Film > Frozen - Il Regno di Ghiaccio
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Autore: felsah    24/07/2014    6 recensioni
“Sei mia zia!” quasi urlò Henrik, “ sei tu vero? Sei tu la regina che mio padre ha esiliato? La storia parlava di te…e di mia madre”. Elsa lo guardò, senza dire né sì né no. Il ragazzo aspettò una risposta per qualche minuto, prima di continuare il suo morboso interrogatorio.
“Prometti di rispondere, se ti domando una cosa?”. Elsa fece un piccolo cenno di assenso.
“Tu hai detto che mio padre ti ha bandito, proibendoti di tornare dopo che avevi scongelato il regno, ma a casa, ad Arendelle, tutti ti credono morta”.
“Morta?”.
Genere: Avventura, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Anna, Elsa, Hans
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Cose da re e regine




6
Troppi segreti






 
Talvolta sono sulla riva
Ove riversano gli affanni l'impetuoso efflusso,
E le acque inquiete stridule gridano e sospirano
Di segreti che non osan rivelare.
[Howard Phillips Lovecraft]





 
 Elsa si fermò sulla soglia della porta, e fece due respiri profondi prima di bussare. Sentì dei passi muoversi irrequieti per tutta la stanza, e si chiese come si fosse sentita Anna quando era stato il suo turno di trovarsi lì fuori.
Pensò a quanto dovesse essere frustrante rimanere sulla soglia della porta di una persona cara, e implorarla di uscire, mentre quella non rispondeva nemmeno. Alzò la mano e batté due piccoli tocchi sul legno bianco.

“Henrik…?” domandò piano.
“Vattene via” rispose la voce del bambino, mentre i passi frettolosi si arrestavano. “Non voglio vederti”.
Almeno aveva parlato. Finalmente.

“Ragazzino per favore…dammi solo una possibilità…per spiegare” sussurrò lei, preparandosi a girare la maniglia senza aver ricevuto il permesso; ma il bambino la aprì dall’altra parte con un veloce scatto e i due si ritrovarono faccia a faccia.

“Cosa vuoi spiegare!?” quasi urlò in preda alla rabbia. I suoi occhi arrossati e umidi erano perfetti testimoni del fatto che stava piangendo ormai da ore. “Mi avevi promesso che non gli avresti fatto del male! Lo avevi promesso!”.
Ricominciò a singhiozzare, stringendosi i lembi della camicia fino a far imbiancare le nocche.
Quando Elsa si avvicinò, provando a toccarlo, lui la respinse, indietreggiando fino a tornare all’interno della stanza.
“Henrik, io non ho fatto nulla” provò a giustificarsi. Era inutile: ogni volta che diceva qualcosa il nipote non le lasciava comunque il tempo di finire. Aveva provato a parlare con lui per metà del pomeriggio, dopo che Anna era stata sistemata dove potesse riposarsi, ma l’esito era sempre lo stesso.

“Il dottore ha detto che qualcuno l’ha avvelenata” fece lui, guardandola male, “ chi altri farebbe una cosa del genere? Se lei muore hai il tuo regno e il tuo castello…e sei di nuovo la regina”.

Fu come ricevere una pugnalata in pieno petto. “E’ questo che pensi di me?”.
Vide tutta la rabbia nei suoi occhi, e essere spettatrice di tutto quell’odio nei suoi confronti fece vacillare la sua fermezza. Si sentì per l’ennesima volta, colpevole di qualcosa che non aveva fatto, com’era stato per tutta la sua vita. Incrociò le mani al petto, aspettando una risposta che non arrivò. Lui la fissava, cercando di trovare nei suoi occhi qualcosa che la scagionasse, e la facesse tornare la donna dalle dita magiche che tanto gli piaceva.
Voleva, desiderava ardentemente trovarne una.
“Henrik, io ho parlato con la tua mamma, sono stata con lei tutta la sera” confessò Elsa, cercando di incrociare il suo sguardo. “Non l’ho avvelenata…avrei potuto usare metodi più veloci, se avessi voluto ucciderla”.
Sapeva di essere stata dura con quelle parole, ma voleva disperatamente convincerlo della sua innocenza.
Il ragazzino sussultò, ma al contempo nei suoi occhi comparve uno strano luccichio.


