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Autore: Lacus Clyne    29/07/2014    1 recensioni
"Cominciò con un incubo. Un incubo tornato dalle profondità dell’anima in cui avevo cercato di relegarlo innumerevoli volte, da quando ne ho memoria." Per Aurore Kensington i sogni si trasformano in incubi sin da quando era una bambina. Sempre lo stesso incubo, sempre la voce gentile del fratello Evan a ridestarla. Finchè un giorno l'incubo cambia forma, diventando reale. Aurore è costretta a fare i conti con un mondo improvvisamente sconosciuto in cui la realtà che le sembrava di conoscere si rivela essere una menzogna. Maschere, silenzi, un mistero dopo l'altro, fino al momento in cui il suo adorato fratello Evan e la loro mamma scompaiono nel nulla...
Genere: Drammatico, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Il ballo di fine anno ebbe luogo due giorni più tardi. Mia madre, memore degli insegnamenti di Alizea, era riuscita ad acconciarmi i capelli con un gioco di forcine e piccoli fiori lilla, in tinta con il mio abito stile rinascimentale dalle maniche a sbuffo d’argento. Mentre studiava attentamente dove porre l’ultimo fermaglio, pensavo al primo ballo a cui avevo preso parte, durante la Renaissance. Il ricordo di una radiosa Amber, della classe di Shemar e dell’incontro con Rose, quando ancora non sapevo se potermi fidare o meno, mi fece sorridere. Quante cose erano successe da allora. La sola differenza, in quel momento, era la mancanza di un cavaliere. Guardai l’orchidea che era rimasta sulla scrivania, pensando che non l’avrei indossata, quella sera. Non ne avevo alcun motivo, d’altro canto.

- Massì, in fondo, chi ha bisogno di un cavaliere? Vero, mamma?

Domandai. La mamma alzò lo sguardo, incrociando il mio nello specchio che avevo di fronte. La sua espressione si fece momentaneamente pensierosa, poi sospirò.

- L’importante è che tu ti diverta, tesoro. Soprattutto oggi.

Annuii convinta. Del resto, avevo trascorso una bella giornata, sia grazie alle notizie che Leandrus ci aveva portato e che avevo abbondantemente avuto modo di commentare con Violet e Ruben, sia grazie alla sorpresa che Evan e Arabella mi avevano fatto, anticipando il rientro e tornando a casa in tempo per il mio compleanno. Era stato il regalo più bello.

Quando finalmente la mia acconciatura fu terminata, osservai il mio riflesso nello specchio. Ero cresciuta negli ultimi due anni e la mia somiglianza con Arabella non passava inosservata. Portai le dita alla gola, sfiorando il ciondolo d’ametista che portavo sempre addosso, un po’ come Evan col Thurs, ricordo di un momento fondamentale della mia vita. La mamma si tirò su, posandomi le mani sulle spalle e sorridendo dolcemente.

- Sei una principessa, angelo mio.

Sorrisi anch’io, emozionata.

- Grazie, mamma.

E mentre mi voltavo, Arabella si affacciò alla porta.

- Sei pronta, Aurore?

Mi domandò, incuriosita, per poi rimanere sorpresa nel vedermi.

- Sì, arrivo!

Esclamai, prendendo un gran respiro. Mia sorella, entusiasta, ci raggiunse, prendendomi le mani e scrutandomi per bene.

- Sei un incanto, sorellina. E’ come rivederti due anni fa, lo sai?

Feci un cenno di assenso, un po’ imbarazzata, ma fu nulla rispetto a quando si accorse dell’orchidea che mancava e andò a raccoglierla.

- Non scordare questa!

La mamma, accanto a noi, fece per dire qualcosa, ma fui più veloce.

- Non la metto, Arabella, scusa…

- Perché? Non avevate detto che durante il ballo di fine anno è la cosa più importante?

Domandò, perplessa.

- S-Sì, ma non in questo caso… presuppone l’avere un cavaliere che non ho, almeno non più…

Spiegai, senza troppa voglia di andare a ripensare alle motivazioni di quella scelta.

- Capisco… però, almeno fino a scuola, un cavaliere c’è eccome. Anzi, in realtà è anche più d’uno…

Precisò, prendendomi la mano sinistra.

- Cosa?

Le feci eco, stupita.

Arabella si mise a ridere, per poi chiamare papà ed Evan.

Non feci in tempo a replicare che entrambi si affacciarono. A quel punto, sia la mamma che io ci guardammo in tralice. Sia mio padre che mio fratello avevano indossato i vestiti di gala. Entrambi in tight nero, Evan persino con cravatta e gilet. A quel punto mi misi a ridere, pensando che l’avevo visto così soltanto il giorno del suo matrimonio. Invece papà, del canto suo, faceva una figura impeccabile, tanto che nel vedere gli occhi azzurri di mia madre illuminarsi di gioia, pensai che sarebbe stato bello vederli danzare insieme, nonostante papà fosse geneticamente negato. Ricordando le lezioni di bon ton di Sybille, ringraziai con un inchino.

- My Lords, sono onorata della vostra gentilezza, ma venite da tempi troppo lontani…

Cercai di scusarmi, ponendo l’accento sul mio abito rinascimentale che molto poco aveva in comune con il tight moderno che indossavano. Entrambi si scambiarono lo stesso sguardo.

- Avresti dovuto farti lasciare l’uniforme di Leandrus, papà.

Commentò Evan.

- O magari ritrovare le nostre.

