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Autore: Dira_    23/07/2014    7 recensioni
Sono trascorsi cinque anni da quando Al, Tom e Lily hanno messo fine alla vicenda terribile che ha segnato la loro adolescenza. Grazie al mondo fuori da Hogwarts sembrano essersi lasciato tutto alle spalle. Chi è un promettente tirocinante, chi si è dedicato alla ricerca e chi, incredibilmente, studia.
Un'indagine trans-continentale, il ritorno di un vecchio, complicato amico e una nuova minaccia per il Mondo Magico li porteranno ad affrontare questioni irrisolte.
"Perchè quando succede qualcosa ci siete sempre di mezzo voi tre?"
Crescere, per un Potter-Weasley, vuol dire anche questo.
[Seguito di Ab Umbra Lumen]
Genere: Azione, Introspettivo, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Albus Severus Potter, James Sirius Potter, Lily Luna Potter, Nuovo personaggio, Scorpius Malfoy
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
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- Questa storia fa parte della serie 'Doppelgaenger's Saga'
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Capitolo XLIII




 
Li dovevi vedere quando si ritrovavano dopo le guerre del cuore;
lui l'accarezzava sulla guancia e l'universo non contava più un cazzo
(Charles Bukowski)
 
Lancashire, Castello dei Prince.
Sera.
 
Sören aveva desiderato rimaner solo per poter avere Johannes alla sua mercé. Ci era riuscito, alla fine.
Solo adesso stava cominciando a realizzare quanto quel suo desiderio fosse una lama a doppio taglio.
Poter avere tra le mani Johannes e farsi giustizia era allettante, eppure, mentre percorreva stanze pericolanti di un castello diroccato, si rendeva conto di avere paura.
Per se stesso, per l’eventualità di perdere in uno scontro con il bastardo, per gli altri, che erano rimasti da soli ad affrontare gli Infetti.
L’adrenalina che l’aveva colto nella metropolitana settimane prima c’era ancora eppure non era la stessa.
Non è la stessa perché adesso hai qualcosa da perdere. Da perdere davvero, a parte te stesso.
Un futuro. Per la prima volta in vita sua si rendeva conto di avere un futuro. Con Lily, che lo aspettava e gli aveva fatto promettere di tornare tutto intero.
La posta in gioco si è alzata.
Alzò la bacchetta per illuminare l’ambiente ignoto che stava percorrendo: non vi erano mobili o arredo che potessero fargli capire in che sezione del maniero si trovasse.
Forse una delle sale da pranzo al piano terra?
Intravide i resti di un lampadario schiantati a terra, dove i piedi crepitavano tra frammenti di vetro e quello che pareva cristallo.
Si era perso e aveva perso Johannes.
Strinse le labbra; non poteva esser scappato, non con l’intero perimetro coperto dai Tiratori Scelti
di rinforzo agli Auror. Sarebbe stato un suicidio esporsi tanto e neppure le sue capacità di trasformismo avrebbero potuto evitargli la cattura.
Non puoi scappare stavolta. Neppure tu.
Percepì con la coda dell’occhio un movimento, il frusciare di una veste. Era abbastanza perché avesse un bersaglio a cui puntare.
“Mostrati e getta a terra la bacchetta!”
È un mago, visto che abbiamo appurato che gli Elfi Domestici non sono compresi nell’equazione.
Chiunque fosse dietro quello che appariva come un vecchio piano sfondato non si mosse. Eppure era lì, percepiva una flebile traccia di magia, inconfondibile: era umana.
“Non mi ripeterò una seconda volta.”  
Stavolta l’ombra si alzò, vestita con un mantello che ne celava le forme e sesso. Poteva essere chiunque, poteva essere Johannes. “La bacchetta.” Ripeté calmo, nonostante sentisse sudore gelido scorrergli lungo la schiena.
È lui … non lo è?
Si era appena trasformato in Elfo Domestico, e non sarebbe stato strano vederlo nelle vesti di qualcos’altro.  
La bacchetta venne lanciata a terra, e la prese con un Accio che gliela fece schizzare in mano: non la riconosceva, era intarsiata e impreziosita con pietre che alla luce del Lumos brillarono come di luce propria.    
“Chi sei?”
Era forse un altro infetto, scappato dal laboratorio?

No, impossibile, o mi avrebbe già attaccato.
Il mago o la strega – ma quest’ultima pareva l’ipotesi più probabile giacché quello era senza dubbio un legno forgiato a gusto femminile – fece un passo in avanti, ma non rispose. Come lui, pareva studiarlo. “Chi sei?” Gli domandò una voce di donna che lo gelò sul posto.
Non avrebbe mai potuto dimenticare, nemmeno dopo anni in terra americana i suoni del suo paese.
Questa donna parla tedesco.
… No, è un trucco. È un trucco di Johannes.
Eliminò la distanza che li separava e la afferrò per un polso facendola lamentare sorpresa. La pelle era morbida, e la stoffa che stringeva era sottile, setosa, ricca.
Se pensi di ingannarmi con un trucco da due soldi ti sbagli, Johannes.” Sibilò in tedesco, sentendosi il petto gonfiare di rabbia. Non quello, non avrebbe dovuto permettersi di fingersi sua madre. Le puntò la bacchetta alla gola, ignorando il sussulto che ne conseguì. “Finite Incantatem.” L’avrebbe smascherato, gli avrebbe fatto assumere il suo vero aspetto, quello di un vecchio vizioso e maligno e poi l’avrebbe sradicato dalla faccia del pianeta come meritava.
Non successe nulla.
La donna rimase sempre donna, e alla luce tenue della luna – filtrava tra le finestre rotte  e disegnava ombre e contorni sulle cose, anche sui lineamenti – la riconobbe.
Erano più di dieci anni che non vedeva quel viso e vi erano rughe in più, occhi più grandi e sgomenti.
Ma era impossibile non riconoscere la propria madre.
 
****
 
“Ma sono immortali!?”
La voce di Bobby lo colse di sorpresa, dato che non aveva la minima idea di dove si trovasse l’amico

James si sentiva nel bel mezzo di una guerra, vera e propria, con lampi di incantesimi che facevano baluginare la sala buia, grida e rumore di esplosioni.
“Semmai invincibili!” Puntualizzò Scorpius lanciando un incantesimo che buttò gambe all’aria un paio di Infetti, salvo farli tornare sui loro piedi in pochi attimi.
Era come con il sergente Flannery, tutto da capo.
Solo che sono raddoppiati, triplicati … decupla … al diavolo!
Mandò a schiantarsi uno dei pochi scaffali ancora superstiti su un paio di streghe a cui non avrebbe dato un falcio per la resistenza. Riemersero dalle schegge di vetro mugghiando come Erinni.
“Ci stanno facendo a pezzi!” Ringhiò l’americana, nascosta come lui dietro una serie di mobili rovesciati. Non avevano potuto far altro che ergere barricate contro quelli che, a conti fatti, erano diventati mostri di magia e furia. Riparati, erano riusciti a portare in salvo gli agenti feriti, tra cui il Sergente Stump che aveva perso i sensi per una brutta botta alla testa.
Non riusciamo neanche a curarli … o capire se siano vivi. Merda!
Era un inferno, e la squadra principale non arrivava. Avevano provato a mandare qualcuno ad avvertirli, ma da quando Prince era uscito nessuno era più riuscito ad arrivare alla porta, non con le proprie gambe almeno.
Lanciato contro però sì. Cazzo!  
Si asciugò il sudore che gli colava dal viso e lo trovò mischiato al sangue; chissà da quale ferita proveniva.
Finita questa fottuta baraonda sarò tutto un dolore.
Se ne esco vivo.
Sentì il peso di Malfoy quasi crollargli addosso. Per avvicinarsi a carponi era inciampato nell’ennesimo cumulo di detriti. Era troppo concentrato a non morire per farglielo notare. “Potty, idee?” Ansimò con una faccia che, alla luce della luna, sembrava peggiore della sua.
“Non sei tu quello brillante?” Rispose a denti stretti: la bacchetta gli bolliva tra le dita come legno lasciato troppo tempo sotto le ceneri. Avrebbe avuto delle vesciche pazzesche il giorno dopo.
L’amico scosse la testa, con un sorriso teso. “Non riesco a pensare quando tentano di ammazzarmi così vigorosame…” Le parole furono troncate dall’ennesimo incantesimo che sfrecciò sopra le loro teste, mandando in pezzi parte del muro dietro di loro.
La sua esperienza di ristrutturazione nella casa di Hogsmeade lo fece pregare che non fosse un muro portante.
“In quanti siamo rimasti?” Chiese mentre Bobby e Ama passavano alla controffensiva assieme ad altri Auror. Tre, quattro? Sperava di più.
“Mezza dozzina, forse? Il Sergente Stump è andato, e così metà della sua squadra.” Scorpius si massaggiò la sella del naso come se volesse farsi uscire un’idea.
Sarebbe tutto più semplice se potessimo farli fuori e basta.
Ma quella gente era innocente dietro la malattia e l’Imperius: erano come il sergente Flannery, madri e padri di famiglia, persone oneste che avevano avuto la sfortuna di essere ingannati da John Doe.
Era tutto fottutamente difficile.
Era in quei momenti che capiva quanto ancora dovesse imparare come Auror: l’adrenalina gli permetteva di restare vivo, ma poco altro. La mente vorticava in mille piani, ma nessuno era abbastanza geniale da funzionare.
Non con quei demoni.
“Siamo rimasti noi pivelli. Grandioso.” Vedendo l’espressione spaventata dell’amico, per la prima volta senza l’ombra di un sorriso o una battuta in bocca, si sentì in colpa. E poi ebbe un’idea. “… un Patronus. Malfuretto, possiamo mandare un Patronus alla squadra principale!”
“Ci avevo già pensato, ma non riesco a concentrarmi abbastanza da lanciarne uno.” Serrò le labbra. “E comunque sai che sono una schiappa. Mi hanno quasi rimandato all’esame.”
Gillespie!” Urlò in direzione dell’americana. A quel punto i titoli servivano a poco. Non servivano a nulla quando si era ad un passo dal cadere dietro al Velo. “Come te la cavi con l’Incanto Patronus?”
La strega si voltò a metà di una contro maledizione, i capelli leonini che vorticavano impazziti. Era una furia ed era felicissimo di averla trai piedi. “Perché?”
“Li usiamo come messaggeri per l’altra squadra!”
La strega annuì. “Datemi il tempo di crearne uno.”
“Fuoco di copertura!” Esclamò al resto degli Auror. Dovevano dare il tempo alla ragazza di estraniarsi, di svuotare la mente e di pensare ad un ricordo felice.

