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Autore: Niallsdonut    10/07/2014    11 recensioni
"Hei frocetto"
Uno scatto in avanti, un morso letale alla giugulare, il veleno acido che gli sgorgava nel cuore.
Buio.
Genere: Fantasy, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Heart of Darkness




 


Heart of Darkness


 

 

 


- Decisions

 

I canini del ragazzo si fecero facilmente strada attraverso l'epidermide e il primo strato di muscoli del collo del criminale, e trovarono subito l'arteria che dal cuore, il quale aveva accelerato esponenzialmente i suoi battiti, portava sangue al cervello, che ormai era incapace di formulare qualsiasi pensiero che non fosse "sto per morire", paralizzato per la paura.
Non appena i denti affilati dilaniarono abbastanza l'arteria, il sangue iniziò a fluire verso l'esterno, cosicché Cameron potè nutrirsene.
Era un tripudio di sapori, un trionfo di emozioni, un'orgia del piacere. Cameron non aveva mai assagiato un qualcosa di tanto buono, era paragonabile al nettare degli dei.
Il sapore dolciastro del sangue andava a contrastarsi con il sapore quasi salato della pelle dell'uomo, per via della sudorazione improvvisamente divenuta più abbondante a causa dell'adrenalina ma anche per le lacrime che colavano lungo tutto il viso e che gocciolavano sul collo per via del dolore eccessivo.
Cameron non riusciva più a smettere di succhiare. Era come quando, in un'estate calda, hai fatto una corsa molto dura, e appena hai tempo di bere bevi anche se non hai più sete, solo per il piacere di sentire l'acqua fresca che scende per l'esofago e che ti riempie la pancia.
Gli occhi di Cameron erano quasi completamente girati all'indietro, tanto era il piacere che provava. Si era addirittura eccitato sessualmente. Aveva la pella d'oca e tremava dalla testa ai piedi. Prima di affondare i suoi denti nella carne del delinquente, aveva tentato di fermarsi, ma il gesto era stato quasi istintivo, quasi come se l'avesse fatto centinaia se non migliaia di volte, e quello era solo l'ennesimo gesto meccanico.
Dopo qualche minuto, tutti i litri di sangue all'interno dell'uomo vennero prosciugati. L'uomo aveva perso tutti i colori che si associano alla vita. Era ormai solamente un guscio vuoto che una volta conteneva qualcosa, seppur qualcosa di malvagio.
Cameron estrasse i suoi canini dal collo dell'uomo, facendo fatica poiché i muscoli erano contratti a livelli disumani e avevano incastrato i suoi denti al loro interno.
Spinse la testa all'indietro e prese un enorme respiro, guardando la luce appesa al soffito del capannone che si accendeva e si spegneva ad intermittenza, lanciando sinistri sfolgorii. Alla fine, si lasciò cadere, sfinito, e si mise a sedere. Si ripulì il sangue dalla faccia con il dorso della mano, e lo leccò per non sprecare nemmeno una goccia di quell'ambrosia divina.
Stava ancora tremando, ed era preso da piccoli raptus muscolari incontrollabili, tipici di una forte emozione e di una forte fonte di piacere. Provava un estenuante caldo interno, seppur tremasse. Non si sarebbe più rialzato. Non ne aveva le forze.
Nash finì poco dopo di lui il lavoro. La testa dell'uomo che assomigliava a Babbo Natale si accasciò sul suo petto, priva di vita.

"Hai fatto in fretta. D'altronde, era la tua prima volta"

"Portami via, Nash", disse Cameron in un solo respiro.

Nash si affrettò ad aiutarlo ad alzarsi e, mettendo un suo braccio attorno alla spalla e sostenendolo per la vita con il braccio destro, lo portò fuori dal capannone.

"Alla prossima Joshua", disse rivolto allo scaricatore di porto, che ricambiò con un gesto secco del capo.

