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Autore: writinglove    28/06/2014    2 recensioni
E se l'apocalisse fosse arrivata?Se il male avesse raggiunto un paesino nello stato dell'Ohio?Se in una giornata qualunque,la vita di una ragazza qualunque fosse stata sconvolta nel peggiore dei modi?
Dalla storia :
L’azzurro si mischiò al nero per un istante interminabile,e quel nero non era l’oscurità della notte nella quale eravamo entrambe avvolte. Io non la stavo guardando e lei non mi stava guardando. La verità era che in quell’istante fermo nel tempo,che in quell’attimo pieno d’infinito e di emozioni,noi stavamo leggendo. […] Prima ancora che potessi capire altro,che un’ennesima certezza mi sfuggisse di mano,smisi di leggere. Ed era troppo quel che avevo visto,era tutto troppo…ogni cosa sapeva di una piacevole ed allettante esagerazione. Ma c’era una cosa che non mi scivolò via dalle mani come fosse semplice fumo,un’unica certezza imprescindibile : in quell’attimo la mia esistenza aveva ripreso ad esistere,ed il mio cuore a battere.
Genere: Drammatico, Horror, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Brittany Pierce, Noah Puckerman/Puck, Santana Lopez | Coppie: Brittany/Santana
Note: AU, Lemon, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti
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between the hungry

L'inchino della fine .

L’erba sapeva ancora dei nostri odori fusi ed accoglieva una sagoma indefinita a rovinarla,quasi avesse voluto dire qualcosa. Forse perché era così : avevamo rovinato ogni cosa,o meglio,io avevo rovinato ogni cosa. La speranza che il contatto con un altro corpo mi avrebbe fatto provare quello che le carezze di Brittany scatenavano in me,era svanita non appena Steven aveva osservato la mia vulnerabilità,accecato dal desiderio. E all’improvviso mi ero resa conto che era tardi per fermarlo,così mi ero aggrappata ad un’ultima e sfocata speranza,che ormai mi pareva soltanto remota e disperatamente immaginata. Osservai ancora l’erba deformata dal peso dei nostri corpi avvinghiati,e decisi che fosse giunto il momento di allontanarmi da lì,perché osservarla non faceva altro che darmi il volta stomaco. Mi sollevai con le mani,a fatica,ed inspirai profondamente : l’aria cominciava a pizzicare. Guardai alle mie spalle e vidi quelle tre maledette tende osservarmi,quasi con aria torva. Avevo la sensazione che persino gli oggetti si fossero resi conto dello sbaglio che avevo commesso e di con quanta facilità fossi in grado di ferire le persone. Non potevo tornare lì,non subito. Come avrei fatto con Brittany nella mia stessa tenda?Non volevo incontrare il suo viso sofferente,né riascoltare la sua voce straziata dai singhiozzi. Non ce l’avrei fatta : sarebbe stato come essere pugnalata allo stomaco più e più volte. E per di più ero stanca, mi sarebbe mancata la forza necessaria per sostenere il suo sguardo silenzioso. Osservai dritto di fronte a me,costringendomi a calmare il respiro inquieto,e non vidi altro che alberi. La foresta mi guardava,ma pur essendo stata spettatrice,non mi giudicava. Se ne stava lì,calma e premurosa,con il respiro che  aveva lo stesso suono del vento. Prima ancora che me ne rendessi conto,cominciai a camminare.

Per lunghi minuti i miei occhi non fecero altro che fissare il suolo,quasi incapaci di sollevarsi,per stanchezza o timore. Guardare dritto di fronte a me ; ultimamente,mi restava difficile. Avrei quasi giurato che non fosse colpa mia,non del tutto,per lo meno. Era colpa di quel mondo. Era colpa di tutto quel che c’era dentro ed al di fuori di quel campo,e allo stesso tempo di nessuno. Ero certa che se non fosse successo tutto quello,che se non fossimo stati costretti a fuggire dalle nostre vite ormai distrutte e terribilmente divorate,non sarei mai stata così codarda. Eppure sapevo che nella stessa codardia,c’era del coraggio. Era per mezzo della paura che lottavo contro l’inevitabile desiderio. Dovevo farlo,dovevo oppormi in qualche modo. Ma non ricordavo che amare,significasse lottare. Non ricordavo che amare,significasse morire. Forse perché prima non era così.

