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Autore: Lacus Clyne    23/07/2014    1 recensioni
"Cominciò con un incubo. Un incubo tornato dalle profondità dell’anima in cui avevo cercato di relegarlo innumerevoli volte, da quando ne ho memoria." Per Aurore Kensington i sogni si trasformano in incubi sin da quando era una bambina. Sempre lo stesso incubo, sempre la voce gentile del fratello Evan a ridestarla. Finchè un giorno l'incubo cambia forma, diventando reale. Aurore è costretta a fare i conti con un mondo improvvisamente sconosciuto in cui la realtà che le sembrava di conoscere si rivela essere una menzogna. Maschere, silenzi, un mistero dopo l'altro, fino al momento in cui il suo adorato fratello Evan e la loro mamma scompaiono nel nulla...
Genere: Drammatico, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Se pronunci ancora una volta il nome di Damien Warren, Violet, giuro che non esco più con te!

Enfatizzai la protesta facendo ondeggiare la busta sigillata che conteneva il mio abito per il ballo di primavera. La nostra scuola si era superata, nel nostro anno del diploma. Le tre sezioni capeggiate da Violet, che aveva ereditato il titolo di Responsabile delle classi del terzo anno, si erano riunite un mese prima e avevano stabilito il tema per il nostro ultimo e importantissimo evento prima del diploma, ovvero il ballo in stile Carnevale di Venezia. Ovviamente, il fatto che la mia convincente e vereconda migliore amica avesse voluto un tema del genere era da considerarsi come una sorta di regalo per me, dal momento che adoravo e sognavo quella festa dall’alba dei tempi e soprattutto, per entrambe rappresentava una rivisitazione del nostro segreto comune che aveva a che fare con i ricordi di Neo Esperia. Il solo, piccolo particolare che Violet aveva deliberatamente evitato di prendere in considerazione era il fatto che non avevo alcuna intenzione di invitarci Damien Warren. Eppure, alla mia sorniona amica, che a sua volta aveva tra le braccia il suo abito in stile rinascimentale, la questione non sembrava di importanza vitale. Nel pomeriggio aprilino appena soleggiato della nostra Darlington, entrambe stavamo facendo ritorno a casa dopo gli ultimi acquisti. Il ballo sarebbe stato di lì a due giorni e avrebbe coinciso con il mio diciottesimo compleanno. Soltanto due anni prima, in questo stesso periodo aveva avuto inizio la mia avventura in quel mondo conosciuto col nome di Underworld. Ricordarlo, soprattutto mentre passavamo davanti al parco in cui avevo incontrato per la prima volta Shemar Lambert, ora consorte dell’Imperatrice di Neo Esperia, mi riportava ogni volta alla mente un’ondata di ricordi talmente coinvolgente che finivo con l’essere spesso sopraffatta.

- Non che non trovi divertente il vostro continuo tira e molla, ma non pensi che un’occasione del genere, che viene solo una volta nella vita, meriti di essere condivisa? E comunque, né per Warren né per Evan c’è stato il ballo… ora che ci penso, però, la festicciola prima della partenza del signor Kensington è stata carina… ricordo ancora la protesta di Evan che non voleva soffocare nella tunica e alla fine s’è limitato a mettere solo il tocco in testa!

Violet rise di cuore. L’inverno prima aveva tagliato i capelli, che ora le arrivavano appena alle scapole, ma per il resto, era rimasta la stessa ragazza dolce e spontanea ai limiti dell’inverosimile. E ricordai quella sera, nella casa che Victor ci aveva intestato, in cui festeggiammo il diploma di Evan e di Damien per esplicita volontà della mamma. Non mi ero mai divertita così tanto come allora ed ero felice dell’aver avuto la possibilità di vedere mio fratello con indosso almeno il tocco e Damien, più tradizionalista, che aveva sfidato il caldo indossando la tunica nera pur di farmi contenta. Eppure, quello accadeva in un passato lontano ormai. Le cose erano cambiate già da un po’. Nel corso di quei due anni, Evan e Arabella avevano potuto coronare il loro sogno di stare insieme. Certo, era stato necessario che sistemare le questioni che riguardavano papà e Arabella perché mia sorella potesse stare con Evan, il quale rispondeva a tutti gli effetti al cognome Kensington. E così, circa un anno prima, i miei due fratelli, scongiurando l’incesto legale, erano convolati a giuste nozze. Prima di loro, poco dopo il nostro ritorno a casa, anche i nostri genitori avevano potuto fare altrettanto e ne avevano approfittato durante il viaggio di Natale in Gran Bretagna. Grazie agli agganci di Victor poi, anche papà aveva trovato una dimensione a lui congeniale, insegnando l’arte della spada e guadagnandosi un posto come istruttore presso la nostra scuola. Per quel che mi riguardava, attendevo le ammissioni per il college assieme a Violet, e da circa un mese, ero nuovamente e felicemente single.

- Naturalmente non lo penso affatto, Violet. Dopotutto non è certo colpa mia se Damien ha deciso di continuare gli studi in Irlanda per accedere alla magistratura infischiandosene beatamente della nostra storia.

Risposi, guardandola di sottecchi.

