Capitolo 66: Cerbero
Si sentiva stordito e aveva un mal di testa lancinante, come se dentro al
suo capo vi fosse qualcuno che si divertiva a prendere a martellate la sua
scatola cranica.
Aveva ancora gli occhi chiusi, confuso da quanto successo, ma percepiva di
non essere in un luogo a lui familiare. La roccia dura su cui giaceva, l’odore
di zolfo e il caldo asfissiante, non erano caratteristiche della Sunny Go e quei lamenti strazianti che sentiva, non erano
le voci dei suoi nakama.
Si sedette di scatto e osservò la zona circostante e fu in quel momento che
si ricordò di quanto accaduto. Lui e alcuni suoi compagni stavano venendo
trascinati, insieme alla loro nave, verso una cascata che non aveva fine,
mentre dicevano addio ai membri che sarebbero sopravvissuti.
Sorrise in quel momento, proprio come aveva fatto a Rouge Town, per niente
spaventato dalla morte, ma quel sorriso era per Nami,
come a volerla rassicurare un’ultima volta.
Strinse poi tra le sue braccia Umi, per proteggerla da quanto si sarebbe
verificato, sempre ammesso che avrebbe avuto la possibilità di salvarla, cosa
di cui dubitava a causa delle parole dette dalla ragazza al momento di
scegliere chi salvare o meno. Fu in quel momento che scoprì la vera identità di
Umi. Era rattristato, perché non aveva potuto conoscerla meglio e probabilmente
non avrebbe mai potuto farlo.
La loro lunga discesa verso il vuoto cominciò e sembro quasi interminabile,
ma le acque della cascata piano piano sparirono, fino a lasciar spazio a un
altro mondo, che lui e gli altri mugiwara, poterono
osservare dall’altro durante la loro caduta.
Un luogo desolato e ricco di magma, unica fonte di luce.
Abbassò lo sguardo verso Umi, sentendola improvvisamente più leggera,
infatti la ragazzina era trasparente, segno che da lì a poco sarebbe scomparsa,
mentre lui lentamente si stava spegnendo, sebbene non provasse il minimo
dolore. Non aveva ancora toccato terra eppure era come se venisse considerato
già in fin di vita.
Umi, con le ultime forze che le restavano, incrociò lo sguardo con il
genitore e disse “è stato bello conoscerti papà!” per poi sparire nel nulla,
con Rufy che disperato urlava il suo nome.
Cercò poi i suoi nakama, erano tutti lontani
l’uno dall’altro, sebbene fossero caduti tutti insieme. Franky,
essendo il più pesante era ormai in procinto a scontrarsi col terreno e il
cuore di Rufy perse un battito, quando vide un’enorme
polverone proprio dove il cyborg si era schiantato.
Rufy non provò a gonfiarsi per attutire la
caduta a lui e ai restanti membri dell’equipaggio, comprendendo che tanto erano
già morti, sebbene non riuscisse a spiegarsi come fosse possibile.
Tutto ciò che si stava verificando era troppo.
Aveva promesso a sé stesso che non avrebbe perso nessun altro, non dopo
aver perso Ace. Voleva proteggere tutti, anche da ostacoli insormontabili, ma
aveva fallito.
Non era riuscito a salvare nemmeno un membro della sua ciurma, perché anche
parte dei superstiti sarebbe morta con loro, proprio come una parte di sé era
morta con suo fratello maggiore.
Avrebbero passato un periodo nero, dove non avrebbero visto nessuna via
d’uscita a quel tormento, facendo anche pensieri di cui lui stesso si era pentito, una volta
che venne riportato alla ragione da Jimbei.
Nessuno di loro avrebbe realizzato i propri sogni, motivo per cui tutti avevano
intrapreso quel viaggio.
Umi non sarebbe mai venuta al mondo e lui e Nami
non avrebbero vissuto quelle avventure che sognavano di vivere insieme. Lei,
lui e gli altri sette componenti della loro famiglia.
