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Autore: finnicksahero    05/08/2014    3 recensioni
Chi era la madre di Katniss? Come ha conosciuto il signor Everdeen?
Io ho provato a rispondere a queste domande.
Dal testo:
'Le strade del giacimento erano deserte, si sentivano i canti dei bambini e qualche rumore di stoviglia, ma per il resto il silenzio era assordante, neanche gli uccellini cantavano, il cielo da azzurro era diventato nuvoloso. Rendendo l'ambiente ancora più grigio, i miei stivali alzavano la cenere argentea per aria, creando delle piccole nuvole che stancamente si riposava a terra. Era così folle alzarla, dargli della speranza, facendogli credere di poter volare, quando in realtà si sarebbe schiantata al suo suolo da li a poco. Mi ritrovai a pensare che prima o poi tutti diventavamo polvere.
Polvere alla polvere.
Cenere alla cenere.'
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Maysilee Donner, Mr. Everdeen, Mr. Mellark, Mrs. Everdeen, Mrs. Undersee
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'I'm in love with you ...'
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Capitolo tre.


 

Il sole era alto nel cielo e molto caldo quel giorno. Era passata una settimana dall'appuntamento nel prato. Una settimana da quando Maysilee e Haymitch si erano messi insieme, e da quando avevo incontrato altri ragazzi del giacimento. Ma sopratutto erano passati sette giorni dal momento in cui avevo ascoltato John cantare.

Mi aveva portato nei boschi, io mi ero messa subito a raccogliere le erbe per i medicinali e lui parlava, ad un certo punto tutto era silenzioso, mi ero girata lentamente, spaventata aspettandomi due pacificatori, e ai loro piedi il cadavere del mio nuovo amico, e invece era in piedi, su una roccia, gli stivali da caccia, la maglietta a maniche corte che faceva capire quanti muscoli possedesse, i capelli lunghi legati in un codino dietro la testa, il sole lo abbracciava e sembrava un angelo. Lo fissai accigliata, feci per chiedergli cosa stesse facendo quando aveva aperto bocca.

Prima la voce gli era uscita incerta. Poi sempre più decisa, era una canzone d'amore ma molto triste, all'inizio mi sembravano parole vuote, senza senso, ma poi mi resi conto che non erano così. Per niente. Tutto intorno a noi taceva, perfino l'aria sembrava non voler portare con se nessun rumore mentre lui cantava. E solo un piccolo e timido pubblico composto da denti di leone, violette, e altri fiori selvatici, lo fissavano mentre lui intonava:


 

'Verrai, verrai,

all'albero berrai,

da cui hanno appeso un uomo che tre ne uccise, o pare?

Strani eventi qui si son verificati

e nessuno mai verrebbe a curiosare

se a mezzanotte ci incontrassimo

all'albero degli impiccati.'


 

Quando ebbe finito la prima strofa, la calma era davvero surreale, riuscivo a quasi a toccarlo, quel silenzio perfetto e poi a poco a poco, dei timidi cinguettii ricrearono la sua canzone. Stonando delle parti, ma che messi insieme veniva un gran bel concerto.

Rimasi stupida, dal vederlo sorridere, come se non si aspettasse quella reazione, ma anche se infondo sapeva che sarebbe successa, mise le mani sui fianchi e chiuse gli occhi, aprii la bocca per prendere fiato e quando gli uccellini smisero, lui ricominciò.

Mi piacque il modo in cui muoveva le mani, come un pittore le muove sulla tela, la passione che metteva in ogni singola parola, in ogni accordo, sembrava così a suo agio da far paura. Non riuscivo a preoccuparmi che ci sentissero in città. Perché in quel momento non esisteva altro che lui e la musica, in quel momento.

Rimasi in ascolto. La seconda strofa terminò e lui rimase zitto, ad ascoltare gli uccelli che cantavano per lui, la sua canzone. Mi sedetti a terra, posando tutto come andava andava. Chiusi gli occhi e riuscii a vedere quell'albero. Come una cosa in bianco e nero, una figura sottile, stilizzata si avvicinava a passi di danza verso quella corda che volava con un vento leggero, se la passò sulla mano e ci ballò intorno. Era un valzer, e non aveva una compagna. Ma poi eccola spuntare.

