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Autore: RMSG    21/07/2014    3 recensioni
[...] Qualcuno avrebbe detto che poteva sembrare un disperato. Questo qualcuno, forse, avrebbe avuto ragione. Ma lui che ci poteva fare? Ogni mercoledì, infatti, alle dodici e trentacinque circa, Adrian si tendeva lungo il tavolino a prendere la sua agenda, stringendo le labbra sottili per il nervoso, aggrottando le sopracciglia scure e lasciando che una piccola, ribelle ciocca di capelli si scomponesse e scappasse via lungo la fronte liscia.
Lear vide la scena a rallentatore e si sprecò in un sospiro quando Adrian ritornò diritto sulla sua poltrona, più concentrato a sfogliare le pagine stropicciate di un compito a casa completamente sabotato, che a rendersi conto dell'effetto assurdo che aveva su di lui. [...]
Genere: Romantico, Slice of life, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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The Way We Were
Capitolo 9. La realtà dei fatti.


"Sinceramente non credevo che fossi il fratello di quel Murray." disse Aaron, fissando Adrian.
"Tranquillo, non sei l'unico. Se non fossimo identici a volte nemmeno io mi ricorderei di esserlo." rispose, facendo sorridere l'altro, e spostando il peso del corpo sulla gamba destra.
"... beh, però ha mollato tutto per venire qui anche solo per una visita. Con un preavviso di ventiquattr'ore, fra l'altro."
"Non immagini quanto mi piacerebbe che fosse così semplice con lui..." sospirò, guardando verso l'entrata e vedendo sbucare Dante proprio in quell’istante. Vestito con un completo distinto, ma senza cravatta, l'immagine speculare di Adrian avanzò sicuro di sé; identico in tutto – nel fisico, nelle espressioni, persino nella camminata – raggiunse spedito Aaron, decidendo di ignorare completamente, invece, il suo gemello.
"Il dottor Evans?" domandò educato.
"Sì, sono io. E' un piacere conoscerla, dottore. Ho sentito tanto parlare di lei e... siete realmente omozigoti voi due, non c’è che dire." osservò Aaron con un sorriso circostanziale.
"Il piacere è tutto mio... mi scusi se sono poco presentabile, ma è stato un lungo viaggio."
A quella frase Adrian sorrise, molto divertito, lasciandoli parlare e riflettendo su quanto narcisista sapeva essere Dante. Era stato completamente ignorato, ma non se ne diede pena. Piuttosto si divertì a riflettere su certi comportamenti così famigliari. Ovviamente Dante non aveva nulla che non fosse perfetto addosso, ma quella frase così convenzionale e fintamente dispiaciuta non era che un modo come un altro per mostrare quanto la sua versione 'sfatta' fosse in realtà tutt'altro che impresentabile. Una psicologia semplice, quella del fratello, ed evidentemente invariata anche dopo tanti anni. 
"Allora, posso vedere la cartella del paziente prima di visitarlo?" domandò educato l’ultimo arrivato.
"Naturalmente. Venga, le faccio vedere anche le lastre..." acconsentì gentile Aaron, voltandosi un attimo verso Adrian. "Adrian, tu..."
"Tranquillo. Vi aspetto in camera con Lear." sorrise ad Aaron e poi posò gli occhi sul fratello, notando solo ora che i capelli gli erano cresciuti un po' di più e che erano pettinati su un lato. L'unica leggera differenza fra loro. "A dopo." 
Si allontanò, andando dall'altro lato del corridoio e raggiungendo la stanza dopo pochi passi. La porta era semi-aperta e perciò bussò solo di sfuggita, entrando senza aspettare alcun permesso. Vi trovò Ryan e Lear a dividere il letto, mezzi addormentati l'uno addosso all'altro. Rallentò il passo per non fare rumore e sospirò appena amareggiato a quella scena. Tutto sommato era riuscito ad accettare quel rapporto strano fra di loro e in un certo senso anche a venirci a patti, ma ogni tanto risultava ancora faticoso resistere di fronte a certe… scenette. Si avvicinò al bordo del letto e piano accarezzò una spalla a Lear.
"Amore... sono io, ehi... devi svegliarti. Tra poco visitano Ryan."
