S.O.S. tata Hawthorne
Cronache di due baby sitters (mica tanto) provetti.
Gale si guardò rapidamente attorno e
sbuffò irritato, nell’accorgersi che i gemelli non erano più nella stanza.
Raggiunse in fretta la cucina e si meravigliò a stento del colorato mescolarsi
di pezzi di torta, smarties
e cocci di porcellana che decoravano il pavimento: il dolce che aveva preparato
Hazelle per la merenda dei bambini era ridotto a una
poltiglia di cioccolato spiaccicata di fronte ai piedi dei gemelli, che si
erano nascosti dietro le gambe del tavolo, spaventati dal trambusto che la loro
vivacità aveva generato. Realizzando che i due ragazzini non avevano le scarpe,
ma solo i calzini addosso, Gale si affrettò a sollevarli da terra.
“Fuori di qui!” sbottò irritato, trasportandoli
verso il soggiorno.
“È stato lui!” esclamò Noel non appena
lo zio li adagiò a terra, indicando il fratello. Adam s’indignò e incominciò a
sbattere i piedi per terra.
“Non è vero, è stato lui!” obiettò,
imitando il gesto del gemello.
“Stupido!”
“No, tu sei stupido!”
“Va bene, basta così tutti e due!”
intervenne Gale, trattenendo Noel per evitare che si buttasse addosso ad Adam.
Tornò poi in cucina per cercare una scopa e rimediare al disastro del piatto
rotto, mentre Johanna teneva fermi i gemelli trattenendoli per le magliette.
Quando mise nuovamente piede in soggiorno il litigio fra i due fratellini
sembrava già essersi concluso: Adam e Noel stavano giocando con le costruzioni
assieme a Evan, in maniera relativamente tranquilla.
Dall’altra parte della stanza Rowan e Prim avevano
trasformato la loro attività dedita alla vendita delle limonate in un negozio
di animali. Pupazzi e figurine di plastica era stata allineati con cura sul
divano e i due stavano decantando i pregi e i talenti speciali di un’anatra di
peluche a Johanna che, pur non facendo alcuno sforzo per nascondere quanto i
loro discorsi la stessero annoiando, non si era allontanata, né stava dando in
escandescenze. A Gale venne quasi da ridere nel vederla seduta fra i due
bambini e tutti quei pupazzi, con le labbra strette in una smorfia infastidita
e le braccia conserte sul petto.
In quel momento June
e Haley s’intrufolarono correndo in salotto. Johanna roteò gli occhi, non
appena le vide avvicinarsi.
“Ci serve un velo da sposa!” esclamò Haley,
picchiettando con insistenza la mano sulla maglietta di Gale, per attirare la
sua attenzione.
“Che cosa?” domandò il suo
interlocutore, aggrottando perplesso le sopracciglia.
“Stiamo giocando al matrimonio!” spiegò
la ragazzina, intercettando lo sguardo dell’amica e sorridendo furbetta. “Io
faccio la sposa! È un gioco che ha inventato June Hawthorne!” aggiunse, sventolando il mazzolino di fiori che
doveva aver raccolto in cortile.
“Come mai non ne sono sorpreso?”
commentò l’uomo, mentre le due ragazzine lo trascinavano verso il divano,
tirandolo per il braccio.
“Devi giocare anche tu, zio” ordinò June, mentre Haley annuiva con vigore.
“Ma perché invece non fate una partita
a nascondino tutti assieme?” propose Gale, nella speranza di sfuggire a quella
situazione. “O qualcosa di simile.”
“Nooo, a
quello ci abbiamo già giocato troppe volte!” replicò June,
raccogliendo uno dei cucchiaini di plastica che Prim
e Rowan avevano utilizzato per il banchetto della limonata. “Ecco, facciamo
finta che questo è un pettine, perché ti devo pettinare!” aggiunse con serietà, facendo sedere lo zio e
passandogli il cucchiaino fra i capelli.
“Ma come pettinare?” esclamò Gale,
allontanando il capo all’indietro per ritrarsi. “Siete spose o parrucchiere?”
June alzò gli
occhi al cielo e si sistemò sul bracciolo del divano.
“La sposa è Haley! Ed io sono quella che
pettina i capelli agli sposi, no?” replicò, passandogli il cucchiaino sulla
nuca. “Tu fai lo sposo, quindi devi essere a postissimo e invece sembri tutto
spettinato!”
Gale si affrettò a sollevarsi dal
divano, liberandosi dalla presa della nipotina.