- Però continui a sentire Jamie…

Mi fece notare. Effettivamente, dal momento che per stessa ammissione di Damien, Jamie non aveva colpa dell’avere un fratello come lui, avevo mantenuto i contatti con il minore dei Warren. L’ultima volta che l’avevo sentito, circa tre giorni prima, via Skype, ero rimasta affascinata nel vedere quanto fosse cresciuto. Ora quindicenne, Jamie era diventato un bel ragazzo molto somigliante alla madre, un po’ meno sorridente di prima, ma decisamente più sereno, indipendente e al tempo stesso molto sicuro di sé, tratto che aveva ereditato senza dubbio dal padre. Da che sapevo, Lionhart Warrenheim stava scontando una condanna commutata dalla pena di morte che comprendeva la ricostruzione di Chambord, la capitale dei Delacroix da lui stesso distrutta molti anni prima. Fino ad allora, non avrebbe potuto far ritorno nel nostro mondo. In passato, Jamie mi aveva domandato se avessi avuto qualche notizia, ma in realtà, a parte quello, non sapevo altro. Da poco più di un anno, la Porta di Pietra sotto lo Stonedoor non si apriva. Al contrario, proprio nei pressi di Longridge, il portale si era aperto una settimana prima, facendo arrivare nel nostro mondo niente poco di meno che Livia. La Lady del lapislazzuli, quasi coetanea di Jamie, aveva chiesto a Lord Oliphant, che l’aveva presa sotto la sua tutela, di poter vedere coi suoi occhi il mondo della luce. In realtà, il sagace anziano Lord aveva colto la reale motivazione di Livia, che su consiglio di Rose, ora inaspettatamente mamma di un bambino, Kyros, desiderava rivedere il suo Jamie. A dirla tutta, nonostante il tempo avesse reso Livia più gentile nei confronti di chi le stava intorno, per quel che mi riguardava, non aveva perso la sua lingua lunga, tanto che aveva felicemente enfatizzato sul fatto che Damien e io non saremmo durati per via del mio carattere decisamente immaturo. Per fortuna, la virtualità l’aveva salvata dalla mia voglia di metterle le mani al collo e strangolarla.

- Jamie è a posto. Poi è un piacere sentirlo, tranne che quando c’è Livia nei paraggi.

Commentai, mentre passavamo nei pressi del nostro liceo. Violet mi passò davanti, studiandomi con i grandi occhi color caramello bordati da lunghe ciglia scure.

- Sei davvero sicura di non volergli dire nulla? Secondo me finiresti col pentirtene a vita, Aurore.

Sbuffai, pensando a quante volte mi ero posta la stessa domanda, quando chiedevo a me stessa di pazientare e credere ancora nel sentimento che provavamo l’uno per l’altra e che evidentemente, non era forte quanto credevo. Mi fermai, volgendo gli occhi all’imponente campus tutto mattoni rossi e grandi cortili alberati e ripensai al primo giorno di scuola, alle volte che ci eravamo incrociati nei corridoi, e persino a quando lo intravedevo, ogni tanto, seduto sotto i peschi a studiare. Ricordi di ordinaria amministrazione, se invece pensavo a quanti ne avevamo che ci riguardavano direttamente, durante il tempo che avevamo trascorso a Neo Esperia. Ma ogni volta che lasciavo il mio cuore libero di ritornare a quei momenti, quando credevo che nulla avrebbe ostacolato il nostro amore, finivo col rendermi conto di quanto invece quell’ordinaria amministrazione fosse stata l’elemento più disgregante. Alla fine, Damien aveva fatto una scelta. Aveva deciso di recarsi in Irlanda per ritrovare sua madre e ci era riuscito. Ero felice per questo. Sapere che era riuscito a farcela mi aveva riempito il cuore di gioia ed ero pronta ad aspettarlo. “Tornerò presto. Da te”, mi aveva detto, e così era stato, inizialmente. Ma poi aveva deciso di tornare a Limerick e studiare lì, per poter rimanere accanto a sua madre, oramai affermata in quel contesto. Mi ero fatta animo, credendo di essere capace di sopportare quella lontananza. Avevo anche avuto modo di rivederlo, in occasione del matrimonio dei miei genitori. Ci eravamo ritrovati, riscoprendoci ancora innamorati. E in quell’occasione, quando ancora pensavo che il nostro legame fosse vivo e saldo più che mai, avevamo fatto l’amore per la prima volta. Quel momento così importante per noi aveva simboleggiato un passaggio importante per entrambi. Stretta tra le sue braccia, la notte della vigilia di Natale, mi ero sentita amata come non mai, completa, finalmente. Damien, sulle cui spalla e clavicola era rimasta una cicatrice ormai bianca, ricordo indelebile impresso sulla carne di uno scontro in cui aveva davvero rischiato la sua stessa vita, percorreva la mia schiena nuda con i polpastrelli, disegnando strade invisibili che mi provocavano dei piccoli e continui brividi, come se tutta la mia pelle fosse sconvolta da tante, minuscole scariche di elettricità. Con la testa appoggiata nell’incavo tra il suo viso e il suo petto, baciando la sua giugulare pulsante, avevo finito con l’addormentarmi, nella penombra alternata alle luci soffuse della nostra stanza, rassicurata dalla sua voce che sommessa mi ricordava quanto mi amasse. Sarei stata un’ipocrita a non ammettere che quando pensavo a quella notte, il mio cuore traditore era lì a ricordarmi quanto lui fosse stato e in qualche modo, fosse ancora, importante per me. Ma l’importanza non era sufficiente. Avevo bisogno di più e Damien non aveva intenzione di scendere a patti con me. Il suo obiettivo era prioritario. Ero arrivata a domandarmi e poi a urlargli contro, quando ci eravamo lasciati, perché avesse voluto illudermi, se alla fine, tutto ciò che diceva di me era retorico. E lo avevo accusato di essere un maledetto egoista, bugiardo, che non aveva a cuore altro se non se stesso. Ma Damien non aveva desistito, scegliendo di proseguire per la sua strada, insensibile alle mie provocazioni. Alla fine, mi ero resa conto che probabilmente, ero io a non essere abbastanza per lui. E avevo deciso di buttarmi a capofitto in attività che lo tenessero lontano dai miei pensieri. 

