Serie TV > Sherlock (BBC)
Segui la storia  |       
Autore: Ciajka    09/08/2014    3 recensioni
AU dove i personaggi di Sherlock sono uniti alla mitologia nordica.
John è un umano. Sherlock è un Dio.
Sono entrambi uniti da un patto infrangibile. La vita di John ora è completamente nelle mani della spietata divinità.
O, almeno, questo era il piano iniziale di Sherlock.
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Mycroft Holmes, Sherlock Holmes
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

A mano a mano che i due fuggitivi si addentravano nel bosco, questo diventava sempre più oscuro e tetro. Gli alti fusti degli alberi si stagliavano annaspanti verso il cielo. Il sole, una macchiolina che si scorgeva appena tra le cariche fronde delle conifere, era ormai in procinto di tramontare.

Durante tutto il cammino non una parola era stata detta. Il rumore dei passi, attutito dalle foglie morte, era l'unico suono che li accompagnava.

Fu John il primo a spezzare il silenzio: “Dovresti dirmi almeno il tuo nome.”

L'altro non gli degnò nemmeno uno sguardo.

“Me lo devi.” continuò il biondo, con tono minaccioso.

Eppure il moro non aprì bocca.

John soffocò a fatica la marea di imprecazioni che voleva riversagli.

Continuarono a marciare silenziosi, finché la luce aranciata del tramonto non colorò quel poco di visuale che era rimasta.

A John sembrò di vedere un'ombra scivolare tra i cespugli, ma pensò che probabilmente era l'effetto della luce e non se ne curò affatto.

“Dobbiamo fermarci, stanno calando le tenebre.” proclamò John.

L'altro, senza fiatare, si sedette su una grande pietra ricoperta di muschio e si mise ad aspettare.

John aveva i nervi a fior di pelle.

“Sai accendere un fuoco?” chiese dunque a Sherlock.

“Mai avuto bisogno.” fu la sua risposta.

“Questa volta ce ne sarà bisogno invece, sua maestà. Aiutami a raccogliere qualche ramo secco, invece di stare lì a contemplare il nulla.”

Sherlock gli lanciò una occhiataccia, ma fece quello che gli si era ordinato. Più o meno. Ritornò dopo una decina di minuti con un singolo e sbilenco rametto.

Il tempo che aveva impiegato per raccogliere quel singolo pezzo di legno, John l'aveva utilizzato per raccoglierne almeno altri venti.

Il curatore cercò di non perdere la pazienza e ignorò il sorriso sbieco che gli stava lanciando quel maledetto individuo.

John rovistò tra le boccette contenenti le erbe medicinali che Sherlock aveva infilato così concitatamente all'interno della sacca e, con un sospiro di sollievo, tirò fuori un barattolino di vetro basso e largo. Al suo interno c'erano due oggetti a forma d'uovo, avvolti da un panno di cuoio vecchio.

Lo aprì senza tanti preamboli.

Si trattavano di due pietre scure, lisce, con i bordi scavati. Le sfregò energicamente: si crearono delle rosse scintille che si tuffarono sibilando nel cumulo di rami secchi.

Dopo poco, il fuoco stava già scoppiettando allegramente.

“Dovremo portare pazienza per la cena. Non abbiamo portato provviste con noi. Ci penseremo domani mattina a cercare qualche bacca o noce.” disse John, guardando negli occhi annoiati di Sherlock.

Il moro non sembrava affatto spaventato dall'idea di non cenare.

“D'accordo.”

“Cerchiamo di riposarci il più possibile, domani voglio essere fuori da qui. Dobbiamo dirigerci verso nord se vogliamo arrivare a Uppsala con i nostri piedi.”

“Mm, mm.” annuì l'altro, senza convinzione.

“Sperando che nessuno ci dia la caccia.” continuò John, ormai solo a sé stesso.

L'unica risposta che ricevette fu la buia risata di una civetta che li osservava con i suoi grandi occhi tondi dall'alto di un ramo.

 

 

 

Anthea scrutò Mycroft con sguardo imparziale, mentre egli rifletteva con gli occhi socchiusi.

“Penso sia ora di intervenire.” disse infine il Dio.

Anthea abbozzò un sorriso, con i bianchi occhi che scintillavano.

Senza aggiungere altro, lasciò la sala con passo deciso. Non ci volle molto prima che ella ricomparve, accompagnata da una pesante scacchiera di marmo bianca e grigia.