Sorrisi al pensiero di rivederli con indosso quegli abiti così nobili e al tempo stesso di incredibile fascino. Di sicuro sarebbero stati meravigliosi. Tuttavia, mi affrettai a cambiare idea riflettendo sul fatto che trattandosi di un ballo in maschera, se Evan avesse indossato l’uniforme bianca di Liger, avrebbe dovuto avere la maschera. E danzare con Liger, nonostante fosse passato così tanto tempo, era qualcosa di particolarmente surreale.

- L’avevo detto che avremmo dovuto prendere un abito in stile Romeo…

Si lamentò Arabella, sconsolata. Le detti una pacca sulla spalla, sorridendo.

- Non preoccuparti, non ce la farei a vedere Evan o papà in calzamaglia.

A quel commento, un comune pensiero attraversò le nostre menti. La mamma non riuscì a trattenere una risatina.

- Tutto, ma non quello.

La famiglia Kensington al completo convenne. A detta di Arabella, persino Louis si trovò d’accordo, con un calcio ben assestato.

- Penso proprio che Louis non veda l’ora di nascere per farti da cavaliere, zia Aurore.

Ci informò, accarezzando dolcemente il grembo turgido. Quelle parole mi furono molto gradite. Avvicinai anch’io la mano, posandola sulla pancia di mia sorella.

- Piccolo Louis, metterò l’orchidea solo per te, aspettando il tuo arrivo, eh?

E raccogliendola, finalmente mi decisi a indossarla, sotto lo sguardo dei miei familiari, pronta ad affrontare l’evento più importante prima del diploma.

 

Quando arrivai a scuola, accompagnata da Evan, mi ricordai di essere forte. Poco prima di scendere dall’auto, mentre le luci e le musiche provenienti dal cortile addobbato a festa accoglievano i vari studenti che affluivano man mano, guardai mio fratello, che mi sollevò la mano, baciandone il dorso.

- Sei sicura che non vuoi che venga?

- Sì, sta’ tranquillo. Ci saranno Violet e Ruben, non sono da sola.

- Non è quello il problema. E’ che sei così bella stasera che temo ti ronzeranno intorno troppi principi scalmanati.

Sgranai gli occhi, incredula per ciò che avevo appena sentito.

- Stai scherzando?

Evan aggrottò le sopracciglia.

- Ti sembra che stia scherzando?

Ridacchiai. Da quando Damien e io avevamo rotto, era tornato il solito fratello maggiore protettivo. E sebbene lo amassi per questo, sebbene sapessi che tutto ciò che desiderava era che io fossi felice, negai.

- Dì la verità… è che in fondo queste cose piacciono anche a te e in realtà vorresti partecipare al ballo, non è così?

Fece per imbastire una risposta, ma gli accarezzai la guancia, addolcendo lo sguardo.

- Fratello mio, ti voglio bene… ma va bene così, per stasera… sto bene. E quanto ai principi scalmanati, che sappiano che hanno a che fare con la sorella del Despota. Avranno pane per i loro denti.

Evan mi rivolse uno sguardo compiaciuto, per poi volgerlo più in là, oltre il finestrino. Quando mi voltai, vidi Violet e Ruben che gesticolavano.

- Devo andare.

Dissi. Mio fratello annuì.

- Divertiti, Aurore. Ci vediamo più tardi.

Sorrisi, congedandolo con un pollice recto, poi presi la mascherina d’argento e la misi sugli occhi. Riempii i polmoni d’aria e scesi, guardando Evan si allontanava. L’aria aprilina si sentiva fresca e carica, complice la serata. Le note rinascimentali pizzicavano i miei sensi, sollecitando un gioco di ricordi e sensazioni, mentre le fiaccole accese creavano un’alternanza di luce e oscurità che rendeva tutto immerso in un’atmosfera magica. Decisamente, il Consiglio delle classi del terzo anno aveva fatto un ottimo lavoro, tanto che il liceo sembrava esser stato trasformato in un castello, per l’occasione. Quando raggiunsi Violet, nobile nel suo abito bordeaux con inserti dorati e Ruben, che aveva scelto una giubba dello stesso colore in stile Enrico VIII, compreso di cappello piumato, mi inchinai.

- Milady, Milord.

Violet ricambiò l’inchino. Sotto la maschera dorata, i suoi occhi color caramello brillavano di felicità. Anche Ruben si inchinò, magistralmente. Dovevo ammetterlo, tra noi, era quello più a suo agio.

- Lady Kensington, lasciate che vi dica che siete straordinariamente bella, questa sera.

- Lord Cartwright, le vostre parole mi lusingano.

Ringraziai, per poi ridere assieme a Violet e prenderci entrambe sottobraccio.

- Ti piace, Aurore?

Mi domandò la mia migliore amica.

- Non potevi scegliere nulla di meglio, Violet… è tutto perfetto!

- E’ tutto per te. Ed è anche il mio regalo di compleanno.

Le rivolsi un cenno in tralice, pensando che mai nessuno prima d’allora aveva pensato a qualcosa del genere per me. Sapevo della scelta del tema, ma per la data, la mia furba amica aveva ben pensato di raggirarmi dicendo che il calendario scolastico prevedeva quel giorno dall’inizio dell’anno, per cui, si sarebbe trattato di una coincidenza. Le strinsi più forte il braccio, evitando di commuovermi. Non volevo ritrovarmi in versione panda proprio all’inizio della festa. Mormorai un “grazie” e le detti un bacio sulla guancia, poi entrammo, seguite da Ruben, che quella sera fece da cavaliere a entrambe.