Il biondo aprì gli occhi e si alzò prontamente dal materasso, stropicciandosi la faccia. "Ma l'hanno già controllato un'ora fa..." biascicò e tranquillo cambiò subito spalla su cui poggiarsi, stringendosi ora ad Adrian, che pronto lo avvolse fra le braccia.
"Sì, c'è una cosa che non ti ho detto... anzi, visto che ti sei svegliato parlo direttamente con te..." disse, guardando anche Ryan adesso, "Mi sono permesso di contattare uno specialista che potrebbe fare al caso nostro."
Lear alzò di scatto la testa, gli occhi sbarrati. "Davvero hai fatto una cosa del genere? Ma è fantastico!"
"E che senso ha avere un altro parere, Adrian? Sappiamo tutti che non c'è più niente da fare." mormorò pacato Ryan dal materasso, girando la testa verso la finestra. "L'accanimento terapeutico non è nel mio stile."
"Che accidenti stai dicendo?" sbottò il biondo, scostandosi dalle braccia del fidanzato per fulminare il collega. "Non puoi sapere che cosa ti dirà! Chi è questo tizio? E' uno importante?" si voltò di nuovo a guardare Adrian, speranzoso. "Insomma, ha... non so, magari ha già trattato casi così? Possibile?"
"E' mio... mio fratello, veramente." spiegò calmo, mentre Lear lo fissava attonito. Adrian fece di finta di niente e ignorò quello sguardo. Sapeva di averlo lasciato senza parole, specie per tutto ciò che nei mesi precedenti gli aveva confessato su se stesso e suo fratello. Lear era perfettamente a conoscenza di tutti gli screzi e dei trascorsi rancorosi fra loro, perciò doveva essere stupito da questa sua buona azione. Forse un po' troppo, in effetti.
"Tuo fratello?" Ryan si voltò, guardandolo perplesso ma leggermente incuriosito, e Adrian fu proprio lì per rispondergli e spiegargli quando l'oggetto di discussione varcò la soglia della stanza.
"Sembra proprio che sia io, infatti." Dante entrò in stanza, camminando spavaldo e raggiungendo Ryan. "Buongiorno, signor Ross..." sorrise piano, mostrando un'adorabile fossetta comune anche al fratello. "Sono il dottor Dante Murray."
"B-buongiorno..."
"Come va la testa oggi?"
"Fa meno male di ieri, ma pare che sia l'ultimo dei problemi l'emicrania post-intervento..." Dante sorrise ancora divertito, sotto gli occhi sempre più stupiti di Lear, lo sguardo rassegnato di Adrian e quello improvvisamente speranzoso di Aaron.
"Questo è vero. Ma non sono venuto fin qui per una vacanza, bensì per offrirle una rosa di possibilità, signor Ross... anzi, posso chiamarti Ryan?"
"Come vuole lei, dottore..."
"... per te Dante..." sorrise di nuovo, 'stavolta più apertamente, e di istinto l'ormai ex-poliziotto ricambiò il suo ghigno sfacciato con uno appena divertito.
"Ok."
"Bene, allora sarò molto rapido e chiaro con te… ma se non capisci qualcosa o hai domande fermami. Va bene?" Ryan annuì appena, confuso da quella fotocopia di Adrian così, paradossalmente, diversa. "Vedi, Ryan, tu hai delle gravissime lesioni al midollo spinale che come ben sai ti hanno paralizzato dalla vita…" fece una piccola pausa, scoprendolo dalle coperte con un movimento secco e toccandolo con le dita all’altezza della cintola. "… in giù."
"Non so cosa ti abbiano detto altri colleghi e francamente nemmeno voglio saperlo. In dieci anni di carriera mi sono passati fra le mani ragazzi che venivano dati per spacciati a causa di un tumore al cervello fin troppo rischiosi da operare e che ora hanno una vita perfettamente normale. Situazioni molto da Grey’s Anatomy, no?" rise appena. "In ogni caso, ognuno ha le sue opinioni e io credo solo alle mie generalmente." Lo fissò deciso, temerario, nemmeno fosse da solo a parlare allo specchio con se stesso. "Nel tuo caso ci sarebbe poco da fare, ma voglio provarle tutte e perciò ti propongo una lunga, dolorosa e sperimentale terapia a cui ho lavorato negli ultimi tre anni. Ho intenzione di stimolare il midollo spinale – e dunque il tuo sistema nervoso centrale – con impulsi elettrici. Farà male e farà schifo, ma potrebbe funzionare e potrebbe riparare le tue lesioni… che secondo le mie teorie non sono permanenti." sorrise bonario. "Tutto chiaro fin qui?"
