And
right now there's a war between the vanities
But all I see it's
you and me
The fight for you is all I've ever known
(Come
Home - One
Republic)
«...Così
gli avevo detto che se un giorno avesse sperato in un mio
sì,
avrebbe dovuto fare di meglio di un elastico per capelli. È
romantico certo, ma queste cose vanno bene per le protagoniste dei
film, non certo per me..., voglio il pacchetto completo io! Beh,
comunque stavo scherzando allora -più o meno-, non credevo
mi stesse
davvero ascoltando. Ma devo dire che alla fine ha fatto davvero un
gran bel lavoro...»
«È meraviglioso Lanie, davvero»
Comodamente
acciambellata sul divano, Kate rigirò ancora una volta la
mano
dell'amica tra le proprie, delicatamente, come se temesse che a un
tocco più deciso la pietra sul suo indice potesse
sgretolarsi.
Non
era mai stata un'amante dei gioielli: nelle occasioni speciali le
piaceva stupirsi ad ammirare il proprio riflesso impreziosito da
qualche ricercatezza, ma nella vita di tutti i giorni l'anello di sua
madre, l'orologio di suo padre e la pistola erano tutto il metallo di
cui necessitava per sentirsi completa.
Tuttavia dovette ammettere
che quel diamante meraviglioso lo era davvero -e grosso anche-, e per
qualche istante le venature argentee, e il contrasto che queste
creavano contro la bronzea carnagione della sua amica, la lasciarono
sopraffatta.
Non poté fare a meno di chiedersi da quanto Esposito
meditasse quella proposta: doveva essere parecchio tempo se era
riuscito a risparmiare tanto da comprarle quell'anello -si disse,
mentre lo osservava incantata.
«Sai, ero piuttosto indecisa se
venire qui o meno. Non ero certa se fosse il caso, vista la tua
ultima esperienza con anelli del genere...»
Lo sguardo di Lanie
si velò di un cupo rammarico, attraverso cui la pietra
appariva ora
meno luminosa -appannata da un senso di colpa che aveva segretamente
premuto per uscire sin da quando lei aveva messo piede in quella
casa.
Il vino ondeggiò mesto nel bicchiere sotto la pressione
delle dita che, a disagio, cercavano un controllo su qualcosa
-qualsiasi cosa- che potesse distrarla da quel pensiero.
«Non
dire sciocchezze Lanie, è ovvio che dovessi dirmelo! E
vantarsi
dell'anello rientra nei compiti di una futura sposa, perciò
stai
tranquilla. Oltretutto è passato tanto tempo...»
Non c'era
ipocrisia in quelle parole, o dolore. Avrebbe facilmente potuto dare
l'impressione di riferirsi a una vita non sua, se non fosse stato per
quella punta di malinconia nello sguardo, tipica di chi sta
ripercorrendo con la mente la scia antica di un ricordo.
Avrebbe
voluto risponderle che ormai quella storia faceva parte del suo
passato -che non provava più nulla per quell'uomo il cui
nome
aleggiava ora, pesante e impronunciato, nella stanza- e che la vista
di quell'anello, così simile ma così diverso da
quello che avrebbe
potuto incorniciare il proprio di anulare, non l'aveva portata a
domandarsi "e se...".
Ma la donna seduta di
fronte a lei era la sua migliore amica, e le doveva
sincerità, più
di quanta ne riservasse a se stessa. Così, tacque.
Perché la verità
era che, nonostante fosse felice della propria vita attuale e delle
proprie scelte, quando si chiedeva se avesse potuto o voluto fare
diversamente, l'unica risposta che riusciva a darsi era che non lo
sapeva.
E probabilmente non voleva neanche saperlo.
Erano
già passati due anni.
Due anni dal suo nuovo inizio.
Due anni
dalla loro fine.
Lo aveva detto lui, entrambi meritavano di più:
più della paura di rivelarsi cosa fossero, e più
di un forse.
