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Autore: wonderwall_98    20/07/2014    11 recensioni
Paige Donovan è una diciassettenne abbastanza sicura di sé e con la testa sulle spalle. È la migliore di tutti i corsi scolastici alla Newtown High School ed è una delle migliori giocatrici di tennis nella sua accademia, la Rock Tennis Accademy. Ma quando avrà una notizia devastante diventerà un’altra persona: arrogante, ombrosa, scontrosa, solitaria. Vorrebbe avercela col mondo intero se fosse possibile. Ed è proprio in questo periodo buio che nella cantina abbandonata della villa in cui vive scopre che può esserci un rimedio, o meglio, una cura all’irrimediabile e incurabile malattia di suo padre, Bruce. A questo punto vuole a tutti i costi mettere le mani su quella che, a detta di suo zio Cameron, si rivela essere una macchina del tempo che la porterebbe in un’altra dimensione al fine di trovare nel futuro la cura che nel presente non esiste ancora.
Ma il futuro ha in serbo per Paige un amore impossibile e senza confini, un amore che non può vivere se ha scelto di salvare la vita a suo padre. E sarà proprio questa la scelta alla quale Paige Donovan sarà sottoposta.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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capitolo 4

REVEALED MISTERIES AND
SATISFIED ANSWERS
 
 
 

«Vuoi la mia opinione?» Caleb era indiscutibilmente scettico.
«Vuoi dirmi che ho preso una svista e che in quel momento ero talmente stanca e sconvolta da far sì che la mia mente si immaginasse tutto?»
«Veramente, volevo dire i tuoi occhi.»
«Andiamo, piantala.»
Caleb fece spallucce. Il suo volto aveva assunto una venatura di sorpresa. Pregai per il suo bene che non se ne uscisse con una delle sue battute. L'ultima volta mi aveva risposto: " Non posso. Non ho neanche un seme." Che razza di irrimediabile idiota, mio fratello.
«Vieni con me» dissi agguantandogli una mano e alzandomi dal letto.
«No!» obiettò virilmente.
«Come sarebbe a dire no?»
«È un no, Paige. Un no chiaro e netto.»
Cancellai immediatamente quella maschera di delusione dal mio volto. «Come vuoi.» Sbatacchiai spalle e testa e mi avviai
fuori dalla mia camera sbattendo rumorosamente la porta.
Scesi le scale a due a due e mi recai allo scantinato. Quando aprii la porta, di nuovo quell'aroma acre e rancido mi riempì le narici facendomi tossire. Mi portai una mano alla bocca e ne uscì un conato di vomito. Continuai a tossire. Un rivolo di sangue mi scivolò tra le mani come un pomodoro in mezzo a un ruscello di fango. Ancora in preda ai conati, increspai le labbra in un'espressione di disgusto. Quando i conati diminuirono gradualmente, dei picchi interrogativi si disegnarono sulla mia fronte. Era la seconda volta che reagivo così a quell'odore, e in più ora sputavo sangue.
Possibile che lo scantinato mi facesse quest'effetto?
Rivolsi lo sguardo al pavimento lastricato e mi resi conto che avevo un disperato bisogno di qualcuno per ripulire il disastro che avevo combinato. Caleb, ad esempio.
Ma questo senso angosciante e persistente d'orgoglio mi bloccava sempre in situazioni come questa.
Decisi di lasciar perdere momentaneamente il magma ribollente sul pavimento e mi avviai risoluta allo scatolone aperto l'altra volta. Diedi un'occhiata all'interno e notai che anche il baule era ancora aperto.
Però presi nota di una cosa che l'altra volta non avevo scorto: una lettera arrotolata e ingiallita dal tempo giaceva sul fondo del forziere.
La ghermii con cautela e la osservai con circospezione per qualche secondo. La srotolai e mi apprestai a decifrare quell'inchiostro stinto e scolorito dal tempo e quella grafia alquanto casareccia. Il tutto era così caotico.
Mi accasciai sulla pietra umida e fredda incrociando le gambe e, poggiatomi il foglio deturpato e pieno di buchi in grembo, cominciai a leggere per quel po' che riuscivo a decrittare.