- Aurore?

La voce preoccupata di Violet mi riportò alla realtà. Mi affrettai a rimuovere il velo che l’aveva appena adombrata ai miei occhi, scorgendo la sua espressione in pena.

- Scusa. Sto bene. Dicevo che sono sicura come non mai di non volergli dire nulla. Abbiamo preso strade diverse, ed è giusto che ognuno prosegua per la propria. Nessun rimpianto.

Ribadii, con un sospiro.

Violet aggrottò le sopracciglia, poi mi accarezzò la guancia e solo infine, mi sorrise con gentilezza e comprensione.

- Tu lo sai che voglio solo la tua felicità, vero?

Mi domandò. Annuii, cercando di ignorare la mia stessa debolezza.

- Violet, io…

- Se va bene così per te, allora non insisterò oltre.

Sospirai profondamente, ringraziandola per avermi accontentata. Dopotutto, Violet mi conosceva fin troppo bene per oltrepassare certi limiti.

- Grazie.

Risposi, ricambiando finalmente il suo sorriso, mentre lasciava scivolare la mano e riprendeva con entrambe le braccia il suo abito.

- Sono sicura che Ruben non vede l’ora di vedertelo addosso, sai?

Le feci notare, cambiando discorso. Violet arrossì, sollevando la busta.

- Credi davvero che gli piacerà?

Domandò, io assentii senza ombra di dubbio.

- Ci metto la mano sul fuoco.

- Attenta che non ci sia acceso il barbecue, Aurore.

Ci voltammo di scatto nel riconoscere la voce di Ruben. Quando si parla del diavolo… Violet sorrise entusiasta nel vederlo. In quei due anni, il Lord del rubino si era dato parecchio da fare per trovare il suo posto a Darlington. In un primo momento, aveva vissuto con noi, dividendo la stanza con Evan. Poi, non potendo frequentare corsi universitari, dal momento che non aveva alcuna carriera pregressa che non contemplasse tipiche materie di studio per la gestione di un casato e per ambire alla somma carica esistente a Neo Esperia, aveva dovuto rimboccarsi le maniche e cercare qualcosa che fosse in qualche modo consona alle sue capacità. E così, aiutato in questo anche dalla stessa Violet, Ruben aveva trovato lavoro in una libreria, riuscendo persino a trovare una stanza per sé. “Il vecchio Vanbrugh sarebbe sicuramente soddisfatto di me. Non so se potrei dire lo stesso di mia sorella, però…”, aveva detto, dopo essere stato confermato. E vederlo in quel momento, su una bici, carico di libri e soprattutto, vestito alla nostra maniera, con jeans, camicia, gilet e giacca bordeaux che metteva in particolare risalto i suoi capelli rosso carminio scompigliati, mi fece ben pensare che oramai si era perfettamente integrato nella nostra realtà. Violet si avvicinò a lui, incuriosita dai libri che aveva nel cestino.

- Oh, questo volevo proprio leggerlo…

Confessò, nel raccogliere il primo testo, una biografia della regina Elisabetta I.

Ruben sgranò gli occhi, gesticolando come un impedito nel goffo tentativo di riprendere il libro, suscitando lo stupore di Violet.

- Ehm… q-questo non dovevi leggerlo ora! Cioè, in teoria sarebbe per… però non volevo che lo vedessi adesso… ehm… avrei dovuto nasconderlo meglio, che idiota!

Con un broncio che lo fece sembrare molto più giovane della sua età reale, porse nuovamente il libro a Violet, che sbatté le palpebre. Nel notare che Ruben era davvero imbarazzato per il pessimo tempismo, mi misi a ridere. La mia amica si voltò verso di me e inclinò la testa, perplessa.

- Credo che Ruben volesse regalartelo… ma l’hai battuto sul tempo…

Spiegai.

Nel sentire le mie parole, Violet arrossì sorpresa, per poi voltarsi nuovamente verso un tristissimo Ruben. E con evidente felicità per il pensiero del fidanzato, ripose il libro tra gli altri, nel cestino della bici.

- Ok, io non ho visto nulla. Come mai qui, Ruben?

Nel rigirare la frittata, Violet aveva talento da vendere. E considerando che riusciva a farlo con maestria tale da far capitolare chiunque, Ruben per primo, riuscì ancora una volta nel suo intento. Ricacciando indietro il magone, lui deglutì e ci guardò con rinnovata serenità.