Un altro cenno d’assenso gli diede il permesso di andare avanti, ma fu interrotto dalla voce attonita di Adrian. "Dante, tu… vuoi ripristinare la plasticità cerebrale e del tessuto nervoso…"
"Oh, vedo che hai fatto i compiti a casa." sbottò acido, perdendo immediatamente la gentilezza che aveva sino a quel momento rivolto a Ryan. "E’ una ricerca non ancora pubblicata, ma le regole stupide che soffocano la ricerca americana qui non ci sono… e nessuno in questa stanza vuole lasciare questo bel ragazzo a marcire su una sedia rotelle, giusto?" Non attese risposta e tornò a guardare Ryan. "Per evitare che questo accada, quindi, prima ancora di sottoporti all’elettrostimolazione del midollo, voglio operarti e sistemarti la spina dorsale con una protesi. E’ un intervento delicato e sì, prevede, a conti fatti, molti rischi." Dante abbassò appena lo sguardo e notò la mano di Ryan tremare come una foglia. Lento, allora, avvicinò le dita e gliela strinse morbido. "Ascoltami, eviterò di raccontarti di quanto sono bravo e di quante scoperte belle e fantastiche io abbia fatto, perché sono assolutamente certo che non te ne importi un accidente." Rafforzò la stretta. "Non sei costretto ad accettare, ma se mi dirai di sì, se ti affiderai a me, posso solo giurarti qui e ora, davanti a queste tre persone, che farò qualsiasi cosa sia in mio potere per non farti soffrire ulteriormente. E’ il mio dovere di medico ed è il mio dovere di uomo."
In stanza calò il silenzio alla fine del discorso, ma nemmeno per un istante Dante osò distogliere lo  sguardo dagli occhi dorati, e spaventati, di Ryan.
"I-io…" balbettò, senza parole.
"… non devi decidere adesso, ovviamente. Hai già subito un’operazione molto pesante ed è comunque il caso di non farti affaticare troppo. Naturalmente ti opererei solo fra qualche giorno, al massimo una settimana, e…"
"Facciamolo, Dante." decretò all’improvviso Ryan, tuonando con la voce scura e interrompendolo. Il medico sorrise, mentre le loro mani ancora si stringevano per combattere la tremarella, forse, di entrambi.
"Sicuro?"
"Certo che sono sicuro. Non ho la minima intenzione di avere una vita da disabile e poter anche solo passeggiare sarebbe già un grande risultato."
"Io non punto al farti passeggiare. Nel lungo periodo, il mio obiettivo è farti anche correre, nuotare… fare sesso tranquillamente, perché no…" ghignò appena e Ryan ricambiò il sorriso. "Insomma, cose così. Parliamo di un anno di riabilitazione, ma ne vale la pena, no?"
"Assolutamente sì."
"Ok! A questo punto…" e lasciò la mano dell’altro per allontanarsi dal letto. "Andrò a parlare col primario di neurochirurgia e organizzerò il tutto. Dopodiché andrò in albergo a farmi una dormita: il jet leg mi sta uccidendo. "
"Grazie, Dante." gli disse Ryan, riafferrandolo per il rolex al polso e cercando il suo sguardo. Strategicamente, Dante non si voltò, ma sorrise fra sé e sé, lanciando un’occhiata serena al suo nuovo paziente e allontanandosi verso la porta.
"Allora ci vediamo domani. Buon riposo!"
"D-Dante, ehi! Aspetta!" lo chiamò Adrian, ancora vicino a uno scioccato Lear. "Volevo presentar…"
"Non mi interessa adesso la tua nuova fiamma. Ne riparliamo domani, ora ho sonno." tagliò corto lui e se ne andò via, superando Aaron e chiudendosi la porta alle spalle. Adrian sospirò, esasperato sino alla punta dei capelli, e guardò prima il proprio compagno e poi Ryan.