Mica facile, cazzo.
Era difficile farlo quando fuori infuriava l’inferno eppure dalla bacchetta della Gillespie nel giro di pochi minuti in cui gli Infetti avanzarono sin troppo – dannazione, anche la mancanza di una bacchetta ormai faceva la differenza – uscì un filo argentato che si trasformò in quello che sembrava un grosso gatto dalle orecchie appuntite. La strega gli sussurrò qualche parola e poi il felino balzò fuori dalle barricate.
Fuori dalle barricate e a portata degli Infetti e dei loro incantesimi.
No!
Ama non fece in tempo a capire l’errore e richiamarlo che una serie di lampi, di un viola cupo che non aveva mai visto, lo fecero a pezzi facendolo dissolvere in una nube di fumo argentato.
“Merda!” Esclamò, perché a quel punto salvare la faccia da bravo ragazzo era inutile. Manco l’aveva mai avuta poi.
“Si nutrono di magia … e un Patronus è la magia più pura e potente che ci sia.” Mormorò Scorpius sempre più pallido. Ormai sembrava un fantasma, uno di quelli che percorrevano le aule di Hogwarts. “… siamo fottuti.”
Non siamo fottuti.” Lo redarguì con una spallata. Per fortuna Bobby e gli altri auror erano troppo presi a contrattaccare per ascoltarli. “Con tutto il casino che stiamo facendo ci troveranno, dobbiamo solo resistere!”

“No. Possiamo ancora neutralizzarli.” La faccia della Gillespie pareva quella di una fiera in procinto di divorare un incauto bracconiere. Anche i suoi incantesimi continuavano ad essere potenti e precisi, senza vacillare per la fatica.
Non avrebbe voluto per niente al mondo trovarsi dal lato sbagliato della sua bacchetta.

Seguì la direzione del suo sguardo e vide le gabbie. “Bella pensata yankee, ma come miseriaccia facciamo a farceli entrare?” Sbottò spedendo l’ennesima fattura che si dissolse come fumo di focolare. Ogni volta che provava a buttarne giù uno o la barriera che li avvolgeva inglobava la magia o quello si rialzava come niente fosse. Era folle. “Non so se hai notato, ma riusciamo a malapena a farli restare dove sono!”
“La magia.” La Gillespie guardò verso Malfoy. “Il Patronus ha attirato la loro attenzione, no? Ci si sono avventati tutti. Dobbiamo distrarli con quelli. Li useremo come esche!”

“Ho capito!” Esclamò il biondo. “Ce li facciamo entrare, come un topo e il forma…”
Non era il momento per chiacchierare, e James se ne accorse troppo tardi. La barricata di mobili e calcinacci che avevano costruito fu fatta esplodere, spedendoli in giro come birilli. Si alzò e quello che vide dietro la foschia delle macerie gli fece gelare il sangue nelle vene.

Scorpius era sulla linea di tiro degli Infetti, senza niente dietro cui nascondersi. Non ci pensò due volte. “Copritemi!” Urlò sperando che in tutto quel casino le sue urla fossero state ascoltate. Fece appena in tempo ad afferrare l’amico e tirarlo dietro di sé che si sentì colpire. Il fuoco di copertura non era arrivato in tempo.
Sì, ora sono proprio fottuto.
Lo pensò con lucidità assoluta, mentre veniva scaraventato dal lato opposto della parete. Sentì le urla dei compagni e poi un dolore atroce a metà del corpo. Non volle guardare: chiuse gli occhi per il terrore di trovarsi spaccato a metà.
Fu solo quando sentì di nuovo miliardi di lame trapassargli la parte destra mentre Scorpius lo afferrava da sotto le braccia e lo portava di nuovo dietro quello che restava delle barricate che tirò un sospiro di sollievo misto ad un ringhio. Stava patendo i dolori dell’inferno, ma voleva dire che era ancora tutto intero.
Vero?
“Gli hanno congelato metà del corpo…” Udì l’altro sussurrare spaventato. “James, ehi, James! Non osare…”
“Non fare il coglione Malfuretto, sono vivo!” Gracchiò con un filo di voce per rassicurarlo e rassicurarsi. “Non pensate a me. Il piano … pensate al piano!”

Il Sergente Gillespie, con lui fuori dai giochi, tirò fuori l’indole dittatoriale che doveva avere in patria. Per fortuna. “Malfoy, Jordan, a noi i Patronus.” Li apostrofò prima di rivolgersi ai restanti Auror. “Voi due, respingete gli attacchi e tu crea una barriera di fronte alle gabbie. Non dobbiamo farglieli distruggere, dobbiamo farglieli desiderare.”
In gamba, la tipa.

Lo pensò con la testa che diventava sempre più leggera. Non poteva schiattare in modo così stupido.
Speravo almeno in combattimento all’ultima fattura.
… anzi, non lo speravo affatto.
Non voleva morire: non quando aveva Teddy che lo aspettava a casa, tra le sue pergamene e tazze di the … non quando aveva Ben a cui aveva promesso di insegnare a giocare a Sparaschiocco.
‘Fanculo.
Non ebbe tempo di spaventarsi sul serio però. Percepì qualcosa di bollente cadergli addosso come una coperta. Era una giacca: la giacca di Malfuretto che non stava eseguendo gli ordini.
“Il Patronus … idiota!” Farfugliò mentre l’altro gliela premeva addosso. Vi aveva apposto qualche incantesimo Riscaldante. L’idiota.

“Non ci riesco con te che stai congelando a morte, demente di un Potty!” Sbottò senza degnarlo di uno sguardo, gli occhi fissi sulla forma argentea che stava tentando di creare. “Sei il mio testimone, non azzardarti a morire!”
“Fa’ il tuo dovere allora e tira fuori il pavone così ce ne torniamo a casa…” Borbottò sforzandosi di restare sveglio. Gli sembrava si dovesse fare così in quei casi. Tremava, e non sapeva se era un buon segno.

Scorpius gli rivolse un sorriso tirato. “Tirar fuori il pavone … È una fantastica battuta sconcia, devo segnarmela.” Fece una pausa. “Ti riporto a casa, James. Te lo giuro.”
Gli sorrise di rimando e chiuse gli occhi: gli credeva, ma era meglio facessero in fretta. Quel posto pareva aver voglia di candidarsi come loro tomba.
 
****
 
“Tracce di John Doe?”
“Nessuna Sergente.”
Ron tirò un profondo sospiro di scoramento non appena l’auror che gli aveva portato l’ennesima, pessima notizia si fu allontanato.