"Ciao, piccolo Cam,
In questa lettera ci sono delle istruzioni su come puoi far funzionare la macchina del tempo.
Ho creato un dispositivo che cattura le radiazioni elettromagnetiche per generare un intenso campo elettromagnetico.
Non ampio i miei orizzonti in questo semplice pezzo di carta non perché non ti ritenga in grado di comprendere questi concetti, ma per motivi di tempo. Ah, il tempo..
Quanto sarebbe bello rivivere tutti i bei momenti ormai passati? E quanto sarebbe bello poter rimediare  a un errore commesso? O vedere il destino con tuoi occhi?
Sono più che convinto che riuscirai ad attivarla, mio caro amico. Io confido in te, so che ne sei capace.
Purtroppo io non ho ancora avuto il privilegio di provare la mia macchina del tempo, e non credo che ci riuscirò mai dal momento che ho i minuti contati. Ma tu sicuramente sarai in grado di farlo.
Ti chiedo soltanto tre piccoli favori.
Non voglio insinuare che tu sia troppo piccolo per viaggiare nel tempo, ma ti prego di aspettare i tuoi diciotto anni.
E stai attento ai viaggi nello spazio-tempo. Approfittare ed esagerare può portare a conseguenze disastrose. Non viaggiare nel tempo se non per motivi di estrema importanza. Rischieresti di perdere te stesso. Impazziresti.
Ora, un’ultimissima cosa: ti chiedo di non sfoggiare questa mia invenzione, dal momento che non è alla portata di tutti. Mi spiego meglio: la macchina del tempo, qualora esistesse, non è fatta per essere utilizzata da ogni singolo abitante sulla Terra. Anzi, si dice che debba essere soltanto uno colui che può cambiare le sorti del mondo. E io ritengo che quel colui sia tu. Fa’ tesoro di quel che ti ho insegnato.
Piccolo amico, ora sta a te mantenere il segreto e fare di questo mondo un posto per vivere migliore…”
 
Sollevai gli occhi da quella lettera e mi alzai. Altre lettere disordinate e confuse erano impregnate su quel foglio stinto. Ma i miei occhi stavano gridando aiuto. Mi era venuto il mal di testa nel decriptare quella scrittura.
Cominciai a camminare avanti e indietro con le mani intrecciate dietro la schiena. Un impercettibile senso di irrequietudine m'invase da capo a piedi.
Ero tentata di chiamare zio Cameron, ma non mi sembrava opportuno richiedere il suo aiuto dopo quel piccolo “incidente” dell’altra sera. Solo ora mi rendevo conto che mi ero comportata in modo alquanto scortese.
Un effetto acustico fece vibrare il mio corpo. Sussultai quando qualcosa si mosse dietro di me. Mi girai di scatto e tirai un sospiro di sollievo.
Parli del diavolo e spuntano le corna.
Zio Cameron aveva fatto irruzione nel seminterrato e aveva urtato contro quei pali di legno addossati alla parete.

«Sei tu!» urlai andandogli incontro per aiutarlo.
Era rimasto incastrato in mezzo a quei pali sparsi un po’ per terra, un po’ incastonati alle pareti affianco alla porta.
Riuscii a tirarlo fuori da quell’intrico di legno e pelle, ma i suoi movimenti impetuosi e veementi avevano fatto sollevare un bel po’ di polvere. Ripresi a tossire, stavolta con più nerbo.

«Gra…» Zio Cameron s’interruppe a metà. «È tutto a posto?»
Annui con la bocca semichiusa. Altri colpi di tosse mi percossero. Cameron si avvicinò per battermi la mano sulla schiena.
Scossi vigorosamente la testa.
«Non serve. Ho scoperto di essere allergica alla polvere.»
Si allontanò lentamente. «Probabilmente è perché non ci vieni quasi mai, quaggiù.»
«Probabilmente sì» echeggiai inespressiva.
Feci per fermarlo con un urlo smorzato prima che infangasse i suoi piedi di vomito.

«Accidenti» imprecò. «Cos’è successo qui?»
Feci un accenno di sorriso. «Colpa mia» dissi alzando le spalle. «Te l’ho detto. Ho scoperto di essere allergica alla polvere.»
«Paige… Un semplice allergico alla polvere non reagisce in questo modo. Di solito tossisce, o al massimo può venire uno sfogo allergico, ma niente di più. Questo è vomito, Paige.»
Si accovacciò sugli stivali a punta per fare un’indagine più ravvicinata. «E questo…» Issò lo sguardo su di me. «Questo è sangue.»
«
Però, che occhio» dissi sarcastica. Accorgendomi del suo sguardo severo, allargai le braccia scuotendo il capo. «Non so che dirti.»
«Non è normale, Paige.»
«Lo so.» Distolsi lo sguardo e m’incamminai verso lo scatolone aperto.
«Ti vedo turbata…» sbiascicò. La sua voce si spense quando mirò con occhi socchiusi lo scatolone e il baule aperti. «Paige» articolò con voce salda «cos’hai fatto?»
Lo guardai senza capire. «Cos’ho fatto?»
«Perché hai aperto il baule? Non hai visto il bigliettino prima di aprirlo?»
«Io…»
«Perché l’hai aperto? Ero venuto qui per dirtelo, ma non dovevi assolutamente toccare quell’affare.»
«Quale affare? Lì dentro non c’è niente. Se ti riferisci alla lettera e al grandissimo spazio vuoto sottostante, be’, capirai che affari» dissi articolando la mano in un gesto focoso.
«Lo so, che non c'è niente lì dentro.» Un angolo della bocca gli s’incurvò in un ghigno malevolo.
«E allora, cosa vuoi?»
Zio Cameron reclinò il capo. «È tempo che ti spieghi una cosa.»
 