- Stavo tornando a casa e facevo questa strada per far prima. E voi invece? Sono gli abiti del ballo quelli?

Sia Violet che io annuimmo.

- Oh, non vedo l’ora che sia dopodomani!

Esclamò con un’aria soddisfatta e sognante che fece sorridere entrambe.

- Comunque, non so voi, ma io… sto davvero morendo di fame. Vi va di mangiare qualcosa insieme? Ah, naturalmente offro io.

Continuò allegramente, facendo l’occhiolino.

In altre circostanze, avrei sicuramente accettato l’invito. Oltretutto, di recente avevamo scoperto un nuovo bar in cui preparavano la cheesecake. Certo, non era buona come quella della mamma, ma meritava ugualmente. Però, non volevo rientrare a casa troppo tardi, considerando che avevo ancora una buona parte di programma di biologia da recuperare. Era più forte di me, quella materia non mi piaceva particolarmente. Così, decisi di defilarmi, con la promessa di recuperare prima o poi. Nel congedarci, Violet mi abbracciò raccomandandomi di tornare dritta a casa. A volte le sue premure mi facevano sentire come una sorta di Cappuccetto Rosso e considerando che ormai avevo sviluppato degli anticorpi contro la paura, ero tentata di ricordarle che non doveva preoccuparsi in quel modo. Eppure, pensandoci, lei era sempre stata così e in fin dei conti, mi faceva bene sapere che c’era qualcun altro, ad di fuori dei miei familiari, che teneva così tanto a me.

- Va bene, mamma, prometto di correre dritta a casa e non fermarmi col lupo cattivo!

Esclamai fingendo un tono da bambina, con un piccolo inchino.

Violet si mise a ridere, mentre Ruben, dapprima dubbioso, si accese di curiosità.

- La bimba col cappuccetto! Sì, me lo ricordo! Quella che va a trovare la nonna lupo! Ah no, non era proprio così… era il lupo vestito da nonna!

Schioccò le dita entusiasta e orgoglioso della sua osservazione, tanto che mi limitai a ridacchiare per non correggerlo. Dopotutto, per lui, così com’era stato per Arabella e per papà, tutto era una novità e spesso finiva con l’essere travisato. Violet, divertita, lo affiancò, proponendogli di raccontargli la vera storia della bimba col cappuccetto. Ci salutammo così, e mentre imboccavo il viale che mi avrebbe portata verso casa, mi ritrovai a ricordare quella storia, così come tutte quelle che la mamma mi raccontava quand’ero piccola. Pensai con tenerezza ad Arabella, che stava facendo scorta di fiabe. Era affascinata dai racconti e dalle leggende, proprio come lo ero sempre stata io. Evidentemente, era qualcosa che avevamo ereditato dai nostri genitori. Anche se dovevo riconoscere che papà era quello più scettico, al contrario della mamma, che adorava le vecchie storie.

Quando rientrai a casa, chiudendo la porta alle mie spalle, mi venne in mente la fiaba del soldatino di stagno che aveva affrontato tante peripezie per ricongiungersi al suo amore e infine con lei era morto, nel fuoco e mi venne alla mente Evan. Come soldatino ci sarebbe stato davvero bene. Ridacchiai, pensando che non appena l’avessi visto, l’avrei ribattezzato in quel modo.

- Sono a casa!

Annunciai.

Pochi istanti e sentii la voce della mamma accogliermi dal salone. La raggiunsi preparandomi a mostrarle l’abito che avevo ritirato, sperando che ci fosse anche papà. E quando mi affacciai, sollevando in aria la busta con l’abito, scoprendo per fortuna i miei genitori seduti sul divano, vidi qualcuno seduto di spalle sulla poltrona dirimpetto. Sgranai gli occhi, colta alla sprovvista.

- Ah, Aurore, bentornata.

Mi salutò la mamma, sorridendo.

Da quando si erano ritrovati ed eravamo tornati a casa, lei era decisamente più serena e giocosa e la vena di tristezza che avevo imparato a riconoscere nei suoi occhi azzurri, ogni volta che la sua mente tornava al passato, era finalmente scomparsa. Era bello vederla seduta accanto a papà, che con fare protettivo, posava spesso il braccio sullo schienale del divano, toccando con le dita le estremità boccolose dei suoi capelli. E vedere il mio adorato e tanto desiderato papà, che non si era mai arreso nonostante le sofferenze e gli anni di lontananza dalla sua stessa famiglia, oramai riabilitato dall’accusa di un crimine che non aveva commesso, era per me una gioia infinita. Capitava spesso di incrociarlo a prima mattina, lui che dormiva molto poco, mentre seduto in cucina, con i gomiti poggiati sul marmo nero dell’isola, attendeva il caffè, che aveva scoperto e che trovava delizioso. All’inizio, il suo rapporto con la tecnologia nelle sue forme più semplici era stato drammatico tanto quanto quello della mamma, ma col tempo, aveva imparato almeno l’ABC. E per me, alzarmi la mattina e avere la possibilità di vedere non soltanto i suoi occhi, che per tanto tempo erano stata la sola cosa che lo riguardava di cui fossi certa, ma anche di poterci parlare, di poterlo abbracciare, nell’augurargli il buongiorno e ottenere in risposta un “Ben alzata, piccola. Dormito bene?”, era tutto ciò che potessi chiedere. Un tempo, avrei fatto carte false, immaginando con dolore ciò che credevo di non poter avere. Ma in quel momento, vedere entrambi i miei genitori insieme, felici come sarebbero dovuti essere da sempre, mentre mi accoglievano con un sorriso, era stupendo.