John Doe aveva preso il volo. Di nuovo.
E ora chi lo dice ad Harry? O ad Ama?
Lanciò un’occhiata ai Mercemaghi catturati, legati a doppia fune e messi in sicurezza dai suoi auror: nessun membro di quella teppa aveva la minima idea di dove fosse l’uomo che li aveva pagati. E gli credeva dato che il tipo riusciva a mantenersi perennemente fuori dai radar proprio perché non aveva legami o contatti diretti che potevano tradirlo. Erano solo riusciti a capire che era uscito dal castello.
Neppure i Tiratori Scelti lo hanno visto.  
Non era la prima volta che succedeva e non avrebbe dovuto stupirsene, pensò amaro; se c’era una cosa che quel figlio di Megera riusciva a fare era proprio levarsi dai piedi in fretta e senza lasciare tracce dietro di sé.
Qualcuno deve averlo avvertito che saremo venuti.
Non c’era altra spiegazione per il fallimento dell’operazione: Harry aveva ragione, c’era una talpa nel Dipartimento.
O ancor peggio, nell’ufficio.
Squadrò uno ad uno i suoi uomini: maghi e streghe capaci, che aveva imparato a conoscere e stimare negli anni. Ci avrebbe scommetto la propria bacchetta, nessuno di loro poteva essere il traditore.
Allora chi? Forse dall’ufficio americano?
Si passò una mano trai capelli e raggiunse l’addetto alle comunicazioni. “Peterson, sei riuscito a contattare le squadre di appoggio?”
L’auror in questione scosse la testa, chino a terra ad attizzare con la bacchetta un Focolare Portatile, ben più preciso di uno Specchio Comunicante in quelle situazioni. “Nossignore. Ma devono essere le barriere residue del castello … C’è magia secolare qui, manda in tilt il segnale.” 
Ovviamente quando una cosa andava male, poteva andare peggio: poco dopo l’inizio dell’operazione avevano perso i contatti con la squadra di James e quella di Artemisia.
Non abbiamo idea di dove siano.
Si trovavano di fronte ad un crollo che gli impediva di andare avanti, e gli uomini che aveva mandato a seguire le orme delle due squadre li stavano ancora cercando.
Questo posto è enorme. E pericolante. Ed è notte.
“Dove diavolo sono finiti…” Mormorò a mezza bocca, percorrendo il cortile in cui erano riparati come una   belva in gabbia. Del resto era così che si sentiva.
Perché non hanno mandato un segnale  … un Patronus?
“Da quanto abbiamo perso i contatti?”
Peterson guardò l’orologio da taschino. “Un’ora.”
“Miseriaccia.” Sbottò. “Torno dentro.” Si rivolse ai suoi auror con più esperienza. “Young, Bhatt, voi venite con me. Gli altri rimangono qui con i Mercemaghi.”
“Sergente, se chiama il Capitano Smith dei Tiratori cosa diciamo? Vuole un rapporto ogni dieci minuti.” Gli fece notare Peterson.

Già. Quel coglione paranoico. Ci fosse una volta che fa il suo lavoro senza aprire bocca …
“Se vi contatta prima del mio ritorno ditegli di continuare a mantenere le posizioni attorno al perimetro. Non ce ne andiamo se non tutti assieme.”
Rientrarono nel complesso, bacchette accese in un Lumos e pronte all’uso: non si sarebbe mai perdonato se James o qualcuno dei ragazzi fosse finito in un lettino del San Mungo a combattere la stessa cosa che stava mangiando vivo Liam.
Non avremo dovuto portarli qui.
Anche se era il loro caso e avevano il diritto di effettuare l’arresto più di chiunque altro. Era più forte di lui, non riusciva a considerare James, Bobby e quel cretinetto di Scorpius come uomini fatti e pronti a rischiare la vita per il Ministero.
E non è una colpa.
Immerso nei propri pensieri non dimenticava però ciò che aveva attorno a sé. Fu con i riflessi che aveva sviluppato quando ancora doveva crescergli la barba – che infanzia del cazzo che aveva avuto, a ben pensarci – che percepì un rumore di fronte a sé. Fermò appena in tempo la bacchetta facile di Young afferrandogli un braccio. “Chi c’è?”
“Prince.” Gli rispose la voce ormai nota del mocciosetto lugubre. Pochi attimi dopo il suddetto uscì dall’ombra tenendo per un braccio qualcuno. Sembrava una strega dalla corporatura.
Dannato buio.
“L’hai preso?” Gli domandò, che la speranza era davvero l’ultima a morire.
“No.” Gli rispose. “La squadra ha bisogno d’aiuto, hanno trovato il laboratorio e gli Infetti, ma sono sotto Imperius e fuori controllo. Li hanno attaccati.”
I suoi peggiori sospetti si erano avverati. Non c’era tempo da perdere. “Young, torna indietro a prendere rinforzi. Dov’è il laboratorio?”

“Posso portarvici. Dovete prendere in custodia lei però.” Fece fare un passo avanti alla donna, che non aveva ancora aperto bocca. Doveva essere poco più giovane di lui, e pareva una nobildonna, di quelle con cui presto, purtroppo, si sarebbe imparentato.
Ignorò ulteriori deprimenti pensieri. “Chi è?”
Prince serrò le labbra in un espressione vuota che gli ricordò tremendamente cinque anni prima. O il Professor Piton, a scelta. “Mia madre.”
“… Cosa?”

“È mia madre.” Ripeté piatto. “Sophia Von Hohenheim. Non sa dove sia John Doe.” Lo anticipò. “L’ho interrogata, ma non ha aperto bocca da quando l’ho trovata.”
Troppo sbigottito per trovar qualcosa da dire fece un cenno muto a Bhatt di prenderla in consegna. Fu quando rimasero soli che ritrovò la parola. C’era troppo da chiedere. “Dove l’hai trovata?”
“Si stava nascondendo. Immagino che abbia perso chi doveva condurla fuori dal castello … C’erano tracce di uno scontro.”
“Sì, siamo stati noi.” Confermò. “Perché non sei con il tuo sergente?”
Che era quella la domanda importante. Non era mai stato d’accordo, sin dal principio, con l’inserire il tedesco nella squadra di indagine a farlo curiosare in giro. Era stato un sollievo quando era stato sollevato dall’incarico, guarda un po’, proprio perché troppo coinvolto.
Non era stato affatto contento né d’accordo quando Harry gli aveva ordinato di tirarselo dietro.
E infatti, eccolo da solo, a girare per il castello senza che nessuno lo controlli.
Sono l’unico a ricordarsi che ci ha preso in giro per mesi cinque anni fa?
Il ragazzo non si scompose, anche se era certo di aver usato un tono da interrogatorio. “John Doe ci ha attirati nel laboratorio Trasformandosi in un Folletto. Appena ce ne siamo resi conto gli sono corso dietro … su ordine del Sergente Gillespie.” Aggiunse perché era un piccolo stronzetto furbo e paraculo. Ne era certo, non doveva averci pensato due volte a levarsi dai piedi quando gli Infetti si erano palesati. “Ho perso John Doe, ma ho scovato lei.”
“Sei sicuro non si tratti di un ennesimo travestimento?”

“Ho usato il Finite Incantatem. Sono sicuro.”
“In che direzione è scappato?”

Da come stava serrando le labbra stava cominciando ad innervosirsi. L’aveva sempre sospettato, dietro l’aria da soldatino era un tipetto nervoso. “Non sono riuscito a capirlo.” Rispose. “Il castello è buio, e lo conosce meglio di me. Non sono riuscito a raggiungerlo in tempo per capirlo. Ho seguito un corridoio fino ad una diramazione … poi ho capito di averlo perso.”
“E tua madre non ha detto niente di utile?”
“Come ho detto, non ha aperto bocca.”
“Ritrova suo figlio dopo dieci anni, che la cattura e la disarma e neppure è sorpresa?”  
Prince gli piantò di colpo gli occhi addosso. Bingo. “Mi sta accusando di qualcosa?”
“No.” Rispose con un mezzo sorriso. “Mi stavo solo facendo qualche domanda sulla dinamica con cui ti sei separato dalla squadra … Mi pareva che i tuoi ordini fossero altri.”
Stava trattenendo la collera, glielo leggeva nell’espressione e nella postura contratta. Eppure quando parlò lo fece con tutta la calma del mondo. Quel ragazzino aveva troppo autocontrollo per il suo bene. “Seguo gli ordini che mi vengono dati. Il Sergente mi ha ordinato di inseguire John Doe e così ho fatto. Potrà chiederle conferma quando la troveremo.”
“Lo spero.” Frecciò e per un attimo pensò che il giovane l’avrebbe davvero colpito da come lo guardò. Si tenne la curiosità perché Young tornò con i rinforzi.
“Portaci al laboratorio.”
“Comandi.” Prince chinò la testa, docile come mai sarebbe stato davvero, perché mai Ron Weasley si sarebbe fidato di chi aveva già tradito una volta.
Il Mannaro perde il pelo, ma poi lo ritrova. Sempre.
 
