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Autore: Utrem    15/07/2014    4 recensioni
Post VII stagione. Buffy non vuole più soffrire e si rifugia laddove crede d'essere circondata solo da ciò che è bene. Senza più i suoi amici, in procinto di sposarsi, dopo l'incontro con qualcuno riuscirà a riformulare le sue priorità non solo come cacciatrice, ma anche come persona.
Dal prologo: "Si era ripristinata in tempo. Stava bene, benissimo in verità, anche se era ovviamente scioccata dai pensieri aberranti appena avuti. Era stata evidentemente raccattata da una temporanea follia. [...] Equipararsi a una cacciatrice brancolante nella notte, perennemente sola, equivaleva a una condanna a una permanenza nell’ Inferno. Lei amava il suo Paradiso. Il suo imperfetto Paradiso. [...]"
Genere: Introspettivo, Romantico, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Buffy Anne Summers, Nuovo personaggio, Un po' tutti, William Spike
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
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Normal again.



Buffy si svegliò di soprassalto.
Nell’atto, dimenò le gambe e scostò le lenzuola, facendone atterrare un lembo ai suoi piedi.
Aveva il respiro affannoso e le narici dilatate. Era già vigile, quasi guardinga.
Tastò con naturalezza la liscia schiena di Ryan, sdraiato al suo fianco, e poi si girò per verificare l’ora.
Le sue sopracciglia balzarono in alto: erano le tre.
Un pizzicore strano, familiare la colse, e nuovamente il peso del vacillare del giorno trascorso si abbatté su di lei.
Quella era la sua ora. La sua chiamata. Non poteva sottrarvisi.
Contrasse tutti i muscoli, li tese di nuovo e si sedette silenziosamente sul materasso, levando prima con previdenza la coperta, per evitare di scoprire (svegliare) Ryan.
La sua mano sbottonò i due bottoni della camicia da notte, abbozzando la realizzazione di assurde intenzioni, ma non volle comunque fermarla.
Inspirò profondamente, portando l’altra a distendersi sul petto.
Il controllo che l’aveva dominata per due anni non poteva averla abbandonata nell’arco di una singola, normale giornata.
Ci doveva essere un modo per ristabilirlo definitivamente.
I battiti si fecero più frequenti. Premette la mano più a fondo ed percepì il pulsare dell’arteria nel polso congiungersi a essi.
L’altra, la ribelle, fremeva, lottando prepotentemente per proseguire la sua opera.
Forse una maniera c’era.
Si alzò, i capelli sciolti che caddero a spezzarle il volto.
Si approssimò alla cassettiera, con timore e diffidenza.
Sgranchì e aprì la mano ribelle, agguantò la manopola.
Così, divisa a metà tra impazienza e terrore, con gesti subitanei e veloci, il lieve respiro di Ryan addormentato come sottofondo, si preparò per recarsi al cimitero.

-

Correva, quasi, senza mai voltarsi, senza mai esitare. Era obbligata a liberarsi di questo fardello, questo sfizio che l’aveva ghermita un giorno valso due anni interi.
Man mano che si avvicinava i lampioni si diradavano, lasciando spazio all’immensa volta celeste e alle sue stelle.
Le strade non erano battute, relegate a un misero abbandono, indistinte dal marciapiede.
Buffy era già stata al cimitero di Mountyville due o tre volte – sufficienti a farle memorizzare il cammino – esclusivamente per accertarsi che non vi fossero demoni di alcun tipo. In verità, già Giles e Willow avevano provveduto a perlustrare il territorio per lei, due anni prima ormai, e le cose non avrebbero dovuto essere cambiate; a ogni modo, Buffy si convinse che questa visita fosse solo la conveniente coincidenza fra la realizzazione d’una sottospecie di desiderio ed un semplice controllo.
Willow e Giles… da quanto non li vedeva… avrebbe dovuto telefonare, informarsi sulle loro missioni… Dawn era con loro… sarebbe stato bello e opportuno, oppure no… non in quel periodo.