Il senso di fallimento, di inadeguatezza e il dolore che provava in
quell’istante era troppo per lui, aumentato anche, a sua insaputa, dal luogo in
cui si trovava, e la sua mente cercò di proteggerlo momentaneamente da quella
sofferenza, facendolo cadere nell’incoscienza.
Al suo risveglio, non comprese in che posto era finito. Lui di mitologia
greca ne sapeva poco o niente, né si era mai soffermato a pensare a cosa ci
fosse dopo la morte, nemmeno quando pensava che Sabo
fosse morto e con lui anche Ace. Per lui l’unica cosa chiara era che non li
avrebbe più rivisti e che non erano più accanto a lui.
Guardandosi intorno vide di essere finito in una gola molto ampia, dove vi
era un numero spropositato di persone, tante che Rufy
non sarebbe mai riuscito a contare. Queste erano bloccate in un circolo di
violenza, dove ognuno di loro si picchiava violentemente con chi capitava loro
a tiro. Non vi erano regole, come non colpire certe parti del corpo. No, tutto
era lecito e qualsiasi strumento per infierire sul bersaglio era permesso.
Vani furono i suoi tentativi di fermare alcune di quelle persone. Questi
sembravano non vederlo, troppo concentrati su quanto stavano facendo.
Vi era sangue che schizzava ovunque, parti del corpo che venivano recisi,
occhi che rotolavano a terra, una volta che venivano estratte dalle orbite oculari,
denti che volavano a terra e corpi tagliati a metà.
Era uno spettacolo raccapricciante, una scena a cui Rufy
non avrebbe mai voluto assistere.
“Ehi tu! Perché non ti stai picchiando con le altre anime?” chiese un oni incaricato di controllare quella zona.
Rufy piegò la testa di lato e risposte “Perché
dovrei? Non ho nulla contro queste persone!”
Oni sorrise con un ghigno malvagio “Oh, quindi tu non sei
uno destinato al girone degli irati. Che ci fai qui? Come hai fatto ad uscire
dal tuo girone? O hanno semplicemente sbagliato ad assegnarti la tua punizione
eterna?”
“Ma di che diavolo stai parlando? Che razza di posto è questo?” chiese
confuso il ragazzo.
“Stai scherzando? Vuoi dire che non sai di trovarti negli inferi? Questa è
bella!” disse l’oni divertito dalla stranezza.
Rufy finalmente comprese il perché Umi era
scomparsa quando pensava di essere ancora vivo. Appena entrati in quel luogo,
si cessava di esistere.
Sebbene non gli piacque la risposta, non fece una piega e ignorando l’oni, si voltò e si incamminò.
“Dove credi di andare?” disse il demone, posizionandosi davanti al ragazzo,
il quale, comprendendo che quel tipo gli avrebbe creato qualche fastidio, lo
fulminò con lo sguardo.
“Vado a cercare i miei nakama!” disse
semplicemente, prima di ritrovarsi a evitare la clava che quell’essere usava
come arma e che gli aveva appena scagliato contro.
Rufy non ebbe particolari problemi a metterlo
fuori gioco, ma da li a poco, si ritrovò inseguito da una moltitudine di quegli esseri, chiamati come rinforzi
dall’oni battuto.
Il ragazzo decise che era meglio scappare e cominciò la sua corsa
attraverso i vari gironi dell’inferno, ma ogni volta che si girava per vedere i
suoi inseguitori, vedeva che questi erano sempre più. Ormai metà inferno gli
era alle calcagna e più lui urlava i nomi dei suoi compagni, sperando di
trovarli, più attirava l’attenzione di altri esseri, che si univano al gruppo.
Provò a fermarli con il gear third semplice, senza
imprimere haki, solo nel tentativo di sparpagliarli
un po’. Non voleva aumentare il casino che già vi era in quel posto, se non si
sarebbe reso proprio necessario.
Correndo correndo, vide in lontananza una fonte
di luce diversa da quella emanata dalla lava. Questa era bianca e splendente e
infondeva pace. Decise di inseguirla, sperando che in quel posto avrebbe potuto
evitare di scontrarsi con quegli esseri che sbraitavano di farlo a pezzetti.