Ricordavo com’era stato semplice con Josh. Non semplice,ma naturale. Accettare quello che provavo,di fronte alla schiettezza dei miei sentimenti,era stato quasi un obbligo,un dovere ed un esigenza. Come avrei potuto voltarmi di fronte ai suoi occhi,negando quel che vi avevo scorto?E per la prima volta in tutta la mia vita,mi ero sentita vulnerabile,fragile come un fuscello che aspettava di spezzarsi sotto il peso incurante di un vagabondo. Allora,però,non mi ero curata del fatto che quel fuscello avrebbe potuto spezzarsi con un tale semplicità ; avevo invece pensato che se ne sarebbe rimasto lì,sino a che non sarebbe diventato terra stessa,e poi ancora vita. Il fremito che provavo quando l’osservavo dalla finestra della mia stanza mentre mi aspettava sotto casa,il sussulto che avevo quando mi stringeva la mano,intento a non lasciarla…i suoi baci dolci che non mi avrebbero mai stancata…tutto quello mi faceva sentire viva come non lo ero mai stata in vita mia. Eppure,forse,non ero pronta per essere innamorata,forse non lo ero mai stata. Ero soltanto una ragazzina che scappava dalla sua vita rifugiandosi nelle frivolezze,nascosta dietro una maschera. Ma la verità era che eravamo due fuggiaschi tremanti di fatica e sofferenza,e che insieme avevamo trovato la salvezza,sotto i nostri sguardi increduli. E così ero cresciuta,amando ed amandomi. Perché ogni cosa scoloriva di fronte a quel che avevo dentro,di fronte a lui. Perdeva sapore,perdeva interesse,diventava superflua. Così,quando per la prima volta incontrai gli sguardi sereni degli altri studenti che avevano smesso di nascondersi o di squadrarmi,avevo sorriso interiormente e mi ero ripetuta che sì : ce l’avevo fatta.

Respirai ancora l’odore pacifico della natura,e mi passai una mano tra i capelli. Poi,quando guardai di fronte a me,decisi che fosse giunto il momento di fermarmi. Mi avvicinai ad un grosso albero dal tronco robusto,e mi sedetti a terra,appoggiandomi a questo con la schiena. Chiusi gli occhi un istante. Sentivo l’umidità penetrarmi fin dentro le ossa,ma non mi importava. Non m’importava di niente,di niente se non di lei. Ma perché?Perché all’improvviso avevo iniziato a guardarla in quel modo ed a sognarla in quel modo?Perché proprio lei?Perché non avrei potuto continuare quella vita in silenzio,a testa bassa,prestando attenzione a dove pestassi i piedi?Ero di nuovo un fuscello,ma nella mia testa non sentivo nient’altro che quel CRACK netto e deciso,fermo nel tempo,come un maledetto allarme. Era arrivato il momento di chiudere gli occhi per un po’. Ero stanca,avevo dormito poco e per di più avevo sprecato le mie ultime energie nella maniera più…più sbagliata che conoscessi. Accoccolata all’albero e respirando l’essenza stessa della foresta,cullata dai suoi sussurri premurosi,ogni cosa divenne lontana. Io ero lontana,protetta in un’ampolla che d’un tratto mi parve familiare.

                                                                           

«Lopez?» disse una voce incredula poco distante da me.

Mi costrinsi ad aprire gli occhi controvoglia.

Quando misi bene a fuoco quella figura scura,mi accorsi che si trattasse di Alex.