Un'altra creaturina stilizzata, che corse su per la collina, fino a quell'albero, no guardò nemmeno la sua corda, ma corse dal suo amore e iniziò a ballare. Volteggiarono intorno a quelle corde, accarezzandole. Quando gli uccellini smisero di cantare, la voce profonda di John riprese la narrazione. Tenni gli occhi chiusi per tutta la strofa.


 

'Verrai, verrai,

all'albero verrai,

ove ti dissi “ Corri, se ci vuoi liberare “?

Strani eventi qui si son verificati

e nessuno mai verrebbe a curiosare

se a mezzanotte ci incontrassimo

all'albero degli impiccati.'


 

Ed eccolo li, l'atto finale, lui si inchinò a lei, nero sullo sfondo bianco che stava diventando seppia, e lei fece un riverenza, si misero le loro collane al collo e si presero per mano. Sembravano due uccellini e come tali spiccarono il volo. Lo sfondo diventò sempre più scuro, mentre il vento muoveva i cadaveri dei due giovani. Quelle fastidiose vocine smisero di cantare e lui ripartii con la prima strofa che doveva essere un ritornello.

Riaprii gli occhi quando disse l'ultima parola, le lacrime mi avevano bagnato il viso, mentre lui continuava a sorridere, ma un poì più tristemente, aveva chiusi gli occhi e spalancato le braccia, accogliendo tutte quelle mille voci che intonavano la sua triste canzone.

Dopo mi disse il nome del suo pubblico. Ghiandaie Imitatrici. Mi chiese perché avevo pianto e io avevo risposto come una bambina piccola -Perché non ho mai udito niente di più bello- ed era vero. Nessuno mi aveva rapito come lui. Ma proprio nessuno, mi fece promettere di non parlare a nessuno di quello che aveva fatto. Io annui, mi sorrise e insieme ci incamminammo verso la città.

-Alus, dovevi esserci- gli dissi, era almeno la centesima volta che gli raccontavo come cantava John -No, io ero occupato a parlare con quella Donna Saimur. Che ci ha provato spudoratamente con me- disse, stavo controllando suo fratello, e lui mi assisteva, più per volere che per altro -Senti, è bella, è formosa, è moolto disponibile. Non sarei gay?- chiesi, lui strabuzzò gli occhi e scosse solennemente la testa -Chiedevo solo- mormorai, tolsi il termometro da sotto l'ascella di Ector e sospirai -La febbre gli si è abbassata. Gli sto per dare la morfina, per favore sterilizza l'ago, ci manca solo un'infezione!- esclamai, lui fece come richiesto.

Preparai la morfina, mettendola dentro la siringa, con i guanti ci infilai l'ago e diedi un paio di schicchiricotti al vetro, e annui -Tienilo- ordinai, gli misi il calmante in corpo e mi sedetti, dovevo rimanere li con il paziente almeno altri minuti, dopo averlo drogato, -Rivedrai John?- chiese, sembrava intensamente occupato a guardare fuori dalla finestra, osservai la posizione delle spalle e la tensione nella mascella, vedendo anche una strana luce nei suoi occhi, non aveva fatto la domanda così, per parlare. Era stranamente preoccupato -Forse se riesco a fare tutti i giri domani torniamo nei boschi, devo finire di prendere le erbe- dissi, lui si voltò verso di me, sembrava furioso, fece per ribattere, mi accigliai e presi il polso di Ector, iniziando a controllarlo, guardando l'orologio. Dopo un po' tirai un sospiro di sollievo -Anche stavolta tutto bene- dissi, lui si scurii in volto.

-Okay, stavo pensando, è giunto il momento di dirlo ai tuoi. Sono in casa?- chiesi, Alus annui, sembrava ancora arrabbiato. Non ne capii il motivo, ma non glielo chiesi, forse era preoccupato per il suo fratellino. Sicuramente era così. -Si, sono di sotto- disse, lo presi per il braccio e accarezzai la testina calda di suo fratello -Allora, su andiamo.

Scendemmo le scale, di corsa.

Li feci sedere, tutti e tre davanti a me, e mi preparai al peggio, che arrivò, mi urlarono contro, suo padre quasi mi picchiò. Sua madre mi implorò di trovare una cura. Alla fine mi abbracciarono entrambi, dicendomi che mi volevano bene.

Stringendoli forte, mi resi conto che avrei potuto fare di più. Ma che non potevo realmente farlo.

  
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