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Autore: Dean Lucas    02/07/2014    1 recensioni
Delphi è la prescelta, poiché sul suo corpo è inciso il futuro degli uomini.
Gavri’el è il prescelto, poiché è destinato a trovare il Bastone di Adamo.
Sargon è il prescelto, perché è l’erede del regno di Akkad.
Matunde è il prescelto, perché è il gigante nero dell’impero nubiano.
Babu non è un prescelto, è solo un nano impertinente e pavido.
Lei invece è la Sfinge, altera e bellissima, la creatura più preziosa dell’universo.
Sullo sfondo di un mondo antico e misterioso, oltre le porte del tempo, un viaggio e la lotta contro un male che affonda le proprie radici nella Genesi.
Un viaggio che ha come meta la salvezza dei Figli dell’Uomo.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Delphi strillò.
La sua voce vibrò a lungo tra le pareti del luogo sacro. Quando l’eco si spense, il custode più vicino sollevò la lancia e si avventò contro Sargon. L’accadico non aspettava altro: si scansò di lato e fece scivolare l’arma sotto l’incavo della spalla destra, quindi serrò la mano sinistra sull’asta. La strappò. Il suo avversario lo fissò con occhi sbarrati.
In quello stesso istante, gli altri tre armati lo attaccarono. Le loro voci ruggirono dietro di lui. Sargon non perse tempo a impugnare la lancia, ma ruotò su se stesso con l’arma stretta sotto il braccio. I custodi balzarono all’indietro per schivare il raggio descritto dalla punta di bronzo.
L’accadico memorizzò le loro posizioni. Colpì con un calcio l’uomo che trovò di fronte, scaraventandolo a terra. Sfilò l’asta da sotto il braccio, e senza voltarsi, l’affondò con un movimento secco nel ventre del custode che si trovava alle spalle. Tirò indietro la lancia appena in tempo per parare l’assalto del quarto custode, deviandone di lato il colpo. Non si fermò.
Disegnò un arco scintillante nel buio, facendo roteare l’asta con un movimento del polso, afferrò la lancia con entrambe le mani e colpì il nemico sotto il mento, squarciandogli la gola.
Il soldato che aveva gettato a terra si rialzò e si lanciò contro di lui. Sargon respirò con affanno, il cuore sembrava pompare sangue direttamente nelle tempie, sentì il braccio pesante e intorpidito. Aveva solo un istante.
Bloccò a un soffio dal ventre la lancia dell’avversario, le due aste si incrociarono. Sargon abbassò il mento e si scagliò contro il custode, colpendolo con la testa in pieno volto. L’uomo barcollò all’indietro, Sargon ne approfittò per disimpegnare la lancia e sprofondargliela nel petto.
Non poteva fermarsi. Ritirò di scatto l’arma ancora grondante di sangue. Annaspò in cerca d’aria e intravide il primo custode cui aveva sottratto la lancia. Era l’unico rimasto in vita e stava indietreggiando verso le scale.
Il soldato lo fissò come se avesse di fronte un jinn, uno spirito di un altro mondo. Sargon scorse l’orrore del massacro appena compiuto in quegli occhi folli di paura. Il custode urlò qualcosa e fuggì verso le scale, ma incespicò sul cadavere di un compagno e rovinò a terra.
L’accadico lo raggiunse con un balzo e lo bloccò a terra con un piede. Dentro di sé percepiva sofferenza, tristezza, ma non pietà. Il soldato lo supplicò di risparmiargli la vita, poi le sue grida cessarono di colpo e le mura del luogo sacro furono di nuovo immerse nel silenzio.
Aveva ucciso ancora, aveva dovuto farlo – si disse – per difendere Delphi, e ancora una volta era sopravvissuto. Sargon gettò a terra la lancia insanguinata e cercò Delphi con lo sguardo. La donna non si era mossa dal tripode.
«Perché l’hai ucciso?» domandò lei in un sussurro.
«Presto ci daranno la caccia e la misericordia non ci aiuterà a disperdere le nostre tracce.»
«Non hai avuto pietà.»
Il volto dell’accadico si adombrò. «Forse non mi conosci del tutto. Forse… ora esiterai ad accettarmi per quello che sono.» Una parte di lui desiderava che la donna lo respingesse, che lo odiasse almeno quanto lui odiava se stesso, per questa ragione le sue parole furono così dure.
Delphi scrollò la cascata di riccioli, senza tradire alcuna incertezza nella voce. «Tu sei il mio uomo, Sargon. L’ho visto nella visione.»
«Per l’immondo Marduk!» scattò lui. «Cosa importa di ciò che hai visto con gli occhi degli dèi? Cosa vedi tu?»
«Io so che tu mi salverai.»
«Io non ti salverò Delphi. Io ti ho condannata a una vita da reietta! Per causa mia hai profanato la purezza del tuo corpo, hai tradito le leggi del tempio! Come posso salvarti io se sono colpevole di tutto questo?»
«Non capisci!» gridò lei, disperata. «Questa grotta è stata la mia prigione per sedici anni! Tu sei il mio uomo, Sargon, perché tu mi porterai via da qui.»
L’accadico la scrutò per qualche istante, poi s’inchinò sul cadavere del custode, gli strappò il pugnale dalla cintura e si avvicinò alla donna. «Se verrai con me, dovrai imparare a usarlo.»
Sargon le offrì la mano e lei lasciò che le dita si intrecciassero alle sue. Mentre s’incamminavano verso le scale, Delphi esitò un istante, afferrò la clessidra d’oro che brillava sopra una nicchia dell’altare e la strinse al petto. Il sacro omphalos era tutto ciò che le aveva lasciato l’Elohim.
 
