between the hungry
L'inchino della fine .
L’erba
sapeva
ancora dei nostri odori fusi ed accoglieva una sagoma indefinita a
rovinarla,quasi avesse voluto dire qualcosa. Forse perché
era così : avevamo
rovinato ogni cosa,o meglio,io avevo rovinato ogni cosa. La speranza
che il
contatto con un altro corpo mi avrebbe fatto provare quello che le
carezze di
Brittany scatenavano in me,era svanita non appena Steven aveva
osservato la mia
vulnerabilità,accecato dal desiderio. E
all’improvviso mi ero resa conto che
era tardi per fermarlo,così mi ero aggrappata ad
un’ultima e sfocata
speranza,che ormai mi pareva soltanto remota e disperatamente
immaginata.
Osservai ancora l’erba deformata dal peso dei nostri corpi
avvinghiati,e decisi
che fosse giunto il momento di allontanarmi da
lì,perché osservarla non faceva
altro che darmi il volta stomaco. Mi sollevai con le mani,a fatica,ed
inspirai
profondamente : l’aria cominciava a pizzicare. Guardai alle
mie spalle e vidi
quelle tre maledette tende osservarmi,quasi con aria torva. Avevo la
sensazione
che persino gli oggetti si fossero resi conto dello sbaglio che avevo
commesso e
di con quanta facilità fossi in grado di ferire le persone.
Non potevo tornare
lì,non subito. Come avrei fatto con Brittany nella mia
stessa tenda?Non volevo
incontrare il suo viso sofferente,né riascoltare la sua voce
straziata dai
singhiozzi. Non ce l’avrei fatta : sarebbe stato come essere
pugnalata allo
stomaco più e più volte. E per di più
ero stanca, mi sarebbe mancata la forza
necessaria per sostenere il suo sguardo silenzioso. Osservai dritto di
fronte a
me,costringendomi a calmare il respiro inquieto,e non vidi altro che
alberi. La
foresta mi guardava,ma pur essendo stata spettatrice,non mi giudicava.
Se ne
stava lì,calma e premurosa,con il respiro che
aveva lo stesso suono del vento. Prima ancora che me ne
rendessi
conto,cominciai a camminare.
Per lunghi
minuti i miei occhi non fecero altro che fissare il suolo,quasi
incapaci di
sollevarsi,per stanchezza o timore. Guardare dritto di fronte a
me ; ultimamente,mi restava difficile. Avrei quasi giurato che non
fosse colpa
mia,non del tutto,per lo meno. Era colpa di quel mondo. Era colpa di
tutto quel
che c’era dentro ed al di fuori di quel campo,e allo stesso
tempo di nessuno.
Ero certa che se non fosse successo tutto quello,che se non fossimo
stati
costretti a fuggire dalle nostre vite ormai distrutte e terribilmente
divorate,non sarei mai stata così codarda. Eppure sapevo che
nella stessa
codardia,c’era del coraggio. Era per mezzo della paura che
lottavo contro
l’inevitabile desiderio. Dovevo farlo,dovevo oppormi in
qualche modo. Ma non
ricordavo che amare,significasse lottare. Non ricordavo che
amare,significasse
morire.
Forse perché prima non era così.
Ricordavo
com’era stato semplice con Josh. Non semplice,ma naturale.
Accettare quello che
provavo,di fronte alla schiettezza dei miei sentimenti,era stato quasi
un
obbligo,un dovere ed un esigenza. Come avrei potuto voltarmi di fronte
ai suoi
occhi,negando quel che vi avevo scorto?E per la prima volta in tutta la
mia
vita,mi ero sentita vulnerabile,fragile come un fuscello che aspettava
di
spezzarsi sotto il peso incurante di un vagabondo.
Allora,però,non mi ero
curata del fatto che quel fuscello avrebbe potuto spezzarsi con un tale
semplicità ; avevo invece pensato che se ne sarebbe rimasto
lì,sino a che non sarebbe
diventato terra stessa,e poi ancora vita. Il fremito che provavo quando
l’osservavo dalla finestra della mia stanza mentre mi
aspettava sotto casa,il
sussulto che avevo quando mi stringeva la mano,intento a non
lasciarla…i suoi
baci dolci che non mi avrebbero mai stancata…tutto quello mi
faceva sentire
viva come non lo ero mai stata in vita mia. Eppure,forse,non ero pronta
per
essere innamorata,forse non lo ero mai stata. Ero soltanto una
ragazzina che
scappava dalla sua vita rifugiandosi nelle frivolezze,nascosta dietro
una maschera.