****

Diagon Alley, Casa di Al e Tom.

Thomas era la persona con il sonno più leggero che conoscesse. A dirla tutta i suoi cicli di sonno assomigliavano più ad un coma vigile che non ad un comodo viaggio tra le braccia di Morfeo.

Non era qualcosa che gli aveva mai dato fastidio però; era bello avere qualcuno che riusciva a sentire il minimo cambiamento nel tuo respiro e svegliarti prima di un brutto incubo.
Il rovescio della medaglia era che non riusciva a lasciare la stanza senza che l’altro se ne accorgesse. Aveva davvero cercato di far piano mentre Appellava i vestiti. Aveva addirittura tentato di Insonorizzare la stanza prima di ricordare che non sarebbe servito a nulla, perché erano entrambi dentro.
“Che stai facendo?”
Aveva tentato, sul serio. Al, con il camice infilato per metà e i capelli che avevano ancora la forma del cuscino, sospirò. “Dormi, Tom … non è niente.”
“Ti stai vestendo. È qualcosa. Che succede?” Nella penombra della stanza, fiocamente illuminata dai lampioni della strada, il compagno si alzò a sedere. L’ombra delle tende disegnava forme geometriche sulla sua pelle. A costo di sembrare la solita ragazzina emotiva, il momento in cui era più bello era proprio la notte.

Solo quando dorme però.
“Mi hanno chiamato dal San Mungo.” Ammise. “È arrivato un carico di Infetti e degli auror feriti.”
“Il blitz.”
“Già.”
“Contagiati?”
“Non lo so.”
“John Doe? L’hanno catturato?”
“Non ne ho idea. Non so neanche come stanno Jamie e gli altri.” Tagliò corto perché era stato svegliato da una chiamata via Specchio Comunicante che non gli aveva neanche lasciato tempo di rendersi conto di cosa stava succedendo.  

Comunque scoprirò tutto una volta arrivato.
“Posso esserti d’aiuto?”
Gli sorrise. Tom stava già cercando i vestiti con lo sguardo.
“No, si tratta di lavoro stavolta.”
Il compagno annuì e si fermò, perché in quel caso non c’era molto da aggiungere: quelli erano mondi che avevano separato per scelta voluta.  
“Ci vediamo domattina.” Lo raggiunse e si chinò per baciarlo. Era caldo di coperte e di sonno come mai lo era durante la giornata. Avrebbe dovuto essere appiccicato a lui, non in piedi e con lo stomaco ridotto ad un nodo ansioso.

Agli Inferi me e la mia indole da crocerossina. Non potevo fare il giocatore di Quidditch?
“Ricordati di dare da mangiare a Zorba … e di tollerare il resto della truppa.” Venne ricompensato con un borbottio poco impegnativo. “Ti chiamo se ci sono novità, okay?”
“Ovvio.”
Sospirò prendendo lo zaino e mettendoselo in spalla. Non lo guardò una seconda volta, perché gli sarebbe bastata per chiedergli di aspettarlo sveglio, o ancora peggio, chiedergli di aspettarlo in sala di attesa per confortarlo quando tutto sarebbe finito.
Avrò bisogno di parlare con qualcuno, dopo stanotte.

Uscì fuori dalla camera tenendo le scarpe in mano e per poco non sbatté contro Lily. Lily, che era sveglia, già vestita e con la faccia determinata di chi non si sarebbe fatto dire no.
Agh. Perché i miei genitori non hanno deciso per un figlio solo?
Me ovviamente.
“Non ti porto con me.” Esordì prima che potesse aprire bocca. “Psicomaga.” La indicò. “Guaritore.” Si indicò. “E comunque non ti hanno chiamato.”
“Chi te l’ha detto?”
Si sarebbe messo le mani nei capelli. “Sei al primo anno di Psicomagia! Perché mai dovrebbero chiamare una streghetta ancora sui banchi di scuola?”
Lily boccheggiò per qualche istante, ma non si arrese.

E quando mai.
“Non hai un fiocco rosso in testa, piantala di pavoneggiarti.” Disse con presunzione del tutto insensata.
“Non ho vinto un premio, sciocca, mi hanno chiamato perché sono reperibile ventiquattro ore su ventiquattro!” Non aveva tempo di subire le bizze di sua sorella. La capiva, ma se non metteva una parete divisoria tra Al Il Fratello e Potter il Guaritore rischiava di impazzire di preoccupazione.
Lily dovette intuire qualcosa perché esitò. Solo un secondo però, quello necessario a cambiare strategia d’attacco. “Potreste avere bisogno del mio aiuto. Con gli Infetti, o con gli auror … C’è gente che è stata tenuta prigioniera per settimane!”
“Ci saranno altre Psicomaghe e molto più esperte di te.”
“Sören sarà là.” Si arrese infine. “Non riesco a stare qui ad aspettare che mi faccia sapere se è ancora vivo … Perché lo conosco, sarà in totale assetto da guerra e se ne ricorderà domattina, quando glielo farà notare Milo.” Si morse un labbro con un’ apprensione così sincera che sentì tutte le sue idee sul giusto distacco finire nel gabinetto. “Non ce la faccio ad aspettare, okay?”

Sospirò. Il sottotesto era chiaro: l’avrebbe seguito comunque, a costo di placcarlo all’ultimo momento durante la Smaterializzazione con conseguenze che variavano dal grave al raccapricciante.
“Te ne starai in disparte.” La ammonì ignorando il sorrisone che gli rivolse. Non si sarebbe abbassato a ricambiarlo. “E sia chiaro … se Sören è ferito te ne starai buona ad aspettare in sala d’aspetto che venga curato. Niente scene madri! E soprattutto non ti farai vedere da papà o zio Ron … mi ucciderebbero!”
Alzò gli occhi al cielo. “Ma per chi mi hai preso?”

“Per l’insopportabile strega che sei … avanti, aggrappati a me. Ci Smaterializziamo.”
Lo abbracciò stretto e quanto avrebbe voluta prenderla a coppini. “Grazie Al!”

“Fa’ silenzio.” Sbuffò passandole un braccio attorno alla vita e sfilando la bacchetta dalla tasca del camice. “O vuoi che venga con noi l’altra metà della casa?”
Senso di compressione, stomaco rivoltato come un vecchio calzino e si trovarono nel vicolo male illuminato e in odor di spazzatura decomposta che ospitava l’entrata del San Mungo.
“Bleah.” Lily fece una smorfia. “Allora è passata quella direttiva di cui parlava zio Percy sul rendere il vicolo ancora più schifoso.”
“Se tiene lontano i Babbani tanto meglio … con il casino che è successo con Liam e la mancanza di magia avevamo attirato troppa attenzione.” Si coprì il naso con la manica del camice. “Ma è orrendo, già.”

Entrarono dentro, in un insolitamente quieto triage. Gli Auror e gli infetti dovevano già essere stati portati su. “Io vado.” Le disse. “Se Sören è qui te lo mando, va bene? Se hai domande falle a lui.”
“E se non è qui?”
“Scopro dov’è e vengo a dirtelo. E a informarti di tutto il resto.” Le promise, perché al di là dell’irritazione era una cosa che doveva fare come fratello. E come Potter-Weasley.
Lily gli fece un piccolo sorriso di ringraziamento e finalmente obbedì, allontanandosi in direzione delle poltroncine per le lunghe attese.
“Ci vediamo dopo.” La salutò prima di incamminarsi verso gli ascensori. Attaccò il cartellino che lo identificava come Allievo Guaritore di Lesioni alla tasca del camice ed inspirò; era il suo turno di entrare in azione.
 
*****
 
San Mungo, Reparto Lesioni da Incantesimo.
Notte.