"Mi dispiace… l-lui… è così. E’ un tipo un po’ strano, ma è seriamente un genio e una persona molto affidabile, credetemi." lo giustificò mortificato, mentre Lear scuoteva la testa.
"Rimane comunque un idiota…" disse il biondo. "Dev’essere una cosa di famiglia! Anche se in effetti ha sfatato il mito…" buttò lì, accomodandosi al bordo del letto.
"Quale mito?" chiese Adrian perplesso.
"Che non ci fosse uno più cretino di te, amore mio." spiegò guardandolo innocente.
"Grazie, eh…" spostò gli occhi verso la porta e vide Aaron uscire dalla stanza per lasciarli da soli e tranquilli dopo aver monitorato la situazione. Non disse nulla, Adrian, e trattenne un sospiro innervosito nel guardare Ryan e Lear scambiarsi i soliti sguardi silenziosi. Una fitta di gelosia lo colse, l’ennesima di mille e di molte altre in futuro, ma anche qui, non disse nulla. "Vi lascio soli, ragazzi." biascicò svelto e senza attendere risposta alcuna sparì. Di sicuro non aveva voglia di vederli in quei loro assurdi momenti di intimità e in generale aveva altro da fare: andare a cercare suo fratello e cominciare a chiarire determinate questioni. D’altronde, ed era forse arrivato il momento di ammetterlo, la responsabilità di un rapporto talmente deteriorato era anche sua. Aveva permesso a Dante di fare i suoi capricci senza controllo e quelle scenate davanti a chiunque, il menefreghismo e il narcisismo ormai giunti a livelli stellari erano il risultato anche dei suoi errori. Dopo sedici anni, ormai da trentaquattrenni, era arrivato il momento di fare pace, da bravi bambini quali sempre erano stati fino al giorno della loro litigata.

Rimasti ormai di nuovo in due in stanza, gli sguardi silenziosi lasciarono spazio alle parole. "Sei davvero sicuro di voler provarci?"
"Scheggia, non ho la minima intenzione di crepare su una sedia a rotelle." Lear sospirò, stendendosi e appoggiandosi al suo petto.
"E se andasse male l’intervento? E se poi quel cretino di Dante stesse solo dicendo cazzate?"
"Allora a quel punto lo manderemo al diavolo insieme e tu gli prenderai a calci quel suo culo perfetto."
"Ryan!!" sbottò scioccato Lear alzando la testa di scatto.
"Non gridare, mi fa male la testa…"
"Chi se ne frega. Hai tecnicamente commentato il culo di Adrian!"
"No no, sono completamente diversi…"
"E tu che ne sai?"
"Sono paralitico, non cieco."
Cosa? Lear lo guardò ormai completamente senza parole. Da quando era iniziata quella giornata non era riuscito a capacitarsi praticamente di niente e la cosa era davvero ironica. Paradossalmente l’orrore e la paura di nemmeno due giorni prima sembravano già essere scomparsi.
"Tu guardi il culo del mio quasi marito?"
"Io guardo i culi di tutti quelli che mi pare… il tuo per primo." ridacchiò e anche Lear rise, ritornando con la guancia sul suo petto, rilassato nel sentire il cuore della sua "certezza necessaria" battere indomito e la risata di Ryan ancora nelle orecchie. Rimasero in silenzio e mentre pigramente il moro accarezzava appena un braccio di Lear, in una coccola tranquilla e quasi meccanica, un pensiero gli balenò in testa.
"Lee… ?" lo chiamò piano.
"Vuoi sapere anche com’è il davanti, di Adrian, oltre che il retro?" ipotizzò, senza lasciarlo finire.
Ryan sbuffò. "No, idiota!" Il biondo alzò la testa ridendo e si morse un labbro.
"Dimmi, dai…"
"Puoi cercare su Google Dante?"