I due ragazzi uscirono fuori dal capannone e si avviarono verso la macchina, gli occhi marroni sostenuti dagli occhi azzurri.
Cameron iniziava a sentirsi meglio, tanto che negli ultimi venti metri per arrivare fino all'auto riuscì a camminare da solo.
Arrivati alla vettura, salirono entrambi, e, dopo che Nash ebbe acceso il motore, partirono per fuggire, come pensò Cameron, da quell'inferno divino.
Mentre Nash si destreggiava con le marce e nelle svolte, Cameron iniziò a pensare. Non poteva ancora crederci di essere un vampiro, ancora gli smbrava così surreale che, dopo una bella dormita, l'indomani era sicuro che si sarebbe svegliato in un mondo del tutto normale privo di creature terrificanti, pensando che fosse stato solamente un brutto sogno molto realistico prvocato dal sugo andato a male mangiato la sera prima. Eppure, sembrava tutto vero. Non c'erano tracce delle principali caratteristiche del sogno. Lui era lì, terribilmente lì, seduto su una decappottabile nera come la notte che sfrecciava a centocinquanta kilometri orari sulle strade cittadine, con al volante un ragazzo dagli occhi color cielo che aveva conosciuto la mattina di qullo stesso giorno. Si stupiva anche del fatto di aver preso tutto troppo alla leggera, senza rendersi conto di quello che stava succedendo. Ma, d'altronde, lui era fatto così. Lo avevano detto anche tutti gli strizza cervelli da cui era andato. Era quel tipo di persona che tendeva ad immagazzinare tutto dentro di sé, senza esprimere eventuali disagi. Ma purtroppo, essendo umano (ora solo a livello mentale e per quanto riguarda l'aspetto esteriore), non poteva sopportare una mole troppo grande di emozioni, e perciò, alla minima cosa detta in più, ad un singola goccia che avrebbe fatto traboccare il vaso, sarebbe scoppiato come una bomba, vomitando fiumi di parole. Purtroppo, un kamikaze non fa del male solo a se stesso.

"Non ce la faccio", disse Cameron, d'un tratto.

Nash sobbalzò, e a quella velocità anche un minimo spostamento del volante comportava una bella sbandata.

"Che intendi?"

"Tutto questo. Io non sono fatto per portare questo peso addosso. Non sono pronto, e non lo sarò mai"

Nash prese qualche respiro profondo.

"Cam" (era la prima volta che usava un diminutivo con lui) "nessuna persona al mondo ti capisce più di me. So, purtroppo, cosa vuol dire vivere ogni giorno nell'ombra, con un peso sulle spalle che non puoi rivelare, almeno non a tutti. Non puoi essere quello che sei per paura che gli altri ti giudichino, e quando sei un vampiro, più che giudicarti o scappano a gambe levate o ti inseguono per ucciderti"

Queste parole non confortavano Cameron. Era grato che Nash potesse capirlo, ma non toglieva il fatto che tutto ciò era successo, e che sarebbe andato avanti da lì fino alla notte dei tempi.

"Veramente un vampiro è immortale?"

"Se non viene ucciso dall'argento, sì. Ci sono vampiri che sono vissuti anche settecento anni"

"E tu quanti anni hai?"

"Un anno in più di te, Cameron"

"E come mai frequentavi il mio corso?"

"Perché c'eri tu. Nessuno sa la mia vera età. Sono ancora un vampiro alle prime armi, mi hanno trasformato solo tre anni fa"

Come faceva Nash a conoscere Cameron già prima del loro primo incontro? C'era qualcosa che non quadrava. Magari lo stava tenendo d'occhio da molto tempo? Magari tutta quella situazione era già stata programmata da tempo? Così facendo Noah sarebbe dovuto essere un complice di Nash. Non ci stava capendo nulla.

"Nash, raccontami la tua storia", esordì Cameron, forse troppo coraggiosamente.

Nash rabbrividì.

"La mia storia non è chiara nemmeno a me. So solo di essermi...o ecco, siamo arrivati a casa tua"

Nash sembrava felice di cambiare discorso. A quanto pare non aveva avuto una vita facile, o comunque non facile da spiegare.
In effetti, erano arrivati proprio davanti a casa di Cameron. Il cancelletto era aperto, e le luci della cucina erano accese.
D'un tratto, dalla porta del cucina, dietro alle tende, si intravide una sagoma alta e scura, che sembrava scrutare la macchina di Nash. Poi, com'era apparsa, sparì.

"Allora, ascoltami bene", iniziò Nash, che sembrava non aver visto nulla, "avrei dovuto dirtelo prima, ma non ho avuto tempo. Devi sparire per un po'. Noah sarà sulle tue tracce, e non voglio che ti trovi quando magari sarai indifeso senza me intorno e che concluda l'opera che io gli ho sventato. Come nuovo vampiro, è bene che soggiorni per un po' nel quartier generale principale dei White Vampires. Purtroppo, si trova a Londra"

"Londra?!"