«Mi stai dicendo che vieni dal futuro?» Non potei contenere una fragorosa risata.
«Lascia che ti racconti la mia storia» proferì zio Cameron prendendo le mie mani fra le sue.
Aggrottai la fronte e allontanai le sue mani quasi immediatamente. «Non sei arrabbiato con me?»
«Perché mai dovrei esserlo?»
«Be’, l’altra sera non mi sono comportata nel migliore dei modi con te.»
Zio Cameron lasciò diffondere l’eco della sua risata. «Non me lo ricordavo neanche.»
«Già, avevo dimenticato la tua attitudine nel perdonare.» Sorrisi malevolmente alzando un sopracciglio. «Dimenticavo quanto fossimo diversi» continuai.
Cameron ignorò l’ultima frase. «Addirittura? Pensavi che non ti avrei perdonato?»
«Smettila di guardarmi così» ordinai con gli occhi socchiusi. «Come se fossi un pagliaccio del circo su cui spassarsela. Come fossi il motivo del tuo sarcasmo.»
«Il motivo del mio sarcasmo, eh?» ripeté. «Lascia andare la corazza nuova di zecca di cinismo, Pay. Una volta non eri così.»
«Smettila anche di pensare che io sia cambiata! Sono sempre la stessa!»
«Ehi, ehi. Non scaldarti. Non voglio litigare di nuovo. Voglio solo potermi fidare di te e raccontarti la mia storia.»
Lo fissai ancora con gli occhi semichiusi e le labbra serrate, ridotte a una sottile linea bianca.
«Ecco, così. Fai un bel sorriso e fidati del tuo amato zio Cam.»
Gli rivolsi un sorriso distorto. «Non sono il tuo animale da compagnia» canzonai.
Zio Cameron sembrò rassegnato. «Niente da fare, eh?»
«Tu trattami come mi hai sempre trattata e forse ti ascolterò.»
«Paige, ascolta. Non sono io a trattarti diversamente. Sei tu che percepisci le mie azioni e le mie parole come qualcosa di negativo. Tu per me sei sempre la piccola Paige» concluse sorridendo con nostalgia. E da quel sorriso seppi che era sincero.
«Non sei poi tanto più grande di me. Non sentirti tanto superiore.»
«Okay, proprio niente da fare, a quanto pare.»
Mi lasciai sfuggire una risata. «Ora scherzavo.»
«Oh, mio Dio. Ti ho ritrovata! Ora concentrati e cerca di non far entrare nessuno nel tuo corpo. Ok?»
Non riuscii a non sorridere. Mi avvicinai e gettai le mie mani attorno al suo collo. Lui mi strinse forte come quand’ero piccola.
Quanto mi era mancato. Non me n’ero resa conto fino a questo punto.