****

Per quanto Lear non facesse altro che ripetere quanto cretino e antipatico fosse Dante, dopo aver superato con successo l’operazione, Ryan non aveva alcun interesse a sentirne parlare male. La riabilitazione era faticosa e quella dannata elettrostimolazione faceva male tanto quanto le pene dell’inferno. Però funzionava¸ed era l’unica campana che voleva ascoltare in quel momento. Certo, erano stati necessari due mesi prima di poter vedere significativi risultati, ma quando dopo sette settimane Ryan si ritrovò incredibilmente a muovere un’intera gamba, a stento trattenne le lacrime di gioia. Per tutto quel tempo aveva fatto finta di essere in grado di sopportare l’idea di rimanere paralitico a trent’anni, di perdere la sua vita, i suoi sogni, il suo futuro, la carriera. Era un pensiero profondamente doloroso che però aveva deciso di rinchiudere in un angolino della sua mente, decidendo piuttosto di concentrarsi sulle effettive possibilità di guarigioni, di rimanere lucido. Per se stesso e anche per Lear.
Ma quella mattina, la mattina in cui aveva mosso la sua gamba sinistra, Ryan aveva raggiunto nuove consapevolezze di vita. I limiti umani gli apparvero più chiari e si sentì improvvisamente minuscolo e fragile di fronte a Dante, che si era adoperato per ridargli una vita, e di fronte a se stesso nel vedersi così stranamente indifeso.
Lear era a lavoro in quel momento e lui… no, lui non era solo – sarebbe stata una menzogna affermarlo. C’era in effetti un’altra persona costantemente al suo fianco, quel giorno come tutti gli altri, e costei altri non era che Dante. Non c’era stato momento in cui non lo avesse visto lì sempre con lui, a supervisionare ogni visita, ogni controllo, ogni esame. Col passare dei giorni, qualche domanda cominciò a sorgere, ovviamente. Anzi, si poteva benissimo dire che Ryan non avesse fatto altro che domandarsi quale motivo ci fosse in realtà dietro tanta accuratezza medica. Stentava francamente a credere che trattasse con tutto quel riguardo chiunque e proprio questa consapevolezza lo rendeva ancora più confuso di prima.
"Non c’è niente di male se ti commuovi, Ryan… è un progresso straordinario in così poco tempo, fai bene a sfogarti…" lo consolò proprio il dottore incriminato, seduto sul bordo del letto con in mano la gamba sinistra, quella viva. Il poliziotto lo guardò di profilo, strofinando appena un occhio arrossato e poi si passò le dita fra i corti capelli neri, della cui ricrescita fortunatamente non poteva lamentarsi. Almeno quelli non lo deludevano mai.
"Lo so, ma… ma… quello che mi è successo mi ha fatto… sai…" balbettò, senza trovare le parole adatte.
"Ridimensionare tutto, giusto?" suggerì Dante e Ryan annuì, sospirando. Sentirsi compreso così bene da qualcuno che non era Lear era buffo, improbabile. Quasi una castroneria da raccontare, forse. Eppure non era altro che la verità… e come tutte le verità, era incredibilmente assurda.
"Sì…" confermò Ryan sospirando e fissandosi le gambe sul letto. Notò di aver perso un po’ di tono muscolare e la gamba che aveva mentalmente denominato ‘viva’ gli sembrò più piccola del dovuto fra le mani da chirurgo di Dante.
"E’ un bell’anello…" commentò Ryan, notandone uno sull’anulare sinistro, e aggrottando stranamente le sopracciglia per una fitta di fastidio nell’osservarne la posizione su quelle lunghe falangi.
"Grazie. Ci tengo molto." rispose l’altro, concentrato nel massaggiare il muscolo appena sforzato.
"Una fidanzata?"
"No."
"Un fidanzato?"
Dante rise. "No."
"Regalo di mamma?"
"Fuochino…" Ryan sorrise divertito e si sistemò il cuscino dietro la schiena.
"Mh… regalo di papà, allora."
"Nope!" obiettò l’altro, sfoderando uno sfacciato accento americano. "Me l’ha comprato quello stupido di mio fratello… per i nostri diciotto anni." spiegò pacato, terminando il massaggio e sfilandoselo per rimirarlo. "Adrian è sempre stato un tipo molto teatrale, non so se l’hai notato…"
"Ci puoi scommettere che me ne sia accorto." sbottò e un’altra risatina di Dante finì per contagiare anche il poliziotto.
"Beh, in sostanza me lo ha regalato dicendomi che avrei dovuto darlo a chi…" e rise di nuovo, scuotendo la testa. "Diciamo a una persona importante, ecco. Una che mi facesse venir voglia di lasciargli qualcosa di mio."