“Sarà meglio che cerchiate un altro
sposo, allora…” osservò, arruffando i capelli di Rowan che si era avvicinato a
loro, incuriosito dal nuovo gioco. “…Possiamo farlo fare a Rowan!”
Haley si mise le mani sui fianchi e
scosse il capo con espressione esasperata.
“Ma che dici? Mica posso sposare mio
fratello!” ribatté, facendo ridere gli altri due bambini. “Lo devi fare tu,
tanto mica sei sposato!” S’impuntò, facendosi aiutare da June,
per far sedere nuovamente Gale sul divano. Prim e Rowan
accorsero in loro aiuto, e nel giro di un paio di un minuti tutti e cinque
stavano trafficando con dei cucchiaini di plastica per pettinare capelli,
sopracciglia e perfino l’accenno di barba allo ‘sposo’.
Sospirando, l’uomo allontanò i quattro
bambini da sé per sfuggire a quel gioco fastidioso. Intercettò lo sguardo di
Johanna e si accorse che la donna stava tenendo d’occhio tutte quelle
operazioni con un rinnovato sorrisetto sardonico a incresparle le labbra: era
evidente che vederlo in difficoltà la stesse intrattenendo ben più di quanto
avessero fatto i discorsi sull’anatra di peluche di Rowan e Prim
e di certo non avrebbe potuto sperare di ricevere aiuto da lei.
“Vuoi stare fermo, zio?” si lamentò a
quel punto June, cercando di riportarlo al divano. Sfuggendo
all’ennesimo colpo di cucchiaino sulla testa, Gale si diresse verso il figlio.
Dovette trascinarsi dietro anche i gemelli, che avevano deciso di aggrapparsi
alle sue gambe come se fossero due scimmiette.
“Guardate come sembra ben pettinato
Joel!” osservò, dando un colpetto sulla spalla al ragazzino. “Facciamolo fare a
lui lo sposo di Haley!”
Il bambino sollevò con riluttanza lo sguardo
dal libro sugli origami che stava sfogliando.
“Io non posso sposarla, è mia amica![1]”
obiettò poi, scoccando un’occhiata esitante alla piccola di casa Mellark.
Johanna gli rivolse un sorrisetto
compiaciuto.
“L’ho sempre detto che sei troppo
sveglio per essere figlio suo” commentò poi, alzandosi dal divano e indicando
il fidanzato con un cenno del capo. Gale la freddò con lo sguardo e si voltò
per prendere in braccio Evan, che stava rischiando di
cadere a terra per via del turbinio di bambini che gli scorrazzavano
vivacemente attorno. Johanna gli diede un colpetto con il fianco, riproponendo
il suo tipico ghigno beffardo.
“Ti sei offesa, principessa?” gli sussurrò poi in un orecchio. Gale sbuffò, ma
non si ritrasse quando la donna fece scivolare le braccia attorno al suo collo.
“No, ma Evan
sì” replicò poi, avvicinando il nipotino alla donna. “Sperava così tanto di
poter dare un abbraccio alla ‘zia Johanna’...” azzardò, abbozzando un mezzo
sorriso canzonatorio. Evan tirò fuori la manina dalla
bocca e sorrise, tendendo il braccio verso di lei.
“Zia!” ripeté, cercando di farle una
carezza. La donna si ritrasse bruscamente.
“Non sono tua zia” borbottò, fulminando
il bimbetto con lo sguardo. “E tieni a posto quelle mani piene di bava o giuro
che te le taglio e me le mangio.”
Per qualche ragione i due gemelli sembrarono
trovare le intimidazioni di Johanna piuttosto divertenti e dopo aver riso incominciarono
a rincorrersi, minacciandosi a vicenda di tagliare le dita all’altro.
“Ci servono degli anelli!” esclamò June in quel momento, passando in rassegna il soggiorno con
lo sguardo.
“Li posso fare io col pongo!” propose Prim, alzando entusiasta la mano.
“Ti aiuto, ti aiuto!” esclamò subito
Rowan, raggiungendo l’amica.
“Senti…” incominciò Haley, tirando un
lembo della maglietta di Gale e scuotendo il capo in un cenno di
disapprovazione. “ …Non ti puoi mica sposare vestito così, devi essere tutto
elegante! Ce le hai delle belle scarpe?”
Sospirando, Gale posò a terra Evan prima di scuotere la testa.
“Niente da fare, Hales, ho solo queste”
mentì, tenendo d’occhio i cambi d’espressione di Johanna, che aveva riesumato
il ghignetto beffardo di poco prima.