“Le hai detto la verità?” domandò, fissandola di sottecchi.
“Sì”.
“Quindi lei sa chi sei”.
“Proprio così”. Elsa sorrise incoraggiante, cercando ancora una volta di avvicinarsi.
“Se sei stata con lei tutta la sera, hai avuto un sacco di tempo per avvelenarla. E avevi come motivo in più quello della tua identità…la mamma si fida di te”.
“Henrik per favore…” la voce assunse una sfumatura disperata, “ non sono stata io”.
“Se non tu, chi allora? Hai anche mandato mio padre in prigione!”.
Nella sua testa scattò un campanello d’allarme non appena si ricordò di Hans. Si stava preparando a ribattere ancora una volta, quando cambiò idea.

“Zia! Dove stai andando!?” urlò Henrik, non appena la vide voltarsi e correre furiosamente giù per le scale. Le sembrò impazzita.
“In un posto che non è per bambini” fece lei, intimandogli di non seguirla.


Se non fosse stata costretta dall’imminente disgrazia, Elsa non sarebbe mai scesa in quel luogo buio e desolato.
Se l’era ripromesso quando era scappata dieci anni prima, e adesso eccola lì, a scendere le scale che conducevano alle prigioni. All’ingresso due guardie sull’attenti la salutarono così come imponeva il protocollo e lei rispose con un cenno del capo, pur non essendo tenuta a farlo.
“Sono venuta per vedere il principe” annunciò seria, fissando i due uomini ai lati della porta d’ingresso. Come se fosse possibile che lei fosse scesa lì per qualcun altro.
Uno dei due si sfilò un pesante mazzo di chiavi dalla cintura e le fece cenno di seguirlo.
Con il suo solito portamento, degno del suo ruolo di regina, scacciò i demoni che le aleggiavano nella mente, ricordandole in modo pericolosamente vivido il suo breve e intenso periodo di prigionia là sotto.
Quelle celle erano così umide e nauseanti che nessuna persona normale ci avrebbe messo molto a vedere la fine dei suoi giorni.
L’uomo in uniforme la condusse in una delle ultime postazioni.
Oltre le grate metalliche riuscì a vedere le ciocche  dei suoi capelli, a tratti così bianche da superare il pallore dei suoi. Quando i loro occhi si incontrarono, lo sguardo di lui era fiacco e debole quanto carico di odio velenoso. Lei entrò e si chiuse la porta alle spalle. “Quale onore…maestà” mormorò il prigioniero, con fare sprezzante.
“Al contrario principe Hans, sono io che sono onorata a stare di fronte a un così abile stratega”.

Gli sorrise con fare seducente, avvicinandosi al pagliericcio dove era disteso. “Siete venuta a farvi beffe di me, regina?” chiese con tono acido, “potevate almeno avere la bontà di lasciarmi morire in pace”.

“Oh!” fece lei, fingendo una risata, “morire in pace…voi principe Hans!”. E poi, fissando le crepe sulle pareti, dopo un attimo di riflessione, “Che strana la vita, non è vero? Prima quella incatenata ero io e adesso…”.

“Se voi aveste accettato la mia proposta molto tempo fa, nessuno dei due sarebbe stato incatenato” tossì lui, cercando di sedersi.
Lei scosse la testa.
“ La vostra proposta di matrimonio non fu molto galante se ben ricordo” lo sbeffeggiò, portandosi le braccia in vita.
Ancora una volta, erano lì a discutere di quella chiacchierata nel ghiaccio.
Era quando gli aveva detto per la prima volta che era bella, e decisamente troppo, troppo preziosa per morire, e che l’avrebbe voluta al suo fianco. Era stato un dialogo odioso.
Elsa aveva cercato in tutti i modi di dimenticarlo.
Pur avendo visto di cosa era capace, dopo che avevano parlato e lei aveva rifiutato di sposarlo per renderlo re, era scappata da lui e dai suoi doveri, portandosi nel cuore la gelida disperazione per la morte di Anna.
Se solo avesse saputo che lei era viva.
Se solo…si era tormentata per anni interi con quei e se…e se invece…ora era il momento di farla finita.