Si avvicinò sempre più fin quando le urla dei nemici improvvisamente si
spensero.
Rufy, confuso, si fermò e si girò a guardare
cosa fosse accaduto.
Le creature degli inferi erano a diversi metri da lui, immobili, con gli
occhi spalancati e con il puro terrore stampato sui loro visi.
“Ehi gente, che vi prende?” chiese Rufy, con le
mani ai fianchi, guardando stranito quella “gente” correva via.
Sentì poi qualcosa di bagnato cadergli sulla spalla. Pensò inizialmente
fosse acqua, sebbene non capisse da dove questa potesse provenire, ma al tatto
questa appariva, viscida e appiccicosa.
Comprendendo di cosa si trattava, alzò lo sguardo per incrociare gli occhi
con quello di un grosso cagnone, alto una decina di metri e con tre teste, che
mostrava i suoi denti aguzzi.
Rufy fece un salto all’indietro e incuriosito
dalla creatura disse “Mi ricordi un essere a tre teste che ho già visto sai? Si
trovava a Thriller Bank. Si chiamava Cerbero, era tuo
amico per caso?”
Era del tutto ignaro, che quello che si trovava davanti era il vero
Cerbero.
La bestia ringhiò, così forte che fece volare via il cappello di Rufy, fortemente legato al collo da una cordicella.
“A cuccia bello!” disse il ragazzo, se pur senza abbassare la guardia.
Se quel cane a tre teste aveva messo in fuga un plotone numeroso come
quello che lo inseguiva con la sua sola presenza, voleva dire che quell’essere
non era da sottovalutare. Inoltre il ragazzo poteva avvertire la sua potenza.
Quel cane possedeva l’haki e se poteva sentirlo senza
che questo lo stesse volutamente sprigionando, allora la situazione poteva
farsi difficile.
Questa volta Rufy comprese di non potersi
sottrarre a un combattimento.
Si mise in posizione di combattimento, mentre vedeva il cane correre verso
di lui pronto a sbranarlo.
Il ragazzo non fece subito sul serio. Comprese che l’avversario che si
trovava davanti era pericoloso, ma volle provare prima a comprendere bene
quanto esso potesse essere forte.
Provò alcuni dei suoi attacchi semplici, come il Gomu
gomu no pistol, che prese
in pieno l’animale, ma non risentì del colpo, anzì
continuò la sua corsa.
Rufy non si sorprese. Avvertendo l’haki dell’animale, si sarebbe stupito del contrario.
Cerbero sicuramente utilizzava l’haki dell’armatura,
in quanto il suo pugno sembrò scontrarsi con l’acciaio.
Rufy però non escluse che possedesse anche gli
altri due haki. Usando il Gomu
gomu no gatling, cioè una
raffica di pugni velocissimi, potè confermare che
possedesse anche l’haki dell’osservazione, data la
sua abilità di schivare ogni colpo senza il minimo sforzo.
Sarebbe stato un avversario temibile e il ragazzo capì che era meglio
provare a far cessare immediatamente lo scontro. Non amava far del male agli
animali, anche se questi erano creature degli inferi.
Fissò gli occhi rossi di Cerbero e sprigionò il suo haki
del re conquistatore, sperando di addomesticarlo.
Non funzionò, al contrario, dovette cominciare a schivare una serie di
zampate dell’animale, che si dimostrò molto veloce e abile nonostante la
stazza.
Rimase colpito di vedere che il suo haki non ebbe
il minimo effetto. Non credeva certo di essere il più forte in quell’abilità,
ma era convinto che la sua forza in quegli anni fosse aumentata.
Ma se l’inefficacia del suo haki contro la bestia
lo aveva sorpreso, quello che avvenne dopo, lo lasciò letteralmente senza
parole e confuso.
Cerbero aveva anche l’haki del re conquistatore e
lo sprigionò contro Rufy.