“Ma dei vestiti eleganti ce li avrai
pure!” insistette Haley, sistemando il mazzo di fiorellini ormai tutti
stropicciati che teneva ancora in mano.
“Ha la sua divisa da pilota” buttò lì
Johanna. “Hawthorne è sexy in camicia e cravatta” aggiunse
poi con un ghigno, voltandosi in direzione del fidanzato. Gale le rivolse
un’occhiata di ammonimento.
“Sì, usiamo quella!” si trovò d’accordo
la bambina, rivolgendole un sorriso luminoso.“Ce la puoi andare a prendere?”
“No, non può” rispose spiccio l’uomo,
trattenendo la fidanzata per i fianchi.
“Oh, sì che posso” commentò con un
sorrisetto la donna, sollevando il capo a ricambiare il suo sguardo. “Così la
prossima volta ci penserai due volte, prima di riempirmi la casa di
mostriciattoli urlanti e bavosi” annunciò poi, spingendogli il mento
all’indietro e sfilandosi dalla sua presa.
Gale sbuffò e la seguì in corridoio, seguito
a ruota da June, che stava farfugliando qualcosa a
proposito di un velo da sposa. Non fecero in tempo ad abbandonare il soggiorno
che un grido acuto costrinse l’uomo a tornare sui suoi passi, maledicendo a
denti stretti il momento in cui aveva accettato di dare un occhio ai nipotini
per l’intero pomeriggio.
Individuò in breve tempo il
proprietario delle urla – Noel era inciampato in un mucchietto di lego ed era
scivolato a terra–, ma impiegò parecchi minuti a calmarlo del tutto. Quando il
nipotino smise finalmente di tirare su col naso, Johanna era già tornata in
salotto da un bel pezzo e Haley aveva incominciato tallonare Gale con la sua
camicia da pilota in una mano e la cravatta nell’altra. Mentre sfuggiva
all’ennesimo attacco di cucchiai-pettini da parte di Prim
e Rowan, l’uomo notò una striscia di carta igienica appiccicata a una scarpa
della bambina. Frugò rapidamente il soggiorno con lo sguardo e si accorse che June ne stava srotolando un rotolo sul divano. In quel
momento stava strepitando contro Noel, che aveva afferrato una paio di strisce
per bendarsi braccia e gambe.
“Ma che fai, stupido! Mi servono per
fare il velo da sposa!” gridò stizzita la ragazzina, allontanando il fratello
con uno spintone.
“Questa è meglio se la porto di nuovo
in bagno” li interruppe Gale, confiscando quel poco che rimaneva del rotolo di
carta igienica. Diede un secondo sguardo al soggiorno per contare i bambini e
si accorse che ne mancava uno all’appello: Adam sembrava essersi nuovamente
nascosto.
Diede un’occhiata in cucina e nelle
camere da letto, prima di fare una capatina in bagno per posare la carta
igienica.
“Zio, guarda, ho un’astronave!” lo
informò in quel momento la voce di uno dei suoi nipoti. Gale annuì
sovrappensiero, ansioso di tornare in soggiorno per non lasciare Johanna sola
con i sette bambini troppo a lungo. Si fermò poi di scatto, chinandosi per
essere all’altezza della lavatrice: Adam aveva infilato la testa e parte del
busto nel cestello, lasciando visibili solo i piedini scalzi. Gale sbuffò e lo tirò fuori, facendo attenzione
ad evitare che si facesse male.
“La lavatrice non è un gioco” dichiarò
secco, prendendolo in braccio per tornare in soggiorno. “Guai a te se ti becco
di nuovo là dentro.”
Quando rientrò in salotto le prime
avvisaglie di nervosismo incominciarono a metterlo a dura prova. I bambini
avevano preso a saltellargli attorno, lanciando pezzi di lego per aria e
urlando: “Viva lo sposo!”
Cercò Johanna con lo sguardo, ma si
accorse che non era più nella stanza. La trovò in cucina, intenta a sfogliare
il libro sugli origami di Joel con espressione visibilmente seccata.
“Se nessuno viene a prenderseli entro mezzora
li sbatto tutti fuori” sbottò, quando il fidanzato venne a sedersi di fianco a
lei.