Ryan lo fissò attento e dritto negli occhi neri: identici a quelli di Adrian e così estremamente differenti da lasciarlo ogni volta sempre più stupito.
"E’ una cosa molto melensa che sembra uscita da un libro auto pubblicato su Amazon…" continuò Dante facendo scoppiare a ridere Ryan. "Ma lo porto ancora. In ricordo dei vecchi tempi e come portafortuna."
"Immagino che l’averlo ancora significhi che non hai ancora trovato qualcuno a cui valesse la pena darlo…" disse, una volta ripreso fiato dalla risata di prima.
"Non necessariamente. Può darsi abbia trovato qualcuno di interessante, ma, ed è difficile crederlo considerando quanto sono narcisista, forse non ho trovato il coraggio." rispose alzando gli occhi dal gioiello e piantandoglieli addosso come due chiodi. Buffo dire una cosa del genere, ma il suo sguardo fece quasi rumore nel silenzio intenso che era improvvisamente calato fra di loro.
Dal suo canto Ryan si ritrovava senza parole. Un po’ perché non era mai stato un grande oratore, un po’ perché era, inutile negarlo, straordinariamente affascinato da quello strano dottore e un po’ perché nell’angolino della sua mente dove aveva deciso di rinchiudere le paure per la sua condizione fisica onde evitare la depressione totale, c’era anche una parola a tre lettere impressa, dolorosamente, a fuoco: Sam.
"Sai, Ryan…" cominciò quasi mellifluo, socchiudendo gli occhi già affilati di loro e facendo deglutire il poliziotto.
"Sì?" chiese, ostentando e fingendo una tranquillità che non sentiva più sua ormai da due mesi a quella parte.
"Forse questo anello ha il suo perché anche dopo tutti questi anni…"

"… dici?"
Dante sorrise piegando la testa, lasciando che il ciuffo più lungo dei suoi capelli finisse su un occhio, e di istinto Ryan sollevò una mano per spostargli la ciocca di capelli nel posto di prima. Gli scoprì così il volto e si ritrasse per osservarlo meglio. L’altro naturalmente lo lasciò fare, assolutamente immobile e, a giudicare dall’aria compiaciuta dipinta sul bel viso, tutt’altro che sorpreso. Oh, se lo aspettava¸pensò Ryan. Uno yankee manipolatore proprio come Adrian.
In ogni caso Dante non rispose alla domanda di prima e non diede ulteriori spiegazioni sul perché quell’anello avesse ancora un senso. Probabilmente però lo avrebbe fatto, se Ryan avesse insistito. O se, ad esempio, Lear non avesse spalancato incurante la porta con le lacrime agli occhi.
"Ryan…!" lo chiamò, con voce lamentosa, raggiungendo l’altro lato del letto e sedendosi anche lui al bordo. Circondato da due dei suoi più grandi problemi, Ross decise di ignorare quello prettamente e inquietantemente amoroso e di risolvere rapidamente un altro che comunque non si differenziava poi così tanto dal primo: Lear. Si voltò verso il biondo, allora, interrompendo quell’ambiguo contatto visivo, e non solo, col dottore.
"Che è successo, scheggia?" domandò paziente, accarezzandogli una guancia quasi nello stesso modo con cui aveva sfiorato il viso di Dante, poco prima. Proprio quest’ultimo, nel frattempo, si era alzato dal letto e si era avviato alla porta in silenzio, intento a dar loro spazio.
"Ho fatto una cazzata… una gigante intendo. I-io… Adrian si infurierà, oddio!" esclamò, sospirando e scuotendo la testa come un ragazzino. Ryan lo guardò preoccupato e con la coda dell’occhio gli parve di notare che anche Dante si era voltato al sentir nominare il nome del fratello, fermandosi dall’andar via.
"Perché dovrebbe? Che hai combinato?"
"E’ per Etienne…" mormorò e Ryan si appoggiò esausto ai cuscini. Oh, quello era un altro gigantesco problema con cui se avesse potuto non avrebbe voluto mai avere a che fare. Tuttavia non poteva negare che ascoltare le paturnie di Lear lo aiutava a distrarsi durante la giornata e soprattutto durante le sedute con l’elettricità, per cui se le teneva ben care, tutte quelle lagne. Specie quelle riguardanti Etienne.
