Capitolo 24
RIA
Dopo che ebbi lanciato la dracma nell’arcobaleno, il viso di
Rosalie comparve nell’iPhone.
«Rosalie!» la chiamò Teri, sorridente. Aveva ancora la treccia che la vampira
le aveva fatto.
Rosalie si guardò intorno, poi finalmente ci vide.
«Hey, ma che cos’è?» chiese.
«È un messaggio Iride» spiegò Mel.
«Wow. Fingerò di aver sapere esattamente ciò di cui state parlando. Ad ogni
modo, come state, ragazze? Siete praticamente sparite dopo la battaglia».
«Chi è?» chiese una voce accanto a Rosalie.
«Sono le semidee»
«Oh, ciao!» Esme comparve nell’iPhone.
«Ciao Esme!» rispondemmo all’unisono. Era praticamente una videochiamata e la
ritenevo una grandissima figata.
«Qui stiamo tutti bene, a parte qualche licantropo che è stato ferito. Carlisle
lo sta curando, ma sono certa che vi porti i suoi saluti. E voi?»
«Salutacelo anche tu» disse Eles. «Noi stiamo abbastanza bene. Finnick, Johanna
e Katniss sono tornati nel futuro e Niall è fuori pericolo».
Esme e Rosalie sorrisero.
«E i ragazzi che vi aspettavano sono stati felici di vedervi?» chiese Rosalie.
Le mie compagne arrossirono, e anch’io mi sorpresi a pensare ad un ragazzo del
Campo in particolare, ma scacciai immediatamente quel pensiero. Non potevo
seriamente pensare ai ragazzi, non a tredici anni. E poi era più facile fare
scherzi che provare a conquistare un ragazzo.
«Sì, è stato molto felice di riabbracciarmi» rispose Teri.
«Solo riabbracciarti?» domandò ancora Esme, facendo un sorrisetto. Teri rise,
ma non arrossì. Forse ci stava facendo la pelle a quelle allusioni.
«Esme, saranno fatti loro!» replicò Rosalie, ridendo.
«Volevamo ringraziarvi per averci accolte» dissi, prima che la connessione
decidesse di andare a farsi un giro. «E dite ad Edward che mi sbagliavo su
Victoria. Una donna capace di fare ciò che ha fatto a quei neonati, togliendo
loro la possibilità di vivere una vita felice, è davvero crudele e merita ciò
che le è successo».
«Come fate a sapere che è morta?» chiese Esme.
«Oh, io certe cose le sento» spiegò Teri. Infatti era stata proprio lei a dirci
che la sua morte si era completata. Nonostante fosse figlia di Persefone aveva
tutti i poteri di un figlio di Ade, mentre i poteri di sua madre erano limitati
a far sbocciare dei fiori. Mel aveva detto che non ci sarebbe mai arrivata
attraverso i libri.
«Bella come sta?» domandò la figlia di Persefone.
«Un po’ preoccupata per il licantropo, ma sta bene. Supererà anche questo»
rispose Esme.
Alzai lo sguardo verso il cielo e vidi che il sole era arrivato all’orizzonte.
«Dobbiamo andare» intervenni, sentendo un nodo serrarmi la gola. Il
braccialetto rosso vino che Rose mi aveva regalato quella sera di una settimana
fa o poco più sembrava essersi fatto più pesante. Adesso era un po’ scolorito
per via dell’acqua e del sudore, ma non l’avrei mai buttato.
Esme e Rosalie sembrarono capire all’istante.
«Ci dispiace» dissero. «Avremmo dovuto essere più veloci.»
«Non è dipeso da voi» replicai. «Ma da quei bastardi spuntati all’ultimo
minuto»
Esme sorrise. «Hanno avuto ciò che si meritano, Ria.»
«Lo so» borbottai. Ma non mi avevano restituito Rose.
«Buona fortuna per la vostra vita, ragazze, Alice ci ha detto che ne avrete
bisogno».