Tutta intrisa nelle sue nostalgiche elucubrazioni, a malapena notò i cancelli del cimitero dispiegarsi davanti a sé. Le si ruppe il respiro.
Chiuse gli occhi. Doveva cedere e mutare nella cacciatrice. Era una necessità, giunta sino a quel punto.
Con sua sorpresa, le riuscì particolarmente facile.
Acuiti tutti i sensi, si arrampicò con annoiata agilità su per un cancello e poi balzò nuovamente a terra.
Per qualche attimo, l’immagine di Ryan dormiente fluttuò nella sua mente e poi, naturalmente, svanì.
Il punzecchiare del paletto nella sua scarpa era più che mai forte, rinvigorito dalla prolungata assenza dello stesso.
Tese in avanti il piede e la gamba sinistri, tenendo il destro più ritirato, con funzione di perno.
Ecco materializzata la fantasticheria nel corridoio.
L’oscurità, quella vera, l’avvolgeva, punteggiata di tombe scrostate, grigie ed illeggibili.
Rispetto al cimitero di Sunnydale, questo era decisamente più piccolo e trascurato. Stava ora al suo giudizio capire se fosse più o meno movimentato.
Vi si inoltrò, il percorso ben preciso in testa, con un occhio di riguardo per le tombe la cui terra odorava di fresco.
Nulla.
Proseguì, senza mai abbassare la guardia, per nessun motivo, occupando una faccia della sua attenzione alla ricerca di cripte, possibili contenitori di nidi.
Non ce n’erano.
Non c’era niente, in verità.
Pure fuori allenamento, era in grado di riconoscere zone a interesse ‘vampirico’ e lì non ve n’era l’ombra.
Ne era certa.
Si sentiva enormemente rasserenata, ma non poteva ammetterselo. Si trovava ancora al centro del cimitero e, le piacesse o no, doveva ancora essere la cacciatrice. Almeno, quella notte ancora.
Sospirò, incespicando. Non poteva tornare indietro.
Rimaneva ancora una sezione da esplorare – anche se appariva silenziosa al pari delle altre.
Inavvertitamente, abbassò l’avambraccio congiunto alla mano che doveva reggere il paletto. Svogliata, esattamente quello che non doveva essere. Che non avrebbe mai dovuto essere… poco importava che fosse l’unica cacciatrice o una su un milione. Mai.
A coronare questo rimprovero, le parve di udire un tonfo.
Si fermò e puntò l’orecchio nella sua direzione.
Veniva dalla parte sud, a qualche sepolcro di distanza.
Deglutì, temendo il principio d’un nuovo incubo.
Era possibile che i demoni si fossero nascosti molto bene, agendo indisturbati per tutto quel tempo. Era possibile, sì.
Poteva essere la sua fine.
Il rumore c’era stato. Da scoprire, chi o cosa l’avesse prodotto.
Pareva scalza, tanto leggeri erano i suoi passi. Il paletto era a portata di indice e medio: uno scatto del polso e sarebbe scivolato esattamente tra quelle dita.
Occhi dietro la testa, pause ritmiche nell’incedere: nessun nuovo segno di non-vita.
Finché…
“AHI!”
Un sonoro urlo scosse Buffy come una bufera.
Si accucciò a terra e prese a strisciare con calma verso l’ubicazione della fonte, che aveva prima individuato con correttezza.
La voce, però, le era apparsa familiare…
“Non riesco a crederci. Sono incastrato. Non è possibile! Aspetta, aspetta un attimo… forse, se tiro prima fuori il gomito… AAAH!”
Il timbro era esattamente identico, così come l’ombra…
Un groppo le occluse la gola.
Rimase bocconi, a terra, i pugni chiusi di fianco alle guance.
Un’allucinazione. Un incantesimo. Il Primo?
Le pensò tutte.
Aprì e richiuse gli occhi, si pizzicò, si schiaffeggiò.