Circondata dall’affetto dei miei amici, trascorsi una delle serate più belle che potessi ricordare. Spesso, mentre ascoltavamo quelle musiche d’altri tempi, il nostro pensiero tornò alle trascorse avventure. Ed eravamo tornati a chiacchierare di ciò che stava accadendo a Neo Esperia, rammaricandoci del fatto che ad Amber e a Shemar non sarebbe stato possibile raggiungerci. Eppure, sia Violet che Ruben furono d’accordo all’idea di recarci a Chalange per la Renaissance. Per il Lord del rubino sarebbe stata un’occasione ottima per conoscere il suo nipotino, di cui era assolutamente entusiasta. Anche la mia amica desiderava rivedere i ragazzi e così, avevamo deciso che ci saremmo andati, durante la nostra estate. E assieme ai ragazzi della nostra classe, poi, ci ritrovammo a parlare dei progetti sul futuro. Quella sera, l’ultima occasione di festa, simboleggiava molto più di un’occasione per stare insieme. Era un importante rito di passaggio, prima di dire addio alla protettiva vita da studenti ed essere catapultati nel mondo degli adulti, quello in cui sei tu a decidere del tuo destino. In realtà, per noi questo era accaduto già prima, nel momento in cui avevamo deciso di varcare la soglia della Porta di Pietra, ma in quel momento, aveva tutto un altro sapore. Ascoltai chi voleva proseguire gli studi e anche chi aveva deciso di cercare diversamente la propria strada. C’era addirittura chi desiderava tentare fortuna nel mondo della tv. Violet si mise a ridere pensando a quando aveva immaginato qualcosa del genere per Ruben e Blaez.

- Me lo sono perso?

Domandò il nostro amico, sorseggiando il ponce rosso brillante con una fettina di limone.

- E’ stato quando tu e Blaez stavate discutendo su come tirar fuori le schegge dal corpo di Shemar. Potevate recitare in qualche serial sulla medicina.

Spiegò, trovandomi d’accordo.

- Anche se alla fine tra i due litiganti, il terzo gode. Povero Shemar… ne ha passate così tante…

Commentai, ripensando con non pochi brividi a quando papà aveva preso il controllo della situazione.

- Però certo è che ora è felice.

Su quello, fummo tutti d’accordo.

- Kensington, scusa?

Mi voltai sentendomi chiamare. Sulle prime, non riconobbi né la ragazza né il ragazzo la accompagnava. Puntai su di lei, considerando che era sua la voce che mi aveva chiamata. Era decisamente più grande di noi e indossava un abito leggermente più vistoso di quanto la norma avesse chiesto, di velluto blu notte. I capelli castano scuro erano acconciati in una morbida treccia e aveva una cuffietta che li copriva in parte.

- Ci conosciamo?

Domandai. Solo quando scostò la mascherina, mi sembrò di ricordare qualcosa di vagamente familiare.

- Rebecca Bayles. Non ti ricordi di me, vero?

Scossi la testa, mentre una titubante Violet ci guardava, poco prima di essere chiamata dagli addetti alle musiche. Ruben, invece, accanto a me, si gustò la scena.

- Ecco, ero in classe con tuo fratello e con Warren… ci siamo conosciute… anzi, scontrate nella biblioteca, due anni fa.

Sbattei le palpebre, poi feci mente locale e finalmente mi sovvennero le tre oche che mi avevano aggredita mentre cercavo il libro con le rune del professor Warren. A occhio e croce doveva essere la rossiccia tinta. Tuttavia, mi chiedevo che ci facesse lì, considerando che non avevo più avuto niente a che fare con quelle tre, da allora.

- Volevo scusarmi con te per quello che è accaduto allora. Dopo quello che hai detto, riguardo al nostro futuro, ho avuto modo di pensarci bene… e ho capito che avevi ragione tu.

Ci misi un po’ per ricordare cos’avessi detto in quell’occasione. D’altro canto, era qualcosa di abbondantemente seppellito, al contrario della motivazione dietro a quella ricerca.

- E cos’hai capito?

Domandai. Il ragazzo accanto a Rebecca, intanto, mi sorrise, io lo ignorai.

- Ho deciso di impegnarmi per essere qualcuno. E ci sto riuscendo.

Sorrisi istintivamente, nel rendermi conto che le mie parole avevano aiutato quella ragazza. E lì ricordai di aver detto a quelle ragazze che se avessero continuato a comportarsi male, non sarebbero state altro che foto sull’annuario di certo poco degne di nota. A pensarci, ero stata abbastanza sfacciata, ma mi faceva piacere sapere che la terapia d’urto era servita a qualcosa.

- Ne sono felice.

Rebecca ricambiò il sorriso, sincero, finalmente. Mi alzai per augurarle buona serata e notai che il ragazzo accanto a lei, le somigliava. Poi capii. Doveva essere il fratello minore, che frequentava un’altra sezione e anche lui, come me, era all’ultimo anno. Evidentemente, nemmeno Rebecca aveva un cavaliere.

- Posso chiederti un’ultima cosa, Kensington?

- Certo, dimmi pure.

L’espressione del ragazzo si fece improvvisamente interessata e più vispa.

- E’ vero che tu e Warren vi siete lasciati?

Un colpetto di tosse dalle parti di Ruben evitò di farmi trasalire più del dovuto. Mi chiesi se la notizia avesse più importanza per lei che per il fratello, poi sospirai.

- Sì, è vero.