Ma la verità era che eravamo due fuggiaschi tremanti di
fatica e sofferenza,e
che insieme avevamo trovato la salvezza,sotto i nostri sguardi
increduli. E
così ero cresciuta,amando ed amandomi. Perché
ogni cosa scoloriva di fronte a
quel che avevo dentro,di fronte a lui. Perdeva sapore,perdeva
interesse,diventava superflua. Così,quando per la prima
volta incontrai gli
sguardi sereni degli altri studenti che avevano smesso di nascondersi o
di
squadrarmi,avevo sorriso interiormente e mi ero ripetuta che
sì : ce l’avevo
fatta.
Respirai
ancora l’odore pacifico della natura,e mi passai una mano tra
i capelli.
Poi,quando guardai di fronte a me,decisi che fosse giunto il momento di
fermarmi. Mi avvicinai ad un grosso albero dal tronco robusto,e mi
sedetti a
terra,appoggiandomi a questo con la schiena. Chiusi gli occhi un
istante.
Sentivo l’umidità penetrarmi fin dentro le ossa,ma
non mi importava. Non
m’importava di niente,di niente se non di lei.
Ma perché?Perché all’improvviso avevo
iniziato a guardarla in quel modo ed a
sognarla in quel modo?Perché proprio lei?Perché
non avrei potuto continuare
quella vita in silenzio,a testa bassa,prestando attenzione a dove
pestassi i
piedi?Ero di nuovo un fuscello,ma nella mia testa non sentivo
nient’altro che
quel CRACK netto e deciso,fermo nel tempo,come un maledetto allarme.
Era
arrivato il momento di chiudere gli occhi per un po’. Ero
stanca,avevo dormito
poco e per di più avevo sprecato le mie ultime energie nella
maniera più…più sbagliata
che conoscessi. Accoccolata all’albero e respirando
l’essenza stessa della
foresta,cullata dai suoi sussurri premurosi,ogni cosa divenne lontana.
Io ero
lontana,protetta in un’ampolla che d’un tratto mi
parve familiare.
«Lopez?»
disse una voce incredula poco distante da me.
Mi costrinsi
ad aprire gli occhi controvoglia.
Quando misi
bene a fuoco quella figura scura,mi accorsi che si trattasse di Alex.
«Che
diavolo
ci fai tu qui?» chiese ancora incredula.
Sbattei un
paio di volte le palpebre,ancora assonnata,e mi schiarii la voce.
«Che
diavolo
ci fai tu!Ero venuta a fare una passeggiata e mi sono
appisolata».
La
ragazza,pallida in viso come lo era ormai da giorni, sembrò
non avere una risposta
già pronta ed abbassò lo sguardo,come fa chi ha
commesso qualcosa ed ha paura
di essere scoperto.
«Cammino
spesso qui» rispose poco decisa,continuando a fissare il
terreno rossastro
sotto i suoi piedi «che tu ci creda o meno,mi
rilassa».
«Già».
Allora si
guardò le unghie e si staccò una
pellicina,improvvisamente nervosa. Qualcosa
non andava. Quella ragazza stava mentendo,lo avvertivo con ogni fibra
del mio
corpo. Sapevo leggere il linguaggio del corpo piuttosto bene,ed Alex
non me la
raccontava giusta. Era solo una sensazione,ma risuonava vivida dentro
di
me,come un messaggio d’allerta.
«Va
tutto
bene,Alex?» chiesi,cercando di sembrare il più
tranquilla possibile per non
destare sospetti.
Lei mi
guardò improvvisamente confusa e preoccupata e si
asciugò le gocce di sudore
sulla fronte «che intendi dire?»
Quel giorno
non faceva caldo. Tutt’altro.
«Intendo
dire se stai bene. Sei piuttosto pallida ultimamente. Sai,se soffri di
insonnia
o…»
«Sto
benissimo!» m’interruppe lei,scuotendo la testa
«Va tutto alla grande,davvero!»
Annuii poco
convinta. La pace che mi aveva rasserenata per quei pochi minuti era
improvvisamente sparita e capii che fosse giunto il momento di tornare
all’accampamento. Una terribile fitta allo stomaco mi tolse
il respiro e fui
costretta a chiudere gli occhi.
«Mi
avvio al
campo…buona passeggiata,allora»
biascicai,portandomi una mano sulla fronte.
Quando
raggiunsi quel silenzioso spazio familiare,mi accorsi che in
pochi erano
fuori dalle proprie tende. Brittany non c’era, e quella
consapevolezza mi
scombussolò ancor di più lo stomaco. Lucas era
fuori,affianco alla sua
tenda,sdraiato sull’erba a leggere un libro e Steven beveva
un bicchiere
d’acqua sotto il gazebo. Steven. Forse stavo per vomitare.
