. E non volevo rendere triste mia sorella. Abbassai lo sguardo, pensando che alla fine, non aveva voluto partecipare. Nonostante la notte prima avessimo trovato un punto d’incontro, non se la sentiva. Del resto, nemmeno Amber era del tutto favorevole a dei festeggiamenti, anzi, si era dimostrata piuttosto titubante a riguardo. Desiderava che ognuno avesse di che gioire e il fatto che avessimo perso Evan era qualcosa che di certo, impediva a me e alla mia famiglia di gustare della gioia di quel momento. Eppure, a sorpresa era stata mia sorella a rincuorarla. “Evandrus avrebbe voluto così. Preparava la vostra festa già da un po’… e penso che sarebbe scortese ora non accontentare quella sua volontà, Vostra Maestà”, aveva detto, con la voce rotta dall’emozione e gli occhi cerchiati dalla stanchezza e dalle migliaia di lacrime versate, quando Amber le aveva stretto le mani, chiedendole cosa fosse più giusto fare. E infine, Amber le aveva sorriso, baciandole quelle mani un po’ tremanti, chiedendole di essere lieta, perché ne era certa, anche Evan l’avrebbe voluto per lei. Già, Evan desiderava la felicità, per me, per Arabella. Presi la mano di Damien che dopo un attimo di perplessità, intrecciò le dita alle mie. E mi commossi, quando vidi i nostri amici prender posto e infine, tra le urla di giubilo degli intervenuti, popolani e non, Amber, scortata da Lady Octavia e Angus, affacciarsi sulla soglia dell’enorme portone, raggiante e commossa a sua volta, nel suo abito d’oro, con un volant di chiffon color perla fermato dalla spilla a forma di farfalla proprio sul seno, una fascia dello stesso colore che la stringeva e una cascata meravigliosa d’oro puro, fermata da morbide volute che rendevano visibile il resto dell’abito, adamantino. Portava i capelli biondi raccolti appena sul lato da un meraviglioso fermaglio dorato. Era emozionata e tremava. Ma doveva essere forte. Ogni giorno della sua vita, da quel momento, Amber avrebbe dovuto esserlo. E quella forza venne proprio dal giovane cavaliere che le prese la mano, determinato più che mai a non lasciarla cadere. Quel giorno fu ricordato come “l’alba del nuovo corso”, il giorno in cui Amber Trenchard e Shemar Lambert diventarono l’Imperatrice e il consorte imperiale di Neo Esperia, capostipiti della casata congiunta Trenchard-Lambert. Proprio come Gregor aveva desiderato per il figlio. E fu proprio quella sera, tra festeggiamenti che proseguirono per diversi giorni e diverse notti, che ci recammo presso il luogo dove Gregor Lambert e Vere Vanbrugh erano sepolti. La vita e la morte erano insieme in quel momento. Papà voleva che il suo più fidato compagno potesse condividere, in qualche modo, la gioia che il figlio stava provando. Quando arrivammo, accompagnati dalle musiche che provenivano dalla città e dall’aria finalmente gioviale, coperti dai mantelli per via dell’aria notturna più fresca, a cui oramai eravamo piacevolmente abituati, ormai, papà si chinò davanti alla tomba dei suoi cari amici, assieme alla mamma, che vi pose dei fiori e una boccetta di the alle rose.

- Vere, amica mia… Gregor… scusate il ritardo…

Disse mia madre, che tanto aveva pianto durante quei giorni, con voce emozionata. Compresi in quel momento quanto dovesse esser loro riconoscente. Se non fosse stato per la loro amicizia, non saremmo mai stati lì.

- Gregor. Alla fine avevi ragione. Tuo figlio è diventato ciò che volevi. Ne sei fiero, eh? Ti vedo, mio più caro compagno. Ti vedo gioire, rivedo il tuo sorriso, quando prendevi in braccio Shemar e gli dicevi che un giorno sarebbe diventato un cavaliere e poi l’Imperatore. E mi danno per essere stato così maledettamente egoista da non essere riuscito a salvarti.