«Zio Cam, puoi fidarti di me» gli intimai.
«Lo sapevo dall’inizio. È per questo che sono venuto qui, oggi.»
Si staccò da me e passò le sue labbra inumidite dalla saliva sulla mia fronte. Poi mi prese il viso fra le mani, le fronti che cozzavano per la vicinanza. Fui costretta a guardarlo dritto negli occhi.
«Ascoltami, Paige. Io credo in te. Mi fido di te. Gilderoy disse che dovevo essere io a cambiare le sorti del mondo. Ma guardami. Alla fine non ho combinato niente. E lui si fidava di me. Non permettere che questo succeda di nuovo. Io mi fido davvero di te e so che sei sempre stata tu quella di cui parlava Gilderoy. Solo che non ti conosceva» disse allontanando il suo viso dal mio.
Deglutii a fatica. «Ti sbagli. Io cambiare le sorti del mondo? Ma mi hai vista?» dissi producendomi in una risata priva di una qualunque forma di allegria. «Sono distrutta» ammisi lasciando che una valanga di lacrime mi lavasse il viso.
«Lo vedo. E vedo anche il modo in cui affronti la cosa. Lascia perdere quello che ho detto prima. Cerca di non perdere questa corazza di cinismo che ti sei costruita da te. Sarà un’arma a tuo favore. Solo usala con le persone di cui non ti fidi. Non usarla contro il tuo amato zio» disse sforzandosi di farmi rallegrare.
«Apprezzo la tua voglia di farmi sentire meglio, ma…»
«Niente ma» obiettò con vitalità e dicisione. «Possibile che tu debba finire ogni frase con questo maledetto e irrimediabile ma?»
E, come sperato, riuscì davvero a migliore il mio umore.
«Visto? Questo sorriso con me devi sempre sfoderarlo. E ovviamente con le persone che ami. Sei più bella così.» Fece una piccola pausa. «Però quella corazza usala con chi ti sta contro. Non reciderla come ti ho detto prima. Anzi, è stata una scelta saggia quella di sfoderarla in un momento come questo.»
«Io non ho scelto niente. Non l’ho voluto io» confessai sorridendo e scuotendo il capo. Ero molto frastornata e confusa. 
«E questo fa di te la persona più forte che io conosca. Ma, mi chiedo, sarai abbastanza coraggiosa da affrontare un viaggio nel tempo?» si domandò perso nei suoi pensieri. Quella era una domanda retorica. Non l'aveva fatta a me. 
Lo guardai intensamente. «Mi hanno sempre detto di essere temeraria. Ma non so se basti.» Lasciai spazio a un silenzio imbarazzante. «In ogni caso, sono pronta ad ascoltare la tua storia» terminai.
 
«I'll face myself to cross out what I’ve become…
Erase myself and let go of what I’ve done…
»
«Questo è Caleb» dissi come per giustificare la storpiatura di quella canzone.
«Mi sembrava di aver capito che fosse in una band» convenne zio Cam.
«È il batterista della band» mi affrettai.
«Oh, ora si spiega tutto.» Mi strizzò l'occhio.
Le sue parole furono attutite da un rumore assordante. Ci portammo le mani alle orecchie e ci voltammo all’unisono.
«Che diavolo…»
«Aspetta, ti aiuto io.» Decisi di stringere i tempi cercando di lasciarmi alle spalle quella piccole lite di poco prima. Era pur sempre mio fratello.
«Paige! Che diavolo ci fai qui?»
«Potrei dire la stessa cosa di te» dissi reclinando il capo e alzando le spalle con indifferenza Volevo che notasse il mio risentimento. «E poi, questo è il posto in cui saresti stato già da un pezzo se mi avessi seguito» riferii tendendogli la mano. Lui si aggrappò a questa e uscì dal viluppo di macerie.
«Ahia!» si lamentò quando fu fuori da quel caos. «Il piede!» urlò tenendolo piegato, evitando di poggiarlo a terra.
«E ora non ti saresti azzoppato un piede» dissi con un’ingiusta punta di soddisfazione.
«
Non mi sono azzoppato un piede!» ribatté Caleb.
«E perché non lo poggi a terra? Oh, perché fa male» gemetti facendo finta di soffrire al suo posto.
«Sei una stronza» disse guardandomi con odio. Nel suo sguardo c’era qualcosa di ferino.
La risata gorgogliante di zio Cameron risuonò nella stanza. «Mi mancavano i vostri battibecchi.»
Caleb sollevò di scatto la testa. «Zio Cameron? Oh, zio Cam!» esclamò correndogli incontro.
«Cos’è, ora il piede non ti fa più male?»
«Paige, non essere così acida con tuo fratello» ingiunse Cameron boccheggiando.
«Lo stai stritolando!» intervenni con impeto.
Caleb mi rivolse un’occhiata sterminante. «Lo stavo solo abbracciando. Per tua informazione, è da due anni che non lo vedo. Forse sei solo gelosa» disse ammiccando e sorridendo soddisfatto.
Più lo guardavo quando aveva quell’espressione e più mi sembrava un ebete. La cosa peggiore era che pensava di essere figo. Superiore.
Emisi un ghigno sprezzante.
«Gelosa io? Fratellino, sarai anche più grande di me, ma io sono più furba» dissi battendogli una mano sulle spalle.
Cameron concordò con un gesto muto. Caleb mi fece il verso.
«Per forza, ti ho mangiato le parole!»
«Ragazzi!» ci richiamò zio Cameron. «A tutto c’è un limite e voi lo state superando abbondantemente.»
 