«Che diavolo ci fai tu qui?» chiese ancora incredula.

Sbattei un paio di volte le palpebre,ancora assonnata,e mi schiarii la voce.

«Che diavolo ci fai tu!Ero venuta a fare una passeggiata e mi sono appisolata».

La ragazza,pallida in viso come lo era ormai da giorni, sembrò non avere una risposta già pronta ed abbassò lo sguardo,come fa chi ha commesso qualcosa ed ha paura di essere scoperto.

«Cammino spesso qui» rispose poco decisa,continuando a fissare il terreno rossastro sotto i suoi piedi «che tu ci creda o meno,mi rilassa».

«Già».

Allora si guardò le unghie e si staccò una pellicina,improvvisamente nervosa. Qualcosa non andava. Quella ragazza stava mentendo,lo avvertivo con ogni fibra del mio corpo. Sapevo leggere il linguaggio del corpo piuttosto bene,ed Alex non me la raccontava giusta. Era solo una sensazione,ma risuonava vivida dentro di me,come un messaggio d’allerta.

«Va tutto bene,Alex?» chiesi,cercando di sembrare il più tranquilla possibile per non destare sospetti.

Lei mi guardò improvvisamente confusa e preoccupata e si asciugò le gocce di sudore sulla fronte «che intendi dire?»

Quel giorno non faceva caldo. Tutt’altro.

«Intendo dire se stai bene. Sei piuttosto pallida ultimamente. Sai,se soffri di insonnia o…»

«Sto benissimo!» m’interruppe lei,scuotendo la testa «Va tutto alla grande,davvero!»

Annuii poco convinta. La pace che mi aveva rasserenata per quei pochi minuti era improvvisamente sparita e capii che fosse giunto il momento di tornare all’accampamento. Una terribile fitta allo stomaco mi tolse il respiro e fui costretta a chiudere gli occhi.

«Mi avvio al campo…buona passeggiata,allora» biascicai,portandomi una mano sulla fronte.

Quando raggiunsi quel silenzioso spazio familiare,mi accorsi che in pochi erano fuori dalle proprie tende. Brittany non c’era, e quella consapevolezza mi scombussolò ancor di più lo stomaco. Lucas era fuori,affianco alla sua tenda,sdraiato sull’erba a leggere un libro e Steven beveva un bicchiere d’acqua sotto il gazebo. Steven. Forse stavo per vomitare. Aumentai velocemente il passo per evitare che mi fermasse con qualche strana intenzione,ma all’improvviso la sua voce mi bloccò.

«Santana!» mi chiamò con aria felice,credendo che non l’avessi visto.

Neppure mi voltai. Accelerai ancora il passo,dritta verso le fauci di un altro pericolo. Ma cos’altro avrei potuto fare?Guardai la tela verde della tenda e feci un grande respiro. Mi tremarono le gambe.

«Ehi,Santana!»

Mi morsi il labbro e scossi la testa. Non potevo. Dio mio…non potevo. Nel giro di pochi istanti,non fui altro che un ammasso di carne ed ossa tremolanti e deboli come gelatina. Non potevo farcela,non potevo affrontarla. Non ero pronta. Non…non potevo. Scossi di nuovo la testa ed aprii la zip. Non appena respirai quell’aria,non appena la guardai,tutto quel che avevo ignorato tornò vivido a strozzarmi. Chiusi gli occhi,presa a pugni dalle emozioni,e mi costrinsi a camminare,incredula di saperlo fare.

 

Avevo le lacrime agli occhi,così come lei. La guardai,dall’altro lato della tenda,e spostai lo sguardo rapidamente. Lei si alzò,e si avvicinò. Tremai. Aveva capito tutto,come non avrebbe potuto? Mi aveva guardata dritta al cuore,per un istante che si era fermato nel tempo,mi aveva guardata lì. 

Noi piangevamo.

«Era quello che volevi?» mi chiese,con la voce che tremava,avvicinandosi lentamente per paura o chissà cosa.