- Papà…

Sussurrai, nel sentire una nota di frustrazione e di rimpianto. Quanto era stato difficile anche per lui dover lasciare indietro una persona cara? Alla fine, la cosa peggiore era che nonostante tutto, non era riuscito a salvarsi assieme ad Arabella. Eppure, in qualche modo, in quel momento eravamo tutti lì. Anche Arabella, che aveva le mani strette l’una nell’altra. La mamma posò il braccio sulle spalle di papà, che vi si strinse.

- Oh, Greal…

Papà sospirò, poi tolse la spada che portava con sé.

- So che non è la tua. Quella ce l’ha Shemar, com’è giusto che sia. Ma questa spada ha visto molti nostri duelli, sin da Gresson. Te lo ricordi, Gregor? Eravamo ragazzini allora. E adesso tu sei lì, che ci guardi ridendo perché alla fine è andato tutto come speravi e noi siamo qui, a chiederci perché le cose siano dovute andare proprio in questo modo. Eppure, adesso finalmente posso vivere la vita che volevo e che anche tu volevi per me. Ricordi quando mi dicesti che avevo trovato qualcosa per cui valesse la pena affrontare tutto? Ebbene, adesso posso lasciarmi il passato alle spalle e ricominciare. Ci sono voluti diciassette anni, ma ora posso farlo. E lo devo a te e a Vere.

Strinse per l’ultima volta la sua spada e la adagiò con cura sulla tomba di Gregor. Quel gesto mi fece tanta tenerezza.

- Non so cosa ci sia di là. Quando pensavo di essere morto, ho visto un inferno fatto di oscurità e di follia. Ma quello era un mondo di rimpianto. Tu e Vere non ne avete più. Vostro figlio ha fatto in modo che voi possiate essere per sempre fieri di lui. Ti faccio dono della mia spada, Gregor. E ti affido quel bambino che salvammo, diciassette anni fa. Ovunque lui sia ora, se lo dovessi trovare, proteggilo e ricordagli che la sua famiglia, sua madre, suo padre, lo aspettano.

La mamma singhiozzò e nel sentirlo, anch’io ebbi un momento di debolezza. Non avevo capito quanto papà, in tutto quel tempo, avesse desiderato anche il bene di Evan. Anche lui lo considerava un figlio, ma non aveva avuto l’opportunità di dirglielo. Mi voltai verso Arabella, vedendo che si allontanava e mentre i miei genitori ricordavano alcuni episodi del passato, la seguii lungo il viale buio che ormai non mi faceva più paura. Si fermò davanti a una tomba in costruzione. Su di essa, c’era un’iscrizione che mi fece mancare il respiro.

- In memoria di Evandrus Delacroix, nato in Dagaz 15-6, 518, morto in Dagaz, 15-6, 538.

Lesse Arabella, stringendo i lembi del mantello con forza.

- L-Le date coincidono…

Le feci notare. Arabella annuì.

- Era il suo compleanno… Vent’anni… aveva compiuto vent’anni…

Vent’anni. Evan e io avevamo sempre scherzato sul fatto che fosse più grande di me di soli due anni, e invece, ci eravamo sempre sbagliati. Compiva gli anni in giugno, ma da quando eravamo lì, tutte le nostre certezze erano state scombinate. Evan era nato lo stesso giorno della vera Renaissance. Portando la luce in quel mondo, nonostante la sua vita fosse finita. 

- Mio Dio…

Sussurrai, tremando.

Quella lapide, indipendentemente da tutto, simboleggiava che Evandrus Delacroix era morto. Non c’era nessuna onorificenza su di essa, era un semplice ricordo per una persona morta quel giorno. Indipendentemente da quel nome altisonante che ognuno, in quel mondo, avrebbe sempre ricordato con disprezzo. Quel pensiero mi turbò molto, accanto a quello che a giudicare dall’espressione affranta di mia sorella, passava anche nella sua testa.

- Non sono ancora pronta a lasciarlo andare…

Mormorò, terrorizzata.

E nemmeno io lo ero, in fondo. Sapevamo che Evan sarebbe dovuto rimanere lì, almeno fino a che il Thurs non avrebbe fatto effetto. Ma non potevamo sapere se e quando questo sarebbe accaduto. E tornare nel mondo che avevamo lasciato, se da una parte era una felice ipotesi per me, dall’altra era una tortura per Arabella. Nella nostra casa, a Darlington, la stanza di Evan era rimasta così com’era, o almeno speravo, considerando il tempo che era trascorso. Il pensiero di cos’avrei provato nel rientrarci mi sembrò improvvisamente intollerabile. Presi la mano di Arabella, che mi guardò in tralice.