“Cosa volete, si può sapere?!” gracchiò lui, agitato. Ormai aveva perso le speranze di riuscire anche solo a cambiare posizione.
Il freddo che si stava lentamente impossessando del suo corpo lo rendeva troppo rigido per consentire alcun movimento. Elsa vide gli arabeschi che la neve aveva formato suoi abiti. Vide che tremava.

Ormai non doveva restargli molto tempo. La regina si chiese cosa si provasse a sentire tutto quel freddo. Lei avrebbe sicuramente preferito una morte calda: il ghiaccio sapeva essere crudele. “Farvi una proposta”.

Lui rise sprezzante, o almeno, ci provò, “No, grazie”.
“Non quel genere di proposta” sibilò lei, a denti stretti. “Potremmo fare un accordo” precisò, “di altra natura”.
“Io non faccio accordi con gente come voi, non intendo ascoltarvi. Non penso mi rimanga abbastanza da vivere perché possiate vendicarvi”.
“Oh, ascolterete, invece!” urlò Elsa, “ e state certo che la mia proposta vi interesserà parecchio, mio caro”.
“Cosa?” sbottò, pur cercando di apparire disinteressato. Elsa sorrise vittoriosa. Ci siamo quasi, pensò.
“Beh…potreste incominciare col dirmi cos’avete somministrato a mia sorella”.
“Potrei” fece il principe, senza più la forza di parlare, “ Ma questo non è un accordo, perché dovrei farlo?”.

“Perché io posso…” si avvicinò a lui, sollevandogli il mento con due dita in modo che la guardasse, “ sciogliere…” soffiò… “il ghiaccio”.
Improvvisamente i suoi tremori sparirono, e i capelli tornarono ad essere del loro colore naturale. Hans sbarrò gli occhi e agitò le mani, aprendole e chiudendole piano, più e più volte: ora poteva muoverle.
“Ma se non me lo direte…” asserì Elsa, con fare minaccioso. Agitò la mano, e del ghiaccio comparve ai suoi comandi.

“Chi mi dice che manterrete la parola, se vi dico qual è l’antidoto al veleno?”.
Il ghiaccio venne risucchiato di nuovo all’interno della sua mano, in un gesto fulmineo. “Io non sono una persona cattiva” mormorò lei, dandogli le spalle, “ siete voi che vi siete sempre ostinato a vedermi così”.
“Non sapete quanto vi sbagliate” sussurrò lui in risposta. “Ne avevamo parlato, e dubito che non vi ricordiate cosa ho detto di voi”.
Quando lei si girò per obbiettare, le sue labbra si ritrovarono su quelle di lui. Non fu un bacio dolce, né gentile. Fu l’attacco di un predatore, famelico e insaziabile. Seppur con un piccolo stordimento iniziale, venne ricambiato.
Si aggrapparono furiosamente l’uno all’altro, mentre entrambi perdevano il fiato.
Fu la regina a interromperlo, sbarrando gli occhi, come si fosse resa conto solo a quel punto di cosa stava facendo, e pentendosi del suo comportamento sconveniente.

“Carbone attivo”.
“Eh?”. Elsa scosse leggermente la testa, cercando di riprendersi.
“L’antidoto” precisò Hans.
“Grazie” rispose lei, senza sapere cos’altro dire. Si rese conto di quanto era stata stupida quella risposta solo parecchie ore dopo, mentre ripensava senza posa al loro colloquio. Aprì la porta, facendo per andarsene.
Dirgli che tutto quello non sarebbe mai più dovuto accadere le sembrava superfluo: non avrebbe mai più rivisto quell’uomo.