 
E pensare che era il giorno del suo compleanno.
Harry si sentiva derubato di qualcosa: erano passati decenni da quando passava quella notte insonne a sognare una vita migliore.
Non sono più abituato a passare il mio compleanno in modo orrendo.
Non sono nel sottoscala dei Dursley, ma comunque…

“C’è una talpa Harry.” Ron stava parlando ed era suo dovere dargli attenzione. Sopratutto perché erano nel bel mezzo di un corridoio del San Mungo e metà dei suoi uomini erano riversi su lettini d’ospedale.
Compreso Jamie.
Serrò le labbra, accennando ad un assenso verso l’amico. “Chi era a conoscenza del blitz?”
“Le tre squadre, i Tiratori Scelti … Ama. Un bel po’ di gente. Ma non tanta.” L’amico scosse la testa, il l’uniforme d’assalto bruciata e strappata in più punti e un brutto taglio alla guancia che aveva bisogno d’attenzioni. Aveva l’aria di reggersi in piedi per pura forza di volontà ma non poteva ancora ordinargli – perché solo in quel modo gli avrebbe dato retta – di tornare a casa.
“Controlleremo i conti bancari di ogni agente, uno per uno. Dobbiamo sapere chi ha fatto cosa in questi ultimi due mesi … e anche quelli precedenti, se possibile. A questo punto non possiamo più permetterci di esitare o temere la stampa. Contatterò gli Indicibili io stesso domani mattina.” Mormorò mentre un paio di Guaritori gli sfilavano davanti con aria indaffarata. Non li fermò solo perché aveva già saputo ciò che gli premeva: James si era beccato una brutta Fattura Congelante ma se la sarebbe cavata.
“Vogliamo davvero farli entrare a casa nostra?” Lo riscosse Ron. “Harry, sono delle spine nel fianco!”
“È quello di cui abbiamo bisogno al momento.” C’era un motivo per cui il mago medio non era a conoscenza del vero lavoro svolto da quella task-force che non rispondeva a nessuno se non al Ministro. L’ufficio Misteri in cui alloggiavano era solo una copertura. Erano gli Affari Interni, coloro che guardavano i guardiani.

La polizia della polizia.
Se c’era una talpa nel Dipartimento, erano gli unici a poterla scoprire.
“C’è stata una fuga di informazioni Ron, l’hai detto tu stesso …” Aggiunse in tono più conciliante vedendo l’amico rabbuiarsi. “John Doe sapeva che sareste arrivati e vi ha fatto trovare il comitato di benvenuto.”
“Ci ha quasi massacrati.” Convenne rabbioso. “Siamo riusciti a neutralizzare gli Infetti a fatica … e tutto quello che abbiamo ottenuto è una strega che non parla.”

“La madre di Sören.” Annuì. Fu stupito nel vederlo fare una nuova smorfia, con l’espressione che aveva quando qualcosa lo angustiava. “… Cosa?”
Ron si guardò attorno e nonostante fossero soli  lo prese per un braccio e lo portò praticamente in un angolo. “Forse non c’è bisogno degli Indicibili.”
“Cioè?”

“Prince.” Disse soltanto. “Si è comportato in modo strano per tutta l’operazione.”
“In che senso?”

“Si è allontanato dalla squadra di James e dal suo Sergente proprio durante l’attacco degli Infetti … se n’è andato a spasso per il castello e poi è ricomparso dal nulla portandosi dietro sua madre. Per almeno un’ora non ha dato traccia di sé.”
Harry scrutò l’espressione dell’amico. Prince non gli era mai piaciuto per ovvi motivi, ma erano passati i tempi in cui il risentimento aveva la meglio sul giudizio di entrambi. Quindi Ron parlava con cognizione di causa. E non sembrava neanche particolarmente felice di farlo. “Pensi che sia la talpa.” Lo disse come un dato di fatto, e non aveva davvero idea di come sentirsi in merito: aveva dato fiducia al ragazzo, perché gli era sembrato meritevole nonostante il suo passato e i suoi errori.

Si era sbagliato?
“Non lo so Harry … ma ha avuto a che fare con John Doe due volte ed entrambe le volte se l’è lasciato sfuggire. Ha fatto carte false per partecipare alle indagini e poi al blitz…”
“Questo è perché vuole catturarlo. È il caso della sua vita, come lo era per Ama abbattere la Thule.” Gli fece notare. Non poteva arrendersi all’impulso spiccio di voler trovare il colpevole ad ogni costo.

Anche se sarebbe stato così facile.
Non l’hai mai davvero perdonato per aver ferito i tuoi ragazzi. 
Oltre a volerlo ontano un Oceano ora che sua figlia aveva deciso di invaghirsi di lui. Di nuovo.
Siamo tornati a cinque anni fa?
“Forse.” Concesse Ron. “Ascolta, non mi piace dubitare del tuo giudizio, okay? Ci hai sempre preso con le persone, è un po’ il tuo talento speciale … ma quel ragazzino ha passato più di metà della sua vita come un Von Hohenheim, è uno della loro razza. Non puoi cancellare la famiglia come non puoi toglierti sangue dalle vene. Può anche volersi vendicare di John Doe … ma sua madre?”
“Quindi anche Ama ha sbagliato a giudicarlo?”
Ron alzò le mani in un gesto di esasperazione. “Non ne ho idea! So solo quello che ho visto … e quello che ho visto, come mi ha risposto, non mi è piaciuto. Tutto qui.”
Tutto qui un corno.
Si passò una mano sul viso, esausto. E non aveva combattuto nessuna battaglia quella notte.
C’è tipo e tipo di battaglia. Avrei preferito combattere quella al castello.
“Parlerò con Ama.” Non poteva far altro del resto, anche legalmente parlando. “Per il momento tieni i sospetti per te, d’accordo?”
“Gli terrò gli occhi addosso.”
“Va bene.” Acconsentì. “Ma non esagerare … non possiamo rischiare di perdere la talpa perché stiamo seguendo la strada sbagliata.”

Ron annuì, dandogli una pacca sulla spalla. “Vado a vedere come stanno i miei ragazzi.”
“Poi vattene a casa.” Tentò di ordinargli salvo vedersi comprensibilmente ignorato: Ron non se ne sarebbe andato finché non fosse stato certo che ogni singolo agente avrebbe passato la notte.  

Fece appena in tempo a sedersi su una delle scomode sedie lungo il corridoio per tentare di raccogliere i pensieri che vide arrivare Albus. Giusto, lavorava lì e doveva esser stato richiamato per dare una mano.
“Buon compleanno papà.” Gli sorrise allungandogli un sacchetto da cui proveniva un paradisiaco odore di caffè e muffin. “Mi hanno detto che eri qua … e che probabilmente non ti eri neanche fermato per prendere un caffè.”

“Grazie figliolo.” Ricambiò con calore: in quei piccoli gesti mai sbandierati Albus gli ricordava Ginny come una goccia d’acqua. “Notizie di James? Scorpius?”
“Nulla di nuovo rispetto a quello che già ti devono aver detto sotto minaccia.” Scherzò. “A Scorpius hanno curato un polso slogato e l’hanno mandato a casa. James dorme, è stabile. Se tutto va bene entro domani lo dimettiamo.” Guardò fuori dalla finestra come a ricordare che c’era un mondo intero dietro quelle stanze e quei lettini. “Hai avvertito Teddy?”
“Gli ho detto di rimanere con Benedetta, sarà più utile domattina quando Jamie si sveglierà a pretenderà di essere dimesso.” Ridacchiarono entrambi. “Sai qualcosa degli … Infetti?” Gli sembrava sempre crudele riferirsi a quei maghi e quelle streghe innocenti con un termine così dispregiativo.
Anche se affidandosi alle mani di John Doe in un certo senso se lo sono meritato.
Il figlio annuì. “Li hanno portati giù a Malattie Infettive. Li hanno messi in stasi, tolto l’Imperius. Almeno saranno al sicuro.” Abbozzò una mezza smorfia. “Devo andare papà, ho Smethwyck sul collo.”
“Non preoccuparti, va’ a fare il tuo lavoro.” Gli fece un cenno di saluto e lo guardò allontanarsi lungo il corridoio, con il passo rapido ed efficiente che contraddistingueva tutti i Guaritori. Ormai i suoi ragazzi erano maghi fatti. Si ferivano, curavano e stavano in piedi nel cuore della notte a reggere sulle spalle l’intero Mondo Magico.

Almeno Lily è a casa a dormire…
 
****
 
Albus trovò Sören seduto nella rientranza di una delle finestre in corridoio. Se non l’avesse conosciuto avrebbe detto che stava tentando di nascondersi – male – da qualcuno.
“Ehi.” Lo salutò chiudendo la cartella con l’anamnesi di un tipo dal cognome difficile, bengalese forse, che faceva parte del carico di Infetti arrivato assieme agli auror e ai Medimaghi¹. La buona notizia è che molti di loro erano ad uno stadio iniziale del morbo.
Forse con loro riusciremo a lavorare ad una cura. Una efficace.
Sören alzò lo sguardo, quasi sorpreso di trovarlo lì. “Sei andato a farti visitare?” Gli domandò senza preamboli dato che aveva intuito la riluttanza che il tedesco provava a passare sotto la bacchetta di un Guaritore.
Odio chi minimizza i propri dolori. Sono peggio degli ipocondriaci.
Almeno i secondi non rischiano la vita.
“Sì.” Gli mostrò una striscia di Pomata Disinfettante sul viso. “Sto bene.”
“Lo vedo.” Gli batté la cartella sulla spalla, in un moto di gentilezza che sperò fosse ben accolto.