- Neanch’io sono pronta a farlo, Arabella…

Le confessai, incontrando i suoi occhi sconvolti. Mi strinse la mano, cercando di reprimere le lacrime con difficoltà. Dovevamo essere forti anche noi, ma come facevamo a esserlo anche davanti all’evidenza del fatto che Evan non sarebbe più tornato? Odiavo il sentirmi così vulnerabile. Ero sempre stata protetta, fin da quand’ero piccola. E come potevo proteggere Arabella, dal momento che non sapevo cosa fare? Mia sorella mi sorrise appena, poi il suo sguardo mi oltrepassò, stupito. Mi voltai incerta, vedendo Damien accanto a me.

- E tu che ci fai qui?

Indossava un mantello a sua volta, col cappuccio sollevato, ma si intravedevano gli abiti della festa, proprio come quelli che indossavo io. Aveva la stessa espressione di quando ci eravamo ritrovati nella cella che Evan aveva fatto costruire per osservare la cerimonia.

- Evandrus Delacroix è morto.

Disse, guardando l’iscrizione. Quelle parole mi urtarono.

- Sei venuto per ricordarcelo, Damien? Lo sappiamo…

- Significa forse che dovremmo arrenderci, Lord…

Damien rivolse lo sguardo verso me e Arabella, prima che mia sorella potesse pronunciare il suo nome completo, scuotendo la testa.

- No, Arabella. No. Ho detto solo che lui è morto. Ma c’è qualcun altro che non lo è mai stato davvero. Nonostante tutto. E ha bisogno di te, che sei la sua luce.

Non capii il senso di quelle parole, tanto che arrivai a pensare, interdetta, che si fosse bevuto il cervello. Ma quando Damien sorrise, facendo un cenno del capo perché Arabella e io ci voltassimo, per poco non mi venne un infarto. Ci voltammo col cuore in gola, e quasi mi sentii mancare quando vidi un ragazzo piuttosto alto, con indosso un mantello identico a quello di Damien, di un dorato molto scuro, col cappuccio alzato per non essere riconosciuto, allo stesso modo di quello che portava papà quando era ancora il Cavaliere Nero. Tra le pieghe, si intravedeva appena il Thurs. E per giunta, sorrideva in modo inconfondibile.

- Mio Dio…

Mormorai, nello stesso istante in cui vidi appena, sotto i ciuffi più lunghi che sembravano neri, gli occhi amaranto di Evan.

- E’ un sogno?! Evan-- 

Evan posò l’indice sulle labbra mentre Arabella stava per chiamare il suo nome, la voce un sussurro debole e rinato. Poi sorrise.

- Non lo è. Sono qui.

Sussurrò, con un tono che esprimeva nuova speranza.

Sorrisi, incapace di trattenere oltre le mie lacrime, mentre Arabella annuì, intrecciando la mano alla sua, in visibile difficoltà nel cercare di trattenere la sua emozione. Evan guardò anche me e Damien, sorridendo, poi mi voltai verso il ragazzo che amavo, colpevole di aver dubitato delle sue intenzioni.

- Q-Quando?

Damien si limitò a scrollare le spalle.

- Poco fa. Non chiedermi come. Che ne dite di tornarcene a casa, adesso? Non vorrei essere assillante, ma la mia scuola ha bisogno del suo despota.

Domandò, prestando particolare enfasi su quell’ultimo appellativo, sfidando, quasi, Evan. Era così strano vederci lì, insieme. Mi voltai ancora una volta verso mio fratello, vivo, a dispetto di quella lapide e del nostro dolore e il mio cuore si riempì di nuova gioia. Sorrisi dal profondo, nel vederlo arricciare le labbra con aria un po’ seccata per rivolgersi a Damien. Poi guardò di nuovo Arabella, baciandole la mano.

- Torniamo a casa insieme, amore mio.

Concluse.

  
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