***
 
All’uscita, Sargon e Delphi trovarono le cavalcature abbandonate dai custodi, ancora impastoiate alle colonne che circondavano la peristasi del tempio.
Scelsero due cavalli e imboccarono a folle velocità la Via Sacra, attraversando il sentiero limitato dai cipressi e dagli ulivi. Il paesaggio intorno sfumò rapidamente in una macchia che si dissolveva al loro passaggio. I cavalli lanciati al galoppo sollevavano a ogni falcata nubi di polvere e zolle di terra, mentre le gocce di sudore ne imperlavano i manti scuri.
Solo quando si fermarono Delphi ebbe il coraggio di guardarsi intorno. Davanti ai suoi occhi, le scintille di luce tremolavano senza soluzione di continuità sulle lievi increspature del mare nel Golfo di Corinto. Quando si voltò, vide l’enorme stadio dei Giochi Pitici e il Gymnasium che si stagliavano contro le pareti quasi verticali del monte Parnaso.
Sargon indicò una feluca ormeggiata a riva che ciondolava mollemente sulla risacca. Non appena smontarono dalle cavalcature, l’accadico sferzò entrambi i cavalli, incitandoli a gran voce a tornare verso il tempio. «In questo modo sarà meno facile trovare le nostre tracce» le spiegò.
Trovarono le armi che Sargon aveva nascosto prima di entrare nel tempio sotto una coltre di stracci a poppa della feluca. L’accadico estrasse la corda e il telaio di un arco, poi le dita si strinsero sull’elsa di uno spadone ancora infoderato nella custodia a tracolla.
Delphi fissò la clessidra d’oro che stringeva tra le dita e pensò alla visione che aveva avuto nell’adyton. Lance insanguinate, una barca che prendeva il largo, il sacro omphalos. Si sentì torcere le viscere dall’ansia. Mai una premonizione era stata tanto chiara e ravvicinata, cosa stava accadendo? E che cos’era quella desolazione infinita, quell’abisso gelido che infine avvolgeva il mondo, divorando ogni forma di vita?
Sargon si erse in equilibrio sul fasciame della barca. Il vento gli gonfiò il mantello che dalla spalla sinistra scendeva in diagonale sul petto, lasciando il braccio destro completamente nudo. Un ciuffo ribelle, sfuggito dalla crocchia intrecciata sulla nuca, gli oscillò davanti agli occhi. L’accadico estrasse lentamente la spada. La lama fuoriuscì con un suono metallico e si specchiò alla luce come se fosse stata appena forgiata.
Era l’arma più straordinaria che Delphi avesse mai visto. La guardia era scolpita in modo da riprodurre due ali stilizzate che si aprivano in volo. Gli intarsi sull’elsa descrivevano il piumaggio di un’aquila i cui artigli si aggrappavano in rilievo alla base della lama, mentre la testa e il grosso becco ricurvo davano forma al pomolo.
Con un solo fendente, Sargon liberò la barca dagli ormeggi.
Delphi si chiese ancora una volta chi fosse realmente quell’uomo.
Sapeva che entrambi erano molto più di quello che volevano far credere.
 
  
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