Mel fece per chiedere che cosa intendesse ma il messaggio Iride si chiuse.
Ci scambiammo degli sguardi interrogativi.
«Bé, la vita di noi semidee è fatta così» dissi. «Prima ci rassegniamo e meglio
è». Era probabile che non sarei arrivata nemmeno ai diciott’anni. Morire, però,
non mi sarebbe dispiaciuto perché, in fin dei conti, avevo portato già a
termine un’impresa. Ma veder morire le mie amiche...quello sarebbe stato
difficile da sopportare e non mi ero ancora rassegnata all’idea. Mi impedii di
pensare ad altro.
«Sarà meglio andare» disse Eles, dando un’occhiata al sole.
Ci avviammo, così, per l’anfiteatro.
Sentivo il cuore farsi sempre più pesante a ogni passo. Mi sembrava di
respirare acido e non ossigeno. Avevo affrontato neonati, minacciato una
vampira di ficcarle il coltello in un occhio, infilzato basilischi e combattuto
una scrofa piuttosto arrabbiata. Ma quello sembrava impossibile da affrontare.
«Hey, ragazze! Aspettate!»
Mi voltai e vidi Arika che correva verso di noi. Vederla fu un sollievo.
Aspettai che ci raggiungesse e facemmo la strada con lei.
I suoi occhi blu mi rassicurarono con una sola occhiata.
Strinsi le mani in pugni e cercai di non tremare. Arika se ne accorse perché mi
prese per mano e mi sorrise, cercando di infondermi coraggio.
Entrammo nell’anfiteatro quasi vuoto. Due stendardi, uno rosa con il simbolo
della colomba e uno viola, con il simbolo di un calice di vino erano appoggiati
alla parete. Ricacciai le lacrime e seguii Arika tra i posti. Ci sedemmo.
«Dì un po’» iniziò la figlia di Zeus. «Quanti mostri hai ucciso?». L’avrei
quasi abbracciata. Arika mi capiva così bene che avrebbe potuto essere mia sorella.
«Bè, non quanti avrei voluto» risposi, accennando un sorriso.
«Ma è vero che i vampiri ti leggono nella mente? L’ho sentito dire da qualche
figlio di Demetra mentre mi allenavo nell’arena».
«No» risposi aggrottando la fronte. «Ma
tutti possono brillare alla luce del sole».
«Forse sono discendenti di Trilli» disse Arika. Ridere mi fece bene, ma il peso
che mi sentivo addosso e che mi impediva di respirare non si alleggerì.
«Abbiamo anche incontrato degli ibridi che si erano nutriti sia di sangue umano
che di sangue divino. Erano qualcosa di disgustoso. ».
«Oh miei dei, e come li avete uccisi?»
«Non erano diversi dai soliti mostri, però uno stava per uccidere me. Il
loro...come lo posso definire? Padrino, ecco, era riuscito ad evocarle dal
futuro ma aveva fatto un mezzo disastro e le aveva nutrite con sangue umano e
sangue divino per rinvigorirle. Erano davvero qualcosa di orrendo. Ho ucciso il
tizio. Era un mostro crudele che si era nutrito anche lui di sangue umano e
divino e quando l’ho ucciso sembrava essere morto da umano. Mi sono sentita in
colpa, ma quando mi sono girata era sparito in una nuvola gialla».
Continuai a parlare con Arika delle tecniche che avevo usato per uccidere i
basilischi e gli ibridi. Avevo capito che lei stava cercando di distrarmi in
tutti i modi e lo apprezzavo. Mi accorsi che l’anfiteatro si stava riempiendo
intorno a noi. Quando tutti i posti furono occupati, smisi di parlare e guardai
verso lo stendardo viola. Mai la morte mi era sembrata reale come in quel
momento, nemmeno quando avevo visto i corpi avevo capito l’effetto come la
morte ha. Ora, ritratta nei volti dei mezzosangue, si riusciva facilmente a
cogliere. In prima fila erano seduti i figli di Afrodite e i figli di Dioniso.