“Elsa!” la chiamò, prima che lei fosse fuori. Aveva urlato il suo nome. Elsa, l’aveva chiamata.
Il suo cuore fece una piccola capriola. La regina non si voltò, ma rimase ferma, un piede dentro e uno fuori, in ascolto.
“Avrei avuto una possibilità?” domandò lui, fissandole i capelli albini. Vide che le tremavano le ginocchia.
Quello doveva finire subito.
Lui non avrebbe mai dovuto conoscere i suoi pensieri, e nemmeno lei li avrebbe esplorati.
Era un sentiero troppo, troppo pericoloso. Per entrambi. 
“No” mormorò Elsa, voltandosi per gettargli un ultimo rapido sguardo. Arrivata alle guardie ordinò di farlo partire il più presto possibile per il suo paese, spiegando tutto ciò di cui era accusato e lasciando che lo giustiziassero come preferivano. Non lo voleva lì.
Non lo voleva più rivedere.
E mentre risaliva le scale, le lacrime scorsero copiose sul suo viso. Perché piangeva? Lui non era certo il principe azzurro. Non era nemmeno il suo, in caso lo fosse stato. E che le importava? Lei non era più una principessa.




 
**



Quando Henrik si ritrovò solo in corridoio, non sapendo dove andare e non avendo voglia di rimanere ancora nella sua stanza, decise di andare in camera di sua madre.
Non era riuscito a pensare a nulla per tutta la mattina e aveva aspetto con gli adulti il verdetto del medico, dondolandosi su una grossa poltrona per delle ore.
La zia lo aveva rimproverato due o tre volte, dicendogli che sarebbe potuto cadere, ma alla fine lo aveva lasciato fare, lanciandogli di volta in volta piccoli sorrisetti perché non si preoccupasse troppo.
Sulla soglia della stanza, gli venne incontro una cameriera, tutta affaccendata a portare avanti e indietro acqua e pezze, e tutto ciò che la malata chiedeva o il dottore aveva ordinato.
“Asciugatevi le lacrime” consigliò strizzando l’occhio al principino, “ a vostra madre dispiacerà vedere che avete pianto”. Lui seguì il consiglio, strofinandosi la manica della camicia sugli occhi.

Entrando notò che tutte le tende erano state chiuse, in quella stanza che di solito era sempre illuminata dal sole, e che l’unica cosa in grado di fare un po’ di luce era un lanternino, posto vicino al letto, che faceva apparire la pelle di sua madre di un colorito giallognolo e smunto.
Ebbe paura che fosse già morta vedendola così e il suo cuore accelerò i battiti. Se ne stava distesa sotto un mucchio di coperte, che non facevano altro che farla sudare, con i boccoli rossi sparsi sul cuscino. Henrik non pensava di aver mai visto sua madre con i capelli sciolti.
Si avvicinò piano, e vide che teneva gli occhi chiusi, mentre la sua bocca, quasi bianca, era appena schiusa. Le prese dolcemente la mano, rimanendo lì in piedi. La sua pelle scottava.
“Ciao” mormorò Anna, ricambiando debolmente la stretta. Sulle sue labbra pallide comparve l’ombra di un sorriso.
“Scusa mamma...non volevo svegliarti”.
Henrik lasciò che lei gli accarezzasse la mano.
“Non dormivo” rispose, battendo una mano sul letto perché il bambino si sedesse accanto a lei. Lui si arrampicò sul materasso, e si strinse a lei, stendendosi lì vicino.
Si fece accarezzare i capelli per qualche minuto, senza riuscire a smettere di pensare a quanto amava sua madre e a quanto voleva che stesse di nuovo bene.
Di solito, era lui che si ammalava, ma la mamma sapeva sempre che lui sarebbe guarito.
“Ti voglio bene” sussurrò Anna, dandogli un piccolo bacio sulla fronte.
Lui si limitò a stringerla più forte e la pregò, “Guarisci mamma, per favore”. Sentì che se avesse detto qualche altra cosa sarebbe scoppiato a piangere, ma si ricordò che tutti gli avevano detto di non farlo, cameriera compresa.
“Certo” pigolò lei, senza quasi voce. Cercò di sorridergli ancora, ma non ci riuscì.
La domestica intanto, era ricomparsa nella stanza.

