Elena
passeggia
lentamente nella sala d’attesa, è esausta, non ha
chiuso occhio tutta la notte,
aveva ripensato a sua sorella, Margherita, chiusa in una stanza
d’ospedale, gli
occhi tristi di chi inizia a rendersi conto di quello che le accade in
torno,
il viso pallido incorniciato dai lunghi capelli mossi e neri che lei
continuava
a toccare, ad attorcigliare, a guardare. Forse immaginava il momento in
cui li
avrebbe persi con l’inizio della chemioterapia, o forse
ripensava ai pomeriggi
estivi, quando il caldo era estenuante, in cui ripeteva
«prima o poi li faccio
a zero» o a quella volta che di ritorno dal parrucchiere, che
li aveva
accorciati, aveva giurato che non li avrebbe più tagliati.
Finalmente arriva l’infermiera, come un controllore di un
treno, ad avvertire
che può entrare.
«Buongiorno Marghe» lo dice e non se ne accorge,
cerca di sorridere.
«Ehi ciao»
«Come hai passato la notte? Se vuoi posso portarti da casa il
tuo cuscino o una
coperta in più.»
«Ho dormito come un sasso. E no, non ce ne bisogno. Sto
bene..davvero Elena»
«Più tardi passo da casa per prendere dei
documenti.. hai bisogno che ti porti
qualcosa?»
«Qualche libro e l’ipod»
«Va bene, allora io vado a lavoro, ci vediamo più
tardi» e le stampa un bacio
sulla fronte.
«Ciao»
«Grazie Elena» sussurra ma sua sorella è
già andata via.
E’ di nuovo sola tra le mura gialline e impersonali
dell’ospedale, aveva
mentito a sua sorella, non era riuscita ad addormentarsi, aveva tanti
pensieri
per la testa che, come un vortice, giravano in continuazione,
producendone di
nuovi e più complessi e senza riuscire a soffermarsi davvero
su ognuno di essi.
Aveva ripensato al primo giorno come insegnante in un liceo di una
città
vicina, dopo tante prove e ripensamenti aveva indossato un tailleur
nero che,
in un giorno caldo come quello, non avrebbe mai voluto indossare. Aveva
paura
di fare una cattiva impressione presentandosi con qualcosa di
più leggero e,
data la giovane età, voleva essere presa sul serio.
Era entrata in classe e aveva detto «buongiorno
ragazzi» sempre un po’ rigida e
impacciata ma fissando quelle faccette più impaurite di lei
si era allargata in
un sorriso e tutto era scivolato via.
Aveva ricordato il giorno della laurea quando aveva aspettato
diligentemente il
suo cognome e quando aveva sentito pronunciare «Lombardi
Margherita» aveva
trattenuto il fiato e non ci aveva capito più niente fin
quando non vide suo
padre abbracciarla e
dirle «110 e lode,
non avevo dubbi».
Sforzandosi di andare ancora più indietro nella memoria gli
era apparso il
giorno della maturità, «Fatti valere
Marghe» le aveva detto Isa, l’amica di una
vita.
Era entrata e aveva parlato della donna, la donna che si ribella, le
suffragette e le femministe, la donna che conquista il voto, la donna
nelle
poesie, la donna schiava, e pensava a sua madre che non prendeva mai
decisioni
senza il consenso di suo padre e a sua nonna che indossava sempre gonne
blu.
Ci pensa anche adesso al suo lavoro e a tutti i sacrifici compiuti.
Pensa ai compiti di letteratura, ancora da correggere, lasciati sul
tavolo
della cucina, alla borsa di pelle marrone accasciata su una sedia, a
quel
tailleur chiuso nell’armadio con la naftalina.
Angolo
Endanger
Il
prossimo capitolo
sarà più lungo,
a presto.