Non ebbe nessuna reazione. Forse era peggio “Stanno tutti bene.” Tentò di rassicurarlo allora: il senso di colpa degli illesi era un problema che a volte gli capitava di dover gestire. “Abbiamo rimandato a casa quasi tutti, va’ anche tu.”
“Sì, adesso vado.” Gli rispose con l’ovvia intenzione di non schiodarsi di un millimetro. Non era senso di colpa, indovinò, era prostrazione. Da quel che aveva sentito dagli auror, John Doe era scappato per un soffio, causa spiata di ignoti.

Io e Tom avevamo ragione … c’è una talpa. E grossa anche, ministeriale.
Era comprensibile il tormento e la frustrazione che doveva provare il mago di fronte a lui. Gli si sedette accanto: aveva ancora cinque minuti prima che Smethwyck venisse a pretendere la sua testa “Ne vuoi parlare?”
“C’è qualcosa che non ti hanno già detto?” Ironizzò con una cattiveria che non sentiva, da come gli scoccò un’occhiata di scuse subito dopo. “… no, Al, mi dispiace. Non ne ho voglia.”
“Nessun problema.” Tanto aveva una soluzione a portata di mano. Se l’era dovuta portare dietro.

Tanto vale usarla.
“Lily è venuta con me.” A questo finalmente una reazione arrivò. Rise dell’espressione sbalordita che gli venne rivolta. “Dai, la conosci … Pensavi ti avrebbe atteso per colazione?”
Scosse la testa. “In effetti no.”
“Va’ da lei. Hai bisogno di vedere una faccia amica, non di star qui ad arrovellarti il cervello. Per quello ci sarà tempo.” Ribadì con il suo miglior tono da Guaritore.

“Ti ringrazio.” Sören gli restituì un sorriso poco convinto, ma doveva essere il massimo che riusciva a fare. Era stata una nottataccia, per tutti. “La riporto subito a casa.” Aggiunse.
… e perché? Aaaah, giusto. Non ha idea che Lils mi ha spifferato tutto.
Una piccola soddisfazione come fratello maggiore in fondo se la poteva pure prendere. “Non c’è fretta … dubito che mia sorella ti lascerà andare prima di domani mattina.”
Sören gli restituì un’aria confusa, prima di capire e guardarlo atterrito. Non poté fare a meno di ridere. “Sta’ tranquillo, sono dalla vostra parte.” Lo rassicurò. “Hai visto con chi mi accompagno. Sarebbe un po’ ipocrita da parte mia farvi la morale.” Gli diede una pacca sulla spalla e fu certo che l’altro non saltò in aria solo perché si obbligò a non farlo.

Buoni riflessi. Gli serviranno con Jamie.
“Grazie. Conta molto per me, Albus.” Per un momento parve tornare il ragazzo impacciato che aveva conquistato le sue simpatie e non il soldatino gelido in cui si era rifugiato fino a quel momento.
Al.” Lo corresse. “Non discuto i suoi gusti in fatto di maghi … è reciproco, lei non lo fa con i miei.” Gli strizzò l’occhio a cui rispose con un debole sorriso: era proprio uno straccio.
Per fortuna non era un suo problema. “Dai, sparisci.” Scherzò spingendolo in direzione del corridoio.   
Era stata una lunga notte, ma non c’era da preoccuparsi: come ogni volta, sarebbe arrivata l’alba.
 
****
 
Aveva finito per sonnecchiare su una delle atroci poltrone della sala d’aspetto. Un tempo forse erano state comode, foderate di pelle ed imbottite, ma con il tempo e con l’uso avevano assunto forme improbabili e odori non proprio raccomandabili.
Come se fosse questo il problema…
Il fatto è che detestava dover aspettare come qualunque altro strega o mago che non era personale del San Mungo o, a dirla tutta, che non facesse Potter di cognome.
Non ci sono abituata, okay?
Avrebbe preso a calci Albus per non averla fatta entrare con lui, ma le regole erano regole.
E a volte si applicano anche a me.
Era in attesa quindi, ad occhi chiusi, di un rumore, un passo, una voce.
“Lily.”
Soprattutto se era quella del suo ragazzo. Ragazzo, perché Sören era quello ed era tutto. Punto. Si alzò di scatto a sedere, on il cuore in gola e felice anche solo di sentirlo parlare: voleva dire che stava bene, o che almeno non stava troppo male.

“Ehi.” Rispose dandogli una bella sbirciata complessiva: indossava l’uniforme da assalto degli auror o almeno, il corpetto.
Allora è stato in mezzo al casino.
Ed aveva anche la faccia di uno che ci si era zuppato ben bene. Ciocche di capelli sfuggivano dal solito elmo di brillantina che usava al lavoro e aveva il viso sporco di fuliggine e polvere. A completare il quadro aveva due tagli medicati, uno su un sopracciglio e l’altro sotto il mento.
Però è in piedi su due gambe e sveglio. Grazie Morgana, grazie Merlino.
Il sollievo le fece quasi salire i lacrimoni, ma era una Potter, era abituata a preoccuparsi che metà della propria famiglia fosse in fin di vita. Si riprese subito e si alzò in piedi. “Ciao Ren.” La mancanza di reazioni stava cominciando a farla preoccupare però. Non aveva fatto ancora mezzo passo per andarle incontro. “Albie ti ha detto che ero qui?”
“Sì.” Annuì. “Dovresti essere a …”
“… casa? No, non penso proprio. Sono rimasta a dormire da lui e Tom apposta!”

Sören produsse qualcosa che assomigliava grossomodo ad un sorriso. Meglio di niente. Poi cambiò di nuovo faccia, come se un velo l’avesse oscurata. “Tuo fratello è ricoverato.”
“Jamie?” Mantenne la calma perché questo le era sempre stato detto di fare. O almeno doveva provarci, ecco. “Che gli è successo?”

“Una Fattura Congelante … si rimetterà, lo tengono solo in osservazione. Non ci sono casi gravi … tranne gli Infetti.”
“Scommetto che si è buttato in prima linea come l’idiota che è.” Gli sorrise perché aveva l’impressione che sdrammatizzare non servisse solo a lei. “Non è la prima volta.”

Comunque perché non si era ancora avvicinato?
Oh, al diavolo.
Non gli chiese se stesse bene: era evidente non fosse così. Lo abbracciò stretto e respirò l’odore di fumo, sudore e polvere da sparo di cui era impregnata la sua uniforme.
Odore di auror.
Non le piaceva, perché le ricordava le notti passate insonni nel letto dei genitori e la paura di non vedere tornare a casa suo padre. Però c’era anche una punta di profumo, di quella colonia agrumata che significava solo Ren. Lo strinse ancora più forte e stavolta fu ricambiata. Lo sentì passarle le dita tra i capelli e baciarle la tempia e l’incavo del collo, inspirare ed espirare come aveva fatto lei. Aveva il respiro di troppe sigarette fumate in un’attesa ansiosa. C’era quindi una sola cosa da fare.
“Ti porto fuori di qui.” Decretò con il piglio di una vera donna Weasley.
Ho visto troppe volte mamma trascinare il sedere di papà via da qui per non avere buoni esempi.
“… è una buona idea.” Ammise.  
“Certo che lo è. Io ho solo buone idee.”
Stavolta lo fece proprio sorridere. Se tornava il sopracciglio alzato e l’aria scettica era un buon segno. “Solo buone idee?”
“Okay, idee favolose e qualcuna catastrofica. Ma tu concentrati sulle statistiche positive!” Lo prese per mano e Appellò il cardigan che si era buttata addosso non appena aveva sentito Albus muoversi per casa. Dall’abbondanza di buchi e dal colore non era quello con cui era arrivata.

Chi se ne frega.
Anche se indossava uno degli arredi cimiteriali con cui Meike si addobbava – ed era probabile - né a lei né a Ren importava. “Ce la fai a Smaterializzarti?”
Annuì, passandole un braccio attorno alla vita. “Andiamo in albergo da me?”
“Sì, è meglio, al Mulino mamma starà dormendo con un occhio aperto.” Convenne abbracciandolo un po’ più di quanto fosse necessario per la riuscita dell’incantesimo. Sören non ne fu dispiaciuto da come la strinse di rimando. Era stanco e sembrava portare davvero un macigno sulle spalle.
Ma che cavolo è successo?
Avrebbe voluto fargli un milione di domande, ma stette zitta: aveva tutta la notte per avere delle risposte. E per ingegnarsi a risolverle.
 
****
 
Piccadilly Circus, The Royal Inn.
Notte fonda.

