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Autore: Melian_Belt    31/10/2014    5 recensioni
"Ho sempre guardato gli altri dall’alto in basso, disgustato dalla loro semplicità, dai loro aspetti banali, chi è questa creatura che in un momento di mia simile debolezza mi sta davanti?
Accenna un sorriso sulle labbra sottili, gentilezza ed eleganza solo nel modo in cui mi tende la mano guantata. Dev’essere l’alcool che mi fa sentire così in soggezione, che fa battere il cuore contro la cassa toracica, proprio a me che sono un’inarrestabile macchina da guerra, fatta per schiacciare gli altri sotto le scarpe."
Per chi mi conosce, prima ero Melian92! Buone feste a tutti!
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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~~Richard POV

“Come la vogliamo chiamare?” chiedo, la cagnolina che si rigira sul mio grembo da una decina di minuti. Stringe i dentini sul mio pugno chiuso e sorrido piano allo sguardo omicida di Simone. “Tranquillo, non mi dissanguerà”.
Scrolla le spalle e si siede sul tappetto, davanti al divano su cui sono adagiato da tempo immemore. Fatico un po’ a tenere gli occhi aperti, ma almeno non ho freddo stasera. Gratto il cucciolo dietro l’orecchio e lei rotola per l’emozione improvvisa, finendo contro il mio fianco. Simone lo scruta con una strana perplessità.
“Perché la guardi così?”.
“È arancione”.
Rido, scuotendo il capo: “Sei tu che lo hai scelto”.
“Era sera. Mi era sembrato più chiaro”.
Prendo la bastardina con il braccio, prima che si schianti rumorosamente a terra. “Gli serve un nome”.
“Cane”.
“Come?”.
“Cane va più che bene”.
Il bello di Simone, è che queste cose le ride con l’aria più seria del mondo. Non riesco mai a capire quando scherzi o meno, dalla sua espressione mi pare piuttosto convinto. Mi chiedo come mai abbia preso un cane, se con gli animali ha questo rapporto di assoluta estraneazione.
Sospiro: “Sei terribile”.
Appare intoccato dal mio commento e si poggia contro il divano, la testa vicina alla mia spalle. “Dobbiamo proprio dargli un nome?”.
“Sarebbe il caso, sì. Al canile non hai messo niente sul modulo?”.
“Ho scritto cane”.
Sorrido, strofinando la guancia contro i suoi capelli. “Sei stato gentile a prenderla. Lo sai che va portata fuori, vero?”.
Una nube gli attraversa lo sguardo. Si chiude stretto nel suo pullover: “Sì che lo so”.
Solleva le testa su di me e piano poggia un dito tra le mie ciocche, come fossero petali in procinto di appassire: “Ciocca bianca”.
“Lo so” rispondo con un sorriso, ormai abituato al suo modo di fare senza fiocchi. Fa un cenno brusco con la testa, tirandosi in ginocchio: “Fammi posto”. Mi tiro a sedere e in un attimo le sue gambe sono ai miei lati, le braccia chiuse intorno alla mia vita. Poggia il mento sulla mia spalla e continua a scrutare il cucciolo, nemmeno la palla di pelo arancione sia la risposta ai misteri dell’universo.
Rimaniamo in silenzio per un po’. Fuori, comincia a scendere la pioggia, dopo qualche minuto il vento la spinge contro i vetri a picchettare contro la casa. Lascio scivolare le dita sul pelo dall’effettivamente improbabile colore, notando con disturbo quanto siano diventate scheletriche. Sono così bianche…trasalisco e le braccia di Simone si stringono più forte intorno a me.
“Richard”.
“Sì?”.
 “C’è una clinica, in America…”.
“Ok”.
Vedo la sorpresa negli occhi di Simone. In un bellissimo istante, si trasforma in un sorriso contento. Piega il viso nel mio collo, il suo respiro da colore anche alla mia pelle fredda. Se sorride così per questo, che luce può emanare per gioie più grandi?
“Sei bello quando sorridi”.
“Piantala” mormora contro la mia spalla, gli occhi chiusi. Qualcosa nella durezza della sua postura è scomparso, come se un masso invisibile gli fosse improvvisamente rotolato giù dalle spalle. Sembra più giovane ora, quasi dolorosamente tale. Borbotta qualcosa che non riesco a distinguere.
“Come?”.
Si schiarisce la voce, un lieve, nuovo rossore sulle guance. “È…bello non essere più l’unico che lotta”.
Batto ripetutamente le palpebre. Ah…che idiota sono stato. Prendo le sue mani tra le mie, incastrando le dita. La mia fronte si poggia sulla sua: “Scusami”.
Rimane qualche secondo senza dire nulla, appare quasi addormentato. “Ok…”.
Ho deciso di chiamare il cane Hope. Anche se di per sé non è granché, ora mi sembra il nome giusto. Non lo dico subito a Simone, lasciandolo in questi attimi di silenziosa calma in cui finalmente è caduto.

  
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