- Oh, allora…

Bayles, che se non ricordavo male faceva di nome Carter, si fece avanti, ma Ruben si alzò, in tutta la sua imponenza, rivolgendogli un’occhiataccia. Perfetto, lui ed Evan dovevano essersi messi d’accordo.

- Milord, per stasera Lady Kensington è impegnata col sottoscritto.

Sobbalzai nel sentire la voce minacciosa che subentrò alle spalle dei fratelli Bayles. Non mi ero accorta che Violet si era allontanata e poco dopo era tornata, tant’ero concentrata nella discussione. E dal momento che nemmeno Ruben era ancora intervenuto verbalmente, quando anche i fratelli si voltarono, ci trovammo davanti un cavaliere con indosso giacca, cravatta e pantaloni neri. Una mascherina, nera a sua volta, copriva gli occhi, che nonostante il gioco di luci nella palestra, avrei riconosciuto tra mille. Cordialmente, ci rivolse un inchino profondo, facendosi largo tra i ragazzi increduli e fermandosi a pochi passi da me, che ero impietrita. Una violenta ondata di emozioni mi mozzò il fiato e per un interminabile istante, non ci fu più nessuno, se non me, la musica di sottofondo e il cavaliere dagli occhi di smeraldo che mi prese per mano, senza nemmeno curarsi di chiedermi di ballare.

- Che diavolo ci fai tu qui?

Sibilai, mentre sia Damien che io, che gli altri ragazzi, Violet e Ruben compresi, ci ritrovammo a danzare sulle note di musiche allegre e sostenute. Quel ballo, che avevamo preparato ma che in realtà, già conoscevo da molto tempo, ci pose l’uno di fronte all’altra. Damien era stupendo nel suo abito che in realtà, di rinascimentale non aveva davvero nulla, ma ciononostante faceva la sua figura. Eppure, non riuscivo a pensare ad altro che al fatto che si fosse presentato da non invitato. I liuti diffondevano note magiche nell’aria e Damien posò la mano di fronte alla mia. Al solo sfioramento dei polpastrelli, temetti di cedere.

- Pensavi che mi sarei perso il tuo ballo del diploma e il tuo compleanno?

Ci girammo attorno, dopo un piccolo inchino.

- Non ricordo di averti invitato.

- E io non ricordo di averti mai vista così bella come stasera.

Arrossii, aggrottando le sopracciglia, mentre continuavamo a girare.

- Smettila.

- Ti amo, Aurore.

Battemmo le mani a tempo e cambiammo giro. Il mio cuore scandiva attimi infiniti e mi sentii mancare.

- Troppo tardi, Damien.

Girammo ancora una volta. Sembrava che ancora una volta ci fossimo soltanto noi due.

- Sono tornato per restare, stavolta.

Battemmo un’altra volta le mani, per poi cambiare compagnia. Feci per allontanarmi da lui, ma mi afferrò per la mano, con forza, quasi a volermi trattenere.

- Lasciami.

- Ascoltami.

Da qualche parte, intravidi Violet, che ci guardava preoccupata. Scansai la mano di Damien a fatica, poi saltai il giro, allontanandomi quanto più in fretta potessi per non bloccare la danza. Lasciai la palestra e uscii di corsa nel cortile interno, sentendomi tanto una novella Cenerentola, in fuga da un principe che tanto l’aveva fatta soffrire e ben prima della mezzanotte. Ansimai in debito d’ossigeno dopo essermi fermata, consapevole che sarei stata raggiunta di lì a poco. Cosa gli avrei detto? Era innegabile che mi facesse quell’effetto e diamine, odiavo quell’ascendente. L’aveva sempre avuto, ma pensavo che stando lontani, avrei superato quella fase. Non era troppo tardi, era troppo presto, anzi, era troppo in generale. Io amavo Damien Warren, lo sapevo bene, ma avevo sofferto troppo per pensare anche soltanto di ascoltarlo senza essere sovrastata dalle mie emozioni. E poi, quelle parole. “Sono tornato per restare”, come se non mi avesse già illusa abbastanza. Portai la mano alla bocca, cercando di riprendere fiato, quando sentii i passi alle mie spalle.

- Perché mi fai questo?

Ebbi solo la forza di chiedere.

- Mi dispiace, Aurore. Avrei dovuto capirlo prima. Non ce la faccio a stare senza di te.

Mi sforzai di reprimere le lacrime con una smorfia. Ogni sua singola parola era una pugnalata dritta al cuore.

- Hai fatto una scelta, Damien. Non sei capace di rispettarla?

- Guardami.

Non ce la faccio.

- No.

- Non mentirmi mai.

Scossa fin nel profondo, mi voltai di scatto, vedendo il suo volto senza la maschera. Damien era sempre stato bravo nel mantenere il contegno. Era bravo anche a mentire, se voleva, ma non l’aveva fatto con me, mai. Ma c’erano momenti in cui le sue emozioni erano troppo da gestire, anche per lui. E lì, il suo lato più vero gridava a gran voce la sua sincerità. Anche in quel momento era così. E quello mi spaventava. Perché sapevo fin troppo bene cosa avesse significato la nostra separazione, sia per me che per lui. Avevamo tentato di farla funzionare, ma non ci eravamo riusciti. Tolsi la mia mascherina ed entrambi rimanemmo lì, a fissarci, per tanto tempo, incapaci di parlare.

- Il gatto ti ha mangiato la lingua?

Domandai poi, sussurrando, esausta. Volevo appoggiarmi da qualche parte, ma non c’erano appigli vicini. Damien deglutì, poi sospirò.

- Vorrei che l’avesse fatto quando ho deciso di andarmene.