«Bene, direi che siamo in tre, ora» fece notare zio Cameron squadrandoci uno per volta.
«Già, che bella cosa» ironizzò Caleb.
«Non credere che io ne sia più felice di te» ringhiai. «Si stava molto meglio quando non c’eri.»
«Già... Ora non puoi averlo tutto per te, eh?»
Zio Cameron si produsse in una grassa risata. «Non credo proprio, Caleb, che fosse per quello» disse in preda a un attacco di risate.
«Io non ci trovo niente di divertente» sfollai. «Ho solo una gran voglia di dargli un bel pugno in faccia» dissi furiosa rivolta a mio zio.
«Contieni i tuoi istinti, Paige» disse con tono rassicurante come per tranquillizzarmi. D'altro canto, io distesi i nervi e mi rilassai.
«Dobbiamo fare una riunione a tre a merito di cosa?» chiese Caleb tutt’altro che curioso.
«In merito ai miei viaggi nel tempo» rispose Cameron con tono rilassato.
«Ma che... Vi siete messi d’accordo tutti e due?»
Lo guardai con disdegno e misi il broncio incrociando le braccia. «Io avevo intenzione di mangiare per le nove.»
«Perché, che ore sono?» chiese Cameron.
«Le nove meno un quarto» risposi con un sorriso corrosivo come acido.
«Allora farò meglio a sbrigarmi, se non voglio sorbirmi un altro sdoppio di personalità.» Strizzò l’occhio nella mia direzione.
«Sdoppio di personalità? Di che parli?» Caleb sembrava confuso.
«Paige sa di cosa parlo» rispose sorridendomi.
Ricambiai il sorriso e mi misi comodamente seduta.
 
«E così avresti dovuto aspettare i tuoi diciotto anni?» chiesi interessata.
Cameron annuì vigorosamente. «E lo feci.» Si passò una mano tra la folta chioma scompigliata facendosela scivolare sulla fronte. «Mi chiese precisamente tre cose. Un po’ come tre avvertimenti prima di usare la macchina del tempo.»
«Tre avvertimenti?» domandò Caleb palesemente scettico.
«Sì. La prima cosa che mi chiese fu appunto quella di aspettare  ai diciotto anni prima di usarla e...»
«La seconda?» domandò in tutta fretta Caleb. Sembrava voler sbarazzarsi di quell'argomento il prima possibile. 
«Lo stavo per direCameron gli indirizzò uno sguardo esasperato. «La macchina del tempo, essendo uno strumento alquanto pericoloso, non doveva essere presa alla leggera. Se l’avessi sottovalutata, ne avrei pagato le conseguenze. In poche parole, non dovevo abusarne.»
Io e Caleb aggrottammo simultaneamente la fronte.
«Mi spiego meglio: non si deve abusare di un dispositivo di questo calibro. Si può viaggiare nel tempo, sì, ma ogni cosa ha un limite. Mi disse che non avrei dovuto viaggiare nello spazio-tempo a meno ché non fosse stato necessario. Non si può entrare lì dentro allegri e spensierati pensando di vivere una nuova avventura.» Fece una piccola pausa. «Viaggiare nel tempo è pericoloso. Estremamente pericoloso. Se esageri, rischi di impazzire.»
«Ci credo che rischi di impazzire!» sbottò Caleb esasperato.
«Come si può impazzire?» chiesi in uno stato di trans.
«Andando sempre avanti e indietro nel tempo» spiegò paziente zio Cameron «si può perdere il senno. A un certo punto ti ritrovi a non sapere più chi sei, perennemente confuso. Nell’oblio. Non ti ricordi più a quale epoca appartieni ed è mentre ti sforzi di ricordare e di capire che puoi impazzire. Rimarrai per sempre perso in te stesso, se non sai gestire la cosa.»
«Tutto questo è una follia!» Caleb perse le staffe.
«La smetti di frignare come un bambino?» esplosi. Piccole spine di incandescenza danzavano impetuose nei miei occhi.
«E tu la smetti di intervenire senza consenso?» controbatté con aria di sfida.
«Io non ho bisogno del consenso di nessuno per parlare! Chiaro?»
«Ragazzi!» Alla fine il più adirato fra noi sembrava essere proprio zio Cameron. «Dovete piantarla! Come ve lo devo spiegare?» S’interruppe a mezz’aria. Rifletté su qualcosa per un attimo, come per valutare se fosse stato il caso proseguire e formulare la frase che aveva in mente. «Rivolete vostro padre o no?»
Caleb s’incupì. «Come puoi scherzare su una cosa del genere? Non ti facevo così, zio. Sei spregevole.»
«Caleb» cominciai placata «ti giuro che è stato quello che ho pensato anch’io all’inizio. Ma…»
«Niente ma! Sono stufo dei se e dei ma! Stufo di tutto!» Si passò con foga le mani fra i capelli, scostandoseli dalla fronte con un gesto impaziente.
«Caleb.» La mia voce aveva una venatura esasperata. «Se non ti fidi di lui, almeno fidati di me.»
«E perché dovrei fidarmi di te?»
«Perché sono tua sorella! Ci sono sempre stata per te, ci siamo sempre aiutati a vicenda! Ricordi…»
Mi arrestai quando vidi i suoi occhi farsi umidicci. Questa notizia l’aveva devastato. Caleb non era proprio il tipo sensibile che si mette addirittura a piangere. Anzi, a volte mi chiedevo se ce l'avesse, un cuore. O se qualcuno gliel'avesse disincarnato. 
«Ehi.» Gli presi la mano con delicatezza. «Abbiamo una possibilità. E possiamo non averla. Ma scoprire se ce l’abbiamo veramente spetta a noi. Non teniamola sul fondo. Cerchiamo almeno di farla risalire in superficie. Può non concretizzarsi, è vero. Ma ti chiedo soltanto di non sprecarla.» Rinsaldai la presa alla sua mano. Gli sorrisi sinceramente costernata. «Allora?»
«Allora continuo a non crederci.»
Feci per allontanare la mia mano dalla sua con aria desolata, ma lui la riafferrò stringendola più intensamente. «Ma credo in te. Ed è di te che mi fido.» Nei suoi occhi c’era una risolutezza che non avevo mai visto.
Sorrisi come non facevo da tempo.
 