Stava ancora dormendo, possibile? Un sogno. Un incantesimo che faceva diventare i sogni realtà. O li faceva apparire reali.
Di qualsiasi cosa si trattasse, ciò che vedeva era Spike – o perlomeno, i suoi arti – che spuntavano da una bara, mentre lui si dimenava come un pazzo nel disperato intento di tirarsene fuori.
“E se invece prima spostassi il ginocchio in orizzontale, così… AAAH! Dannata bara, non le fanno più larghe e confortevoli come ai vecchi tempi… colpa dei maledetti ambientalisti. Loro e loro campagne anti-disboscamento. Lesinano sulla legna per risparmiare ‘vite’, salvare l’atmosfera… ovviamente nessuno pensa mai ai non-morti… un giaciglio per dormire, un paio di… Buffy”.
“Spike” rispose lei, con semplicità.
Nell’impetuoso tentativo di alzarsi, si scontrò con lo spesso legno e picchiò la testa.
Buffy notò che aveva trattenuto delle urla di dolore al contatto, probabilmente per via della sua presenza. Tuttavia, per compensarle, sciorinò una serie di impressionanti bestemmie a bassa voce.
Non c’era illusione alcuna. Era proprio lui.
Si sporse sulla bara aperta, così che la potesse vedere meglio.
Era passiva e totalmente sfiatata. Persisteva nel fissarlo, gli occhi lucidi e spalancati, mordendosi a tratti il labbro inferiore.
Mille parole le salivano sulla punta della lingua e mille ne scendevano. Muoveva appena il collo, il mento, il mignolo verso di lui, e subito lo ritraeva.
Dal canto suo, Spike era pressoché immobile, – anche perché incastrato – fatta eccezione per le palpebre, che battevano a intervalli ben precisi. Un esilissimo sorriso gli definiva le labbra livide, più sottili di quanto ricordasse; anche le guance erano più spigolose e scavate, ed i capelli più lunghi, scuri ed arruffati. Forse non era tinto, ma non lo avrebbe saputo dire con sicurezza. I suoi occhi parevano piccoli e rotondi vetri rinfrangenti la luce lunare; li teneva socchiusi, a generare uno sguardo che si atteggiava a seducente, ma non poteva celarsi sbalordito.
Erano distanti meno di un metro, ma ciò che davvero li separava era una spessissima cortina d’imbarazzo, eretta da tutte le emozioni sorte all’improvviso che non potevano nascondere l’uno dall’altro.
Buffy studiò con zelo Spike. Inizialmente lo vide sornione, ma intuibilmente felice; tuttavia, passato qualche minuto, assunse un’espressione molto premurosa e preoccupata ed abbassò le sopracciglia – dove, Buffy notò, era scomparsa la leggendaria cicatrice.
Sussultò. Era così sconvolta che a malapena sapeva riconoscere il suo stesso stato d’animo. La sua stessa espressione.
Cercò di concentrarsi e, con un po’ d’impegno, si comprese.
Era spaventatissima, stordita dall’ammucchiarsi di troppe emozioni in poco tempo, e l’averlo sentito, o l’averlo visto, non avrebbe saputo distinguere più chiaramente la causa, l’aveva scombinata talmente che avrebbe voluto fuggire via. Ma, rifletté, non se lo meritava.
Inghiottita parecchia saliva, riuscì a racimolare coraggio sufficiente per sussurrare: “Come… sei… finito… qui?”.
Il sorriso premuroso di Spike si spense.
Contrasse la mascella, come usava sempre fare nei momenti di tensione, e aprì la bocca, emettendo un breve rantolo. I suoi occhi cerulei erano vagamente scintillanti di lacrime, chissà se per dolore o commozione.
Buffy si sporse un pochino di più, intenerita e rassicurata dall’aver capito che era terrorizzato tanto quanto lei.
“Io… l’amuleto, mi ha riportato in vita. Che io lo volessi o no. È … lungo e complesso da raccontare. È che… mi sono invischiato in una sorta di…dannato affare, molto tempo fa, che mi sta procurando non pochi problemi, come se non ne avessi già avuti abbastanza per conto mio…” spiegò, con voce molto roca.