- Però non è successo… non puoi pensare di tornare qui quando ti pare e fingere che bastino un bel vestito e una maschera per cancellare tutto…

- Lo so. Ma ci volevo provare ugualmente.

- E’ questo il problema, Damien! Provare… ci proviamo, sempre, ma non va!

- Per questo motivo ho deciso di rimanere qui.

Scossi la testa, che mi girava.

- Butteresti all’aria il tuo futuro per me. E finiresti per rinfacciarmelo, prima o poi.

Quelle parole lo ferirono, tanto che si irrigidì. Immobile, in quel modo, sembrava una meravigliosa e impassibile statua. E continuai.

- Mi dispiace, Damien. Sono io che non ce la faccio. Mi dispiace tanto.

Nel pronunciare quelle parole, che risuonarono terribili nelle mie stesse orecchie, mi resi conto che per tutto quel tempo, mi ero sempre aggrappata alla speranza che le cose potessero migliorare. Ci avevo creduto, in passato, forte del nostro destino comune. Ma i dubbi che si erano insinuati in me la notte che eravamo tornati a casa, quando per la prima volta le nostre vite nel mondo a cui appartenevamo si erano affacciate a ricordarci che ci attendeva il futuro, alla fine avevano avuto la meglio. Il nostro giuramento, la notte del mio compleanno, a esattamente due anni di distanza, oramai non aveva più motivo di esistere. Era ora di sciogliere quelle promesse, che appartenevano a un tempo più lontano. A due persone che non eravamo più. Mi sforzai di sorridere e di non reprimere ulteriormente quel rivolo di lacrime che già da un po’ premeva per uscire. Al diavolo il make-up. Damien mi aveva vista piangere fin troppe volte, consolandomi pazientemente, a volte prendendomi in giro. E sorridevo al pensiero di quei tempi in cui tutto era più spontaneo. Da quando era andato via, sembravamo non essere più in grado di comprenderci. Pensavo che fosse lui a esser cambiato, inizialmente. I suoi obiettivi erano fondamentali, la sua testardaggine non era da meno. E anche la faccia tosta di presentarsi in quella che un tempo era la sua scuola, quella sera, senza farsi troppi problemi, non era cambiata. Ma io non ero più in grado di sopportarlo.

Intravidi Violet, poco lontano e dal suo sguardo in pena mi resi conto che doveva esserci anche il suo zampino. In quel momento provai delusione. Sapevo quanto ci tenesse, ma non avrebbe dovuto fare una cosa del genere. Sospirai, invocando il coraggio e facendomi animo.

- Torna padrone del tuo futuro, Damien. Vai avanti per la tua strada, così come io sto andando avanti per la mia.

Un sussulto tra le sue sopracciglia scure mi fece intendere che l’avevo scosso. E senza attendere altre risposte, che purtroppo per me, sapevo consistere in promesse ormai senza senso, mi limitai a un inchino.

- Addio, mio cavaliere dagli occhi di smeraldo.

Soffocando un singhiozzo, mi affrettai a oltrepassarlo e a correre da Violet.

- Aurore!

La sua voce preoccupata mi fece ancor più male. Mi limitai a darle un bacio sulla guancia.

- Non dovevi farlo, Violet, non dovevi. Scusa.

Mi guardò in tralice e io mi misi a correre, quanto più veloce potessi, fino a che sia lei che la musica furono lontane. Troppo per essere raggiunta. Troppo per tornare indietro.

Mi fermai solo quando arrivai all’entrata del parco di Darlington. Quel luogo che tanto aveva significato per me, in passato, sembrava il solo luogo in cui potessi trovare quella pace che né il pianto né l’agitazione volevano concedermi. Memore delle mie imprese notturne, scavalcai senza particolare difficoltà la recinzione di ferro, strappandomi parte dell’abito nell’impresa. In quel momento, però, non ci feci particolare caso, tanto ero sconvolta. E facendomi largo tra alberi e cespugli, sentendomi libera, per la prima volta dopo tanto tempo, fingendo di essere ancora nell’Underworld, raggiunsi la fontana che tanto mi piaceva osservare, quando avevo bisogno di stare un po’ sola e fu solo allora che mi lasciai andare, crollando aggrappata alle sbarre di protezione che circondavano la struttura e scoppiando a piangere.

- Perché?!

Nel silenzio quasi notturno ormai, mi ritrovai a ripensare ai miei amici lontani, a quanto mi sentissi affranta al pensiero che non sarei mai stata capace di essere felice, perché forse, dopotutto, ero io a essere troppo pretenziosa e insoddisfatta. Incapace di accontentarmi, sicuramente, ma in fondo, ciò che desideravo era poter avere accanto la persona che amavo e a cui avevo dato tutta la mia anima. Singhiozzai amaramente pensando a quante volte avessi immaginato di vedere Damien tornare da me e mettermi per una volta al primo posto. Ero stata egoista e ne ero consapevole, ma cosa c’era di male ad agognare un po’ di felicità? Non avevo forse sofferto abbastanza nella mia vita? La stessa Amber si era augurata che potessi finalmente esserlo, assieme a coloro che amavo. Ma sembrava che non mi fosse possibile. Guardai l’acqua d’argento della fontana, mossa dagli invisibili soffi di vento. Cominciavo a sentire freddo, tanto che mi sfregai le braccia, notando gli strappi del vestito. Non avevo nemmeno con me il cellulare, dal momento che l’avevo tranquillamente lasciato a casa. Sarei dovuta tornare a piedi e sicuramente, Violet aveva già avvisato i miei genitori. Avrei dovuto spiegare tutto, una volta tornata, facendoli preoccupare. Che figlia degenere.