Mi scostai i capelli madidi di sudore dal collo.
«Decisi che, compiuti i diciotto anni, avrei fatto il mio primo viaggio nel tempo.»
«E che necessità avevi?» chiesi.
«Nessuna» rispose placido. «Era semplice spirito di avventura adolescenziale» disse in una scrollata di spalle.
«Ma…»
«Lo so, non avrei potuto. Ma allora ero giovane e stupido. E feci proprio quello che Gilderoy mi disse di non fare…»
«Chi è Gilderoy?» lo interruppe Caleb.
«Il suo maestro» risposi velocemente.
«Avevi un maestro?»
«Lui preferiva essere chiamato semplicemente amico» confutò Cameron.
Ci fu un intervallo di interminabile silenzio. E per di più io e Caleb non avevamo ancora cominciato una nuova discussione. Pensai che questa ingannevole tranquillità fosse soltanto una realtà precaria.
Caleb inarcò un sopracciglio. «Preferiva?»
«È morto» risposi scialba.
Cameron si crucciò. «Non tocchiamo questo tasto» disse chiaramente dolente «per favore.»
Annuii compassionevole.
Cameron sospirò rumorosamente.
«Dissi ai miei genitori che volevo andare al college. Feci domanda all’Harvard. E mi presero. I patti erano che sarei andato in un appartamento a Cambridge, nell’area metropolitana della città di Boston. Passare così drasticamente da Los Angeles al Massachusetts sarebbe stato un duro colpo. Ma alla fine non ebbi mai la fortuna di frequentare la più prestigiosa università. Almeno non nel presente.» Incurvò un angolo della bocca. «I patti cambiarono, ma solo nella mia mente» disse con quel sorriso soddisfatto sul volto «ovviamente.» I suoi veloci cambiamenti di stato d'animo mi inquietarono. Un secondo prima era frustrato per il ricordo della morte del suo amico e ora sorrideva a trentadue denti. Mi chiedevo se fosse normale. E poi, pensai ancora, quando sorrideva così, era davvero pericoloso. Non sapevi mai cosa aspettarti da lui.
«Così, invece di andare ad Harvard sei andato nel futuro?» chiesi sconnessa.
Annuì. «E l’università l’ho frequentata comunque. Ma non l’Harvard. Una ancora più prestigiosa dell’Harvard.»
«Ma non esiste nessuna università più prestigiosa dell’Harvard!» contestò Caleb.
«Chi ti dice che nel futuro non ce ne sia una?» disse Cameron con un ghigno. «Tanto per informarti» continuò rivolto a Caleb «si chiama Greenclark University. E si trova in California. Sai, potrebbe tornarti utile.»  
«Che razza di nome è?!»
«È il nome del fondatore» rispose Cameron con fare seccato. «John William Greenclark. Grande uomo» esclamò con aria sognante.
«Se ti stai inventando tutto e ti stai prendendo gioco di noi, io…»
«Caleb…» lo rimproverai prima che potesse andare oltre.
«E tu non cercare di prendere il ruolo della sorella matura che risolve tutto e deve tenere a bada il suo fratellone squilibrato.»
«Non ricominciare» continuai fingendo di non aver sentito le sue ultime parole. Così era tutto più semplice. Sì, decisamente. 
Avrei dovuto comportarmi così più spesso.