- Scusate, non volevo disturbare.

Dissi, notando un oggetto in particolare sul tavolino frapposto al divano. Incuriosita, quando feci mente locale, riconoscendo una fotocamera piena di fronzoli a me noti e che per giunta non vedevo da diverso tempo, mi venne un dubbio.

- M-Ma quella non è di Violet?

Osservai, indicandola.

L’ospite, sollevando a mezz’aria il braccio, sul cui guanto nero spiccava il sigillo imperiale, un giglio ambrato su cui erano incastonati gli inserti di diamante che richiamavano la stella, si voltò verso di me. Sconvolta, riconobbi quegli occhi blu cobalto inconfondibili. Nei due anni trascorsi, era rimasto più o meno il solito, salvo l’abbigliamento praticamente identico a quello di Shemar, la prima volta che ci eravamo incontrati e i capelli castano scuro un po’ più lunghi.

- Leandrus!

Esclamai.

- Felice di rivederti, ragazzina. Come ti va la vita?

Domandò, sollevando un angolo della bocca in un sorriso.

Leandrus Achard e io non avevamo mai avuto un rapporto amichevole e spesso ci eravamo ritrovati contro. Mi aveva persino azzittita con un pugno nello stomaco che Shemar gli aveva fatto pagare con gli interessi, ma a lui dovevo il sospetto sulla mia vera identità. Era stato proprio lui ad avanzare l’ipotesi che io potessi essere la figlia di Greal Valdes. E il tempo gli aveva dato ragione.

- Ordinariamente interessante.

Risposi di rimando, raggiungendolo. A vederlo con indosso il soprabito nero delle guardie imperiali che tanto richiamava un impermeabile, pensai che si fosse arruolato.

- Non mi dire… alla fine sei diventato una guardia imperiale anche tu?

Domandai, prendendo posto nella poltrona libera e posando il mio abito. La visione avrebbe atteso. Leandrus, incuriosito, inarcò le sopracciglia brune, poi scosse la testa.

- Fossi matto. Non fa per me un lavoro del genere, troppo sanguinolento. Ah, senza offesa, Lord Valdes.

Papà assentì.

- Chiamami solo Greal.

Leandrus ne sembrò perplesso, ma si limitò ad annuire. Non finivo mai di meravigliarmi di quanto fosse complicato per i miei amici rivolgersi senza titoli ai miei genitori. Shemar ci aveva messo tre mesi prima di abbandonare quel “signorina Aurore, per il mio solo nome. Ma mio padre aveva già rinunciato al suo titolo di duca di Challant già prima della mia nascita. Evidentemente, era una sorta di forma di rispetto che gli era rimasta, soprattutto considerando che lo stesso Leandrus veniva da Challant a sua volta.

- Come mai allora indossi il soprabito? E ci sei solo tu? Quando sei arrivato?

Incalzai. In due anni, considerando che il portale era rimasto chiuso, non avevo avuto notizie se non tramite Livia, pertanto morivo dalla voglia di sapere quante più cose possibile.

- Calma, Aurore. Quanta irruenza.

Mi fece eco la mamma, divertita.

- Scusami! E’ soltanto che… ecco… insomma, vuoi startene zitto tutto il tempo?

Leandrus era basito. Evidentemente non si aspettava tanta foga da parte mia, anche se avrebbe dovuto immaginarla. Arricciò le labbra, poi si grattò il collo e solo infine mi guardò.

- Certo che non sei cambiata per niente, eh?

- Senti chi parla, il solito acido.

Ribattei, di sottecchi.

Alzando gli occhi al cielo e puntandoli poi sulle foto che ritraevano la nostra famiglia insieme, alla fine si decise a parlare.

- Sono venuto da solo. In realtà l’Imperatrice mi ha spedito in missione non appena ha saputo che la Porta di Pietra era tornata in attività. E quanto alla tenuta… beh, sappi che hai davanti il messo imperiale.

- Messo imperiale?

Il ricordo dei messi della Croix du Lac mi balzò agli occhi. Decisamente, Leandrus ne costituiva un’altra forma.

- Sei una sorta di postino?

A quel commento, inarcò il sopracciglio sinistro.

- Certo che no. Accidenti, è la stessa cosa che mi ha detto Lorraine quando mi ha visto con la borsa in mano.

Sgranai gli occhi.

- Lorraine? L’apprendista di Lady Octavia?

Sorridendo beffardo,  Leandrus annuì.

- Sembra che stiano insieme…

Bisbigliò la mamma.

Decisamente, era troppo perfino per me. Una ragazza riservata e mite come Lorraine con un tipo arrogante e poco incline alle buone maniere come Leandrus… poveretta.

- Ohi. A giudicare dalla tua espressione sembra che tu non ci creda.

- A dire il vero stavo pensando che è davvero un risvolto inatteso.

Toccato, si accigliò.

- Senti chi parla! Ehi, ragazzina, non sei forse tu quella che vede il buono anche in chi non dovrebbe averne?