Il mio viso rigato dalle lacrime si contrasse. Mi irrigidii e scossi la testa.

«Perché,Santana?Dimmi solo il perché e ti lascerò in pace. Ti giuro che smetterò di guardarti e di parlar…» .

«Shh!» singhiozzai,portandomi un dito alle labbra «Sta’ zitta,per favore».

Tremai dentro,di nuovo. E non potevo fare a meno di tremare,perché quegli occhi mi bucavano l’anima e quella voce mi pugnalava lo stomaco. Come avrei fatto a non guardarla?Come avrei fatto ad ignorare la ragione che mi avrebbe regalato la vita senza chiedere niente in cambio? Le sue lacrime,così simili alle mie,erano acido su quella pelle d’Angelo. Ma non potevo permettere che il volto dell’angelo più puro venisse sfigurato per causa mia. Quanto egoista sarei potuta essere? Non sarei stata in grado di mentirle,ma neppure di evitarla. Lo sapevo,era così ovvio…il suo viso attraeva i miei occhi a sé con una tale forza giusta e naturale,che tutto il resto pareva artificioso e vacuo. Il resto era vacuo,ma noi eravamo tutto.

«Non posso» sussurrò,specchiandosi nei miei occhi umidi « dimmelo che non mi vuoi!Dimmelo e la smetterò. La smetterò di cercarti,di guardarti,di sfiorarti... mi limiterò a sussurrarti il buongiorno e la buonanotte,ma dimmelo,per favore!Mi arrenderò all’idea che non ci sarà più amore nella mia vita,mi arrenderò all’idea che questo mondo ha divorato tutto. Basterebbe che tu me lo dicessi,anche urlandolo…e allora tornerei ad esser quel che sono : il niente che cammina,che sfiora la terra con i suoi passi,senza lasciare impronte. E non ascolterei più il mondo né sentirei delle briciole di vita scorrermi nelle vene. Dimmelo e sarò quel che sono!Sarà impossibile ignorare quel che ho dentro,ma sopporterò ogni istante il pensiero di non poter avere nulla,di non poter avere te».

Scossi la testa,sopraffatta dai singhiozzi «mi dispiace» biascicai,asciugandomi una lacrima con il dorso della mano.

«No» rispose lei,decisa. Mi prese il mento e lo sollevò «Santana,dillo. Dillo o morirò».

Le sue parole penetrarono dentro di me e danneggiarono ogni organo con la stessa velocità di un fulmine che si scaglia al suolo. La sua voce straziante,le sue lacrime,il suo viso umido di verità…furono un pugno al petto capace quasi di fermare il cuore. E si sarebbe fermato se non gli avessi impedito di farlo,se l’amore non l’avesse alimentato con una tale forza da esser in grado di consumarmi. Le circondai il polso con le mie dita ed allontanai la sua mano dalla mia pelle. Non poteva toccarmi,non doveva farlo.

«Non posso» risposi con la voce appena udibile,in un tremolio.

In quel momento,le parole mi esplodevano nel petto. Ero stanca,lo ero davvero. Ero stanca di continuare a lottare. Ma più di ogni altra cosa al mondo la desideravo,perché era la mia luce,perché era la mia stella,perché era l’unica cosa in grado di rendere la mia vita vita. Voltare lo sguardo ancora,significava morire. Anche guardarla, forse,significava morire ; ma in quel momento sapevo che la vita di cui le parlava sarebbe stata nelle mie vene e che si sarebbe diffusa come sangue,sino ad arrivare al cuore. Poi,forse,sarei morta,ma per un attimo avrei vissuto. Aveva forse senso continuare a fingere,continuare a recitare l’ironica commedia della mia vita?Ero una pessima attrice e la mia maschera prima o poi sarebbe scivolata via dal mio viso così lentamente,da scoprire ogni centimetro di pelle. Quando sarebbe giunta agli occhi,le mie lacrime sarebbero state esposte al mondo intero. E allora forse avrei urlato,avrei urlato un un’unica frase che in quel momento pareva tanto giusta quanto sbagliata : “non sono più un’attrice!”.