Zio Cameron fece spallucce. «Volete che continui? O volete costringermi a portare via la macchina del tempo?»
«Fai pure.» Caleb incrociò le braccia e mise il broncio. «Tanto non cambierebbe niente» ringhiò.
Rivolsi uno sguardo tollerante a Cameron e lui si dimostrò comprensivo. Aprì la bocca per riprendere il discorso interrotto, ma io lo interruppi nuovamente.
«Quando vai nel futuro puoi avere contatti con le persone che ti sei lasciato dietro nel presente?»
«Bella domanda» intuì Cameron. «No, non puoi avere alcun tipo di contatto con le persone di un’altra era. Io andai in un futuro talmente lontano dal presente che avevo vissuto che i miei in quell’epoca sarebbero stati già morti.»
«E come hai giustificato tutto ai tuoi genitori e ai tuoi amici? Come hanno potuto accettare che tu non ti facessi mai sentire?»
«Molto semplice. Non ce n’è stato bisogno.»
Schiusi le labbra in un’espressione sconcertata. Alzai gli occhi su di lui e deglutii. «Lo faceva mio padre per te» dedussi.
«Vedi, questa è la parte che più mi piace di te. Non sei solo un bel faccino.»
Caleb arricciò il naso in una smorfia di provato disgusto.
«E non hai paura di dire quello pensi, sei sfacciata.»
Gli rivolsi uno sguardo interrogativo.
«In senso buono» si affrettò a dire con un sorriso malizioso.
Lo ignorai apparentemente, ma nella mia testa risuonarono convulsamente quelle parole: Sei sfacciata.
Cameron sospirò. «Quanto sarebbe bello raccontare la mia storia senza interruzioni o domande.» Ci esaminò uno alla volta. E notando le nostre espressioni inquisitorie, disse: «Ma penso che dovrò abbandonare i miei propositi».
 
«Lì conobbi Selene Eileen Demetria Darkmoon.»
«Ma che razza di nomi hanno questi tizi del futuro?» Caleb era chiaramente seccato.
«Mmm» mugugnò zio Cameron «vedo che la noia ha preso il sopravvento sullo scetticismo. Ora ti appresti addirittura ad analizzare i nomi di questi tizi del futuro! È un passo in avanti, Caleb.»
«Ah, piantala.»
Cameron lo ignorò. Forse era meglio anche per lui ignorare. Rendeva tutto così dannatamente semplice. «Selene è così... magnetica, ecco. È combattiva ed esplosiva. Una giovane guerriera. Testarda e impetuosa. Tuttavia...»
«Tuttavia non vogliamo sapere i tuoi drammi amorosi» convenni con tono gelido.
«Io li chiamerei drammi esistenziali.»
«Qualsiasi cosa siano» ripresi «non ci interessano. Almeno a me non interessa. Specie in questo momento...»
«Come darti torto? Ma il problema è che sono combattuto. La giovane e innocente Rosemary Flowbelle che faceva parte della mia vecchia vita è qui. E potrei rincontrarla da un momento all'altro.»
«E non sei felice di rivederla?»
«Cal, abbi un minimo di sensibilità.»
Cameron mi indirizzò un sorriso radioso.
«Questo non vuol dire che mi interessano le tue scorribande amorose. Vorrei sapere piuttosto tutto quello che riguarda il tuo viaggio. Quello vero.» 

Cameron parve deluso. «E sia» sentenziò. «Seguitemi.»
 