Il ragazzo non aveva mai provato gli effetti dell’haki
su se stesso, ma riuscì a riconoscerne i sintomi, che in quel momento stava
provando sulla sua pelle. Cominciò a sentirsi intimidito e a sentire le sue
forze venire meno e nonostante cercasse di resistere a quella potenza, si
ritrovò in ginocchio con l’affanno.
Le rocce circostante colpite dall’energia, si erano polverizzate, tanto che
Rufy si domandò a che livello potesse essere l’haki di quell’animale, in quanto quello del re
conquistatore, aveva effetto per di più su animali e persone deboli.
Tecnicamente lui non avrebbe dovuto risentire degli effetti dell’haki.
Rufy comprese di trovarsi in grande
difficoltà, sapeva anche che non sarebbe riuscito a vincere contro quel
bestione, ma la luce era proprio dietro di lui. Doveva solo trovare un modo per
raggirarlo e entrare nella luce.
Non fu un compito facile. Rufy usò diversi colpi
con l’aiuto del gear secondo, che gli attribuivano
una maggiore potenza, velocità e riflessi più acuti.
Usò questa forza, cercando di sfinire e distrarre l’animale, ma sembrava
non funzionare, perché qualsiasi cosa egli facesse, veniva prevista, prendendo
in contropiede il ragazzo.
Usò il Gomu gomu no jet
pistol, il gomu gomu no jet bazooka e il gomu gomu no campana,
cercando di indurire il più possibile la sua testa per scontrarla con
una delle tre teste del cane.
Se i primi due erano stati schivati, il terzo andò a segno.
Rufy dopo il colpo si tirò indietro e cercò di
riprendere fiato, mentre sentiva del sangue colare dalla sua fronte.
Se il colpo aveva avuto qualche sorta di effetto, anche lui ne aveva
risentito. Dovette pulirsi il sangue che gli cadeva sugli occhi e che gli
infastidivano la vista, per poi ricorrere al Gear third,
sperando così di far spostare l’animale.
Gonfiò il suo braccio destro e rinforzandolo con l’haki
dell’armatura, lo scagliò con tutta la potenza che aveva contro Cerbero.
Il colpo lo prese in pieno e il cane sta volta sembrò risentirne, tanto che
cadde a terra per un paio di metri.
Non era l’effetto che Rufy sperava, ma almeno era
riuscito a smuoverlo dall’ingresso luminoso.
Ne approfittò per correre al suo interno, ma proprio quando mancava poco,
il ragazzo si sentì afferrare al piede.
Guardò a terra e vide la coda dell’animale, stringersi sempre più alla sua
caviglia.
Rufy venne sollevato da terra e poi con forza
scagliato contro il pavimento, senza però essere lasciato andare. Il ragazzo
venne sbattuto a destra e a sinistra e purtroppo per lui, riusciva a sentire
ogni schianto e sentiva come se le sue ossa si stessero frantumando.
Provò nuovamente a usare il gear third, sta volta gonfiando proprio la gamba imprigionata,
sperando di liberarsi dalla presa ferrea di Cerbero.
Il piano ebbe successo, ma il cane sembrava nuovamente pronto ad attaccare.
Rufy spostò l’aria dalla gamba alle sue
braccia e urlò “Gomu gomu
no gigant Gatling!” dando
inizio a una serie di pugni che andarono a colpire il cane in ogni parte del
corpo.
L’animale si faceva indietro a ogni
colpo, ma Rufy sentiva che i suoi pugni si
scontravano con il suo corpo duro, senza che questi riuscissero veramente a
imprimere la sua potenza.
Un suo pugno, improvvisamente venne fermato da un morso proveniente dalla
testa di sinistra di Cerbero, che strinse la presa sempre più, facendo urlare Rufy.
Quest’ultimo liberò l’aria dal suo corpo, per poter liberare la sua mano,
ormai intrisa di sangue.
Cerbero approfittò del momento di stordimento dell’avversario, per colpirlo
con una forte zampata e oltre al colpo, Rufy sentì
gli artigli dell’animale lacerare le sue carni.
Sbatte violentemente contro una parete rocciosa e cadde a terra.