Lei scosse la testa e mi fece una carezza con una tale fragilità che sarebbe stata in grado di uccidermi,se l’avesse voluto. Io singhiozzai,di nuovo,ed abbassai lo sguardo. Una fitta allo stomaco mi prese alla sprovvista,e rimasi in silenzio chiedendomi il perché.

«Dillo ed ogni cosa cambierà. Io ti guardo dentro,Santana. Non puoi scappare dai tuoi sentimenti. A dispetto di ogni cosa in questo mondo,tu sei ancora umana».

Scossi la testa e mi portai le mani sul viso,disperata. Non potevo continuare a guardarla,era troppo vicina. Se avessi permesso di nuovo a quelle iridi color cielo di penetrarmi,allora ogni mia difesa sarebbe crollata. Dovevo resistere,dovevo aggrapparmi con tutte le forze a quel sentimento chiamato paura,oppure le porte si sarebbero spalancate e sarei rimasta accecata dalla più incredibile luce. Sarei morta e l’avrei trascinata con me nella tenebra. 

«Io…i-io non…»

Ero stremata.

«Dillo!» ordinò lei,tremando sulle mie labbra.

Alzai gli occhi e singhiozzai ancora. Lei mi prese il viso tra le mani e sentii il suo respiro sulla mia pelle. Nel momento stesso in cui l’azzurrò attraversò l’oscurità che portava il nome di paura,il mio intero mondo crollò. Crollai io,come se fossi fatta di creta. Bruciarono le mie mura,come fossero fatte di paia.

«Io ti amo,Brittany» sussurrai,singhiozzando «io ti amo» ripetei.

Fu allora che chiusi gli occhi e respirai il suo odore. Lo respirai così a fondo che cominciò a girarmi la testa. Improvvisamente capii che quello stesso odore sarebbe diventato il mio ossigeno,e che i suoi baci sarebbero diventati la mia felicità.

Lei sorrise,mentre una lacrima le solleticava una guancia e portò le sue labbra sulle mie. Era l’amore. Era lei. Mi diede un piccolo e delicato bacio,come quello che si danno i bambini che scoprono di saper amare,poi si allontanò per guardarmi negli occhi.

«Ti amo anch’io,Santana» disse sorridendo.

Le misi una mano dietro la nuca e con l’altra le accarezzai il braccio delicatamente. Lei mi cinse la vita con le braccia e ci baciammo davvero. Quando le nostre lingue si toccarono,capii che tutto quel che avevo pensato,che la paura che aveva oscurato il mio cuore in quegli istanti,era solo inutile marciume che non meritava di scorrere impunito assieme al mio sangue. Ogni cosa aveva preso senso nel momento stesso in cui una scarica di energia bianca e pura mi aveva attraversata senza preavviso,con la stessa concretezza di un sogno sfumato. L’unica cosa che sapevo era che lei era mia e che lo era sempre stata. Da quel momento in poi,non l’avrei mai più lasciata andare.

Le sue mani bollenti mi accarezzarono la schiena,segnandomi la pelle con quel calore che sapeva di desiderio,e le mie si infilarono insidiose tra le sue ciocche di capelli biondi. Le mie labbra la desideravano,la mia pelle la desiderava,ogni parte di me la desiderava. E lei era lì.

«Ti amo» sussurrai sulle sue labbra,ancora.

Lei rise sulle mie. La strinsi a me con forza,mentre le nostre lingue si cercavano ansiose di incontrarsi,ed avanzammo verso il soffice materasso nascosto dalle coperte. Quando mi resi conto di quello che stava per succedere,le gambe cominciarono a tremarmi come fossero state fatte di gelatina. Ma io la volevo così tanto...