Aumentai velocemente
il passo per evitare che mi fermasse con qualche strana intenzione,ma
all’improvviso la sua voce mi bloccò.
«Santana!»
mi chiamò con aria felice,credendo che non
l’avessi visto.
Neppure mi
voltai. Accelerai ancora il passo,dritta verso le fauci di un altro
pericolo.
Ma cos’altro avrei potuto fare?Guardai la tela verde della
tenda e feci un
grande respiro. Mi tremarono le gambe.
«Ehi,Santana!»
Mi morsi il
labbro e scossi la testa. Non potevo. Dio mio…non potevo.
Nel giro di pochi
istanti,non fui altro che un ammasso di carne ed ossa tremolanti e
deboli come
gelatina. Non potevo farcela,non potevo affrontarla. Non ero pronta.
Non…non
potevo. Scossi di nuovo la testa ed aprii la zip. Non appena respirai
quell’aria,non appena la guardai,tutto quel che avevo
ignorato tornò vivido a
strozzarmi. Chiusi gli occhi,presa a pugni dalle emozioni,e mi
costrinsi a
camminare,incredula di saperlo fare.
Avevo le lacrime agli occhi,così come lei. La guardai,dall’altro lato della tenda,e spostai lo sguardo rapidamente. Lei si alzò,e si avvicinò. Tremai. Aveva capito tutto,come non avrebbe potuto? Mi aveva guardata dritta al cuore,per un istante che si era fermato nel tempo,mi aveva guardata lì.
Noi piangevamo.
«Era
quello
che volevi?» mi chiese,con la voce che tremava,avvicinandosi
lentamente per
paura o chissà cosa.
Il mio viso
rigato dalle lacrime si contrasse. Mi irrigidii e scossi la testa.
«Perché,Santana?Dimmi
solo il perché e ti lascerò in pace. Ti giuro che
smetterò di guardarti e di
parlar…» .
«Shh!»
singhiozzai,portandomi
un dito alle labbra «Sta’ zitta,per
favore».
Tremai
dentro,di nuovo. E non potevo fare a meno di tremare,perché
quegli occhi mi
bucavano l’anima e quella voce mi pugnalava lo stomaco. Come
avrei fatto a non
guardarla?Come avrei fatto ad ignorare la ragione che mi avrebbe
regalato la
vita senza chiedere niente in cambio? Le sue lacrime,così
simili alle mie,erano
acido su quella pelle d’Angelo. Ma non potevo permettere che
il volto dell’angelo
più puro venisse sfigurato per causa mia. Quanto egoista
sarei potuta essere?
Non sarei stata in grado di mentirle,ma neppure di evitarla. Lo
sapevo,era così
ovvio…il suo viso attraeva i miei occhi a sé con
una tale forza giusta e
naturale,che tutto il resto pareva artificioso e vacuo. Il resto era
vacuo,ma
noi eravamo tutto.
«Non
posso»
sussurrò,specchiandosi nei miei occhi umidi «
dimmelo che non mi vuoi!Dimmelo e
la smetterò. La smetterò di cercarti,di
guardarti,di sfiorarti... mi limiterò a
sussurrarti il buongiorno e la buonanotte,ma dimmelo,per favore!Mi
arrenderò
all’idea che non ci sarà più amore
nella mia vita,mi arrenderò all’idea che
questo mondo ha divorato tutto. Basterebbe che tu me lo dicessi,anche
urlandolo…e
allora tornerei ad esser quel che sono : il niente che cammina,che
sfiora la
terra con i suoi passi,senza lasciare impronte. E non ascolterei
più il mondo
né sentirei delle briciole di vita scorrermi nelle vene.
Dimmelo e sarò quel
che sono!Sarà impossibile ignorare quel che ho dentro,ma
sopporterò ogni
istante il pensiero di non poter avere nulla,di non poter avere
te».
Scossi la
testa,sopraffatta dai singhiozzi «mi dispiace»
biascicai,asciugandomi una
lacrima con il dorso della mano.
«No»
rispose
lei,decisa. Mi prese il mento e lo sollevò
«Santana,dillo. Dillo o morirò».
Le sue
parole penetrarono dentro di me e danneggiarono ogni organo con la
stessa
velocità di un fulmine che si scaglia al suolo. La sua voce
straziante,le sue
lacrime,il suo viso umido di verità…furono un
pugno al petto capace quasi di
fermare il cuore. E si sarebbe fermato se non gli avessi impedito di
farlo,se
l’amore non l’avesse alimentato con una tale forza
da esser in grado di
consumarmi. Le circondai il polso con le mie dita ed allontanai la sua
mano
dalla mia pelle. Non poteva toccarmi,non doveva farlo.