Dieci minuti più tardi il campanello
suonò per la prima volta nel corso del pomeriggio. Johanna raggiunse subito la
porta, felice di potersi sottrarre per qualche minuto alle urla e alla vivacità
degli otto bambini. Il bisogno disperato che aveva di liberarsi di quei
ragazzini, tuttavia, non le impedì di accogliere con una smorfia seccata il
nuovo arrivato, quando scoprì che si trattava del mezzano dei fratelli Hawthorne. In quel momento i gemelli si precipitarono di
corsa nell’ingresso, incuriositi dal trillo del citofono.
“Zio Rory!”
esclamarono all’unisono, saltellando verso i due adulti. Rory
– con cui Johanna era solita battibeccare in continuazione - sorrise sghembo e
fece per entrare, ma la donna fu più veloce.
“Ci sono già abbastanza marmocchi, qui,
non me ne serve un altro” commentò asciutta, chiudendogli la porta in faccia. Adam
e Noel protestarono a gran voce e si alzarono sulle punte dei piedi per cercare
di tirare giù la maniglia. Gale, che li aveva seguiti all’ingresso, si affrettò
a riaprire, prima di tornare in soggiorno dai bambini. L’espressione interdetta
di Rory sfumò non appena l’uomo mise piede in casa e
il suo sguardo tornò a posarsi su Johanna.
“Vuoi che ti dimostri che non sono più
un marmocchio?” commentò poi, facendole l’occhiolino. La donna inarcò un
sopracciglio.
“Vuoi che ti spacchi il naso a suon di pugni?” borbottò,
afferrando ciascuno dei gemelli per un braccio e spingendoli verso di lui.
“Tieni, renditi utile una volta tanto e portati via questi due.”
“Questi non sono i miei…” le fece notare Rory, chinandosi per essere all’altezza dei nipotini.
“Fa lo stesso, un Hawthorne
vale l’altro” replicò Johanna, alzando gli occhi al cielo. “L’importante è che
te ne porti via qualcuno.”
“Ehi, teppistelli!” esclamò Rory, aiutando Adam e Noel ad arrampicarsi sulle sue
ginocchia. “Ci venite a fare un giro con zio Rory?”
“Sì!” esclamarono i due bambini all’unisono,
allacciandosi con le gambe al suo torace. Nell’udire la voce del mezzano dei
fratelli Hawthorne, Prim si
precipitò alla porta, seguita a poca distanza da Evan.
“Papà!” lo chiamò la bambina, superando
Johanna per abbracciarlo. Il fratellino le andò dietro goffamente e cercò di
farsi spazio sulle ginocchia dell’uomo.
“Ciao, pastrocchietti miei!” li salutò Rory, baciandoli entrambi sulla testa. “Mi siete mancati!”
Johanna si mise a braccia conserte e
rimase a osservare per qualche istante gli scambi affettuosi fra il padre e i
due bambini: secondo il suo punto di vista i maschi della famiglia Hawthorne sembravano rincretinire completamente quando
c’erano di mezzo i loro bambini; forse era per quello che non facevano altro
che figliare, diventando la causa del suo mal di testa ogni volta che spedivano
la prole a infestare il suo salotto.
Dopo aver salutato il fratello e i
nipotini, Rory prese con sé sia i gemelli che i due
figli, per portarli a fare una passeggiata. Vick venne a recuperare June mezzora più tardi e, con gran sollievo da parte di
Johanna, anche i Mellark rincasarono attorno a quell’ora. Casa Hawthorne
tornò a riempirsi di un silenzio e una tranquillità quasi innaturali e a Gale
non rimase altro da fare che raccogliere
posate di plastica, aeroplanini stropicciati e i vari mattoncini di lego
disseminati in giro per il soggiorno. Johanna accumulò con qualche calcio ben
assestato le strisce di carta igienica sparpagliate sul pavimento ed imprecò a
denti stretti quando rischiò di cadere, inciampando nell’anatra di peluche che Prim e Rowan le avevano sventolato di fronte agli occhi in
continuazione, quel pomeriggio.
Sollevò il pupazzo per il becco e gli
rivolse un’occhiata di puro sdegno, prima di gettarlo nella cesta dei giochi.
“Guai a te se mi metti incinta, Hawthorne” borbottò infine, liberando il divano degli
ultimi giocattoli per sprofondarvici sopra. “Con la maratona mocciosi di questo pomeriggio ne ho abbastanza per i
prossimi dieci anni. E non voglio vedere, né sentir parlare di marmocchi almeno
fino al mese prossimo.”
Gale sospirò e raccolse la sua camicia
da pilota, dopo averla sfilata a uno degli orsacchiotti che aveva lasciato lì Evan.
