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Autore: skippingstone    09/07/2014    1 recensioni
"Mi avevano detto che pensare troppo fa male, mi avevano detto che sarebbe passato tutto eppure la testa mi scoppia, gli occhi bruciano e respirare sembra la cosa più difficile da fare. Rifletto sulla mia probabile morte e sorrido, almeno potremmo stare vicino. Posso affermare di aver combattuto per tutti quelli che non sono riusciti a farlo: ho combattuto anche per te.
Se, invece, riuscirò ad uscire da questa Arena, non sarò più lo stesso: tutte le cicatrici si stanno aprendo nell'interno della mia bocca lasciando un retrogusto di sangue e troppe sono nel cuore. Anche se uscissi da questa Arena, non ne uscirei vincitore. Ho già perso tutto.
Tutto tranne una cosa: la voglia di vendetta.
Possa la luce essere, ora, a mio favore!"
Genere: Azione, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Altri tributi, Presidente Snow, Tributi edizioni passate
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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20. Siamo come petali...
 
«La sai la storia di “Amanda, qua la zampa”?» – Livius ha in mano un mazzo di rose bianche che non sono del tutto schiuse.
«Chi?»
«Dai, “Amanda, qua la zampa”. La conosco tutti nel distretto.»
«Io no.» – mi sento quasi a disagio nel non conoscere questa ragazza.
«Allora ti dico io chi è.»
Ci sediamo lungo il bordo del marciapiede e, mentre Livius si diverte ad aprire delicatamente i petali, mi racconta di questa ragazza.
«“Amanda, qua la zampa” è una ragazza del distretto. Tutti i ragazzi grandi vogliono stare con lei perché tutti dicono che lei sia molto gentile. Mio cugino ha detto che è stata molto gentile anche con lui ma, adesso, nessuno vuole stare con lei perché ha un bambino.»
«Ok… ma non capisco cosa ci sia di divertente.»
«Niente. Ho per caso detto che volevo dirti qualcosa di divertente?»
«E allora perché mi racconti questa storia?» – non capisco perché mi stia parlando di questa Amanda che io non conosco.
«Perché voglio raccontare una storia al mio migliore amico.» – Livius risponde con una spensieratezza unica: sembra che raccontarmi qualsiasi cosa (inutile e non) sia fondamentale per lui.
«E cosa vuol dire “Amanda, qua la zampa”?»
«Ah non lo so. Mio cugino ha detto che tutti le hanno dato la zampa.»
«La zampa? Noi non abbiamo le zampe. Non siamo animali.» - voglio sapere dove abbiamo questa zampa, ho 10 anni e credo che sia arrivata l'ora di sapere se ho una zampa o no, giusto?
«Lo so. Comunque la storia non è finita. Amanda, ora che ha il bambino e che nessuno vuole stare con lei, non esce più da casa. È uscita, però, l’altra sera e ha iniziato a urlare in strada. Urlava e diceva che nessuno poteva giudicarla. Dovevano giudicare l’uomo che l’aveva abbandonata.»
Io ci provo, cerco di capire cosa abbia di interessante questa storia ma proprio non lo capisco.
«Siamo come petali.» - mi dice Livius.
 