«Wow» biascicò lei,ansimante,osservando il desiderio nei miei occhi.

Eravamo entrambe senza fiato.

«Già,wow» ammisi stupita,osservandola a mia volta.

Lei sorrise e allora le chiesi il permesso di toglierle la maglietta «posso?» le domandai,stringendo con la mano sinistra un lembo di quella stoffa grigia.

Lei rise e disse «non c’è bisogno che tu mi chieda il permesso».

Mi prese l'altra mano e la portò sull'altro lembo di stoffa. La guardai un’ultima volta,chiedendole implicitamente il consenso,e poi gliela sfilai. Mi allontanai un po’,per osservarla. Il suo seno meraviglioso era racchiuso da un reggiseno nero con i pois rosa e quella pelle…Dio mio,quella pelle quanto era bella ed invitante. Più la guardavo,e più cresceva in me il desiderio di farla mia. Senza rendercene conto,ci ritrovammo su quel vecchio materasso,desiderandoci reciprocamente. Lei si muoveva esperta,io desiderosa di imparare. Passammo tutta la notte a fare l’amore,e quando il primo raggio di sole spuntò all’orizzonte,scoppiammo a ridere. La verità era che la paura non era abbastanza forte da impedirmi di amarla. La verità era che da quel momento in poi,lei sarebbe stata la mia stessa vita. Ma io l’amavo,l’amavo così tanto che quando quella mattina incontrai per la prima volta le sue iridi celesti,non potei fare a meno di sussurrarglielo,baciandola instancabilmente.

Si diceva che le commedie avessero sempre un lieto fine e che tutti avrebbero applaudito. Io,forse, avrei pianto. Ma quello che desideravo più di ogni altra cosa al mondo,era inchinarmi al pubblico e godermi quel momento di gloria.


Non vi avevo forse detto di fidarvi di me?Beh,spero che non siate rimasti delusi! "L'inchino della fine" è probabilmente il capitolo che stavate aspettando  da tanto. Vi mentirei se vi dicessi che l'ho scritto con facilità. Volevo che tutto fosse perfetto,tutto!Sono stata giorni a  scriverlo,e poi ancora a riscriverlo,a modificarlo,correggerlo...stavo diventando isterica!Adesso,dire da parte mia che è perfetto,sarebbe a dir  poco presuntuoso e poco credibile data la mia eccessiva (è un eufemismo) criticità,però spero vivamente che nonostante tutto l'abbiate gradito e che non siate rimasti delusi. 

Ok,adesso lasciatemelo dire : E' TEMPO DI BRITTANA!!!

Com'è giusto che sia sempre,l'amore ha vinto sulla paura. Tenetevi pronti perché ho ancora molto (anche questo è un eufemismo!) da scrivere e ancora molto dovrà succedere...diverse situazioni si svilupperanno,ed alcune saranno piacevoli,mentre altre...

Vi aspetto con ansia nelle recensioni,come al solito,per confrontarci e discutere della storia...mi raccomando,non mancate!

E come al solito : al prossimo capitolo! (Ok,mi sto gasando perché da adesso in poi potrò finalmente lasciar emergere la mia immaginazione tutta "Brittana")

P.S. Ho scritto la parte Brittana del capitolo,ascoltando "Say something" di Christina Aguilera e A Great Big World. Generalmente mi piace scrivere nel più totale silenzio,ma questa volta ho fatto un'eccezione. Mi piaceva molto la melodia triste della canzone adattata alla scena altrettanto triste del capitolo,ed ho pensato che ascoltarla mi avrebbe aiutata ad entrare ancora di più nel "pezzo"...ok,mi sto dilungando,ma per farla breve volevo solamente consigliarvi di accompagnare la lettura con la canzone. Aspetta,adesso che ci penso avete già letto il capitolo...ok,forse avrei dovuto inserire questo "consiglio" all'inizio...ops! Vabè, chiudiamola con un : vi aspetto!

  
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