- Riferimenti a… ?

Domandò la mamma, mentre papà, nel frattempo, si era alzato e procedeva verso la cucina. Leandrus, colto in fallo, indicò malamente la foto che ritraeva Evan e Arabella nel giorno del loro matrimonio. Sospirai.

- Evan.

- Lui.

- Ti viene così difficile chiamarlo per nome?

Domandai.

- E’ pur sempre l’ex Despota.

- Ultimo.

Lo corresse la mamma, sorridendo.

- Sembra che la leggenda di Evandrus Delacroix sia diventata parte della storia di Neo Esperia.

Continuò, mettendomi al corrente di ciò che Leandrus aveva raccontato loro. In realtà, sapevamo bene che a Evan non sarebbe stato più concesso di varcare la soglia della Porta di Pietra. Il fatto che fosse sopravvissuto era stato tenuto nascosto, conosciuto soltanto da noi pochi. Se la voce della sua rinascita avesse trovato fondamento, di certo per Amber ci sarebbero stati seri problemi. Ma ora che finalmente quel mondo stava tornando a prosperare, la figura del Despota che aveva posto fine a un’epoca era avvolta nel mistero e nella sacralità. In un certo senso, provavo un po’ di impressione. Mio fratello non aveva mai più nominato il suo passato dopo la notte in cui ci eravamo chiariti, anzi, aveva ricominciato a vivere come Evan Kensington, un ragazzo come tanti, non più un Despota sanguinario che aveva distrutto il mondo precedente per dar vita al futuro. In qualche modo, quella parte era morta con lui, e forse, gli abitanti di Neo Esperia, ora cominciavano a riflettere anche sui lati positivi di ciò che Evandrus Delacroix aveva fatto. Pur tuttavia, se avessero saputo che era ancora vivo, avrebbero potuto accusare l’Imperatrice di tradimento e di inganno. Per questo Evan aveva accettato di non mettere più piede nel mondo in cui era nato. Eppure, c’era chi come Leandrus aveva ancora qualche difficoltà nel parlare di lui.

- Sta’ tranquillo, Leandrus… Evan non nutre alcun desiderio di rivalsa. E comunque, ora ha ben altri progetti per la testa…

- Come conquistare anche questo mondo?

Domandò.

- No, penso più come controllare i soufflé. Si chiamano così, vero, Arabella?

Ci voltammo tutti e tre verso papà, che con in mano il portatile, era tornato da noi. La voce di mia sorella risuonò attraverso il pc con una risata squillante.

- Non ditegli nulla, mi raccomando!

Nel sentirla parlare così, mentre papà adagiava il notebook 13 pollici sul tavolino e riprendeva posto, ripensai a quando le avevo detto che mi ero divertita ad aprire il forno in cottura e avevo fatto sgonfiare i soufflé di mio fratello. Ridacchiai, al contrario di Leandrus che si stropicciò gli occhi incredulo per ciò che stava vedendo.

- Che io sia dannato! Ma queste diavolerie non finiscono mai?

La mamma si mise a ridere, per poi guardare Arabella. Mia sorella, i lunghi capelli biondi legati in una coda, ci salutò via Skype, sorpresa di vedere Leandrus.

- Come state, Leandrus? E’ bello rivedervi. E tutti quanti? Spero che a Neo Esperia vada tutto bene…

Leandrus, realizzando con difficoltà oggettiva la portata di ciò che stava vedendo e sentendo, si affrettò a guardarmi con aria interrogativa.

- Ma siete tutti così voi Kensington?

Sospirando, mi permisi di assentire.

- Leandrus ha un po’ di difficoltà a capire, Arabella! Come state?

Domandai, sporgendomi verso la videocamera. Arabella, incuriosita, si scostò appena, mostrando sotto alla lunga maglia bianca a righe magenta con ampio scollo, la sua pancia di quasi otto mesi.

- Stiamo abbastanza bene, zia Aurore. Anche se non so se possiamo dire lo stesso dei soufflé di Evan!

Rise, accarezzando dolcemente il ventre gonfio.

- E’… incinta… un piccolo Despota…

Commentò Leandrus, sgranando gli occhi. Gli lanciai una stilettata, mentre papà affilò lo sguardo.

- Avete già visto il balcone, tesoro?

Domandò invece la mamma.

- Ieri, sì. Verona è davvero una città stupenda, ma detto tra noi, non vedo l’ora di tornare a casa. E anche Louis, a dire il vero…

- Louis?

Chiese Leandrus, deglutendo.

- E’ il nome del bambino.

- Louis Delacr-- 

- Kensington. Si chiama Louis Kensington.

La voce di Evan risuonò minacciosa al punto da fare scostare Leandrus. Pochi istanti e mio fratello affiancò Arabella, che fece segno di fare silenzio. Compresi dal suo occhiolino la motivazione e risi sotto ai baffi. Evan, che aveva legato i capelli, aveva tra le mani un vassoio con dei soufflé sgonfi che avrebbero fatto rabbrividire qualunque pasticciere. Il Thurs invece, era sempre attaccato alla catenina.

- Sembrano alquanto mosci, Evan… dovresti calibrare meglio la temperatura del forno, tesoro…

Suggerì la mamma, che aveva colto il nostro piano segreto e stava sorridendo.