 
 
Sören guardava senza vedere veramente l’acqua scorrere lungo lo scarico della doccia. Dovevano essere passati diversi minuti da quando si era spogliato infilandosi dentro, incoraggiato da Lily che l’aveva spinto dentro il bagno come un ragazzino recalcitrante.
Aveva fatto bene, se non fosse stato per lei sarebbe crollato sul letto senza togliersi neppure i vestiti.
Togliendosi del sapone dal viso chi chiese dove fosse finito Milo: quando si erano Materializzati nel bel mezzo del salotto che collegava la sua camera con quella dell’altro aveva trovato le luci spente e zero odore di erba Babbana.
Chissà dove diavolo è finito.
Era in grado di badare a sé stesso, la cosa non lo preoccupava. Quello che lo preoccupava era uscire dal bagno e trovarsi di fronte Lily e doverle spiegare; tutto, da sua madre al comportamento del Sergente Weasley, che l’aveva trattato come se la fuga di Doe fosse solo colpa sua.
Sospetta di me? 
Non sarebbe stato strano. C’era una talpa in uno dei due Dipartimenti, pensare a lui era la prima opzione per una mente già piena di pregiudizi.  
La voce di Lily lo strappò dalle sue cupe considerazioni. “Ren! Sei affogato?”
Si guardò le mani raggrinzite e il vapore acqueo che alleggiava ovunque come nebbia.
“Arrivo.” Le rispose chiudendo l’acqua e coprendosi con l’unica salvietta che vedeva a disposizione. Milo aveva la brutta abitudine di fregargli l’accappatoio per una delle sue decine di docce giornaliere.
Almeno è passato di qui stamattina.
Lily lo aspettava sul ciglio del letto con in mano un bicchiere di whiskey. “Solo per stavolta.” Spiego alla sua espressione sorpresa: aveva notato come non le piacesse vederlo bere tranne che in occasioni festive. “Ne abbiamo bisogno entrambi.” Aggiunse dando un piccolo sorso al suo bicchiere.
Sören lo afferrò, sedendolesi accanto e vuotandolo invece tutto di un fiato. Il calore e il bruciore che ne conseguì lo fece sentire meglio. Un po’ meno perso e un po’ meno solo.
Questo non dipende dal whiskey però.
Ma dalla ragazza che si era svegliata nel cuore della notte per correre da lui. “Tuo padre mi ucciderà per aver scombinato i tuoi cicli di sonno.”  
Lily fece spallucce. “Credimi, le mie alzatacce sono l’ultimo dei motivi per cui vorrà la tua testa.”
“… Cioè?”

“Aver attentato alla mia virtù.”
“La tua cosa?”
La vide sogghignare e suo malgrado ridacchiò. “Sei davvero scortese Prince, sono una ragazza perbene!” Lo punzecchiò sul fianco nudo, rendendogli manifesto come si fosse dimenticato di rivestirsi.

Forse avrebbe dovuto.
“No, vai benissimo così.” Lo anticipò Lily con una lunga occhiata che lo fece arrossire anche sotto l’asciugamano. “E poi, è mio diritto godermi i tuoi muscoli.”
Sören scosse la testa con un sorriso, perché stavano evitando di parlarle e andava bene, ma non sarebbe durata. “Stai meglio?” Gli chiese infatti accarezzandogli una mano.
“Una doccia rimette al mondo.”
“Del tutto?”

“No, non del tutto.”
“È andata tanto male?” Gli chiese facendo oscillare il liquido ambrato nel proprio bicchiere. Non doveva piacerle molto da come ci giocherellava. Tipico di Lily: gli faceva compagnia per non farlo sentire un beone.

La gratitudine che provava avrebbe potuto esprimerla in molti modi, e ben più piacevoli che sfogarsi con lei, ma sapeva che la sua ragazza – perché era la sua ragazza - non  l’avrebbe lasciato in pace finché non avesse avuto la certezza che era vuoto di cattivi pensieri. Così le raccontò tutto: dalla fuga di John Doe, dal suo inseguimento fino al ritrovamento di sua madre. Lasciò invece fuori i sospetti del Sergente Weasley perché l’ultima cosa che voleva in quel momento era darle un dispiacere o, ancor peggio, imbastire una discussione sull’idiozia o meno del parente.
“Merda.” Commentò quando ebbe finito. Si mise una mano sulle labbra con aria di scuse. “Cioè, volevo dire…”
“No, hai detto bene.” La fermò occhieggiando la bottiglia sul comodino: ne sentiva il richiamo ma di mezzo c’era una ragazza bellissima concentrata su di lui.

Per fortuna. “È stata presa in custodia dagli Auror e credo tradotta nelle celle del Ministero in attesa di essere interrogata. Francamente, non penso aprirà bocca.”
“Perché?”

“Perché non l’ha fatto al castello e non lo farà adesso … o domattina.”
“Useranno il Veritaserum … credo che…”
“Mia madre è stata cresciuta nella paura di mio zio, come me. Se vuole, sa portarsi un segreto nella tomba. E il Veritaserum può essere combattuto da una mente caparbia … E di certo lo è, se è riuscita a sparire dai radar del Mondo Magico e da quelli di mio zio per anni. Se gli auror la sottovalutano rischiano di prendere un granchio.” Si passò una mano trai capelli umidi e la tenne per un po’ lì, a rinfrescarsi. Essendo quella mano se la sentiva bollente. Era la magia a bollirgli nelle vene, quieta ma arrabbiata. Come lui.

“Tutte queste cose gliele hai dette?”
A tuo zio Ron che mi pensa in combutta con lei? O a tuo padre che vuole farmi la pelle?

Soffocò una smorfia sarcastica perché aveva di fronte una LeNa fin troppo abituata ai suoi mascheramenti. “Glielo dirò.”
Magari a Scorpius. Se le cose vengono da lui le accetteranno.
Lily si morse un labbro. Aveva capito che la direzione che il discorso stava prendendo non gli piaceva, ma fosse mai che mollasse l’osso. Battere il ferro finché era caldo era un po’ la sua specialità. E forse il suo maggior difetto. “Forse potresti dar loro una mano …”
“Non prenderò parte agli interrogatori. Non credo me lo lascerebbero fare … e comunque non voglio. Non voglio più vederla.”  
“È tua madre.”
Non è mia madre. Non lo è mai stata, e non lo diventerà adesso!” Era stanco e arrabbiato e non riuscì ad evitare di scostarsi dalle carezze come un cane rabbioso e sbottare.

Lily non diede segno di essersela presa per il suo scatto. Per avere una nomea di testa calda era incredibilmente paziente quando si trattava di moderare le crisi di collera altrui.
Come riusciva a rimanere arrabbiato con una che non gli dava il minimo spago? Si risedette guardando nelle profondità del bicchiere vuoto. “Mi rendo conto che non è morta … ma preferirei che lo fosse.” Si sfogò. “Almeno non dovrei affrontare l’ennesimo parente che attenta al Mondo Magico infangando tutto quello per cui ho lavorato.” Continuava a vedere la faccia diffidente di Weasley come se l’avesse stampata nelle retine. Sei come loro. “Sta rovinando tutto. Lei e John Doe stanno rovinando tutto.” Strinse il vetro tra le dita ed era un passo da farlo crepare. Magari romperlo l’avrebbe fatto sentire meglio. Meglio di avere un groppo alla gola ed aver voglia di piangere dall’umiliazione.
Lily non disse niente, sporgendosi invece a baciargli la guancia. Chiuse gli occhi voltando la testa e facendo collidere un po’ goffamente le labbra sulle sue. Non era importante. Con Lily poteva anche togliere l’uniforme e la voglia di essere perfetto.
Le passò il pollice sulla guancia liscia, lungo il profilo del collo. Il cuore le batteva come quello di un uccellino. Buttò il bicchiere a terra, sulla moquette e quindi al sicuro – di certo più che in mano sua – e le racchiuse il viso tra le mani, perdendosi in quel bacio come il solito, stupido naufrago.
Appoggiò la fronte contro la sua, perché poteva quasi illudersi che il mondo intero fosse sparito e che ci fossero solo loro due.
“Ren… Non lasciare che il tuo passato o la gente ti butti giù.” Mormorò con una sicurezza ferrea che gli sarebbe piaciuto sapere possedere. “Se tua madre è una criminale non significa niente. I nostri genitori ci mettono al mondo, ma poi cosa facciamo delle nostre vite riguarda solo noi. Devi difendere quello che hai fatto, con le unghie e coi denti. Non devi permettere a nessuno di infangarlo.”
Era giusto. Giusto e sensato e lui l’aveva dimenticato per un’intera serata. Non che non lo sapesse, e non che non avrebbe lottato. Solo, aveva lasciato che sua madre e il Sergente Weasley lo soffocassero con i loro sguardi e le loro presenze.
“Hai ragione.” Si staccò quant’era necessario per guardarla. La fece arrossire e non capì perché.
Poi si ricordò cosa aveva pensato quando l’inferno era scoppiato nei laboratori. Cosa aveva continuato a pensare, anche se preso dal suo compito, dall’adrenalina e dal desiderio di vendetta.
“Non è la prima volta che vado in missione … che fosse per la Thule o per il SAGITTA non ho mai avuto la certezza di tornare a casa … Stavolta però dovevo farlo, ad ogni costo.” Disse senza guardarla. Tanto era certo di avere la sua attenzione completa.
“Come mai?” Gli chiese, ma era più un volerselo sentir dir che autentica curiosità.
Conosce la risposta.
“Perché ti avevo promesso di tornare. Non ho mai dovuto prometterlo a nessuno. E quando sono tornato, ho cominciato a … desiderare una cosa.” Non sarebbe mai stato un Casanova, un abile seduttore come Milo. Però lo doveva dire. Lo doveva dire perché sarebbe ammattito se non l’avesse fatto. Lily era bellissima, vicina e … troppo vicina.
Doveva dirlo perché si meritava di sapere quant’era amata.
“Cosa?”
“Che arrivasse domattina per svegliarti e fare l’amore con te. Solo questo. Riuscivo a pensare … solo a questo.”
Lily rise appena, ma non era una risata di scherno, sembrava più per mascherare l’emozione. E le guance rosse e gli occhi lucidi era un buon indicatore. Gli passò le braccia attorno al collo e si avvicinò definitivamente troppo. “Beh, sono sveglia.”
Sorrise di rimando. “Lo vedo.”