Piper e Lucy, un’altra figlia di Dioniso, si alzarono e si avvicinarono agli
stendardi per poi appiccare il fuoco.
Tornarono al loro posto, senza versare una sola lacrima ma con lo sguardo
distrutto.
I miei buoni propositi di apparire fredda e arrabbiata andarono a farsi
benedire. Le lacrime scorrevano lungo le mie guance e un secondo dopo
abbracciai Arika e singhiozzai sulla sua spalla. La figlia di Zeus mi abbracciò
e mi accarezzò la schiena. Mi sentivo piccola e lagnona, ma mi beavo di quella
sensazione. Avevo avuto sin troppe responsabilità in quella settimana.
«Vuoi andar via?» chiese Arika, sottovoce.
Scossi la testa e mi asciugai le lacrime con le mani.
In lontananza scorsi Teri e Leo seduti vicini, con le mani intrecciate. Lei
aveva il volto rigato di lacrime, ma non singhiozzava.
Gli stendardi bruciavano lentamente, ma nessuno diceva una parola e io sapevo
perché. Non c’erano parole sufficienti a descrivere la crudeltà di ciò che era
successo. Erano giovani e buone, ma per le Parche non era abbastanza. Tutto
questo era scontato, ma non per questo riuscii a farmene una ragione.
Quando il fuoco fu spento, Eles si alzò in piedi.
«Non è una tradizione greca» disse. «Ma ce l’hanno insegnato i guerrieri dal
futuro. Significa grazie, significa ammirazione, significa addio a qualcuno che
ami» ripeté le stesse parole di Katniss.
Si portò le dita centrali della mano sinistra alle labbra e poi lanciò il
braccio in aria, indirizzandolo agli stendardi.
I Mezzosangue sembrarono un po’ sbigottiti, ma poi imitarono Eles.
Quel gesto riassumeva tutte le parole.
Uscire dall’anfiteatro fu un sollievo. Il sole era ormai tramontato e i semidei
si affrettavano a raggiungere i tavoli per la cena. Anche i gemelli Ripton
sembravano un po’ giù di corda. Meglio così. Non avevo voglia di pensare a come
vendicarmi. Mi sorpresi a guardare Daniel un po’ troppo a lungo.
«Sai, Ria» disse Arika, facendomi distogliere lo sguardo dal figlio di Ares.
«Credo che tu gli piaccia».
«Di cosa stai parlando?» risposi troppo in fretta per apparire sincera.
Ringraziai l’oscurità del crepuscolo che nascondeva le mie guance che si
tingevano di rosso. Come faceva Teri a controllare il rossore? Ah no, giusto.
Nemmeno lei ci riusciva così bene.
«Figlia di Nemesi, non stai parlando con un’idiota!» esclamò Arika, ridendo e
scompigliandomi i capelli.
«Sono piccola per pensare ai ragazzi» replicai, fingendo indifferenza.
«Tra tre mesi compirai quattordici anni»
«Non sono mica così grande»
«Sono tutte scuse, le tue! Vieni qui!»
Mi spinse a terra e cominciò a farmi il solletico sulla pancia.
Cominciai a ridere a crepapelle.
«Ba-ba-sta!» riuscii a dire, tra le risate. Dimenarmi era inutile, Arika era
troppo alta e troppo forte per me.
Quando si interruppe mi facevano male le guance per le risate.
«Hai scoperto il mio punto debole» dissi, alzandomi in piedi.
«Non è mica il solletico il tuo punto debole» replicò, guardandomi con i suoi
enormi occhi blu.
«E quale sarebbe?»
«Daniel» rispose, imitando una vocina stridula che non assomigliava affatto
alla mia.
«Oh, andiamo!»
«Ragazze, scusate il disturbo, avete per caso visto Teri?» chiese Leo,
interrompendoci.