- Mi dispiace così tanto…

Mormorai, tirando su le ginocchia e affondandoci la testa. In realtà, non avevo nemmeno voglia di parlare oltre. Non so per quanto tempo rimasi ferma così, a singhiozzare, senza neanche più la forza di pensare. Nel silenzio reverenziale scandito dal mio respiro affannato, sentii dei passi felpati. Che facessero ciò che volevano, non mi importava. Chiusi gli occhi, in attesa, ma sentii solo il fruscio dietro di me e una sensazione di calore rigenerante grazie a qualcosa di pesante poggiata sulle mie spalle. Poco dopo, qualcuno si sedette accanto a me. Non ebbi bisogno di alzare il viso. Il profumo del soprabito di papà era sufficiente. Poggiai la testa sul suo braccio, sentendomi cingere di lì a poco. E cullata, proruppi di nuovo in un pianto dirotto.

- Papà!

Mio padre, con comprensione e gentilezza, mi scostò i capelli dal viso, non appena lo sollevai, e mi accarezzò la guancia con le dita. Alla luce della notte, quel volto che avevo imparato a conoscere, mi sembrò meraviglioso. Il venticello mosse i suoi capelli d’argento, mentre i suoi occhi d’ametista mi guardavano nell’anima senza nemmeno bisogno che dicessi nulla.

- Come hai fatto a trovarmi?

Domandai, incerta. Papà sorrise appena, con aria divertita.

- Tesoro, ti ho trovata in un mondo diverso. Trovarti in una cittadina come questa è piuttosto facile.

Di certo non potevo dubitarne, ma dovevo riconoscere che mio padre non smetteva mai di sorprendermi. Mi accoccolai tra le sue braccia forti, quelle che avevo sempre sognato, sin da bambina.

- Violet ci ha avvisati di ciò che era successo e mi sono ricordato che questo posto ti piace particolarmente. Considerando che dovevi fare per forza questa strada, ho pensato che potessi essere qui. E i lembi dell’abito che ho trovato per terra mi hanno dato conferma.

Sorrisi, pensando che non sarebbe mai cambiato. Mi sentii più tranquilla, sapendo che c’era lui accanto a me. E la sua voce profonda e così pacata, era musica per le mie orecchie.

- Sei il miglior papà del mondo, lo sai?

Chiesi. Quante volte avevo desiderato dirlo. E quel momento mi sembrò il più adatto per farlo.

- Mpf. Potrei obiettare, piccola.

Riaprii gli occhi, fissando la fontana.

- No, davvero… il fatto che tu sia qui, papà, per me è importante… non ce l’avrei fatta ad affrontare Evan…

- Era abbastanza preoccupato, in effetti.

Il mio fratellone che continuava a preoccuparsi per la mia sconsideratezza. Se fosse rimasto con me, sarebbe sicuramente andato tutto in maniera diversa, ma in quel momento, immaginai come si stesse sentendo in colpa. E questo era ciò che non volevo. Evan non poteva più premurarsi per me, soprattutto ora che doveva concentrarsi su Arabella e su Louis.

- Mi dispiace…

Papà sfregò la mano contro il mio braccio, per scaldarmi.

- Sai, Aurore… questa sera mi sono reso conto di una cosa.

- Mh?

Sollevai la testa, notando che stava guardando la fontana anche lui.

- Non si può vivere nel passato. Soprattutto quando questo è doloroso.

Sbattei le palpebre, sentendo gli zigomi pizzicare, mentre lui si voltò nuovamente verso di me.

- Per tanto tempo siamo stati ancorati al passato. Ora sembra tutto così lontano, ma quando ripenso alla nostra storia, a tua madre, a mio fratello Ademar, a tutte le avversità che abbiamo affrontato, penso che nessuno avrebbe dovuto meritare un destino del genere. Per tanto tempo, quando chiudevo gli occhi, il passato tornava a tormentarmi, ricordandomi quanto la vita fosse stata crudele con coloro che amavo. E mi domandavo perché. Ho perso i momenti più importanti della mia vita. Non ci sono stato né per te, né per Arabella. Celia ha dovuto affrontare tutto da sola, mentre io cercavo disperatamente un modo per raggiungervi. E poi, piccola mia, sei arrivata tu, con tutta la mia pesante eredità e sei stata capace di riscattarci tutti. Hai realizzato così tanto, che mi chiedo come avremmo fatto se non ci fossi stata.

Arrossii, imbarazzata. Era la prima volta che parlava in quel modo di me. E in un certo senso, mi sentivo a disagio. Non meritavo tutta quella stima.

- Ma d’altro canto, tutto ciò ha avuto un prezzo anche per te. Niente e nessuno ne è esente. Hai sacrificato quella libertà che avresti dovuto avere per diritto. Mentre le tue coetanee vivevano spensierate la loro vita, tu hai varcato la soglia di un mondo sconosciuto e non ti sei arresa, incrociando il tuo destino con quello degli eredi delle famiglie al potere. Ma ora, Aurore, non credi che sia giunto il momento di essere felice, per te stessa?

Abbassai di nuovo gli occhi, sconvolta.

- Il fatto, papà… è che non so davvero come esserlo…

Papà sospirò.

- Gregor una volta mi disse: “Quando capirai cosa vuoi, combatti con tutto te stesso per averla. Non lasciare che le tue paure ti impediscano di essere felice”. Col senno di poi, ho capito che per avere quella felicità avrei dovuto combattere. Ed è per questo che ho combattuto, per tua madre, che amavo e volevo con tutta l’anima.

