La biblioteca
«Ti dico che non è strana! L’ho sentita io, parla
benissimo!»
«Sì che è strana, non importa se parla. Non vedi
che ha gli occhi strani?»
Osservò Anton litigare con i monelli di strada
sbattendo gli occhi incriminati, di un azzurro intenso, la forma allungata e il taglio diagonale,
così diversi dagli occhi scuri e rotondi dei monelli dei canali. «E allora? A
me piacciono. Sei solo geloso!»
Ci stava facendo l’abitudine ormai. Più o meno da
quando era arrivata, più di un anno prima, ogni volta che uscivano a giocare
senza la supervisione degli adulti Anton si accapigliava almeno tre volte al
giorno con gli altri bambini Sianelesi, per difenderla dalle prese in giro. Gli
aveva detto che non le importava, ma per lui difendere il suo onore sembrava
essere il massimo del divertimento.
Lasciò i due ragazzini ai loro giochi e si
allontanò dalle vie sopraelevate, dove le case erano costruite su complicate
impalcature di legno per tenerle lontane dall’umidità dei canali, scendendo
delle strette scalette e correndo per viuzze secondarie.
In realtà le era stato raccomandato dalla signora
Agnes di stare lontano da quei bassifondi, dove si respirava aria cattiva e si
rischiava di incontrare gente poco raccomandabile, ma a lei piaceva sentire i
sentieri di solido acciottolato sotto i piedi, tanto per cambiare. Le piaceva
cercare i fiori che crescevano fra le crepe e tirare i sassi nei canali
secondari per guardare i pesci che affioravano sperando di trovare qualcosa da
mangiare.
Sentì delle voci e si infilò in una viuzza
secondaria per non farsi scoprire. A quell’ora tutti gli abitanti dei canali
erano a pesca, chi poteva essere?
Sbirciò da dietro una botte per la raccolta
dell’acqua piovana e vide il capomastro del rione, Maurus Bondesan, confabulare
con una figura grigia incappucciata davanti a un pontile seminascosto. «Ma
certo… ma certo, siamo sempre al servizio della vostra congrega… come volete,
stanotte. Troverete la barca pronta, proprio qui.»
Rimase perplessa nel vedere Maurus balbettare
agitato. Di solito era un omone baffuto, allegro e rumoroso, la cui voce si
sentiva spiccare chiara e forte anche sopra il rumore della folla raccolta
nella piazza, per l’assemblea domenicale.
Rimase accucciata dietro alla botte finché Maurus
e l’uomo in grigio non furono scomparsi, poi corse a cercare Anton.
«Quello era un frate grigio!» Esclamò con
ammirazione Bruno, il monello con cui si stava azzuffando fino a un minuto
prima. Anton lo guardò scettico. «I frati grigi non esistono, scemo! E nemmeno
quelli neri!»
«Ti dico di sì, cretino! Ho sentito mia mamma che
ne parlava con una sua amica!»
«Cos’è un frate grigio?» Intervenne veloce, prima che ricominciassero a litigare. «Sono un po’ dei maghi, un po’ degli studiosi. Super intelligenti, leggono tanti libri… stanno in un posto nel centro della città e non escono quasi mai, a meno che non devono fare degli incantesimi sulle mura.» Spiegò Bruno dandosi un tono. «Ti dico che non esistono!» Insistette Anton. «Sì, invece. Se non mi credi stasera andiamo al posto dove l’ha visto Emma e li spiamo. Così li vedi con i tuoi occhi.»
«Se ci sono per davvero giuro che mi bevo l'acqua del canale Grando!»
«Ancora
ricerche per quello strano professore eh?» Emma annuì, con
i gomiti appoggiati
all'alto bancone del bibliotecario e il sorriso più educato ed
innocente che riuscì a produrre. Lo strano professore era
Phyllis Astropher, anziano
ometto canuto ma energico, unico professore proveniente dai rioni
nonché unica
altra persona in tutta la scuola ad essere Sianelese. Non a caso
insegnava la
materia più denigrata di tutta la scuola: scienze geografiche.
In
effetti a che servivano le scienze geografiche quando lo spazio abitabile era
così ristretto da poterlo conoscere palmo a palmo? Di certo non c’era il
bisogno pratico di orientarsi con le stelle. In più ogni tanto parlava di cose
che sconfinavano nella mitologia, se non nell’eresia: diceva che quelle
conoscenze erano un retaggio di un’epoca in cui i loro antenati erano stati
esploratori e avventurieri, epoca che secondo i dogmi che tutti imparavano fin
da bambini non poteva essere esistita. Ogni anno la sua materia rischiava di
essere cancellata e se si era salvata fin ora era stato grazie all’intercessione
del patrono, che si diceva fosse segretamente appassionato delle leggende sul
mondo di fuori.