E come faceva Cameron ad andare a Londra così, di punto in bianco, senza che i suoi sapessero ancora nulla.

"Partiamo stanotte"

"Oh, bene. Devi dirmi qualcos'altro?"

"No, per ora no"

"Non so che scusa inventarmi per andarmene di casa, Nash", disse Cameron, quasi supplicante.

"Dì che stai andando ad una festa, o che devi andare a dormire da un tuo amico, qualcosa che per almeno stasera o domani ti dia un alibi. Su, forza, ora va. Voglio prendere un aereo il più presto possibile. Ti aspetto qua"

Cameron aspettò qualche secondo. Non aveva proprio voglia di mentire a sua madre, per poi sparire per non sapeva nemmeno quanto. Ma, seppur conoscesse Nash da meno di un giorno, si fidava di lui, poiché era l'unico che poteva capirlo in quel mondo, per ora.
Tirò a sé la maniglia della macchina e aprì la portiera. Mise i piedi per terra e, dopo aver chiuso la portiera, si avviò verso casa.
Mentre chiudeva il cancelletto, sentì delle voci dentro la casa. Sembrava che qualcuno fosse felice, perché erano vocì abbastanza alte e acute.
Arrivò alla porta di casa e suonò il campanello.

Rumore di passi. "Chi è?", disse la voce della madre.

"Io mamma", rispose Cameron.

La serratura della porta scattò e si aprì. Da dietro comparve la madre, che lo accolse con gioia.

"Cam, ben'arrivato. Vieni, vieni, c'è una sorpresa!", disse entusiasta.

Gli mise una mano sulla spalla e lo guidò in cucina. Qui, seduti al tavolo, vi erano April e il padre che mangiavano delle pizze fumanti dal loro cartone.
Il padre era un uomo trai quaranta e i cinnquant'anni. Era abbastanza alto, ben piazzato e con un volto molto simile al suo. Gli occhi erano azzurri, invece, come quelli della sorella.

"Ciao, figliolo", esordì il padre con una voce profonda, che infondeva Cameron di imbarazzo e disagio.

Non capiva cosa ci facesse lì. Non sarebbe dovuto tornare prima di un mese.

"Ciao, papà", rispose Cameron.

Da dietro, la madre disse "Siediti, caro, mangia con noi"

Era ora. Doveva farlo.

"Beh, in effetti...io dovrei andare ad una festa stasera. Non penso di potermi trattenere"

"Oh...capisco. Ma tuo padre è tornato prima a casa per vederti. Non è vero?", concluse rivolgendo uno sguardo al marito.

"Certo", rispose secco il padre.

Ecco. Come sempre. Era meglio se se ne fosse andato subito di lì.

"Lo so, mamma. Ma è la festa del campus di un mio amico, devo andarci per forza", insistette Cameron, con il cuore in gola.

"Oh, d'accordo. Ma cerca di tornare presto"

"Certo"

Cameron schizzò al piano superiore. Aprì la porta di camera sua e se la richiuse alle spalle. Non sapeva cosa dovesse prendere. Vestiti? Cibo? Commputer? Decise di optare per tutto. Svuotò il suo zaino dai libri di scuola e prese a riempirlo con qualsiasi cosa trovasse di utile.
Dopo pochi minuti, richiuse lo raino e si avviò per le scale.
Arrivato davanti alla cucina, si girò e fisso i suoi cari uno ad uno. Voleva imprimere nella memoria i loro volti. Anche quello del padre. Non sapeva quando li avrebbe rivisti, e nemmeno se avesse potuto rifarlo ancora.
Stette forse troppo tempo lì in piedi a fissarli, perché ad un certo punto April esordì:

"Vuoi un pezzo di pizza, Cam?"

"Oh no, grazie", rispose Cameron colto alla sprovvista.

Si girò e percorse il piccolo tratto finale che lo divideva dalla porta di casa. Arrivato nell'ingresso, si guardò velocemente allo specchio e si riavviò i capelli fluenti. Mentre stava per aprire la porta, una mano cercò di trattenerlo. Si girò e vide il volto della madre, a metà tra il preoccupato e il rassegnato.