“Stai bene?” Buffy si preoccupò, mettendogli istintivamente una mano sul freddo petto.
“Sì. Be’, suppongo di sì. Ho ancora la mia anima ed i miei rimpianti, se è quello che intendi chiedermi. Diciamo che per un non-non-morto, non posso lamentarmi, anche se l’essere tornato in vita da delle ceneri mi ha lasciato degli acuti reumatismi ed uno sgradevole senso di bruciore in certe aree.”
“Vedrai, si indeboliranno col tempo. Dopotutto, resuscitare può essere mortalmente stressante” scherzò Buffy, continuando a carezzargli il petto, per rompere il ghiaccio.
“Abbiamo già molta esperienza in quel campo, noi due” aggiunse Spike ironicamente, rilassato dal suo tocco delicato.
“Già! Io però direi che… basta, tu che dici? Voglio dire, so che tecnicamente siamo già pronti per una terza volta, ma… ahahah! Dateci il tempo di respirare! Ahahah!” Buffy replicò, scoppiando a ridere in un accesso d’isteria, dato dal nervosismo.
“Ahahah! Debbo assentire! Almeno il tempo di re-imparare a respirare! Ahahah! E la parte divertente è: io non respiro già più da cent’anni! Ahahah!” Spike esclamò, partecipando con entusiasmo all’esagerata risata.
“Oh cielo, è vero! Ahahahahahah!”
Erano totalmente fuori controllo. Buffy batteva i pugni sulla bara, mezza coricata per terra, mentre Spike si sganasciava così brutalmente da percepirne le pareti vibrare.
D’un tratto, Buffy fu sul punto di perdere l’equilibrio dall’agitazione; Spike allora tentò di allungarsi per tirarla a sé e risparmiarle le caduta, ma fallì e rimediò invece una formidabile zuccata.
“OOOH! PORCA P%$!&*”
L’ilarità sprigionata pareva non essere mai esistita. In un lampo, Buffy si riassestò in piedi, sobbalzando letteralmente per assisterlo. Si sentiva colpevole. Si era completamente dimenticata del fatto che fosse ancora incastrato lì dentro. Si consolò tuttavia col pensiero che probabilmente, in un momento del genere, quella era diventata anche per lui l’ultima delle preoccupazioni.
“Mi dispiace, mi dispiace! Ti tiro fuori di lì immediatamente! Un secondo solo…”
Seppure fosse annichilita e distratta dall’ansia, Buffy riuscì comunque a spezzare parte della robusta cassa e a far rotolare fuori uno Spike stordito e contuso, più nell’orgoglio che nel corpo.
La sua paura ebbe però una vertiginosa ascesa quando notò che graffiava il terreno con le unghie, faticando a reggersi.
“Oh, Spike! Sei ferito! Mi dispiace tanto, ma non mi ero neppure accorta che…”
“Sto benissimo amore, non ti dar pena per me! Lasciami  solo… un po’ di tempo, per… aggiustarmi… completamente… ecco” la rassicurò Spike, recuperando la posizione eretta con un indefinibile sforzo, tutto sfogato in struggenti ed innumerevoli espressioni facciali, rivolte al suolo così che lei non le notasse.
“Come nuovo!” esclamò infine, rialzatosi definitivamente, allargando le braccia e piegando leggermente le gambe.
“Sicuro? Voglio dire, se avessi bisogno di qualcosa…” Buffy si propose istintivamente, fortemente dubbiosa sull’affidabilità del suo stato di salute.
“Buffy, fidati, avrò più cura di me stesso di quanta abbia dimostrato d’averne finora. Nell’immediato futuro, perlomeno. Cercherò una bara più confortevole dove sistemarmi, mi nutrirò dei gatti randagi nei dintorni, applicherò acqua fredda dove la pelle scotta ogni tanto e poi, quando sarà ora di partire… chissà cosa mi accadrà…ma devo correre il rischio. Ho preso un impegno e devo mantenerlo, a prescindere da… tutto. È così che va. Non posso cambiare le regole” spiegò, imponendosi almeno un mesto sorriso.