Forse
per solidarietà fra derelitti, forse perché l’accento Sianelese del professore
le attenuava la nostalgia di casa, Emma aveva eletto scienze geografiche a sua
materia preferita e ogni anno sceglieva il professor Astropher come tutor per
la tesi finale.
Il
bibliotecario scosse la testa con disapprovazione. «Una signorina come te non
dovrebbe farsi riempire la testa di grilli in questo modo.» Emma rimase in
silenzio, sorridendo educatamente e insultandolo mentalmente, mentre il
bibliotecario la scrutava dall’alto del suo scranno. «Avanti, fila, la strada
la sai!» Si rassegnò alla fine, azionando il meccanismo che apriva il cancello.
Emma
si avventurò fra le alte file di scaffali in legno scuro,
facendo scorrere la
mano destra sulle coste dei libri quasi potesse percepire le storie che
avevano
da raccontare solo sfiorandoli. Man mano che avanzava e che i suoi
passi risuonavano leggeri sul pavimento in pietra i libri si facevano
più vecchi, malconci e
impolverati. I libri nelle altre sezioni erano frequentemente
ristampati dalla
gilda dei tipografi, ma quelli erano codici vecchi di svariate decine
di anni e
non venivano sostituiti finché non cadevano a pezzi.
Stava
cercando i libri assegnatele dal professore quando il suo sguardo cadde
su un
grosso libro di pelle con delle borchie ai lati, che si trovava sullo
scaffale
più alto. Non sapeva perché attirasse così tanto
la sua attenzione. Forse per
l’aspetto antico e misterioso, o forse solo perché
sporgeva un po’ dallo
scaffale, o perché mancava il titolo. Circondato da libri molto
più piccoli e di materiale più scadente, sembrava essere
stato messo sullo scaffale sbagliato.
Non
sapendo resistere alla curiosità si guardò attorno cercando una scaletta. Ne
trovò una pochi scaffali più in là, in legno di noce come la libreria, con dei
ganci metallici in cima per agganciarla allo scaffale. La sollevò con qualche
difficoltà e, inciampando un po’, la posizionò accanto al libro che aveva
notato. Cercò di convincersi che probabilmente era solo un libro noioso, un
catalogo o un testo di vecchie poesie scritte male da qualche nobilotto
borioso, ma mentre si arrampicava non riuscì a soffocare uno strano senso di
aspettativa. Prese il libro dallo scaffale, notando con un angolo della mente
che non era impolverato come gli altri. Era così grande e pesante che era
difficile da maneggiare. Scese la scaletta stringendolo a se con un braccio e
andò a cercare un angolino appartato della biblioteca. Trovò una finestra a
incasso con un divanetto che faceva proprio al caso suo, in fondo alla già poco
frequentata ala di geografia e aprì la prima pagina con un timore reverenziale.
Atlante storico di Arhal e delle sue genti.
Il titolo la confuse. Aveva sentito dire che
Arhal era il nome con cui qualche studioso si riferiva alla terra emersa su cui
sorgeva la città, e aveva visto anche qualche mappa. Ma perché atlante storico?
E cosa voleva dire con “le sue genti?”
Un
rumore nella corsia accanto la fece sobbalzare e chiudere il libro di scatto.
Senza sapere bene perché nascose il libro sotto al divano e se stessa dietro
una tenda. Anzi, sapeva perché si era nascosta dietro la tenda: aveva
riconosciuto la voce di Rebecca Stieber e non voleva essere vista da lei in un
posto isolato e con un’espressione così colpevole stampata in faccia.
Con
suo orrore scoprì che Rebecca era in compagnia di un ragazzo. «Dai, qualcuno potrebbe
vederci…» stava dicendo il poverino con aria terrorizzata. Anche lei sarebbe
stata terrorizzata ad avere Rebecca così vicina. Era una ragazza carina, non la
bellezza prorompete di Yuri, una bellezza più sobria ma comunque apprezzabile.
Peccato
che fosse una delle persone più perfide che Emma avesse mai incontrato, ed essendo
nella sua stessa classe era sicura di parlare con cognizione di causa. A quanto
pare essere parte di una delle famiglie più potenti della Città fa questo
effetto.
«Non
ci vedrà nessuno bello. Questo è il reparto geografico.» da come lo disse lei,
“geografico” sembrava un’imprecazione ben peggiore di quelle che si sentivano a
Sianel. E a Sianel sapevano imprecare come da nessun’altra parte.
