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Autore: L o t t i e    28/07/2014    3 recensioni
«Sei una cretina», iniziò lui accomodandosi sul letto ad una piazza e mezza: aveva ancora la giacca. «Puoi accusarlo di tutto, tranne che non ti voglia bene... a modo suo.»
Ah, ecco.
William sottolineò, a mente, «a modo suo» un paio di volte, in rosso. Ripassandolo più volte.
Quelle semplici frasi stesero un velo scuro sul viso di porcellana della vampira, la quale preferì stare in piedi; se si aspettava la comprensione faceva prima a gettarsi dalla finestra, l'umano. Non dopo aver parlato al cellulare con una fanatica, non dopo aver ricevuto un bacio dal suo creatore ubriaco e con chissà quali sensi di colpa venuti a galla.
«Non ti permetto di parlarmi così», si impose pacatezza, danzando verso l'armadio per prelevare dei vestiti più leggeri. Vide il ragazzo schiudere le labbra, forse per parlare ancora, protestare. Fu più veloce.
[Da revisionare!]
Genere: Fantasy, Malinconico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Vampire - the series.'
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Un nuovo, non voluto inizio.








Come dovrei sentirmi, fortunata, forse? Perché ho avuto una seconda possibilità? Non sono mai stata interessata a quelle creature osannate da tutti, quali vampiri. A dire il vero, sono completamente ignorante in materia. Ho guardato qualche puntata di qualche telefilm, so che bevono sangue e che non possono girare di giorno, dei “belli dannati”... forse è anche figo esserlo.
Mi sono ricreduta.
William Leroy.




Villa Von Ritcher, febbraio.

«...Lui il est tout mon monde, et bien plus que ça1―»
«Piantala di cantare, non sei nemmeno intonata.» borbottò il moro alzando lo sguardo ghiacciato dal libro e puntandolo sull'albina.
«Sei qui per sorvegliarmi, non per criticarmi.» ribatté prontamente lei, infastidita. Era poggiata, come le era solito fare di giorno, sul davanzale della finestra al secondo piano - quello secondo lei più accogliente. I vetri erano coperti da spesse ed apposite tende scarlatte, quasi nere, per non lasciar filtrare alcun raggio dorato. William le spostava leggermente per aprire uno spiraglio tra quel muro che la divideva prepotentemente dal suo, fino a poco tempo prima, mondo. Osservava. Poteva solo fare questo.
Gli alberi, il prato curato, il cinguettio degli uccelli... È proprio vero, allora, che non si capisce l'importanza di qualcosa fin quando non si perde, eh?
Si voltò lentamente verso la sua guardia del corpo - alias cagnetto da guardia - assottigliando le palpebre, rendendo lo sguardo celeste simile a due lame di ghiaccio, pronte a trafiggerlo in qualsiasi istante. Sperava che lui avesse compreso.
«Tourner dans le vive vide, tourner dans le vide vid―»
«William!» sbottò nuovamente il ragazzo interrompendola per l'ennesima volta, ignorando l'occhiataccia di prima. Lei si accigliò un poco, era stupido? Ora le sembrava una piccola mosca pronta per essere schiacciata. L'avrebbe schiacciato.
«Trevor Knight.» iniziò gelida, non proprio un buon presagio per l'umano. Il diretto interessato, fino a qualche istante prima stravaccato sul divano in pelle beige, stavolta scattò in piedi, lasciando cadere il libro sul tappeto. Aveva imparato una cosa fondamentale di William in quelle settimane, e questa cosa è che non è brava a trattenere la rabbia. Era davvero dolce, tenera e coccolosa - se voleva -, ma mai farla arrabbiare. Testimoni le sue costole ancora doloranti e il suo collo. E pensare che lui era perfino più grande e muscoloso!
«Non mi piace quando mi interrompono. Sono piuttosto nervosa, sai, sono due settimane che non esco da questo posto, sono iniziate le Vacances2 e non posso nemmeno vedere mia madre.» fece un respiro profondo, alzando il busto ed andando vicino al ragazzo - più alto di lei. «Sai perché, Trevor?»
Era una domanda retorica, non chiedeva una risposta, la sapeva già. Quella maledetta risposta.
Trevor a quanto pare non aveva compreso.
«P-perché der Meister3 mi ha imposto di non lasciarti uscire, nemmeno se fossi stato sul punto di morire...»
Esatto.
«...e se anche morissi e tu riuscissi a fuggire, lui ucciderà tua madr―»
«Esatto.» sibilò, lo sguardo perso nel nulla. Quel ragazzo, Trevor, in un certo senso era come lei. Aveva diciannove anni, dei splendidi capelli nero pece e degli occhi ancora più belli, se possibile. Di un celeste così chiaro da sembrare grigio. Era uno dei tanti schiavetti di Claude, tuttavia uno dei pochi ad essere ancora umano.
Quella sottospecie di Hitler - guarda caso aveva anche origini tedesche - l'aveva lasciato come sorvegliante mentre lui andava a sbrigare alcune faccende. Faccende che riguardavano del sangue, un problema dell'albina che riguardava il sangue. Ricordava ancora, come impressi nella sua mente, lo sguardo smeraldo sgranato, stupito, impressionato di quando la neo-vampira aveva vomitato quel prezioso nutrimento subito dopo averlo ingerito. Questo sì che è un problema. Devo risolverlo al più presto. Trevor, tu stai con lei, credo si troverà bene con te che sei ancora umano, aveva detto con il solito ed irritante sorriso stampato in viso.
«Anche se non c'era il bisogno di rispondere.» e sotto lo sguardo allibito del corvino tornò vicino alla finestra, a poggiarsi su quel davanzale come un cane bastonato tornava nella sua cuccia.
«Stai... bene?» mormorò lui, cauto, tornando seduto sul divano e raccogliendo lentamente il libro da terra. La vampira sorrise, anche se di spalle, forse più una smorfia apatica, fatta lì lì per non sembrare una statua di cera. Fece spallucce.
«Sì, idiota. Devo imparare a non risolvere tutto con la violenza, fatto.»
«Wow, e dire che mi aspettavo un cazzotto come la scorsa volta.» e con le folte sopracciglia alzate, abbozzò una risata, riaprendo il volume alla pagina che stava leggendo prima di essere interrotto. Quindi calò di nuovo il silenzio. ...Almeno per qualche minuto.
«Trev, me lo presti il cellulare?»
«No?»
E rieccolo, il copione che ripeteva per l'ennesima volta, déjà vu. Lei insistette ancora, sempre più lamentosa.
Ma certo, il cellulare di Trevor era un perfetto mezzo per parlare con qualcuno, con qualcuno che non fosse un vampiro sadico - o direttamente un uomo. La sua migliore amica Samantha; ah, quella capellona rossa, quelle lentiggini, quanto le mancavano! Le loro chiacchiere. Non ce la faceva più, voleva uscire, immediatamente.
«Dai, solo una passeggiata nella strada principale!»
«A te manca qualche rotella. No.»
«Vieni anche tu, allora! ...Così mi terrai comunque sotto controllo!»
«Devo ricordarti che succede se esci? Pensa se ti aiuto anche! Zack!» e mimò qualcosa simile ad una taglio netto sul collo. William ora gli era appiccicata addosso, come una bimba di cinque anni, fissandolo con gli occhioni da cucciolo.
«No, ho detto. ...E non starmi appiccicata, Will!»
Quella sbuffò sonoramente e mugugnò qualcosa simile ad un lamento. Scivolò via dal corpo del ragazzo e si buttò ai confini del divano, con il gomito poggiato sul bracciolo ed il viso sulla mano, imbronciata.
«Non starai facendo il muso- Will, non ti sei mai lamentata così tanto. E dico sul serio! Che ti prende?»
«Come "che ti prende"? Ma ci sei o ci fai? Sono preoccupata per mia madre e... sto mancando troppo tempo. E ancora, perché non è ancora venuta a cercarmi? I miei amici... Mon Dieu
« ... »
«Ora dovresti rassicurami.»
Trevor arcuò lentamente le sopracciglia guardando la cascata color avorio... divertito. Quella ragazza sdrammatizzava o faceva diventare qualunque cosa divertente, forse non lo faceva di proposito ma alla fine di un qualche discorso strappalacrime se ne usciva sempre con qualche battuta o comunque qualcosa che cancellava la brutta aria da funerale. Forse non lo faceva di proposito, chissà.
«Allo―»
«Okay. Appena cala il sole facciamo un giro in città, mh?» alzandosi dal divano le andò vicino e le poggiò una mano sul capo argenteo, facendole una piccola carezza che lei sembrò gradire.
«Vuoi rischiare la tua vita per un mio capriccio?» borbottò la vampira, velando un sorriso.
«Mi fai pena, tutto qui