Buffy non poté resistere.
L’aveva appena ritrovato e già doveva fare i conti col fatto che avrebbe dovuto perderlo di nuovo.
Dopo tutti i sacrifici che aveva compiuto, in nome di ideali che sapeva non potevano più appartenergli, la sofferenza era ancora la sua corona. Una corona di spine.
Sorda alle voci che le ricordavano di come questo potesse nuocere al suo attaccamento a Ryan e alla sua nuova, normale vita, si approssimò al viso di Spike e gli inumidì le labbra con un bacio.
“Sono ancora qui con te” gli ricordò, il naso adiacente al suo, qualche ciocca di capelli che raggiungeva il suo petto.
Lui sbatté gli occhi, incredulo.
Cercò il suo fianco col palmo, ma un crampo gli trafisse il braccio e fu costretto a fermarsi.
Non poteva mai toccarla. Mai raggiungerla.
Inibendo la rabbia e risoluto a lottare, raccolse le sue mani e le strinse, accarezzandole col pollice. Buffy ricambiò la stretta, imprimendovi la stessa forza. Era seria e, con la testa piegata da un lato, spiava il rapido comparire e scomparire delle sue rughe d’espressione mentre la guardava.
Il suo volto era da incorniciare. Così radioso, così felice di rivederla che una, due lacrime clandestine le attraversarono la guancia.
Anche lei era felice di rivederlo. Rivederlo vivo. No, vivo no perché non era vivo, ma presente e vicino a lei. Più di quanto lui o lei medesima potessero immaginare. Lo era davvero.
In un’oasi di tranquillità e ritrovata gioia, con molta emozione, Spike portò alla bocca una delle sue mani. Tuttavia, nell’istante in cui lo fece, il suo labbro si graffiò e iniziò a sanguinare.
Aveva baciato il metallo.
“Hai un anello al dito” affermò, mollando sbrigativamente la presa, a occhi chiusi, annegando in flutti di vergogna.
Tale verità sferzò Buffy come mai prima di quel momento.
Lo aveva. Eccome se lo aveva. Per moltissime buone ragioni, prima fra tutte perché il suo amore per Ryan era sincero. L’aveva rigenerata e aveva scacciato tutti i suoi demoni, permanentemente. Per questo non poteva ringraziare altri, se non lui.
Indietreggiò deglutendo, esitante ad abbassare lo sguardo su colui che dopotutto, perseguitato ancora da chissà quali fantasmi, era così devoto, così onesto, e l’aveva resa partecipe – no, protagonista, di una così grande emozione, un attimo prima.
Non c’era amore. Più lo scrutava, più se ne convinceva.
Cosa c’era allora, però?
Il suo cuore palpitava all’impazzata. Le lacrime di commozione si erano appena asciugate. Era sciolta dalla mortificazione; avrebbe voluto scaldarlo, abbracciarlo, tenerlo, ma al contempo era bloccata lì, del tutto impotente.
Tanto affetto e tanta fiducia.
Questi c’erano, sicuramente, e lui già lo sapeva.
Combinati, originavano in lei qualcosa di caldo e forte, che avrebbe potuto essere amore – e lo era stato? – ma che non lo era in quel momento.
Perché lo fosse, realizzò, mancava sicuramente qualcosa. Ignorava cosa, ma se lo sentiva.