“Desiderio soddisfatto allora?” Intrappolò la lingua trai denti in una smorfietta buffa e adorabile, perché grazie a Merlino c’era lei a sdrammatizzare la situazione.
“No, affatto.” E si chinò a baciarla, chiudendo la porta della camera con un gesto della mano ed escludendo il mondo al di fuori.
Almeno fino a domattina.
 
He slept curled against her back,
a dark comma against her pale elegant phrase.
A. S. Byatt 
 
 
****
 
Da qualche parte a Londra…
 
Johan – perché questo il suo nome – guardò la vita scivolare via dalle membra scosse del Mercemago senza trovarne la soddisfazione che aveva sperato.
“Avevate un compito. Uno solo.” Spiegò ai due che, assieme al cadavere, avrebbero dovuto scortare Sophia fino al loro nuovo nascondiglio. I Mercemaghi non aprirono bocca, pallidi e sudici come dovevano essere.
Almeno non tentano di giustificarsi. Come questo qui.
“La mia compagna è adesso nelle mani degli Auror e questo complica la situazione. Molto. E non mi piacciono le cose complicate.” Rinfoderò la bacchetta e percorse lo stanzone grigio di un altrettanto grigio stabile, uno dei tanti che affollava la periferia di Londra. Ignobile, anonimo, disabitato. Perfetto come nuovo quartier generale.
Posso nascondermi per tutta la vita sotto il vostro naso se voglio.
“Dobbiamo prepararci a recuperarla?” Chiese uno dei due, quello che sembrava meno ottuso e a cui forse avrebbe lasciato la possibilità di andarsene sulle sue gambe una volta finita tutta quella faccenda.
“Con la sicurezza del Ministero? Non sono pazzo.” Schioccò la lingua, mentre piani, idee del tutto inconcludenti gli si affollavano nella mente.
Doveva rimanere lucido.
Sophia era in mano dei dannati auror, ma non avrebbe parlato; e anche se l’avesse fatto avrebbe avuto ben poco da dire visto che l’aveva tenuta fuori dall’intera operazione.
No, era al sicuro. Non le avrebbero torto un capello, troppo presi dalla foga di estrarle informazioni e ad usarla come leva per farlo uscire allo scoperto.
Sono loro, i bravi ragazzi.
Per ora doveva mettere il rapimento della sua donna in secondo piano. La rabbia sorda che sentiva era qualcosa che poteva controllare o, perlomeno, decidere di ignorare finché non fossero arrivati alla seconda parte del piano.
Perché c’era sempre un piano.
“Hanno preso le cavie?”
“Sì.” Confermò il Mercemago. “Li abbiamo visti caricarle nelle ambulanze.”
“Bene, allora facciamoli lavorare.” L’alternativa a non trovare soluzioni era delegarle a qualcun altro. La sua fonte gli aveva dato ad intendere che al San Mungo britannico ci fossero eccellenze magiche, e teste pensanti al lavoro.

Snellire il processo.
Ormai nascondere le cavie non aveva più senso, né tenerle con loro con il rischio di doversi occupare dello smaltimento di una decina di cadaveri.  Invece occuparsi degli investitori ne aveva ancora.
Qualcuno bussò alla porta distogliendolo dai suoi pensieri. “Ah, Loher.” Salutò il professore che guardava nervoso verso il soffitto, quasi da esso dovessero spuntare Auror con la bacchetta spianata. “Ti sei ripreso?”
“Non erano questi gli accordi!” Sibilò prima di lanciare un’occhiata orripilata al cadavere. “Questa faccenda sta andando fuori controllo, ci erano addosso!”
“Ma non ci hanno presi.” Obbiettò accendendosi una sigaretta per soffiare via il malumore. O il desiderio, forte, di ammazzare di nuovo qualcuno. La scacchiera della sua vita era fuori posto: la sua regina era stata appena mangiata dagli avversari.

Era scappato, ma aveva dovuto sacrificare qualcosa. Non era abituato a farlo: era una sensazione spiacevole.
“Bevi qualcosa e rilassati.” Gli fece cenno verso una delle poche bottiglie di buon Whiskey Incendiario che era riuscito a trafugare dalla cantina dei Prince. “È andato tutto come mi aspettavo. Il nostro amico americano ci ha avvertiti in tempo.”
“Ma le cavie…”
“Ne avevamo già parlato, le cavie sono dove devono essere.”
“Non tutte.” Il dottore si versò una generosa dose di whiskey trangugiandolo in poche riprese. Alla sua espressione perplessa si pulì con il dorso della mano e si affrettò a spiegare. “Un paio di cavie sono fuggite.”
“Da chi? Dagli Auror?”

“Non le hanno neanche prese. Non le hanno loro, non le abbiamo noi. Sono scappate.”
“Quindi sono uccel di bosco?” Si grattò la fronte, valutando la notizia. Non seminare il panico nella comunità magica era stata una priorità prima che il Ministero inglese scoprisse il loro gioco.

Adesso è diverso. Tutto sommato, può tornare utile.
“È una buona notizia.”
Loher lo guardò come se non avesse capito bene. “C’è il rischio di un’epidemia.”
Si strinse nelle spalle. “Se tutto va bene tra un paio di settimane saremo fuori da questo paese dannato. E detto tra noi, più gli inglesi hanno il fuoco al culo, più si ingegneranno a trovare una cura … Non era quello a cui puntavamo? Farli lavorare al posto nostro? Fino ad ora abbiamo usato le loro ricerche e con un certo profitto. Se le cavie si sono stabilizzate, è merito di quel che hanno scoperto nel loro piccolo ospedale.” Si versò un bicchiere e lo vuotò: sarebbe stato il primo di molti. L’alcohol lavava via splendidamente sentimenti ed emozioni e, nel suo caso, ne aveva bisogno.

“Sì, ma…”
“Crisi di coscienza Dottore?” Motteggiò dandogli una pacca sulla spalla. “È un po’ tardi per questo.” Gli passò la bottiglia, perché l’ultima cosa che voleva era un ripugnante ometto a piangergli sulla spalla. “Portatela nel nuovo laboratorio e tira un respiro di sollievo. Siamo ancora in gioco.”
Anche senza una regina, doveva vincere quella partita.  

 
****
 
Note:

Stavolta non ci ho del tutto messo un mese. Miracolo!
(No, è che sono in vacanza.)
Questa la canzone del capitolo. Come ho detto su effebì, volevo usarla da anni.

E questo apre un inquietante squarcio su quanto e da quando sto plottando tutta ‘sta roba.
Ah, poi, being here, pubblicizzo il mio tumblr. Ci sto spendendo un sacco di tempo inutilmente ed è pieno di Potterverse e Rumbelle. Specialmente nel tag Potteroso, che ci sono anche foto, anteprime e plotting di tutta ‘sta roba.
Dateci un’occhiata e followatemi se vi va. ;)

 
1. Medimago: ribadire è giusto e doveroso. I Medimaghi, per come l’ho capita io e come dà ad intendere il Lexicon sono la versione magica dei paramedici, mentre i Guaritori sono i veri e propri dottori.
  
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