“Principessa, vostra sorella è qui fuori, chiede di entrare”.

“E che entri, è la regina” mormorò lei, con una gran voglia di ridere. Ne uscì solamente una brutta tosse, che si interruppe parecchi minuti dopo, quando ormai Elsa era già lì, e la guardava con un misto di tenerezza e preoccupazione.

Si sedette sulla parte opposta del letto rispetto a Henrik, “ Posso stare un po’ da sola con la tua mamma, ragazzino?”.
Lui la fissò con aperta ostilità, fino a quando non spostò lo sguardo su sua madre, che lo convinse a lasciare la stanza con un occhiolino. Le due sorelle si ritrovarono ancora una volta da sole.
Elsa posò dolcemente una mano sulla fronte bollente di Anna, dandole un po’ di sollievo.
“Sei sempre così fresca” sussurrò lei, prendendole anche l’altra mano perché la unisse alla prima.

Elsa ridacchiò e fece come le era stato silenziosamente chiesto.
“Ho trovato l’antidoto” mormorò poi, dopo un po’ di silenzio. “Tra due o tre giorni sarai di nuovo in piedi”.
“Hans…?” domandò lei, stupendola.
“Hans” si limitò a rispondere.
“Come sei riuscita a farti dire così in fretta cosa serviva per contrastare il veleno?” chiese Anna, tossendo un’altra volta per lo sforzo che faceva ogni volta che doveva pronunciare una frase troppo lunga.

“Non importa” fece l’altra, cercando di sorridere incoraggiante. “ L’importante è che ha confessato. Ho dato ordine di farlo riportare da dove è venuto”.
“Come se questo potesse risolvere tutto…” sospirò rumorosamente, stringendo le coperte tra le dita affusolate, “sono ancora sposata con lui”.
“ Faremo in modo di sciogliere il matrimonio” ribatté lei con decisione. Odiava il pensiero di essere stata lei la causa di tutto quel dolore e quelle disgrazie.
“Ho ancora un figlio con lui, non puoi cancellarlo”.
“ Non essere sciocca, Anna. Sembra quasi che tu lo difenda…e poi, lui non è figlio di Hans”. Le servì tutto il suo coraggio per riuscire a pronunciare quelle parole.
“Come lo sai?” chiese lei, agitandosi a tal punto da voler mettersi a sedere. Elsa la aiutò a raddrizzarsi e poi, “Me l’ha detto lui stesso. Quella sera, nello studio”.

“Non riesco a credere che la sua crudeltà sia arrivata a tanto”.
“Credici” mormorò Elsa sprezzante, “dovevi vedere come raccontava quello che è successo”. Si alzò in piedi, dirigendosi verso la grande finestra triangolare che dava sulle verdi montagne che circondavano Arendelle.
Prese la piccola cordicella che spuntava tra le tende e le tirò appena, permettendo a un po’ di luce di filtrare. I raggi del sole illuminarono la sua pelle lattea, facendo brillare i cristalli di ghiaccio che componevano il suo abito.
Ne aveva confezionato un altro quando i vestiti di stoffa avevano cominciato a stancarla.
Non era facile abbandonare quell’abitudine dopo dieci anni trascorsi a vestire la magia.

“Che cosa ti ha detto?” volle sapere Anna, sporgendosi per scendere dal letto. La sorella la fermò appena in tempo e rispose, “ Niente di che. Solo che non è suo figlio e di come è riuscito a sposarti”.
La malata sospirò ancora una volta.
“Anna…?”.
“Non me lo chiedere, per favore” sussurrò, e la sua voce uscì flebile e debole come quella di una bambina impaurita. Sapeva che quella domanda prima o poi sarebbe arrivata e ne aveva paura, perché il ricordo bruciava ancora sulla sua pelle come una ferita aperta che non era mai stata disinfettata: al suo interno si erano annidati germi pericolosi che continuavano a scavare, scavare, scavare…e pezzo per pezzo la stavano mangiando viva.