Mi morsi con forza le labbra, sopraffatta all’idea di quanto il loro amore fosse stato forte.

- Dimmi, tesoro. Di cos’hai paura?

Un velo mi adombrò gli occhi, mentre tornavo a guardare mio padre.

- Di… di soffrire ancora… i-io amo Damien, ma ho tanta paura di stare di nuovo male per lui…

Sulle prime, mi resi conto che la mia improvvisa confessione lo aveva spiazzato. Del resto, non doveva essere cosa facile da metabolizzare per lui. Ed era sempre stato un po’ geloso, sia di Arabella, da piccola, che certe volte in questi ultimi due anni, anche di me. Eppure, aspettai che dicesse qualcosa.

- In questo momento, da padre dovrei dirti di lasciare perdere Damien, probabilmente. Ma so che dire una cosa del genere a te, che sei mia figlia e soprattutto figlia di quella cocciuta di Cerulea Rosenkrantz, sarebbe controproducente. Al che, ti chiedo una cosa: se pensi al tuo futuro, Damien ne fa parte?

Il mio futuro, assieme a Damien. Era ciò che avevo sempre immaginato, in realtà. Ma la realtà era stata crudele.

- S-Sì, ma…

- Allora, tesoro, lascia che il passato sia passato. E se nel tuo futuro lui c’è, allora non avere paura di affrontarlo. E poi, ricorda che ci siamo noi, accanto a te. Ci sono io.

Toccata dalle sue parole così inaspettate, sgranai gli occhi e gli gettai le braccia al collo, lasciando che le lacrime lavassero via la mia disperazione. Mi sentii incredibilmente rincuorata, perché sentivo che anche se mi fossi buttata, non sarei mai caduta. Il mio papà era lì e sarebbe stato pronto ad afferrare la mia mano e a tirarmi su. Dolcemente, mi accarezzò i capelli, poi quando mi scostai, mi dette un bacio sulla fronte e mi sorrise teneramente. Era sempre strano vederlo sorridere, considerando la sua proverbiale austerità, ma dovevo ammettere che lo trovavo affascinante e a volte, nel suo sorriso, potevo riconoscere tratti del mio.

- Papà, grazie… davvero…

Un sogghigno mi incuriosì.

- Non ringraziarmi, Aurore, ho comunque intenzione di fare un discorsetto con il figlio di Lionhart.

Rispose, con tono minaccioso. Eccolo lì, il mio papà geloso. Annuii pensando che non avrei voluto essere nei panni di Damien quando sarebbe accaduto, perché era certo che né lui né Evan, con tutta probabilità, avrebbero lasciato correre. E mi sentii protetta, di nuovo bambina, nonostante fossi diventata ormai maggiorenne. Poi, papà si alzò, aiutandomi e rivolgendomi un inchino formale. Nell’uscire di casa, non si era nemmeno curato di mettere un gilet, tanto che feci per restituirgli la giacca nera che mi aveva poggiato sulle spalle, ma declinò.

- Piuttosto, Milady, non c’è musica e questo cavaliere non è particolarmente avvezzo alle danze, ma vorreste ugualmente concedere a vostro padre l’onore di un ballo?

Incredula, mi misi a ridere.

- Oh papà… certo! Certo che te lo concedo!

Esclamai, ritrovando entusiasmo ed eccitazione. E rivolgendogli un inchino a mia volta, mi preparai per la danza.

Quella sera, quando ormai la mezzanotte era incombente, festeggiai gli ultimi scampoli del mio compleanno danzando con il mio tanto amato papà tra note canticchiate e ritrovata consapevolezza. Aveva ragione lui. Il passato ci ancorava. Il futuro non sarebbe mai stato possibile se non mi fossi scrollata di dosso le mie paure e i miei dubbi. E Damien era tornato, per restare. Cosa sarebbe accaduto non potevo certo saperlo, ma se davvero desideravo essere felice, allora avrei dovuto affrontare ciò che mi bloccava. Ero una combattente nata, ce l’avevo nel DNA. E soprattutto, non ero sola. La mia famiglia ci sarebbe stata, qualunque cosa fosse successa.

Non tornai subito a casa. Chiesi a papà un ultimo favore, prima di rientrare. Sulle prime, vista l’ora tarda, mi chiese di aspettare almeno l’indomani, ma fui irremovibile. Sapevo che l’appartamento del professor Warren era di sua proprietà e quando Damien, Jamie e Grace tornavano a Darlington vi si appoggiavano. In realtà non ero affatto certa che ci fosse, ma tanto valeva fare un tentativo. Quando raggiunsi la porta, mentre papà mi attendeva all’ingresso, presi fiato e mi apprestai a bussare. Notai curiosamente che spesso ci eravamo ritrovati separati da una porta. Come se quello fosse il confine tra i miei dubbi e la realtà. Ma decisi di non lasciarmi sopraffare di nuovo. Quando pensavo al futuro, Damien c’era. Era quella la cosa su cui dovevo concentrarmi. E così feci, trovando il coraggio di bussare. Non ricevetti subito risposta, tanto che pensai che fosse andato a dormire. Dopotutto era piuttosto tardi e sarebbe stato più che legittimo. A dire il vero, in realtà io non ero affatto sicura che sarei riuscita a prendere sonno. Ma Damien aveva la capacità di appisolarsi senza problemi. Attesi un paio di minuti, mentre il batticuore era diventato talmente forte da farmi venire la tachicardia. Alla fine sospirai, tirandomi indietro.