Con fatica la posò sopra il bordo del pozzo.

La scacchiera sembrava non essere dotata di nessuna pedina, solo di un piano liscio, con quadrati bianchi e grigi, alternati tra loro.

Il Dio passò la propria mano sopra l'oggetto, il quale mutò aspetto: non era più una superficie piana e spoglia, ora era apparso un bosco in miniatura. A sud di esso si trovava un paesello, facilmente riconoscibile come il paese natale di John, a nord una lunga strada a zig zag, immersa nella desolante steppa, mentre a est qualche altro insediamento umano. Per finire, ad ovest c'era un immenso fiordo occupato da una cittadina con porto sul gelido mare.

Due pedine, a forma di Sherlock e John, erano apparse proprio nel centro del bosco.

“Iniziamo a giocare.”

 

 

 

Era ormai giunta l'alba. La brina ricopriva il terreno di uno spesso strato di luccicanti perle d'acqua.

Due scuri individui, incappucciati, con un pezzo di stoffa nera che copriva naso e bocca, armati di arco, frecce e maneggevoli pugnali, si stavano inoltrando nella selva.

“Phil, dove ci posizioniamo oggi?” domandò il più giovane dei due.

L'altro rispose con voce strascicata ma allo stesso tempo sicura: “La quercia.”

Il primo fece un cenno d'assenso.

Non ci misero molto a raggiungere il luogo destinato. Si trovava a qualche centinaia di metri dall'uscita ovest del bosco. Una grande e possente quercia si ergeva proprio di fianco al poco visibile sentiero.

I due individui incappucciati si arrampicarono senza alcuna difficoltà sul maestoso albero, si postarono ognuno su un robusto ramo, incastrando l'ingombrante arco tra i rametti di fianco a loro.

“Spero che si faccia vivo qualcuno. Siamo quasi a secco di denaro e sai quanto costano le medicine di quel maledetto curatore.” si lamentò il più giovane.

“Nostra madre sopravviverà.” disse Philip, spostando con una manata quei ciuffi ribelli di capelli neri, lucidi dal sudore, che gli impedivano la visuale.

Poi aggiunse, con tono falsamente più allegro: “Beh, al massimo uccideremo qualche cervo e faremo una bella scorpacciata questa sera!”

Non fece quasi in tempo a finire la frase che i rami della quercia si mossero, prima impercettibilmente, poi sempre più violentemente, come se fosse in atto un terremoto.

Senza lasciarsi prendere dal panico, i due ladri si lanciarono dalla loro postazione, senza dimenticarsi prima di afferrare l'arco, e atterrarono con agilità per terra.

Ma c'era qualcosa di strano.

Il terreno era perfettamente immobile.

Inoltre non soffiava nemmeno una tenue brezza.

Se non erano né il terremoto né il vento gli artefici del movimento dei rami della vecchia quercia, qual era la causa di quel trambusto?

Si accorsero con sgomento che anche il resto degli alberi attorno a loro aveva cominciato a tremare in maniera innaturale.

“Phil! Cosa sta succedendo?!” esclamò il giovane.

“Non ne ho la minima idea! Meglio darsela a gambe!” rispose egli, iniziando a correre verso l'uscita del bosco.

Ma la via era bloccata. Un enorme guerriero, con armatura di corteccia e spada di legno, bloccava loro la strada. Il volto dell'essere, anch'esso completamente in legno, era più che altro abbozzato: due fori oscuri al posto degli occhi e una spaccatura piena di schegge come bocca.

Vedendo che il gigante si stava avviando verso la loro direzione, i due fuggitivi fecero immediatamente dietro front.

“Cazzo, cazzo! Corri! Veloce!” gridava Philip al fratello, mentre saltava come uno stambecco verso il centro del bosco.

Anche la maestosa quercia si era trasformata in un guerriero. Molto più grande e spaventoso del precedente. I rami che uscivano dal suo capo sembravano legnosi serpenti rivestiti di piume verdi.

I due, sapendo di non poter fuggire ancora per lungo, provarono a nascondersi all'interno di un basso arbusto. Si raggomitolarono come dei ricci, sperando di non venire schiacciati da quei mostri.

Ben presto si accorsero che quei due guerrieri sembravano ignorare del tutto la loro presenza. Continuavano inesorabilmente a marciare verso il cuore del bosco, senza curarsi di quello che avevano sotto di sé.

“Per tutti gli Dei... Che stregoneria è mai questa?!” esclamò con una nota di disgusto Philip.