Ma chi era Etienne? Un bambino, ecco chi era. Piccolo, minuscolo, cinquenne, biondo, occhi verdi e ricoverato nel reparto pediatrico di neurochirurgia. Sostanzialmente a un paio di corridoi di distanza dalla camera di Ryan. Cosa c’entrasse con Lear non era poi così difficile da spiegare, ovviamente.
Nel corso di quei mesi, infatti, quel reparto era diventato un po’ una seconda casa per Lear vista la quantità esagerata di tempo che vi passava per assisterlo di giorno e, quando poteva, anche di notte. In assenza della sorella gemella Angel Ross – costretta a star dietro all’azienda di famiglia che aveva sede a Liverpool – Lear risultava essere, a conti fatti, la cosa più vicina a una famiglia che si trovasse a Londra per il collega. Ad Adrian questo non andava giù – probabilmente tutto l’ospedale aveva già udito almeno una delle loro trenta litigate fatte nel corso di quei mesi –, ma la situazione era quella che era... e c’era ben poco da fare, insomma.
Ritornando al discorso iniziale, tuttavia, si potrebbe forse dire ovvio che Lear, aspettandolo sempre fuori da ogni stanza per ogni esame e ogni visita, avrebbe finito per fare la conoscenza dei pazienti più abitudinari di quell’ala dell’ospedale. Uno di questi, insomma, era proprio Etienne. Quel diavolo in miniatura, infatti, tendeva a darsi alla fuga ogni due per tre, trascinandosi dietro anche la sua mini flebo come fosse un appendiabiti invece che un medicinale costoso. Ricoverato lì per un neuroblastoma, lo stesso specialista che aveva dato Ryan per spacciato, era però riuscito a operare quella forza della natura e a rimetterlo in piedi meravigliosamente. Beh, probabilmente il merito era stato più del bambino che suo, ma quello era tutt’altro discorso.
Farlo sopravvivere, però, fu anche l’inizio di un capitolo molto particolare per Lear, bello e brutto allo stesso tempo, poiché in lui, dall’esatto istante in cui Etienne decise di aggrapparsi la prima volta alla sua gamba, cominciò a nascere un viscerale istinto paterno.
"Che è successo con Etienne?" chiese.
"I-io… ho parlato col suo assistente sociale. Con Kyle, sai. Quello che ha gli occhi azzurri e quel bel faccino." Ryan annuì. Non avrebbe mai dimenticato due occhi come quelli di quel tipo. Dopotutto, gli occhi da cerbiatto erano notoriamente la sua Waterloo. "Ecco, lui… lui ha detto che se ero così tanto interessato a Etienne, avrei potuto prendere un appuntamento con lui e i suoi colleghi e cominciare a ipotizzare un possibile affidamento…" spiegò a capo chino.
"Ti prego, dimmi che non gli hai detto sì…"
Lear rialzò il viso e lo guardò colpevole annuendo e facendo sbuffare il collega.
"Dio, Lear… non ne avevate già parlato tu e l’assistente sociale? Non puoi adottare solo Etienne, c’è anche Christopher, il suo gemello, non puoi fare di testa tua e non puoi separarli."
"E infatti non voglio! Io voglio avere entrambi! Voglio dar loro una famiglia! Io e Adrian siamo dei perfetti candidati, Kyle me lo avrà ripetuto mille volte! Adri è un medico e con quello che ha avuto Etienne è un’ottima cosa averne uno in casa… siamo un’ottima coppia!"
"Lee…"
"Che male c’è? Io adoro i bambini, tu lo sai."
"Sì, lo so, ma adorare i bambini e averne due piccoli all’improvviso è un altro paio di maniche."
"Ma…"
"E Adrian? Che cosa aspetti a parlargli di tutto quello che stai combinando? Non sa niente. Ha il diritto di sapere che vuoi adottare dei bambini… non siete nemmeno sposati, ti rendi conto di questo?"
Lear sospirò pesantemente, passando le mani fra i capelli. "Me ne rendo conto, Ryan. Credimi. Mi sento in colpa, ma sinora non sono ancora riuscito a trovare il coraggio di parlargli di tutto quello che succede quando vengo da te. Lui è convinto che io stia sempre qui con te, notte e giorno e non fa altro che lamentarsi di questo, ma io…"
"Lear, glielo devi dire. Adesso." tagliò corto Ryan, sollevando gli occhi e incontrando quelli di Dante, fermo ancora sull’uscio a braccia conserte. Si osservarono e il poliziotto poté ben dire di vederlo infuriato. Era bello pure così, osservò.