- O direttamente cambiare piatto.

Aggiunsi io.

Arabella, divertita, ne prese uno e lo addentò senza troppi problemi.

- Mh… però è buono, almeno.

- Il sapore c’è, è la cottura il problema. Proverò come dici, mamma.

Rispose Evan, mangiandone uno a sua volta.

- Il Despota che prepara dei dolci… questo è davvero troppo per la mia sopportazione… e meno male che non hai avuto tempo a sufficienza o avresti trasformato il nostro mondo nell’Impero dei soufflé

Leandrus sembrava decisamente esasperato. Al contrario, Evan posò la mano sul tavolo, puntando il nostro amico con suo sguardo più sadico e tagliente. Quando faceva così, ricordava in tutto e per tutto Liger. Mi misi a ridere, mentre Leandrus si poneva in difesa.

- Piuttosto, non ho ancora capito per quale motivo sei qui con la fotocamera di Violet, Leandrus…

Dissi poi, indicandola.

Quando finalmente si ricompose, tenendo sempre sotto controllo lo schermo del pc, svelò l’arcano.

- Amber mi ha chiesto di portarvela con un messaggio da parte sua

Incuriosita, raccolsi la fotocamera. Violet l’aveva lasciata a Rose poco prima della nostra partenza.

- E di che si tratta?

Chiesi.

Leandrus si stiracchiò, per poi incrociare le braccia dietro la nuca. Mentre tutti attendevamo risposta, sbadigliò poderosamente e inclinò la testa.

- Oh beh, quello devi vederlo da te.

Sbattei più volte le palpebre, incerta. Poi osservai la fotocamera. Era impossibile che la batteria avesse resistito per due anni senza carica, ma l’esperienza del mio vecchio cellulare, carico nonostante fosse trascorso un mese, per via delle alterazioni geomagnetiche, mi instillò il dubbio. Quando premetti il pulsante d’accensione, vidi che in memoria erano presenti tante nostre vecchie foto. Vederle mi riportò alla mente i ricordi di quando eravamo ancora due ragazzine spensierate che si godevano la quotidianità,  ignare di ciò che ci attendeva. Non che rimpiangessi quel periodo, ma a volte, ci pensavo con nostalgia. Quantomeno, a quel tempo sognavo ancora un principe azzurro. E dopo averle riviste col sorriso sulle labbra, mi fermai su un video, oltre cui non c’era nulla. Dall’anteprima non si capiva nulla, così cercai il supporto di Leandrus, che rimase beatamente fermo a godersi la scena. Imbronciata, mentre anche i miei genitori e i miei fratelli erano in attesa, premetti il tasto on. Le immagini cominciarono a delinearsi, regalandoci gli scorci di una grande stanza da letto, che la mamma riconobbe come le stanze imperiali destinate alle Lady del diamante. Evidentemente, Amber non aveva voluto prendere le stanze del Despota. Vidi la faccia di Leandrus, enorme nello schermo e poi sentii parlare.

- Non capisco, secondo voi funziona?

Domandò.

- Certo che funziona, Violet ha spiegato bene come usarla.

La voce indispettita di Rose.

- Il tasto rosso è acceso?

Di nuovo Leandrus.

- Non è un tasto, si chiama “spia”. Sei tu che la maneggi, controlla bene!

Ancora il tono polemico di Rose.

- Al diavolo questi oggetti demoniaci! Non potevamo mandare una lettera, Amber?

Leandrus si era voltato mettendo in mostra la nuca. E in sottofondo, la risata di Amber che rispondeva di no.

- Avanti, lascia stare, ci penso io, Leandrus.

La voce tranquilla e risolutrice di Blaez che prendeva in mano la situazione. Vidi inquadrato momentaneamente il pavimento in granito, poi Blaez si riprese. Il duca di Rhatos, identico a come lo ricordavo, sorrise.

- Bene, credo che ora non ci siano problemi. Come state, miei cari? Oh, naturalmente il mio saluto va a tutti, beninteso. E’ tanto che non ci vediamo, vero?

- Blaez, non perderti in parole!

Rose protestò a gran voce, riprendendo il fidanzato. Scoppiai a ridere, pensando che quei due non sarebbero mai cambiati, nemmeno dopo la nascita di Kyros. Blaez, scusandosi, continuò.

- Immagino che abbiate tanto da raccontarci, ma anche noi, come potete sentire e tra poco vedere, abbiamo qualcosa per voi. Alla fine, abbiamo deciso di utilizzare il mezzo che Violet ci ha lasciato per poter comunicare. E il sorteggiato per la consegna sarà Leandrus. Tranquilli, l’ho istruito a dovere. E comunque ora ha affinato i modi.

L’inquadratura saettò verso di lui, che fece spallucce.

- A me toccano tutti gli incarichi pesanti.

Non compresi il sottofondo vocale di Shemar, ma la voce mi parve decisamente la sua. Blaez tornò a inquadrarsi.

- Dunque, come sapete, immagino che Ruben ve l’abbia detto, Rose e io abbiamo avuto un bambino. Vi presento Kyros Vanbrugh.