Forte delle conclusioni raggiunte, si decise ad affrontarlo nuovamente e si risolse a parlargli, con chiarezza, di tutto :
“Spike… ho fatto una scelta, due anni fa. Ho discusso con i membri della Scooby Gang e ho deciso di destituirmi da cacciatrice. Definitivamente. È stata dura persuaderli ad accettare questa mia decisione, ma alla fine ce l’ho fatta e adesso sono normale, libera ed amata sinceramente come mai lo sono stata nella mia vita. È incredibile. Sono fidanzata con uomo chiamato Ryan, ho un posto di lavoro fisso con le vacanze pagate e vivo in una piccola città dove i demoni dimorano solo nei film e nei libri. Questo… questo è quello che ho sempre desiderato. Questa è la ricompensa per quello che ho dovuto tollerare per così tanti anni, per il bene che sono stata obbligata a fare a mio discapito. Adesso ci sono tante balde, fresche ragazze pronte a sostituirmi, che non dovranno sopportare quello che ho sopportato, anche per merito mio. Quindi… mi sono legata indissolubilmente a tutta questa immensa gioia, cosicché possa non finire mai. Ci sposeremo tra due settimane”
Spike aveva seguito ogni sua parola, ogni suo intervallo con la più lusingante attenzione, come ipnotizzato, le braccia parallele all’addome.
Quando si rese conto che era il suo turno per replicare, non si scompose affatto.
“Buon per te” si limitò a dire, anche se un guizzo sospetto albergava nei suoi occhi.
Buffy lo interpretò come delusione e aggiunse subito, anche se con più indecisione:
“Mi dispiace per… adesso, ma… sappi che… io tengo molto a te. Davvero tanto. Tantissimo, infatti. Per questo voglio… vorrei che lasciassi che io ti aiuti. Vorrei starti vicino, finché non parti”
Spike era impassibile e non dava alcun segno di reazione. Buffy tentò comunque di non farsi scoraggiare e proseguì:
“Conosco… un posto, vicino a casa mia, dove potresti sistemarti per un po’ di tempo. È comodo, riparato dal sole ed è prossimo a un parcheggio interamente popolato da gatti randagi. Posso procurarti lenzuola, coperte e cuscini e qualsiasi cosa di cui tu abbia bisogno… be’, a parte le sigarette”
“Davvero?” Spike parve piacevolmente sorpreso dalla sua proposta, e Buffy traboccava di soddisfazione. Forse era davvero riuscita ad evitare di rovinare tutto.
“Sì! La notte ti posso venire a fare visita, anche se non per molto, magari, e verso il tardi. Se poi eventualmente non potessi venire, ti lascerei un messaggio con su scritto qualche indicazione. Va bene?”
“Fantastico! Mostrami la strada, allora!” Spike aveva veramente ritrovato il buonumore. Buffy non poteva essere più fiera di sé.
“Certo!”
Così, i due iniziarono ad incamminarsi verso il luogo designato, approfondendo un po’ innaturalmente la conversazione.
“Sai, in verità avevo già in mente di sistemarmi in un posto alternativo al cimitero. Si tratta di un breve tratto delle fogne, un po’ in periferia. È poco umido e silenziosissimo. Tuttavia, penso che il tuo mi piacerà un po’ di più. Le fogne puzzano, sono piene di ratti e… be’, sono fogne, quindi…”
“Oh, questo posto non puzza! E… decisamente non è una fogna. Si tratta dell’appartamento dell’ex portinaio. Quando se n’è andato, ha serrato tutto e così nessuno ci è mai più entrato. Tuttavia, l'amministrazione continua a pagare le bollette, forse nella speranza che venda. Non so esattamente come sia o quante stanze ci siano, ma, dopo una bella ripulita, dovrebbe andar bene. Ah, non so se ci siano dei ratti, ma prometto che se ci sono provvederò personalmente alla derattizzazione. ”
“Grazie, è un pensiero gentile, ma so come occuparmi dei ratti. Giusto una settimana fa, nelle fogne, sono riuscito a sterminarli tutti in meno d’una notte!”
“Ah, davvero? E come hai fatto? Hai usato molti gatti?”
Spike la guardò, un attimo perplesso.
“No, non ho usato gatti”
“E come allora, scusa?”
Gli occhi di Spike s’ingrandirono ancor di più.
“Chiaramente li ho mangiati, Buffy”
“Oh…” Buffy si sentì improvvisamente molto stupida. “Certo! Aspetta… ma tutti?”