E
un forse era proprio ciò che gli aveva dato lei. Non a
parole, non
ce n'era stato bisogno, lui lo aveva letto nei suoi occhi: tutta
l'esitazione concentrata nel rapido scatto delle sue iridi verdi.
Avevano ceduto un solo istante all'attrazione dei loro sguardi, per
posarsi su un punto troppo distante da loro due, tradendo il proprio
desiderio di fuga.
Si era rialzato così come si era
inginocchiato: rapido e deciso -un sussulto di lei coperto dal secco
richiudersi della scatoletta.
E poi aveva sorriso.
Un sorriso
mesto ma sincero, di chi sembrava aver scoperto la più
grande delle
verità del mondo.
Quel sorriso non era più riuscita a
dimenticarlo: veniva a trovarla nella solitudine della notte, quando
poteva permettersi di essere debole, e lei vi si nascondeva dentro,
rannicchiata al sicuro tra le piccole rughe -affascinanti tracce del
tempo sulla sua pelle- che avevano incorniciato anni prima il viso di
lui, e che le si erano appiccicate addosso, ciascuna custode di un
ricordo di quei cinque anni passati insieme.
In quel momento aveva
sentito una parte della sua vita scivolarle via dalle mani e lei non
aveva potuto far altro che stare a guardare, inerme: impedirlo
sarebbe stato impossibile, come cercare di acchiappare l'acqua.
E
di acqua ce n'era troppa: tra le sue dita, nelle sue lacrime...
E
ogni goccia le strappava via un nuovo pezzetto di sé, di
lui, di
loro.
Troppo rapide per darle il tempo di capire se stesse
piangendo per il sollievo di una spiegazione che le era stata
risparmiata o per la disperazione dovuta alla consapevolezza di
averlo perso per sempre, maturata troppo tardi per tornare sui propri
passi.
Ricordava ancora come si era sentita allora: quella
sgradevole impressione di non essere più in grado di provare
nulla
-perché non aveva più nulla- finché,
da molto lontano, non le era
arrivato il tocco leggero della fronte di lui contro la propria, e in
quel vuoto una nuova consapevolezza aveva preso piede. Era finita.
Si
amavano ancora? Forse. Sicuramente.
Ma quell'ultimo ti amo
che lui le stava regalando non era stato che la parola conclusiva a
un sentimento cui avevano appena messo fine, prima che fosse lui a
finirli.
Ne aveva riconosciuto ogni lettera nel lento sillabare
delle sue labbra sulla propria pelle, ardente, come se quelle due
parole non fossero state semplicemente sussurrate, ma marchiatele a
fuoco sulla fronte.
Ma non era più abbastanza: in quell'universo,
in quella vita, o forse semplicemente in quel momento, loro non erano
abbastanza.
Dovevano andare avanti.
E così, lo aveva guardato
allontanarsi a passi lenti e stanchi -quasi che sulle sue spalle
fosse improvvisamente piombato il peso di un migliaio di anni-, ma
l'ombra del sorriso era ancora sul suo volto, e Kate era riuscita a
vederla anche quando lui aveva voltato l'angolo, sparendo per sempre
dalla sua vista e dalla sua vita.
Da quel giorno non aveva mai più
visto Rick.
Castle, invece, lo aveva incontrato altre volte.
Dopo
un ragionevole silenzio di sei mesi, le loro strade si erano
nuovamente incrociate, più spesso di quanto avrebbero
voluto.
Ma
era stato inevitabile. Se anche ad accomunarli ormai era solo il 12Th
distretto, quest'ultimo era di per sé una presenza
abbastanza
ingombrante da insinuarsi prepotentemente nel loro dolore.
E in
fondo, era anche giusto così: la nascita della
figlia di Ryan,
l'anniversario della morte di Montgomery... erano tutte occasioni
più
grandi di loro e dei loro problemi.
Non erano più Rick e Kate, ma
erano ancora Beckett e Castle, e in un modo penosamente illogico
questo era in qualche maniera rassicurante.
In un modo penosamente
illogico, lui era ancora la sua casa.