 

 

 

 

John e Sherlock si erano già messi in cammino.

Lungo il percorso il curatore trovò arbusti pieni zeppi di bacche di mirtillo e non indugiò nel raccoglierle e cibarsene.

“Prendine qualcuna anche tu.” propose a Sherlock, offrendogli una generosa manciata di quelle violacee e dolci bacche.

“Nah.” fu la sua risposta, accompagnata da una scrollata di spalle “Il cibo mi rallenta.”

John lo guardò di sbieco, dicendo: “Non puoi continuare a stomaco vuoto, sarai esausto ancora prima di uscire di qui.”

Sherlock sbuffò: “Voi umani pensate soltanto a mangiare. Vi ingozzate sempre, dalla mattina alla sera, come animali all'ingrasso.”

“Ma che diamine!” esclamò John “Se non mangiamo crepiamo! E poi il sapore del buon cibo è qualcosa che ti rende decisamente feli-”

John si ammutolì all'improvviso. Un rumore sordo, ad un centinaio di metri davanti a loro, lo aveva messo sull'attenti. Uno stormo di corvi prese rumorosamente il volo.

“Qualcosa si sta avvicinando.” constatò Sherlock “Qualcosa di grosso, stando al rumor-”

“Shh!” lo zittì il compagno, sguainando la spada.

Sherlock, anche se leggermente offeso per il brusco modo con cui l'aveva zittito, lo imitò tirando fuori il pugnale.

Succedette un secondo tonfo, questa volta ancora più vicino, poi un terzo, un quarto, un quinto, ognuno in direzioni differenti.

“Ci stanno circondando.” mormorò John al ex Dio “Tieniti pronto a combattere.”

Poi li videro.

Dei giganteschi guerrieri di legno e foglie, completi di spada e armatura, stavano avanzando verso di loro. Il loro sguardo era completamente vuoto ed inespressivo, ma non per questo meno terrorizzante.

Erano almeno una decina e tutti puntavano simultaneamente la punta della propria arma verso John e Sherlock, come per sfidarli.

Quest'ultimo lanciò uno sguardo sgomentato verso il pugnale che teneva in mano. Al confronto sembrava uno stuzzicadenti. Era completamente inutile. Lo rimise al sicuro dentro il fodero attaccato alla cintura.

Il compagno non era molto più rilassato, entrambe le mani che stringevano l'impugnatura della spada avevano le nocche bianche dalla pressione esercitata.

Uno dei giganti, con il volto celato da innumerevoli rampicanti, sbatté violentemente la legnosa arma sullo spesso tronco di un ignaro ed inanimato albero che si trovava sul suo fianco.

Lo spezzò a metà.

La parte sovrastante, senza più appoggio, si sfracellò a terra.

“John, ho appena analizzato nove possibili scenari che ci porterebbero a sconfiggere questi mostri.” intervenne Sherlock, facendo strabuzzare gli occhi verdi del biondo, interdetto. Il moro concluse:“E penso che il migliore sia scappare.”

“Oh, concordo!” approvò John con un sospiro carico di tensione.

“A sinistra! C'è un varco!” esclamò Sherlock, fiondandosi verso il buco, largo diversi metri, posto tra due guerrieri.

Come due lepri braccate dai cani da caccia, corsero verso l'unica via di fuga sperando di non essere attaccati.

Per fortuna quei colossi non sembravano avere riflessi molto pronti, così riuscirono a superarli, con immensa gioia dei due.

Continuarono a correre, voltando il capo ogni tanto per vedere se li inseguivano.

E sì, li stavano inseguendo. E parevano anche piuttosto incazzati.

John superò con un balzo un vecchio tronco caduto per opera delle termiti e proseguì, con il fiatone che cominciava a farsi sentire.

Si voltò verso il compagno, ma non lo trovò.

Si girò a guardare dietro di lui e lo vide steso tra le foglie morte del suolo. Nel superare il tronco non aveva visto un ramo all'altezza del suo ginocchio ed era inevitabilmente finito per terra.

“Alzati, presto!” lo spronò John.

Ma un titano di legno lo aveva ormai raggiunto.

Con la mano libera afferrò il caduto per la vita e lo alzò per aria. Sherlock scoprì ben presto che a nulla serviva provare a divincolarsi da quella stretta poderosa.