“Vuol dire che devo andarmene?” le
chiese Joel, sfogliando pigramente le pagine del suo libro sugli origami. Johanna
fece una smorfia.
“Tu non sei mai stato un bambino”
replicò, intrecciando le dita dietro la nuca. “Dai quattro anni in poi eri
praticamente un adulto.”
“Porta pazienza ancora sei o sette anni”
commentò a quel punto Gale, piegando la camicia e appoggiandola sul tavolo
assieme alla cravatta. “Quando saranno cresciuti tutti, non rischieremo più di
trovarci in situazioni simili” concluse infine, prendendo posto sul divano di
fianco alla donna.
Circa sei o sette anni
dopo…
Johanna si chiuse alle spalle la porta
della cucina e sbuffò irritata. Le grida infantili di due ragazzini e un rumore
insistente di passetti irrequieti risuonavano dal soggiorno,
ignorando il confine tracciato dai muri fra le due stanze.
“Non voglio giocare ai dinosauri con
te!” stava strillando una bambina. “Smettila subito o ti tiro un pugno!”
“Nessuno tira pugni a nessuno, Sawyer!” la ammonì Gale con fermezza, prima di fare ingresso in cucina. Un ragazzino si precipitò
a seguirlo, agitando le braccia ed emettendo versi striduli. “E tu, Davey, lascia stare le bambine!” aggiunse l’uomo,
scompigliando la zazzera corvina del piccolo: David Gale Mellark[2]
aveva i tratti tipici del Giacimento – capelli neri, carnagione olivastra e
occhi grigi – e un’espressione furbetta addolcita dalla lieve spruzzata di
lentiggini che aveva sul naso.
“Non sono Davey,
io sono il T-Rex!” esclamò il bambino, balzando su una sedia e arricciando le
dita a mimare gli artigli di un dinosauro. “Anzi, adesso sto facendo lo
pterodattilo!” si corresse poi, saltando giù e riprendendo ad agitare le
braccia. ‘Volò’ in tondo attorno al tavolo per qualche minuto, alimentando il
nervosismo di Johanna: sembrava instancabile e, nei rari momenti in cui
interrompeva le sue corse, si arrampicava sulle sedie digrignando i denti nella
sua più fedele imitazione del tirannosauro.
“Ha una bella faccia tosta, la Everdeen, a smollarcelo qui quasi tutti i pomeriggi”
borbottò a un certo punto Johanna, fulminando il bambino con lo sguardo. “Probabilmente
non riesce più a sopportarlo nemmeno
lei. È una specie di diavolo nano con la permanente” aggiunse, accennando ai
capelli mossi del bambino.
Gale le indirizzò un’occhiata penetrante,
ma non disse nulla. Interruppe poi le
corse di David tagliandogli la strada, e lo sollevò da terra per fargli il
solletico. Il bambino rise e cercò di liberarsi dalla sua presa, scalciando
furiosamente.
“Mi hai preso, brutto stegosauro!” si lamentò infine,
continuando a dimenarsi. Gale abbozzò un sorriso.
“Ah, quindi oggi sono uno stegosauro?”
chiese, sostenendogli le gambe per farlo oscillare a testa in giù. “Pensavo di
essere il tuo padrino.”
Il ragazzino riuscì a tirarsi su e
annuì con vigore, sorridendo furbetto.
“Sì! Anzi, no, sei un T-Rex come me! Perché
sei il mio amico!” precisò, riprendendo ad agitarsi per farsi mettere a terra.
Il sorriso di Gale si estese.
Con un’ultima occhiata irritata in
direzione del bambino, Johanna diede le spalle ai due e tornò in soggiorno:
l’ultima cosa che voleva era sorbirsi i versetti striduli e l’iperattività di
quel moccioso dinosauro per il resto
del pomeriggio. Scoccò una rapida occhiata fuori dalla finestra e fece una
smorfia, nel riconoscere i gemelli ed Evan, impegnati
in una partita di calcio nel vialetto di fronte a casa. Dopo tutti quegli anni
non era ancora riuscita a spiegarsi come mai, con tutti i posti che quei
ragazzini avessero a disposizione in giro per il Distretto 12, i nipoti di Gale
scegliessero sempre di bighellonare da quelle parti. Johanna trovò poi sua
figlia Sawyer seduta a gambe incrociate sul divano,
in compagnia della cuginetta Leah. Le due bambine stavano fingendo di medicare
una volpe di peluche con del cotone e la donna fu contenta di costatare che il
loro fosse un gioco relativamente silenzioso.