«E se lo uccidessimo entrambe?» – a proporre quest’idea è una ragazza con la voce stridula, frivola, quasi infantile. La ricordo dall’addestramento. Lei è bionda, bassina, viziata, con l’idea che tutto le sia dovuto. Azzarderei dicendo che potrebbe tranquillamente rappresentare lo stereotipo della ragazza stupida che si aspettava una grande casa, un marito perfetto, una vita facile.
«Non mi convince per niente quest’idea. Se dopo nessuna delle due riceve quello che le spetta?» – quest’altra ragazza ha una voce diversa, più decisa, forte e capisco che lei è la ragazza del distretto 8. Anche lei è bionda, ha occhi verdi e un carattere un po’ più adatto alla mentalità dei Giochi.
«Ma no, vedrai. Un patto è un patto.»
Le due iniziano a ridere, felici di aver trovato una soluzione al loro problema. Loro sono felici, lo sarei anch’io se mi alzassi da qui, trovassi Falloppio e Søren e, inoltre, capissi di quale patto stanno parlando le due.
«Pensiamo… io gli ficco la spada nel cervello e tu il pugnale nel cuore così siam sicure che muore.» - la ragazza che dice questa frase saltella e applaude sentendosi una dea scesa in terra quando, invece, non è altro che una stronza che cerca di voler rendere la mia morte più atroce.
«Aspetta ho un’idea!» – la più tosta sbotta con questa nuova cosa ed io mi preoccupo seriamente. - «Lo scorso anno un ragazzo ha ucciso uno dei tributi in modo artistico e, dopo, ha ricevuto un paracadute dagli sponsor. Se rendessimo la sua morte artistica, potremmo ricevere qualcosa di più!»
L’altra ragazza cerca di capire ciò che lei dice perché restano entrambe in silenzio per un po’ di secondi.
«Non ho capito.»
«Cosa non hai capito?»
«Tutto.»
Cavolo, lei dovrebbe essere un tributo? Intelligenza pari a quella di una bambola di pezza. Questo suo essere così “appena scesa dalla terra” conferma sempre di più la mia idea: potrebbe tranquillamente rappresentare lo stereotipo della ragazza stupida.
«Dai, te lo rispiego. Allora…»
Mentre l’altra ragazza ritorna a dire il suo “fantastico” piano con parole comprensibili anche al più imbecille degli imbecilli, io provo a strisciare nel fango. Voglio allontanarmi da quelle depravate con evidenti danni cerebrali e poi scappare, andare a cercare i miei due compagni. Mi sento come un verme che va avanti a fatica. Sono costretto a proseguire molto lentamente per non far vedere loro che mi sto spostando. Riflettendoci, se andassi più veloce, credo che non lo noterebbero. Allora cerco di rendere rapido il mio strisciare.
«…e, quindi, adesso dobbiamo pensare a un metodo migliore per ammazzarlo.»
«Che ne dici se lo tagliamo a fettine?» – la stupida del club inizia a proporre le sue idee per rendere la mia morta più artistica.
«Come se fosse il fegato di un animale?»
«Il fegato? Oh mamma, no.» – nella sua voce percepisco perfettamente una nota di disgusto misto al dispiacere. Inoltre pensa ad un animale morto ed è triste, pensa di uccidere me ed è felice? Ma in che mondo viviamo?
«Ma lui non è un fegato, è una persona.»
«Questo vuol dire che ha più sangue?»
«Già.» – io continuo a strisciare ma non posso fare a meno di fermarmi e restare stupefatto dalla conversazione delle due.
«Però, dopo, mi sentirei triste.» – come volevasi dimostrare, la mia teoria sulla stupida del club si dimostra vera.
«Non puoi permetterti di essere triste qua dentro, lo sai? Potremmo morire.»
«Lo so, non sono stupida.» – sto quasi per ridere quando sento quest’affermazione, ma mi concentro per non farlo.
«Avrei qualche dubbio a riguardo.»
«Come, scusa?»
«No, niente.»
«Guarda che ti ho capito. Mi hai detto che sono stupida, mi hai dato della stupida.»
«Ho detto: “ehi, sei una stupida?” No, non mi sembra.»
«Lo hai alluso.»
«Sai davvero cosa voglia dire alludere? Wow, mi stai impressionando.»
«Vedi? Lo hai fatto di nuovo. Io non ti permetto di farlo.»
«Cosa? Chiamarti stupida? Io non ho bisogno del permesso di nessuno, tantomeno del tuo e, poi, non ho detto che sei stupida.»
«Ma non hai il permesso di chiamarmi stupida!»
«E tu non hai il permesso di vietarmi di chiamarti stupida. L’avessi fatto, poi…»
«Lo hai alluso.»
«Ancora? Adesso vorrai dire questo fino alla fine dei tuoi giorni?»
«No, non sono stupida che dico sempre la stessa cosa.»
«Beh, non sembra.»
«Ancora che alludi al fatto che io fossi stupida?»
«Sia, che io sia stupida… non fossi. Guarda, me le tiri da bocca le cose. Io non voglio dirti che sei stupida ma il problema è questo.»
«Quale?»
«Che tu lo sei! Sei stupida!»
«Smettila di dirmi che sono stupida.»
«Guarda, smettila tu! Già ho accettato la tua stupida idea di ucciderlo insieme il ragazzo.»
«A cosa alludi dicendo questo?»
«Intendo, sinonimo di alludere, che la tua idea è stupida. Come te!»
«Smettila di dirmi che sono stupida.»
«Altrimenti?»
Una delle due urla. Sento un tonfo, un rumore pesante. Poi il rumore di foglie che si spostano, pietre che vengono colpite.
Mi volto e scopro che c’è, a terra, il corpo di una delle ragazze. Non capisco bene chi delle due sia perché riesco a vedere solo la chioma bionda.
«Io non sono stupida!» – dopo quest’affermazione capisco chi è la ragazza che giace a terra. 
Guardo inorridito la scena. La ragazza del distretto 6 è ferma, guarda morire l'altra. 
Ecco il colpo di cannone.
«Tu credi che io fossi stupida?» 
La domanda, obbligatoriamente, deve essere rivolta a me: sono l’unico qua, insieme a lei.
«Lei non si è nemmeno accorta del fatto che ti stai muovendo da un bel po’. Io me ne sono accorta, invece.»
La ragazza mi afferra per i piedi e mi tira come si fa con i sacchi di patate. Mi trascina. Cerco di aggrapparmi a qualcosa, di far forza a quel tirarmi in modo famelico ma ottengo solo della terra che si incastra tra le unghia.
«Sai,» - ci fermiamo - «a me non va nemmeno di ucciderti.»
 
  
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