“Sì, tutti!” Spike urlò, spazientito “Avevo fame, va bene?! Sono un vampiro, ho un fabbisogno giornaliero di calorie molto elevato! E poi sai com’è, non puoi chiedere il menù quando ti trovi rintanato in uno schifoso buco!”
Buffy rimase senza parole. Un po’ impaurita, decise che sarebbe stato meglio interrompere quell’insulso discorso. Si sentiva già abbastanza in colpa di per sé.
“Non ci sono gatti, da quelle parti” Spike continuò, con tono molto sereno. Il modo in cui la guardava suggeriva che si fosse pentito d’avere alzato la voce, ma Buffy era troppo immersa nella sua autocommiserazione per accorgersene “Anche se, ripensandoci, se ci fossero stati avrebbero fatto scomparire i ratti. Dunque, meglio così. Non è che poi io li disdegni così tanto, i ratti. Sono un ottimo spuntino. È solo che, sai, sono particolarmente attento a lasciare la mia impronta nell’aspetto e nell’arredamento della zona in cui vado ad abitare ed un branco di luridi, malandati topi non è esattamente il massimo per ricreare un’atmosfera ordinata. Buffy, sei silenziosa. Qualcosa non va?”
Buffy alzò lo sguardo, spaesatissima. Non aveva più prestato la minima attenzione a quello che aveva detto e lo credeva furioso con lei.
“Mi dispiace” squittì, con voce un po’ roca.
“Per cosa?” Spike era confuso.
Buffy sottintese tutto in uno sguardo, le pupille dilatate.
Lui capì e decise di non risponderle. Dopotutto, aveva ogni ragione per essere risentito con lei. E lo sarebbe anche stato, se solo lei avesse smesso di penetrarlo con quegli occhi così dannatamente grandi e tristi.
Dimostratisi troppo sconvolti per intavolare una conversazione, si ammutolirono del tutto fino a quando non furono giunti a destinazione.
“Ci siamo, finalmente” Buffy annunciò, e con un poderoso calcio aprì la porta e svelò una grande stanza, ben decorata e che non sembrava necessitare di grandi ristrutturazioni. Era solo un po’ datata e impolverata.
“Le luci funzionano, non ci sono finestre, niente ratti, qualche bel tappeto… sì, direi che va benissimo. Grazie”
Sentirglielo dire fu per Buffy fu un grande sollievo. “Di niente! Ti porto cuscini, lenzuola e coperte, allora”
“Ok, ok, grazie ancora. Io… io ora vado a cacciare qualche gatto nel parcheggio, se non ti dispiace. Tu porta pure tutto e poi torna a casa, al resto penso io”
Spike aspettò soltanto un’occhiata d’assenso e poi volò fuori dalla stanza e giù per le scale.
Buffy sospirò. Evidentemente non era più in grado di tollerarla.
“Va bene! Ci vediamo domani sera, ok?” gridò, sperando che la sentisse. Ma non ricevette risposta: era già troppo lontano. Oppure l’aveva ignorata.
A passi pesanti prese a salire i gradini. Le sarebbe piaciuto rimanere ancora un po’ con lui, aspettare che si aprisse e le rivelasse quali problemi lo attanagliavano, ma l’aveva respinta. Lei e la sua scelta. Il nuovo lavoro, Mountyville, Ryan…
Ryan.
Buffy appoggiò una mano sulla fronte, come per sancire il suo definitivo rinsavimento.
Ma cosa aveva fatto?!
I pochi frammenti di quella notte che riuscì a far combaciare le puntarono tutti il dito, senza preavviso, tramortendola quasi.
Non riusciva a crederci. Si toccò di nuovo la fronte. Era rovente.
Avrebbe fatto meglio a tornare a letto, subito.



Nota:
Il modo in cui Spike è tornato in vita è di mia invenzione. Può essere quindi considerato AU rispetto al differente sviluppo dell'evento che si ha in "Angel".
   
 
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