Arrivammo in un corridoio buio e angusto. L'oscurità che seguiva all'androne era impenetrabile. Le uniche fonti di luce erano delle misere torce ammanettate a degli anelli a intervalli regolari. Se solo fossero state tutte funzionanti...
A vederlo metteva i brividi: un ampio arco di pietra blu cinereo contornato da paletti di legno rossicci dava un terrificante benvenuto; ragnatele grigie e intricate pendevano grevi dal soffitto in pietra sbozzata; il pavimento placcato in pietra sotto i nostri piedi era cosparso qua e là di pozze nere e semiliquide. Mi guardai bene dal metterci i piedi dentro.
Caleb sembrava atterrito.
«È… sangue?»
«» rispose fervido Cameron. «Ma non preoccuparti. Questo non è un posto pericoloso.»
Mi bloccai a metà strada. Non l'avevo notato subito, che quelle pozze nere e semiliquide erano pozze di sangue. Liquefatto e ribollente. «E allora perché c’è sangue sparso per terra? E perché non sapevo che questi sotterranei esistessero? Si trovano nello scantinato della mia famiglia, avrei dovuto saperlo.»
«Suppongo che neanche i nostri genitori lo sappiano» intervenne Caleb.
«In effetti, avete ragione entrambi. Ma non è colpa mia se avete un senso dell’esplorazione pari a zero. E comunque, non è sangue umano.»
«E cos’è? Sangue animale?»
«Già. È proprio sangue animale.»
«Quale animale caccia sangue nero? E per di più è fresco…» La voce di Caleb ebbe un tremolio.
Un’ombra scura e indistinta apparve alla fine del corridoio. Sembrava muoversi e… avanzare.
Cameron strinse gli occhi e si rilassò.
«Eros!»
La figura scura e offuscata si avvicinò tanto da poterlo definire un essere umano. Nonostante sembrasse un vecchio eremita, era umano a tutti gli effetti.
«Errol» salutò anche il piccolo gufo appollaiato sulla spalla del padrone. «Caleb, Paige… lui è Eros. Il cacciatore di pipistrelli dei sotterranei.»
«In realtà caccio anche ragni, scarafaggi e scorpioni» precisò tendendomi la mano. Un cappello vecchio e logoro di paglia gli pendeva da un lato.
«Piacere» mi sforzai di dire palesemente disgustata. Gli strinsi la mano e desiderai di non averlo fatto. Era nera come il carbone e lurida come la mano che può avere uno che fa il suo mestiere.
Quando la tese a Caleb, lui gli rivolse uno sguardo inorridito.
«Non pensarci neanche!»
Cameron si scusò al suo posto. «È un ragazzo particolare, Caleb. Devi scusarlo.»
Eros imprecò qualcosa di incomprensibile e si avviò nella direzione opposta da cui era venuto sorpassandoci.
Liberi di quella strana presenza, procedemmo a passo spedito. Cameron era a capofila e sembrava eccitato all’idea di mostrarci qualcosa. Immaginai che fosse la famosa macchina del tempo.
Arrivati a destinazione, Cameron impiantò i piedi a terra e allargò un braccio invitandoci ad entrare.

«È una porta» dissi evidenziando il suono di quella parola.
«Lo vedo» ribatté Cameron. «Devi soltanto aprirla.»
«
Quale porta non è sigillata e chiusa a chiave in un posto terrificante come questo?»
Caleb concordò silenziosamente. 
«
Vedete troppi film, tutti e due.»
«
Vuoi dire che è una porta aperta?»
«Più chiaro di così» schiamazzò in una scrollata di spalle.
Incurvai le labbra all’ingiù in un’espressione sbigottita.  
Girai la maniglia e la porta magicamente si aprì.
«Però» dissi «mi immaginavo qualcosa di più creativo.»









|*SPAZIO AUTRICE*|
 
Heylà! Eccomi qui! Scusate se vi ho fatto aspettare un po' più di tempo questa volta, ma ho sempre i minuti contati e questo capitolo, come potrete ben notare, è un più lungo degli altri. In realtà, scrivendolo su word mi era uscito un poema di quaranta pagine. Perciò ho dovuto dividerlo. E mi scuso con voi lettori/lettrici se questo capitolo sarà un po' noioso, ma dovevo introdurre alcuni concetti. E inserire il capitolo intero com'era prima su word, non credo proprio che fosse il caso. Insomma, era lunghissimo!
Poi, non so se avete notato, ma la lettera che Paige trova, quella di Gilderoy a Cameron, come ho detto, è sbiadita e l'inchiostro non si legge bene. Purtroppo i caratteri qui sull'editor di efp sono abbastanza pochi e quindi ho dovuto arrangiarmi. Ma quelle paroline scritte più piccole e più "strane" sappiate che sono quelle parole che Paige non riesci a decifrare, ma che sicuramente voi riuscirete a fare perché con questi caratteri non sono riuscita a criptarle come volevo. In ogni caso, il senso è quello e ci tenevo a precisare.
Come al solito, ho bisogno di un bel numeretto di recensioni per continuare, per sapere cosa ne pensate. E non fatevi problemi a criticare e a dirmi le cose che non vanno, anzi, ne sarei felice! Lo apprezzerei molto. 
Detto questo, mi dileguo e vi auguro buona lettura!

Chiara xxx
  
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