"Mamma", disse Cameron, non sapendo cosa aggiungere.

"Cam, ce li hai i...ehm...i preservativi?"

Calò un velo di imbarazzo. I preservativi? Certo, "stava andando ad una festa", ma questi discorsi non erano mai stati affrontati con la madre, né tanto meno con il padre.

"Si, mamma, ce li ho", rispose Cameron, che si sentiva le gote in fiamme.

"Meno male"

Sebrava che dovesse aggiungere qualcos'altro.

"Cameron, tu sai che tuo padre ti vuole bene, non è vero?"

Perché dovevano parlare proprio di questo, proprio ora? Non avrebbe potuto aspettare il giorno dopo, anche se non sarebbe stato lì?

"Si, lo so", rispose Cameron.

"Anche se non lo dimostra sempre, lui ti vuole un mondo di bene. Sei il suo unico figlio maschio, è normale che magari in qualche modo ti voglia rafforzare"

Cameron strinse i pugni e serrò la mascella. Cosa stava dicendo?

"Mi vuole rafforzare, mamma? Vedendolo per un mese o due all'anno, senza che si preoccupi di chiamare? Chiama poco persino te. E' così che pensa di rafforzarmi? Al contrario, mi sta indebolendo. Ma io non ho bisogno dell'aiuto di nessuno, non ho..."

La madre lo abbracciò all'improvviso. Affondo il suo fiso nel collo del figlio, stringendolo con le braccia. Cameron rimase interdetto per qualche istante, ma poi si abbandonò all'abbraccio della madre. Profumava di fresco e di pulito, come sempre.

"Non voglio che tu soffra di nuovo, Cameron", disse la madre con la voce tremante.

"Io non soffro più, ormai", rispose Cameron.

Invece lui soffriva. Soffriva ogni volta che il padre partiva salutandolo solo con un cenno della testa. Soffriva ogni volta che tornava a casa dopo otto mesi di lavoro e l'unica cosa che gli diceva era un "ciao" secco e quasi risentito. Soffriva ogni volta che vedeva la madre fare le faccende di casa, mentre si spaccava la schiena per mandare avanti una famiglia. Certo, lo faceva anche il padre (così si supponeva), ma non l'aveva davanti ogni giorno.
Alla fine, madre e figlio si staccarono. Grace prese il figlio per le spalle, aprì la porta e lo condusse fuori.

"Va', e divertiti", disse con un sorriso malinconico.

Cameron rispose a sua volta con un sorriso, dopodiché di girò e si avviò verso la macchina.
Sentì il colpo sordo della porta di casa che si chiudeva.
Era l'ultima volta che li avrebbe visti per un lungo periodo.
Non avrebbe rivisto April, con cui aveva discussioni tutti i giorni, ma che alla fine si risolvevano nei migliori dei modi ogni qual volta lui si offriva di aiutarla con i compiti.
Non avrebbe rivisto la madre, che ogni giorno si svegliava con il solo pensiero di far felici i suoi figli e di crescerli nel migliore dei modi.
Non avrebbe rivisto il padre, ma a quello c'era abituato. Avrebbe potuto stare anche un anno senza vederlo e non avrebbe sentito la sua mancanza.
Stava facendo un gesto che avrebbe determinato il percorso della sua vita. Inizò a pensare a tutte le cose che sarebbero potute andare storte, ma si impose di scacciarle via. Non doveva pensare negativo, mai farlo quando si sta intraprendendo qualcosa di nuovo, mai.
Arrivò alla macchina di Nash e ci salì.

"Pronto?", disse Nash non appena Cameron si fu allacciato la cintura.

"Sì, andiamo", rispose Cameron, con la voce tremante.

"Bene, si va all'areoporto"








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Writer
Eccomi qua con il quinto capitolo di Heart of Darkness. Mi scuso molto per il ritardo, avrei dovuto aggiornare due giorni fa ma sono stato incapacitato di farlo da fari impegni. Avevo preannunciato nel capitolo precedente che il nuovo capitolo sarebbe stato più corto rispetto agli altri, ma, volendo rifarmi per il ritardo, ho voluto scrivere il più che potevo. Detto questo, se recensirete questo capitolo ve ne sarò molto grato c:
Vi lascio il mio recapito di Twitter (@calumsattoes)
A presto,

niallsdonut

  
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