Il gigante iniziò a stringere la presa, facendogli mancare il respiro. L'ex Dio riuscì comunque a lanciare un'occhiata a John, il quale lo guardava con occhi sconvolti.

Ottimo, la mia avventura finisce qui. Si ritrovò a pensare Sherlock.

Chiuse gli occhi. John sta assistendo alla morte di un Dio. Chissà cosa sta provando. Scacciò via quel pensiero. Cosa dovrebbe importarmi di quel che prova quel mortale?! Starà sicuramente scappando. Schifosi umani. Pensano solo alla loro, di pelle.

Ma un altro pensiero si fece largo nella sua mente, scacciando via tutti gli altri: ci stava impiegando veramente troppo tempo a morire.

Aprì gli occhi.

John non si vedeva più. Come pensavo.

Era ancora per aria, ma la mano del gigante di legno non lo stava più stritolando. Anzi, la stretta si stava addirittura rallentando.

Non riusciva a capirne il motivo, finché non vide il terreno avvicinarsi a lui. O, meglio, era lui che stava precipitando verso il terreno.

Si voltò e quello che vide fu la testa del gigante attraversata da una spada. La punta spuntava esattamente dal centro della sua fronte. Ma in un secondo non la vide più, perché ritirata dalla stessa mano che l'aveva spinta.

Dalle spalle del colosso esanime saltò un trionfante John, che disse: “Non pensavo avesse una zucca così vuota!”

Sherlock non sapeva realmente cosa rispondere. Si sentiva perso.

“Muoviamoci, non voglio affrontarne altri! Sono troppi!” detto questo gli diede un pugno leggero su una spalla.

Il resto dei soldati-albero arrancava lentamente ma incessantemente verso di loro.

“Sembrano più lenti.” commentò John.

“Già.” rispose Sherlock, con voce rotta.

Ben presto gli alberi e la vegetazione si fecero sempre meno intricati: stavano raggiungendo l'uscita del bosco.

“Un ultimo sforzo!” gridò senza fiato John.

Senza guardare indietro accelerarono il passo, finché la calda luce del sole non li investì.

Erano fuori.

Si voltarono per controllare se li stavano ancora inseguendo, ma tutto era tranquillo. Stranamente tranquillo. Come se quegli esseri non fossero mai esistiti.

“Assurdo.” sospirò John.

Sherlock lo guardò, ancora incredulo.

Quell'umano continuava a sorprenderlo. Gli aveva salvato la vita. Perché?

“Sherlock.” disse egli, quasi in un sussurro.

John lo guardò senza capire. “Cosa?”

“Il mio nome. Sherlock.” rispose, con tono basso. Immediatamente aggiunse: “E non farmelo ripetere mai più. Odio ripetermi.”

John spalancò la bocca in un raggiante sorriso.

Si scrutarono a lungo negli occhi, finché il biondo scoppiò in una soffocata risata.

Sherlock lo seguì immediatamente, senza sapere però il motivo. Era stata un'azione totalmente spontanea.

“Non starai ridendo del mio nome.” gli chiese, pronto ad offendersi nuovamente.

“No, no!” continuò a ridacchiare il curatore “Rido perché siamo ancora vivi.”

“La logica di voi mortali è tutta sballata!” esclamò Sherlock, senza però smettere di sorridere.

“Mai quanto quella di voi Dei.” ribatté John allegramente.



-----------------------------------------------------------------------------------------------
Note: 
Sono in ritardo. Già. Che novità.
Cooomunque. Se per chi in questo capitolo si sia domandato "Phil? Quel Philip? Ma proprio lui?" Sì, è proprio lui! Il nostro Anderson! :D Mi sono presa la libertà di donargli un fratello e una madre malata. Spero non ci siano tanti problemi a riguardo... Ma non preoccupatevi, la comparsa di Anderson non è stata fatta a caso, avrà senso nel prossimo capitolo.

Ah, già che ci sono... vi siete fatti stranamente più silenziosi. Certo, i seguiti non diminuiscono (anzi) però mi sento sola D: 
Non so se la storia piace (tenendo conto del tema trattato). Ma non importa, in qualunque caso continuerò! 
Comunque, se volete segnalarmi errori di qualunque tipo siete i benvenuti! Sono qui anche per imparare a scrivere XD

Concludo questo lungo monologo dicendo che nel prossimo capitolo ci sarà una sorpresa! :3 (yay!) Quindi tenetevi pronti!

 

  
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Sherlock (BBC) / Vai alla pagina dell'autore: Ciajka