«Non
posso»
risposi con la voce appena udibile,in un tremolio.
In quel
momento,le parole mi esplodevano nel petto. Ero stanca,lo ero davvero.
Ero
stanca di continuare a lottare. Ma più di ogni altra cosa al
mondo la
desideravo,perché era la mia luce,perché era la
mia stella,perché era l’unica
cosa in grado di rendere la mia vita vita.
Voltare lo sguardo ancora,significava morire. Anche guardarla,
forse,significava
morire ; ma in quel momento sapevo che la vita di cui le parlava
sarebbe stata
nelle mie vene e che si sarebbe diffusa come sangue,sino ad arrivare al
cuore.
Poi,forse,sarei morta,ma
per un attimo avrei vissuto. Aveva forse senso
continuare a fingere,continuare a recitare l’ironica commedia
della mia vita?Ero
una pessima attrice e la mia maschera prima o poi sarebbe scivolata via
dal mio
viso così lentamente,da scoprire ogni centimetro di pelle.
Quando sarebbe
giunta agli occhi,le mie lacrime sarebbero state esposte al mondo
intero. E
allora forse avrei urlato,avrei urlato un un’unica frase che
in quel momento
pareva tanto giusta quanto sbagliata : “non sono
più un’attrice!”.
Lei scosse
la testa e mi fece una carezza con una tale fragilità che
sarebbe stata in
grado di uccidermi,se l’avesse voluto. Io singhiozzai,di
nuovo,ed abbassai lo
sguardo. Una fitta allo stomaco mi prese alla sprovvista,e rimasi in
silenzio
chiedendomi il perché.
«Dillo
ed
ogni cosa cambierà. Io ti guardo dentro,Santana. Non puoi
scappare dai tuoi
sentimenti. A dispetto di ogni cosa in questo mondo,tu sei ancora
umana».
Scossi la
testa e mi portai le mani sul viso,disperata. Non potevo continuare a
guardarla,era troppo vicina. Se avessi permesso di nuovo a quelle iridi
color
cielo di penetrarmi,allora ogni mia difesa sarebbe crollata. Dovevo
resistere,dovevo
aggrapparmi con tutte le forze a quel sentimento chiamato paura,oppure
le porte
si sarebbero spalancate e sarei rimasta accecata dalla più
incredibile luce.
Sarei morta e l’avrei trascinata con me nella
tenebra.
«Io…i-io
non…»
Ero stremata.
«Dillo!»
ordinò lei,tremando sulle mie labbra.
Alzai gli
occhi e singhiozzai ancora. Lei mi prese il viso tra le mani e sentii
il suo
respiro sulla mia pelle. Nel momento stesso in cui
l’azzurrò attraversò
l’oscurità che portava il nome di paura,il mio
intero mondo crollò. Crollai
io,come se fossi fatta di creta. Bruciarono le mie mura,come fossero
fatte di
paia.
«Io ti
amo,Brittany» sussurrai,singhiozzando «io ti
amo» ripetei.
Fu allora
che chiusi gli occhi e respirai il suo odore. Lo respirai
così a fondo che
cominciò a girarmi la testa. Improvvisamente capii che
quello stesso odore
sarebbe diventato il mio ossigeno,e che i suoi baci sarebbero diventati
la mia
felicità.
Lei
sorrise,mentre una lacrima le solleticava una guancia e
portò le sue labbra
sulle mie. Era l’amore. Era lei. Mi diede un
piccolo e delicato bacio,come
quello che si danno i bambini che scoprono di saper amare,poi si
allontanò per
guardarmi negli occhi.
«Ti
amo
anch’io,Santana» disse sorridendo.
Le misi una
mano dietro la nuca e con l’altra le accarezzai il braccio
delicatamente. Lei
mi cinse la vita con le braccia e ci baciammo davvero. Quando
le nostre
lingue si toccarono,capii che tutto quel che avevo pensato,che la paura
che
aveva oscurato il mio cuore in quegli istanti,era solo inutile marciume
che non
meritava di scorrere impunito assieme al mio sangue. Ogni cosa aveva
preso
senso nel momento stesso in cui una scarica di energia bianca e pura mi
aveva
attraversata senza preavviso,con la stessa concretezza di un sogno
sfumato.
L’unica cosa che sapevo era che lei era mia e che lo era
sempre stata. Da quel
momento in poi,non l’avrei mai più lasciata andare.
