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Autore: Melian_Belt    24/07/2014    6 recensioni
"Ho sempre guardato gli altri dall’alto in basso, disgustato dalla loro semplicità, dai loro aspetti banali, chi è questa creatura che in un momento di mia simile debolezza mi sta davanti?
Accenna un sorriso sulle labbra sottili, gentilezza ed eleganza solo nel modo in cui mi tende la mano guantata. Dev’essere l’alcool che mi fa sentire così in soggezione, che fa battere il cuore contro la cassa toracica, proprio a me che sono un’inarrestabile macchina da guerra, fatta per schiacciare gli altri sotto le scarpe."
Per chi mi conosce, prima ero Melian92! Buone feste a tutti!
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Richard POV

Il fiume è rubino stasera, un insolito colore per i tramonti di gennaio. Scintilla caldo nel suo cammino per la città, dà qualche colpo di luce alle finestre, miscelandosi ai veli del sole calante che ricopre delle sue ultime forze le pareti della casa, quasi fosse ancora in vita per raggiungere la foto alla fine della stanza. Simone l'ha messa lì qualche giorno fa e la guardo ancora e ancora, la testa abbandonata con stanchezza. Gli occhi vorrebbero chiudersi ma lei mi chiama, con quel viso così simile al figlio. Era così bella…a vederla sembra un'eroina della Bronte. Il nome Charlotte le starebbe d'incanto. Sospiro, la mano sullo stomaco per sentire il fluire del respiro. Ogni giorno che passa, mi sembra di saper prendere meno aria, come se qualcosa dentro di me si stesse restringendo. Mi giro verso il comodino, dove lo specchio incastonato è piegato davanti, posso vedere parte del mio riflesso. Assottiglio gli occhi, cercando di capire quanti capelli ho perso rispetto a ieri. Mando giù un altro sospiro e sollevo lo sguardo al soffitto a cassettoni. Mi piace la casa di Simone, è così piena di passato, nonostante i suoi vani tentativi di renderla più asettica possibile. E poi, ancora quella foto. Lei è morta e da quel poco che Simone mi ha raccontato doveva essere una perla del mondo, impossibile da lordare dal suo basso marito, ma da lui assopita.

Stringo le mani intorno alla felpa pesante. Chiudo le dita al brivido cattivo che mi attraversa e nascondo il viso contro il cuscino, cercando in lui un amico che cacci via questo amaro presagio. Il calore…non poterlo più sentire. Una mano si poggia sulla mia guancia e spalanco gli occhi, sollevandoli verso Simone. Accenna il suo solito, rigido sorriso, come se la sua bocca non fosse stata creata per farlo.

"Sei tornato" e odio quanto la mia voce esca flebile e graffiata. Annuisce, prendendo tra le dita ciocche dei miei capelli, piano, pianissimo. Leggo dal suo sguardo piegato che alcuni devono essergli rimasti in mano e questo mi orripila. Poggio un gomito sotto di me e con un breve, intenso sforzo mi tiro a sedere, prendendo la sua mano nella mia.

"Come è andata?".

Lui mi scruta, i suoi grandi occhi marroni, dal taglio netto e roccioso, scavano delle profondità che non credevo di avere. "Bene".

Sorrido: "Loquace come sempre".

Scrolla le spalle, intoccato da ciò che può fare il resto del mondo. Non riuscirò mai a capire perché un uomo così, chiuso nel suo muro di passato e tracciato futuro, si sia preso un tale interesse per me. Mi sento una pessima persona ad esserne grato. Prende la busta della spesa da per terra e la porta in cucina, dove lo sento mettere a posto.

Poggio il braccio sulla schiena del divano, osservando il mio cappotto sul suo appendiabiti, nel solito posto. È così strano che abbia un suo posto fisso, a casa di un uomo che conosco da meno di un mese. Eppure eccomi qua, con le mie cose tra le sue.

Questa casa è troppo fredda. Vieni da me.

Sorrido contro la mano a ricordare le sue parole, con quel suo tono sempre misurato e senza orpelli. Mi tiro in piedi e con il respiro un po' balzellante lo raggiungo in cucina. Lui mi guarda con la coda degli occhi e non si muove mentre gli circondo la vita con le braccia, poggiando la testa stanca sulla sua spalla, continua a mettere le buste per il tè nel contenitore, un elegante custodia in maiolica. Ci sono queste piccole, grandi cose sparse per casa sua, come indizi lasciati da una famiglia ormai trascorsa, sembrano portare con loro gli odori della vecchia Sicilia e le risate assistite da camerieri.

Passo le dita sulla superficie liscia, fredda. Cerco di leggere qualcosa nella sua espressione di pietra.

"Cosa…cosa hai fatto?".

"Ho lasciato il lavoro".

"S-Simone? Ma perché…una cosa del genere…".

"Non mi interessa".

Gli do un bacio sulla guancia, passando di proposito il naso freddo sul suo collo. Finalmente sorride, quando lo fa spontaneamente sono sorrisi piccoli piccoli, che gli sollevano a collinetta una guancia, verso gli zigomi un po' sporgenti. "Allora…cosa vogliamo fare stasera?".

Scrolla le spalle magre, chiudendo la scatoletta per metterla vicino al posacenere. Ho trovato più pacchi di sigarette in casa sua, ma non gliele ho mai viste fumare. Tamburella brevemente con le dita affusolate, da quei fumatori pieni di doloroso, tormentato contegno che ti immagini in certi romanzi della beat generation.

"Vediamo un film?".

"Quale?".

"Non lo so…vedi tu. Però prima mangiamo".

Prende una sedia dal tavolo: "Siedi".

Mi accompagna giù e per questo gli rivolgo un sorriso: "Non sto così male".

Stringe la mia spalla nel suo andare verso il frigo. Mi giro a guardarlo, mentre il suo cipiglio serio permane persino nel contemplare le uova.

"Potremmo guardare qualcosa di umoristico".

Fa un vago rumore di assenso con la gola, cercando non so cosa nel primo ripiano. "Mi piacerebbe vederti un po' divertito. Cos'è che ti diverte?".

"Non saprei".

"A me facevano ridere il mio cane e il mio gatto quando erano cuccioli e giocavano insieme. Erano davvero divertenti".

"I tuoi animali?".

"Sì, li ho lasciati a mia cugina quando mi sono trasferito a Roma. Lei ha una fattoria, sarà un anno che non ci vado".

"Hm".

Mi guarda con occhi che non tradiscono nulla, niente a farmi intuire che si sarebbe presentato con un cucciolo di cane, il giorno dopo. Lo tiene per sotto le zampe, sollevato come un idolo del quale non sa che fare. Quando parla è laconico: "Pet therapy".

  
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