Solo Elsa, con il suo ritorno, era riuscita a risanare un lembo di quel disastro.
Le accarezzò una guancia, “ Ti risparmio giusto perché sei in questo stato” fece, cercando di apparire scherzosa, “ ma non appena ti rimetti in piedi ti torturerò con le mie domande”.

“Anche io ho tante da fartene” rispose Anna, sorridendo a sua volta, felice di essere riuscita ad evitare l’argomento, almeno per quella volta.
“Ti lascio riposare”.

Le stampò un bacio sulla fronte e uscì dalla stanza, dandogli le ultime disposizioni alle domestiche perché si prendessero cura di lei e le somministrassero il medicinale di cui aveva bisogno.


Quando scese le scale per tornare a quello che ormai poteva considerare a tutti gli effetti il suo studio, trovò Henrik sul primo gradino, intento a stropicciare un foglietto di carta, strappandolo in mille pezzetti, che puntualmente danzavano nell’aria come coriandoli, per poi finire rovinosamente al piano di sotto.
Lei colse l’occasione per sedersi accanto a lui. Quando gli fu accanto il bambino mormorò, “Scusa”.
Nel sentire la sua voce, capì che stava piangendo. Gli posò dolcemente una mano sulla spalla e lui si girò, rivelando il suo viso triste. “ Non devi scusarti di nulla” sussurrò Elsa, spazzandogli via le lacrime con un gesto della mano.

“Per non averti creduto”.
La regina sorrise, “ E come mai ora mi credi?”.
“ Ero nascosto….h-ho sentito di cosa hai parlato con la mamma”.
Henrik strappò ancora una volta dei pezzetti di carta che vorticarono turbinosamente nell’aria e poi si poggiarono sui gradini davanti a loro. Il sorriso di Elsa svanì com’era apparso.
“ E perché l’hai fatto ?” chiese sconfortata, tenendogli il mento sollevato con una mano.
Sperò con tutta se stessa che non fosse vero.
“Volevo solo tenerti d’occhio” scoppiò il lacrime, cercando l’abbraccio della zia, che non tardò ad arrivare. Elsa lo strinse a sé, e gli accarezzò la schiena tremante, non sopportando di sentire i suoi singhiozzi.
Lo cullò per qualche minuto, fino a che non rimase in silenzio, senza più lacrime da versare, né parole da poter usare per chiedere qualunque cosa e si mise a fissare i pezzettini di carta bianca che erano finiti ai loro piedi.
Nemmeno Elsa sapeva cosa dire. Rimase in silenzio per un bel po’, stretti in uno strano abbraccio.
Poi, lei agitò le mani, facendo frusciare i pezzetti di carta, che si alzarono in volo. Come se non fossero mai caduti, cominciarono a volteggiare in mezzo ai fiocchi di neve che le sue mani avevano creato.
E per un po’ rimasero entrambi così, ad ammirare lo spettacolo in silenzio.
“ Mi racconti una storia, zia?”.
“Quelle che racconto io non sono mai storie, dovresti saperlo”.
“ Lo so, è per questo che lo chiedo a te”.
“Ma quella che vuoi sentirti raccontare non la conosco nemmeno io, ragazzino”.






Eccomi qui, questa volta decisamente molto più veloce rispetto a quando avevo postato il capitolo 5! Spero di farmi ulteriormente perdonare ehehe. Qui possiamo dire che ho chiuso alcuni interrogativi e ho aperto finalmente in modo definitivo quello più grande, ovvero: di chi è figlio Henrik? Qualche ipotesi mi sa che l'avete già, ma vedrete che non tarderete a mettere tutti i tasselli al loro posto, anche perchè non è difficile da indovinare.
Per quanto invece riguarda il carbone attivo, l'antidoto che serve ad Anna per disintossicarsi diciamo, è davvero comunemente usato per il veleno, ma non so precisamente come funziona, se non che va sciolto in acqua e assunto per due o tre giorni...ho raccolto informazioni qua e là ecco, dico in mia difesa! :)
Spero che il capitolo vi piaccia! Alla prossima,
felsah


 
  
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