Le sue mani
bollenti mi accarezzarono la schiena,segnandomi la pelle con quel
calore che
sapeva di desiderio,e le mie si infilarono insidiose tra le sue ciocche
di
capelli biondi. Le mie labbra la desideravano,la mia pelle la
desiderava,ogni
parte di me la desiderava. E lei era lì.
«Ti
amo»
sussurrai sulle sue labbra,ancora.
Lei rise
sulle mie. La strinsi a me con forza,mentre le nostre lingue si
cercavano
ansiose di incontrarsi,ed avanzammo verso il soffice materasso nascosto
dalle
coperte. Quando mi resi conto di quello che stava per succedere,le
gambe
cominciarono a tremarmi come fossero state fatte di gelatina. Ma io la
volevo
così tanto...
«Wow» biascicò lei,ansimante,osservando il desiderio nei miei occhi.
Eravamo
entrambe senza fiato.
«Già,wow»
ammisi stupita,osservandola a mia volta.
Lei sorrise
e allora le chiesi il permesso di toglierle la maglietta
«posso?» le
domandai,stringendo con la mano sinistra un lembo di quella stoffa
grigia.
Lei rise e
disse «non c’è bisogno che tu mi chieda
il permesso».
Mi prese l'altra
mano e la portò sull'altro lembo di stoffa. La guardai
un’ultima
volta,chiedendole implicitamente il consenso,e poi gliela sfilai. Mi
allontanai
un po’,per osservarla. Il suo seno meraviglioso era racchiuso
da un reggiseno
nero con i pois rosa e quella pelle…Dio mio,quella pelle
quanto era bella ed
invitante. Più la guardavo,e più cresceva in me
il desiderio di farla mia.
Senza rendercene conto,ci ritrovammo su quel vecchio
materasso,desiderandoci
reciprocamente. Lei si muoveva esperta,io desiderosa di imparare.
Passammo
tutta la notte a fare l’amore,e quando il primo raggio di
sole spuntò
all’orizzonte,scoppiammo a ridere. La verità era
che la paura non era
abbastanza forte da impedirmi di amarla. La verità era che
da quel momento in
poi,lei sarebbe stata la mia stessa vita. Ma io
l’amavo,l’amavo così tanto che
quando quella mattina incontrai per la prima volta le sue iridi
celesti,non
potei fare a meno di sussurrarglielo,baciandola instancabilmente.
Si diceva
che le commedie avessero sempre un lieto fine e che tutti
avrebbero applaudito. Io,forse,
avrei pianto. Ma quello che desideravo più di ogni altra
cosa al mondo,era inchinarmi al pubblico e godermi quel momento di
gloria.
Non vi avevo forse detto di fidarvi di me?Beh,spero che non siate rimasti delusi! "L'inchino della fine" è probabilmente il capitolo che stavate aspettando da tanto. Vi mentirei se vi dicessi che l'ho scritto con facilità. Volevo che tutto fosse perfetto,tutto!Sono stata giorni a scriverlo,e poi ancora a riscriverlo,a modificarlo,correggerlo...stavo diventando isterica!Adesso,dire da parte mia che è perfetto,sarebbe a dir poco presuntuoso e poco credibile data la mia eccessiva (è un eufemismo) criticità,però spero vivamente che nonostante tutto l'abbiate gradito e che non siate rimasti delusi.
Ok,adesso lasciatemelo dire : E' TEMPO DI BRITTANA!!!
Com'è giusto che sia sempre,l'amore ha vinto sulla paura. Tenetevi pronti perché ho ancora molto (anche questo è un eufemismo!) da scrivere e ancora molto dovrà succedere...diverse situazioni si svilupperanno,ed alcune saranno piacevoli,mentre altre...
Vi aspetto con ansia nelle recensioni,come al solito,per confrontarci e discutere della storia...mi raccomando,non mancate!
E come al solito : al prossimo capitolo! (Ok,mi sto gasando perché da adesso in poi potrò finalmente lasciar emergere la mia immaginazione tutta "Brittana")
P.S. Ho scritto la parte Brittana del capitolo,ascoltando "Say something" di Christina Aguilera e A Great Big World. Generalmente mi piace scrivere nel più totale silenzio,ma questa volta ho fatto un'eccezione. Mi piaceva molto la melodia triste della canzone adattata alla scena altrettanto triste del capitolo,ed ho pensato che ascoltarla mi avrebbe aiutata ad entrare ancora di più nel "pezzo"...ok,mi sto dilungando,ma per farla breve volevo solamente consigliarvi di accompagnare la lettura con la canzone. Aspetta,adesso che ci penso avete già letto il capitolo...ok,forse avrei dovuto inserire questo "consiglio" all'inizio...ops! Vabè, chiudiamola con un : vi aspetto!