«Certo
tu sei tranquilla… se ci scoprono tu te la caverai con un rimprovero e una punizione. Io
invece…» “Bello” esitava molto nel parlare, come se Rebecca avesse potuto
staccargli la testa da un momento all’altro. Per un attimo se la immaginò come una
grossa mantide religiosa, come quelle che osservava da bambina sui pochi fili d’erba
che crescevano sulle rive dei canali. Effettivamente aveva uno strano modo di
tenere le mani quando camminava che rendeva il paragone con l’insetto ancora
più azzeccato. Chissà cosa avrebbe avuto da dire Yuri.
Ovviamente
a Rebecca non importava nulla di quello che sarebbe successo all’amico se li
avessero beccati, perché dal disgustoso rumore di risucchio pareva che gli si
fosse attaccata come una ventosa.
Le relazioni
fra studenti erano proibite, ma Rebecca era praticamente intoccabile quindi non
si curava molto di seguire le regole, anzi: le infrangeva solo per dimostrare
che lei poteva farlo.
Improbabile
che si potesse dire lo stesso per il povero Bello, Rebecca non era stupida e
non avrebbe mai giocato così con un suo pari. Emma cercò di trattenere un
sospiro e sbirciò fuori dalle tende. I due ragazzi erano circa a sei metri da
lei, appoggiati al muro in fondo alla fila di scaffali. Con un raro moto
d’orgoglio, decise che lei aveva diritto di essere lì tanto quanto Rebecca, e
che non si sarebbe nascosta come una ladra solo per paura di una ragazzina
viziata. E poi sembravano piuttosto impegnati, probabilmente sarebbe riuscita a
scivolare via senza farsi vedere.
Fece
qualche passo trattenendo il respiro. Era arrivata quasi al corridoio, poi
poteva sparire dietro un’altra fila di scaffali e… «Cos’è stato?»
Maledisse
con tutto il cuore Bello, la sua ipervigilanza e la piastrella sconnessa che l’aveva
tradita producendo un lieve tonfo, poi si girò piano cercando di sembrare tranquilla, anche se era sicura
di avere la stessa faccia rassegnata di una mucca con il cappio al collo.
Rebecca la vide ed emise un verso rabbioso.
«Cosa
ci fa qua dentro una stupida carpa come te? Dovevi proprio venire a
disturbarmi?»
Tu dovevi proprio venire qui a tormentare Bello,
con tutti i posti che potevi scegliere? Sarebbe
stato poco saggio rispondere in modo del genere, a meno che non avesse deciso
di passare il resto della sua vita come schiava in una miniera di carbone, così
si affannò cercando una risposta che non suonasse irrispettosa. «Io… leggevo?»
la frase le uscì come una domanda un po’ balbettante, che la fece vergognare di
sé. «L’ho capito che leggevi, siamo in una biblioteca! Sei più cretina di
quanto pensassi.» La guardò con disprezzo, riflettendo, mentre Emma si fissava
le scarpe. «O forse pensi che sia cretina io?» Aggiunse con tono minaccioso.
Era un
colpo basso, quello. Cioè, sì, pensava che fosse un po’ cretina, ma Rebecca
aveva una così alta opinione di sé che non avrebbe mai veramente creduto che
qualcuno la considerasse meno che perfetta, stava solo cercando di metterla in
difficoltà. «No… io…»
Non essere vigliacca, tirale un pugno! Un pugno
sul naso! O hai paura? La
accusò una voce in un angolo della sua mente, mentre cercava di decidere cosa
dire.
Non è che ho paura, è che non voglio guai.
Sì, hai paura.
Ok, ho paura, ma sono giustificata. Questa è
una squilibrata.
E allora rompile il naso.
Sì certo, quando vorrò essere arrestata e
impiccata nella pubblica piazza per aver aggredito una Stieber.
Probabilmente
aveva mantenuto uno sguardo vitreo per tutta la durata di questo piccolo dialogo
mentale. Unito al boccheggiare in cerca di una giustificazione doveva farla
sembrare una replica piuttosto fedele di una carpa.
Ora
Rebecca si trovava a circa cinque centimetri dal suo naso e la cosa la metteva un
po’ a disagio. Parecchio a disagio.
«Se
osi dire a qualcuno quello che hai visto ti ributto nel canale a cui appartieni.»
Disse glaciale. Evidentemente era già stufa di giocare con lei. Emma aveva
bisogno di deglutire ma si impose di non farlo. Guardò un attimo Bello da sopra
la spalla di Rebecca e non poté che provare pena per lui. Non lo conosceva:
frequentava troppo poco le aree comuni per conoscere i ragazzi della scuola.