Fece del suo meglio per ignorare la voce squillante di David proveniente
dalla cucina ed era quasi riuscita a rilassare la sua espressione quando le
voci concitate di due adolescenti s’intrufolarono in corridoio, facendosi gradualmente
più vicine.
“Si è praticamente auto-invitata e mi
sembrava brutto dirle di no…” stava spiegando Joel, in tono di voce nervoso.
“…Così le ho proposto di venire con noi. Che c’è di tanto fastidioso in tutto
ciò?” aggiunse, superando Johanna e incrociando l’espressione seccata di Haley.
“Forse il fatto di dover essere il
terzo incomodo, mentre tu e Sheera Sunlock passerete il tempo a farvi gli occhi dolci come due
piccioncini?” sbottò, scostandosi un ciuffo di capelli dagli occhi e tornando a
incrociare le braccia sul petto. Joel sbuffò.
“Non farò gli occhi dolci proprio a
nessuno!” replicò bruscamente. “Dobbiamo andare a una partita di baseball, non ad
un appuntamento.”
Haley gli rifilò un’occhiata
penetrante, prima di stringersi nelle spalle.
“Non credo che Sheera
la veda così” obiettò infine.
“E anche se fosse?” ribatté l’amico,
passandosi una mano sulla nuca. “L’importante è quello che penso io, no? Voglio
andare alla partita di baseball dei gemelli per vederli giocare, non per
flirtare o passare del tempo con qualche ragazza. Mi è indifferente chi viene
con me” concluse, alzando le spalle. L’espressione di Haley si indurì
ulteriormente.
“Perfetto, allora vacci da solo!”
sbottò infine, dandogli le spalle per raggiungere la porta del soggiorno. Joel
la osservò uscire con aria perplessa e trasalì quando, dieci secondi più tardi,
sentì sbattere la porta del bagno.
“Hales!” esclamò Gale dalla cucina, cercando
di parlare sopra i versi da dinosauro di David. “Se la porta si rompe, poi ce
la ripaghi tu?”
“E adesso che diavolo le ho detto di
sbagliato?” commentò fra sé Joel, raggiungendo il divano e lasciandosi cadere
fra le due bambine.
To be Continued…
Nota dell’autrice.
Ed eccomi qui con la seconda parte di
questa storia! Ovviamente, come al solito, non mi sono potuta smentire e
scrivendo mi sono resa conto che il secondo capitolo stava venendo fuori troppo
lungo, così ho fatto che dividere in tre e tagliare la testa al toro. In teoria
la parte ambientata “6 o 7 anni dopo” avrebbe dovuto essere molto corta, giusto
per smentire la previsione di Gale, ma essendoci un paio di personaggi nuovi mi
sembrava giusto approfondirli e così mi sono dilungata. Primo fra tutti un qual
certo bambino dinosauro… Che finalmente, dopo averlo tanto menzionato in lungo
e in largo in varie note dell’autore, così come nel gruppo facebook
The Capitol, ha fatto la sua prima comparsa ufficiale. Tengo
veramente moltissimo al personaggio di David, perchè
ha dei retroscena un po’ particolari, ma per ora preferirei non dire nulla, perché
spero di poter prima o poi scrivere qualcosa che abbia esclusivamente a che
fare con lui. Non pensavo che avrei mai scritto qualcosa su di lui – o Sawyer – ma sono
contenta di essere riuscita a introdurli in qualche modo! Di Davey, per ora, basta sapere che è iperattivo, ossessionato
con i dinosauri e che è visibilmente molto affezionato al suo padrino (e Gale a
lui). Per quanto riguarda Sawyer Akir
(la figliola di Gale e Johanna), verrà approfondita meglio nel prossimo (e
ultimo, I swear) capitolo, vi basti sapere che,
nonostante in apparenza sia dolce e tranquilla, sotto sotto è un peperino come
la mamma u.u Infine, Leah, la piccolina di casa, è la
primogenita di Posy e suo marito Dru. Joel e Haley li
conoscete già, quindi su di loro non mi dilungo u_u
Questi sono i prestavolti:
·
David
·
Sawyer
·
Leah
Conto di pubblicare il prossimo capitolo fra un paio di
settimane, di ritorno dalle vacanze. Spero di riuscire a rispondere le
recensioni prima di partire, ma in caso contrario lo farò appena torno! Un abbraccione e a presto!
Laura