«Era con te» replicai.
«Lo so, ma all’uscita dall’anfiteatro l’ho persa di vista e non la vedo»
«Starà con Nico e Gregor» ipotizzò Arika. Leo sembrò essersi convinto e andò a
cercare i fratelli della sua ragazza.
Raggiungemmo i tavoli per la cena. Feci per sedermi, ma la Crepuscolare di cui
non ricordavo il nome, si avvicinò al mio tavolo.
«Scusami, Ria, immagino tu preferisca stare da sola, ma vorrei farti una
domanda».
«Dimmi pure». Mi sentii in imbarazzo visto che lei sapeva il mio nome e io non
ricordavo nemmeno la lettera iniziale del suo.
«Hai visto Ludkar e Kolor? Non li vedo da un po’ in giro».
«No, mi dispiace Thara» risposi. Una lampadina si era accesa mentre parlavo e
mi ricordai il suo nome.
«Oh, d’accordo. Grazie lo stesso». Thara si allontanò delusa dal mio tavolo e
passò al successivo, chiedendo dei due Nocturni. Teri e i Nocturni. C’era
qualcosa che non quadrava.
Mi ero appena seduta quando un uccellaccio volò sul falò. Stringeva qualcosa
negli artigli, ma non riuscii a capire cosa fosse. Forse un topo morto. Stavo
per alzarmi per bruciare una parte del cibo nel falò in onore di mia madre,
quando la cornacchia lasciò ciò che teneva stretto proprio ai miei piedi. Poi
volò via.
Lasciai la presa sul piatto che si ruppe in mille pezzi nell’erba.
Tutti smisero di mangiare e calò un silenzio tombale.
L’uccellaccio aveva lasciato una treccia nera tagliata e bagnata.
«Ma quella è...» disse Mel, alzandosi in piedi e raggiungendomi.
Riuscii solo ad annuire. Mi inginocchiai e allungai una mano tremante verso i
capelli tagliati. Strinsi le dita intorno alla treccia e poi ritrassi la mano.
La treccia era impregnata di sangue.
Mi sembrò di essere ancora in quella radura, a Forks, quando avevo accarezzato
i capelli di Rose per l’ultima volta e mi ero ritrovata le dita insanguinate.
Non riuscii nemmeno a piangere. Urlai, inorridita. Eles mi prese per mano e mi
fece rialzare. Se non ci fosse stata lei sarei caduta.
«Maledetti! Maledetti! Questo è il ringraziamento dopo ciò che Ade ha fatto per
loro!» sbraitò Nico, prendendo la spada nera dalla cintura e puntandola verso
Nate.
Il povero umano indietreggiò, alzando le mani.
«Io non ne so...»
Ma Percy e Annabeth afferrarono Nico per le braccia e lo allontanarono dal
mortale, cercando di farlo ragionare.
Nico per tutta risposta conficcò la spada nel terreno e si buttò per terra,
coprendosi il viso con le mani.
Gregor era rimasto fermo al suo tavolo e fissava un punto nel vuoto.
Alcuni figli di Apollo si avvicinarono a lui e lo portarono via.
«Oh miei dei» disse Eles. «È sotto shock».
La cornacchia tornò sul falò e lasciò cadere un altro oggetto ai piedi di Leo.
Una collana nera con quattro perle dorate.
Il figlio di Efesto cadde sulle ginocchia davanti a quel laccetto. Lo prese con
le mani tremanti, sporcandosele di sangue. Si portò al cuore il laccetto,
mentre lacrime salate gli rigavano il volto e urlò il nome di lei, squarciando
la notte.
Spazio autrice
Okaaay! Questo è il finale, e, ovviamente,
scriverò il continuo (che è già mezzo pronto). Credo che lo pubblicherò verso
Ottobre/Novembre.
Spero vi sia piaciuta, e delle recensioni non sarebbero assolutamente schifate,
anzi.
Un bacio e ci sentiamo presto!