- Buco nell’acqua… brava, Aurore…

Mormorai con disappunto. Mi voltai verso l’imbocco del corridoio, apprestandomi a tornare indietro, quando finalmente Damien aprì la porta.

- Aurore?

Il tono della sua voce, sorpreso e sollevato allo stesso tempo, mi fece trasalire. Sobbalzai, nel voltarmi nuovamente e nel vederlo in quel modo.

- S-Scusa… stavi dormendo?

La mia osservazione lo stupì, poi scosse la testa.

- Sono tornato da poco, ero al telefono con Hammond. Dannazione, ma dove diavolo eri finita? Ti abbiamo cercato ovunque!

Esclamò, raggiungendomi. A giudicare dalla sua aria sconvolta e da cravatta allentata e camicia appena spuntata, doveva essere vero. Arrossii e distolsi lo sguardo, pensando che dovevo aver fatto prendere loro un bell’accidente.

- Scusa, è solo che avevo bisogno di stare un po’ da sola…

Lo vidi adombrarsi.

- E ti sembra normale a quest’ora, razza di stupida?!

Sbraitò tutto d’un tratto, costringendomi a rispondergli a tono.

- Non l’avrei fatto se tu non ti fossi comportato come un idiota!

Damien si accigliò.

- Sarò anche idiota, ma non puoi pensare di risolvere tutto scappando sempre!

Storsi la bocca, colpita.

- Senti chi parla, quello che se n’è andato fregandosene di tutto!

Inarcò il sopracciglio, punto nell’orgoglio.

- Ma sono tornato, Aurore! Sono qui ora. E non so più come diamine dirti che non ho alcuna intenzione di andarmene!

Trattenni il fiato in quel momento, lasciando scemare la tensione. E alla fine sospirai.

- Scusa!

Esclamai, abbandonando le remore e abbracciandolo forte. Il solo contatto mi dette forza.

- A-Aurore?

Appoggiai la fronte contro il suo petto.

- Non voglio perderti, Damien… lo so, ti ho detto che è ora di prendere strade diverse, ma la verità è che quando penso alla mia, non posso fare a meno di vedere te che la percorri insieme a me… insieme a te io sono felice… ma la lontananza mi è sembrata troppo difficile da affrontare e ho avuto paura… i dubbi mi hanno resa sospettosa e diffidente e alla fine, mi sono convinta di non potercela fare…

Lo strinsi più forte, temendo che mi potesse scostare. Considerando il modo in cui l’avevo trattato, avrebbe avuto tutte le ragioni.

- Aurore…

- Damien, so bene che se hai deciso di portare avanti i tuoi studi in Irlanda è perché sei determinato e so che chiederti di rinunciarci è la cosa più egoista che possa fare… è solo che mi manchi così tanto…

Le sue mani, che fino a quel momento erano rimaste a mezz’aria, mi cinsero a lui.

- Sarei tornato da te, sempre…

- Lo so… lo so, Damien! Mi dispiace davvero…

Mi sentii così colpevole, ma lui fu accondiscendente e presto, le sue labbra trovarono il mio viso. Sollevai lo sguardo, incrociando il suo.

- Non voglio che rinunci a tutto per me… non è giusto… è solo che vorrei che ti ricordassi che ci sono anch’io… e ti amo tanto…

Spiegai, confusamente. Damien mi accarezzò la guancia col palmo della mano, così calda e familiare.

- Ho già chiesto il trasferimento. Continuerò qui gli studi. E poi, sia mia madre che Jamie non mi sopportano più. Livia mi ha addirittura detto che sono petulante. Lo sono?

Stupita, aggrottai le sopracciglia.

- No, sei testardo… e dispotico, ma petulante non lo sei… perché dovresti esserlo?

Damien alzò gli occhi al cielo, poi mi sorrise.

- Perché ogni giorno che passo lontano da te penso sempre che non c’è cosa al mondo che desideri più che averti al mio fianco, Aurore Kensington.

Avvampai fino alla punta dei capelli, lasciando che il mio cuore esplodesse in un tumulto di imbarazzo e di gioia. Al contrario della mia gola secca che mi impedì di parlare normalmente e mi fece farfugliare.

- I-Io… D-Damien… e-ecco… io…

Non seppi dirlo in alcun modo con le parole. E allora ricorsi alle azioni. Attirai a me il suo viso, slanciandomi e baciandolo con tutta l’intensità che stentavo a reprimere. Quando le nostre labbra si incontrarono, impazienti, mi sentii pervadere da una sensazione di appagamento. E non ne dubitai più: il mio futuro, il nostro, era lì e finalmente potevamo imboccarlo insieme.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Eccomi qui!

Approfitto di questo momento di pubblicazione per postare anche il finale di capitolo! :) Oh... in realtà, tolto l'epilogo, è davvero il finale questo... ebbene sì, ci siamo. Cari miei lettori, ultimamente ancora più silenziosi (Oscuro!!! ç__ç Ma quando torni??), è fatta. Davvero, non credevo di poter arrivare a concludere questa storia che per me ha significato davvero tanto. Quando ho cominciato a scrivere aveva un'idea, che poco alla volta, capitolo dopo capitolo, si è modificata fino a dar forma alle vicende di Aurore. Spero davvero che abbiate sognato con la sottoscritta! >_<

Niente, ci sentiamo la prossima settimana con l'epilogo, che spero piacerà a voi tanto quanto è piaciuto a me! :)

  
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