La
cravatta rossa lo identificava come uno dell’ultimo anno, e lo stemma sulla
giacca come uno della gilda dei tipografi. Era piuttosto bello in effetti:
biondo, occhi turchesi, delicato… sembrava decisamente terrorizzato. «Non dirò
nulla a nessuno.» Disse decisa guardando Bello negli occhi per un attimo. Se non altro perché mi dispiace per te. Lui
sembrò sollevato ed Emma si aggrappò all’idea che se non denunciava il rapporto
illecito di Rebecca non era per paura delle conseguenze ma per generosità d’animo.
Solo Rebecca
non sembrava molto soddisfatta, forse avrebbe preferito che lei provasse a
denunciarla, così avrebbe avuto una scusa per farla cacciare fuori. Probabilmente
era anche per quello che l’aveva provocata tanto, sperando di spingerla oltre
al limite.
Se ne
andò con un passo marziale, lasciando lei e il ragazzo soli nel corridoio per
un attimo.
Bello
la fissava. Emma fissava il pavimento come se fosse la cosa più interessante
che avesse mai visto.
Dopo
un minuto, che evidentemente era il tempo di sicurezza che doveva aspettare
prima di seguire Rebecca da qualche parte, se ne andò anche lui, passandole
molto vicino. Emma faceva molta fatica a credere di averla passata liscia, ed
era abbastanza sicura che avrebbe subito altre ripercussioni in futuro. Si
affrettò a cercare sugli scaffali i libri che servivano e a tornare a scuola
prima che chiudessero i cancelli, prima del tramonto. Rimanere fuori dai
cancelli voleva dire passare la notte all’aperto, e se l’avessero trovata
sarebbe potuta finire nei guai. E guai, per la gente dei rioni che aveva la
fortuna di frequentare l’accademia, voleva dire guai molto brutti: peggio dell’espulsione.
Amavano usarli come esempio del perché la gente semplice non deve avere
ambizioni, appena ne avevano occasione.
In
camera trovò ad aspettarla una Yuri tornata completamente alla normalità, che
leggeva canticchiando seraficamente. Come facesse a leggere e contemporaneamente
a canticchiare per Emma era un mistero, ma il mistero era parte integrante di Yuri,
e lei la preferiva così che sconvolta. Forse.
«Ehilà!»
la salutò sorridente prima di reimmergersi nel suo libro. Poi fece un balzo
come se uno scorpione l’avesse punta. «Oh, Emy, ho una cosa per te!»
Prima o poi dovresti dirle che odi essere
chiamata così.
Preferisco non anticipare il momento in cui mi
sgozzerà nel sonno con la penna d’oca. Può chiamarmi come vuole.
Yuri frugò
nella borsa che usava per portare i libri a lezione e tirò fuori un tovagliolo.
Emma lo aprì e vide che era pieno di biscotti. Gli occhi le luccicarono voraci.
«Mi
dispiace averti fatto saltare così tanti pasti, così ho chiesto alla capo cuoca
se poteva darmi dei biscotti. Lei mi adora.» Emma sentì un’onda di calore
partirle dallo stomaco gorgogliante e arrivare al viso, fino a pungerle gli
occhi. Regalarle del cibo era il modo migliore di guadagnarsi la sua
riconoscenza. Specie se si trattava di dolci, cosa di cui la sua vita era
sempre stata tristemente priva. «Grazie…»
Avrebbe
voluto aggiungere altro… ma non sarebbe stato da lei. E poi poteva sembrare
esagerato reagire così per qualche biscotto. Aveva già la bocca piena quando
pensò che sarebbe stato educato dividere.
«Nhe
voi unho?» Chiese cercando di non sputacchiare troppe briciole e ignorando la
voce che le urlava “taci e divorati tutti
i biscotti”.
Con suo grande sollievo Yuri declinò l’offerta ed Emma poté finire di abbuffarsi in pace.
Ed ecco che è venuto fuori questo misterioso atlante del titolo! Ma perché svelare tutto subito quando può apparire la str**za di turno a far stare tutti sulle spine? Sì, è un po' stereotipa in stile le sorellastre di Cenerentola, ma visto che Emma ha conosciuto solo questo lato di lei e che la storia è raccontata dal suo punto di vista ho trovato appropriato rappresentarla così.
Avrei tanto voluto che Emma avesse ascoltato la sua voce interiore e le avesse tirato un pugno sul naso, ma più che altro per istinto di sopravvivenza ha preferito evitare. Yuri sembra aver trovato la strada più diretta per il cuore di Emma! Sarà stato un caso o una mossa calcolata? Chissà! XD ----- 羽毛