* * *









Puntuale come un orologio svizzero, Trevor, all'alba della prima stella in cielo era già vestito e pettinato - si fa per dire, visto che lasciava sempre i capelli un po' per i fatti loro. Percorse il corridoio con calma, dato che la coinquilina stava dormendo, quindi si fermò di fronte alla penultima porta in fondo. Alzò un pugno per bussare e...
«Uh, finalmente!» la ragazza fu più veloce, nemmeno si fosse appostata in precedenza dietro la porta per monitorare ogni movimento del moro - che stava quasi per darle un pugno in testa. Era già straordinariamente pronta, con dei pantaloni bianchi ed un maglione color lavanda, semplice e carina. Il diciannovenne sospirò, perché sì, si era preso un mezzo infarto, poi si voltò di spalle, portando una mano alla nuca.
«Ma non stavi dormendo?»
«Stavo, infatti.» fece un passo verso di lui e gli si appigliò al collo, facendo piegare indietro il povero malcapitato che provava a staccarla in ogni modo. Era più che giustificata la cosa; tra le loro altezze c'erano almeno dieci centimetri di differenza e se quella ragazzina voleva giocare alla scimmia appendendosi al suo collo―
«Sto..! Sto soffocando... Ugh-»






Deliri Note dell'autrice:
«...Lui il est tout mon monde, et bien plus que ça1―»=Tourner dans le vide, canzone della cantante Indila che mi ha anche accompagnato nella scrittura di questo capitolo. ☆
Vacances2=William parla di vacanze scolastiche, perché, su per giù, in tutta la Francia c'è un periodo del mese di febbraio nel quale non si va a scuola.
Der Meister3=Il master, il padrone. È semplicemente tradotto in tedesco.

Oh, sciabolette. Ora ci sono dentro fino ai capelli, eh? Bien, questo era il primo capitolo, se siete arrivati alle note non posso che ringraziare. ;u; *inchin
Per qualsiasi cosa, un verbo dalla coniugazione sbagliata, qualche parola che si ripete troppo, un capello che vi è finito sullo scher--... No, okay. Uhm, che dire, un qualcosa (?) è sempre ben accettato. èwè
E nulla, torno nel mio comodino. ♪
―L o t t i e.
  
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