Aveva difficoltà a respirare ed era incapace di rialzarsi. Era stremato e
quel che era peggio era che Cerbero era fresco come una rosa, mentre lui era lì
steso, grondante di sangue. La sua vista cominciava a offuscarsi e il suo udito
cominciava ad essere ovattato. Riconobbe i segni dell’incoscienza che stavano
per farlo svenire, ma si ritrovò a pensare cosa gli sarebbe potuto succedere
dato che era già morto.
Eppure nonostante avesse ormai abbandonato il mondo dei vivi, il dolore era
presente e persistente, cosa che non credeva possibile dopo la morte, in quanto
molta gente, la desiderava proprio per scappare dalle proprie sofferenze.
Ma quello era l’inferno, quindi tutto aveva senso.
Essendo a terra, riusciva a
percepire le vibrazione del terreno. Cerbero stava per attaccare nuovamente. Strinse
le palpebre in attesa si essere attaccato, ma non avvenne niente.
Con difficoltà riaprì gli occhi e alzò leggermente la testa per vedere cosa
impedisse a quella bestia di attaccare. Vide Cerbero seduto tranquillo, che
scodinzolava felice, mentre al suo fianco, vi era una donna che gli accarezzava
il muso, abbassato alla sua altezza, che gli diceva di stare buono.
Rufy lasciò andare la testa all’indietro e
richiuse gli occhi, non avendo quasi più un briciolo di forza.
“Rufy!”
Si sentì chiamare più di una volta da una voce che non poteva corrispondere
alla donna.
Cercò di capire da dove questa provenisse e comprese poco dopo, che questa
proveniva da dentro la luce. Non riusciva a vedere chi fosse, non si riusciva a
intravvedere nemmeno una sagoma che potesse aiutarlo a intendere chi fosse.
Non capiva se questo era a causa della sua vista che gli faceva gli scherzi
o a causa della luminosità.
Cercò di ignorare la voce, sentendosi troppo esausto, ma questa insistette.
“Allunga il braccio!” disse la voce “Al resto ci penso io!”
“Usopp!” disse in un sussurro, non perché
riconobbe la voce, ma perché a Ennies Lobby era stato
il cecchino a pronunciare quelle parole.
“No, non sei Usopp, chi sei?” chiese in un
sussurro che nessuno sentì.
“Ti conviene sbrigarti Monkey D. Rufy, non potrò trattenere questo cagnone a lungo. Vai
nella luce. Lì sarai al sicuro!” disse questa volta la donna.
Rufy sempre più stordito, raccolse quelle
ultime forze rimaste e allungo il braccio verso la luce.
Senti l’arto venire afferrato, poi solo il nero lo circondò.
“Rufy, Rufy!”
Sentì nuovamente quella voce, questa volta era però più nitida e chiara.
Il ragazzo era sicuro di averla già sentita.
Riprese coscienza piano piano e questa volta sentiva di essere disteso su
qualcosa di morbido.
Dall’odore poteva comprendere che si trovava su di un prato, probabilmente
cosparso di fiori, in quanto il profumo dolce di quest’ultimi aveva impregnato
l’aria.
Non sentiva alcun dolore, si sentiva tranquillo e in pace, tanto che
cominciò a credere di aver sognato tutto quanto. Gli inferi, la sua dipartita e
quella dei suoi compagni...sembrava tutto così lontano.
Cominciò a pensare che in realtà si trovasse su di una nuova isola che
stava esplorando con i suoi nakama e lui si era
addormentato in mezzo a un prato, magari dopo un pic nic.
Poi sentì nuovamente quella voce, che gli chiedeva di aprire gli occhi.
Lentamente obbedì. Ci mise un po’ a mettere a fuoco l’ambiente circostante
a causa della luminosità del luogo, ma quando ci riuscì, il suo cuore iniziò a
battere talmente forte, che da un momento all’altro gli sarebbe sbalzato via
dal petto.
Si strofinò gli occhi incredulo, poi continuando a guardare la figura
sorridente davanti a sè, sussurrò “Ace!”