"… se c’è una cosa che Adrian odia…" cominciò piano proprio il dottore, "E’ quando gli si mente. Credevo che Katherine ti avesse insegnato le conseguenze del prenderlo per il culo, Lear." affermò duro e freddo, guardando la schiena di Lear tremare appena a quelle parole. "Evidentemente non ti interessa nemmeno che sia finito con l’implorare me, dopo tutto quello che è successo fra di noi e che sono sicuro tu conosci bene, di venire qui in Inghilterra per il tuo amico. Solo e soltanto per far felice te."
Finalmente Lear si girò a guardare Dante, mordendosi un labbro.
"Ed evidentemente non hai nemmeno fatto caso al mio restare qui." continuò, implacabile. "Ho deciso di seguire il caso di Ryan qui a Londra sino alla fine perché lui e la sua guarigione mi stanno a cuore. Voglio che si rimetta in piedi, che recuperi la percentuale maggiore di capacità motoria e che torni a essere un sano trentenne. E per far ciò ho messo in stop la mia carriera in America..."
"Non credo proprio che ti abbia chiesto Adrian una cosa del genere…" lo interruppe a bassa voce Lear, senza staccare nemmeno un secondo gli occhi da lui. "Forse sei tu ad avere altri piani qui a Londra." insinuò.
"No, è vero, lui non mi ha chiesto di rimanere a seguire Ryan. Ma è lui che ha insistito col pagare la maggior parte delle mie spese qui, per non farmi dilapidare un patrimonio mentre sono qui a lavorare letteralmente pro-bono. Forse dovresti parlare con lui dei vostri conti famigliari, sai, prima di ipotizzare l’arrivo di due bambini. Con un mutuo, l’ipoteca sulla casa e quella sul suo BMW da centomila sterline che tanto adora la vedo un po’ ardua, sai? Incredibile come in due mesi si possano perdere la maggior parte dei risparmi di una vita…" sputò acido, sbattendo in tavola la realtà nuda e cruda.
"Ma… che cavolo stai dicendo?" disse allibito Lear, alzandosi dal letto e andandogli vicino a occhi sbarrati.
"La verità, ovvio." chiarì Dante e senza peli sulla lingua concluse il suo discorso. "Tutto questo perché tu hai ridotto i turni per essere qui da Ryan o da quel bambino… credi che Adrian sia un pozzo senza fondo? Oppure che gli basti sorridere per pagare la casa con giardino e in centro che ti piace tanto? Il salario minimo da poliziotto senza straordinari fa schifo, a quanto pare."
Il silenzio cadde in stanza e Dante spostò lo sguardo sul suo paziente, allibito tanto quando il collega. "’Stasera passo a visitarti di nuovo. Riposati bene, Ryan, domani faremo una lunga sessione." E se ne andò.
Rimasti soli Lear si girò a guardare il collega, ancora senza fiato per quello che gli era stato appena detto. "N-non… posso crederci…" mormorò.
"Lee, i soldi non sono un problema, lo sai… ti basta andare a casa mia e portarmi il carnet. Non importa la cifra…"
"Non è quello il punto, Ryan!"
"E allora qual è, sentiamo."
Il biondo crollò sul letto, prendendosi il viso fra le mani. "Il punto è che ho una paura fottuta di fare la fine di Katherine, ecco cosa. Ho tirato troppo la corda, esattamente come lei…"
"Con lei era un altro discorso, lo sai anche tu. Adrian è omosessuale, sposarsi con una donna era una solo una panacea temporanea." gli fece notare.
"Voleva sposarsi con me, Ryan, e non ha potuto! E ok, è stato lui stesso a proporre di annullare il tutto visto le tue condizioni, ma… anche lui è tanto infelice adesso e… abbiamo smesso di parlarci, di essere una coppia, di lavorare come una squadra." chinò il capo, con gli occhioni verdi colmi di lacrime. "Come posso anche solo sperare di essere un buon padre se non riesco nemmeno a stare dietro a mio marito?"



   
 
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