Stavolta con più delicatezza, Blaez inquadrò Rose, che teneva in braccio il piccolino, di quasi un anno. Se c’era una cosa su cui non avrei mai scommesso, era proprio che Rose e Blaez, che non avevano intenzione di aver figli, avessero infine procreato, ma in quel momento, vedere la Lady del rubino che giocava amorevolmente con il suo bimbo dai capelli rosso scuro, facendoci salutare con la manina come una qualunque mamma felice, mi riempì il cuore di gioia.

- E brava Rose. Alla fine, chi disprezza vuol comprare, come si suol dire.

Commentò la mamma.

- Salutiamo Aurore, Violet e quel menagramo di tuo zio Ruben, piccolo mio?

Nel sentire quell’appellativo, ridemmo in contemporanea. Mi chiesi se gli starnuti che ultimamente affliggevano il povero Ruben fossero opera della sorella. Intanto Blaez tornò a inquadrarsi.

- Sostanzialmente, le novità più importanti riguardano la famiglia imperiale, comunque.

- Ehi, tuo figlio è importante, Blaez! Ti ricordo che ho dovuto portarlo in grembo per nove mesi e ho sofferto le pene dell’inferno per colpa tua, quindi è importante.

Rose si era infervorata, tanto che sentii ben presto la voce di Amber che la ammoniva scherzando sul comune destino. Nel sentirle, Arabella deglutì.

- Comincio a essere preoccupata….

Disse, rivolgendosi a Evan, che la guardò con candida ignoranza. La mamma, tranquillizzandola, ne approfittò per ricordare delle nostre nascite. Tutto quel parlare di bambini alimentò il mio dubbio.

- Non è che per caso quei due si sono finalmente decisi?

Domandai a Leandrus, che fece spallucce.

- Su, guarda da te.

Tornai a guardare il video, e ben presto, Blaez ci svelò il mistero: Amber, con indosso uno scialle bianco e con i lunghi capelli intrecciati, era seduta nel grande letto a baldacchino, immersa nelle coperte dorate all’apparenza soffici, ma soprattutto, aveva in braccio un fagottino. Seduto accanto a lei, Shemar, che indossava una semplice camicia bianca col collo alto e dei pantaloni scuri, sempre coi capelli legati, ci salutò.

- Oh mio Dio, Amber e Shemar hanno avuto un bambino!

Esclamai, balzando in piedi e saltellando per la felicità. Avevo sempre pensato che un giorno sarebbero potuti stare insieme e vederli così felici mi mandò su di giri.

- Dunque Neo Esperia ha un erede ora.

Constatò papà, trovando Evan felicemente d’accordo.

Entusiasta come non mai, mi sedetti di nuovo, continuando a guardare. Blaez si avvicinò, inquadrando Amber e Shemar. La mia amica, la giovane e valorosa Imperatrice,  sembrava niente di più che una neo mamma raggiante. I suoi occhi ambrati incontrarono i miei commossi e ci sorrise.

- Cari amici, siete sorpresi, eh? Abbiamo voluto comunicarvi la nostra gioia in un modo diverso e sicuramente più diretto, date le circostanze. Shemar e io volevamo poter venire di persona, ma come sapete, non ci è concesso lasciare Neo Esperia.

- Per questo motivo, vi aspettiamo qui, magari per la Renaissance, Aurore.

Shemar sorrise gentilmente, e io annuii.

- Amber, Shemar…

D’improvviso, sentimmo i vagiti del bambino. Entrambi i neo genitori si chinarono sul piccolino.

- Aspettate, gliela facciamo vedere.

Suggerì Blaez.

- Gliela? Quindi è una femminuccia!

Esclamai. Leandrus sorrise.

E quando Blaez inquadrò il fagottino insonnolito tra le braccia di Amber, mi sentii pervadere da una gioia infinita. La piccola aveva delle guance da baciare e gli occhietti socchiusi sembravano la copia di quelli di Amber. I pochi ciuffi invece parevano più scuri, vicini al colore castano dei capelli del padre.

- Amici, vi presentiamo la nostra piccolina, Lady Ethel Sophie Trenchard-Lambert, principessa di Neo Esperia.

Annunciarono all’unisono Amber e Shemar, dopo essersi scambiati un’occhiata complice.

Sorrisi commossa fino alle lacrime, nel vedere quella bimba che assieme a Kyros Vanbrugh e in qualche modo, anche al mio nipotino Louis, sarebbe stata parte della prossima generazione, la prima erede in senso dinastico del futuro di Neo Esperia. Il frutto di un amore che aveva superato ogni avversità. 

 

 

 

 

 

 

 

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Eccomi qui! :) Finalmente da casa, non mi sembra vero! Allora... eccoci all'ultimo capitolo di Underworld! <3 La prossima settimana posterò la seconda parte del capitolo e dopo quella, ci sarà l'epilogo, per cui, les jeux sont faits! :) Vi aspettavate un flashforward? Spero che sia stato di vostro gradimento, ci tenevo particolarmente al ballo di fine anno, soprattutto perché Aurore e Violet lo sognavano da tanto e nella prossima parte, vedrete che accadrà! Certo, ora che un certo ex despota del liceo di Darlington è andato via... u_u In compenso, come avete potuto vedere, ci sono novità anche a Neo Esperia! <3 Aaaaw, morivo dalla voglia di pubblicare questa parte!! 

Comunque, fatemi sapere se vi è piaciuto!! Mi dileguo, alla prossima!! :)

  
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