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Autore: Mary P_Stark    11/08/2014    4 recensioni
Autumn Hamilton, Guardiano dell'Aria e fratello ribelle del clan guidato dal serioso Winter, vive ormai stabilmente da tempo a Tulsa, la patria dei Tornado. A guida di un gruppo di Cacciatori di Tornado, studia il sistema di poterli governare, controllare, esaminare senza pericolo. La sua vita procede apparentemente liscia come l'olio, lontana dagli affetti che tanto l'avevano ferito anni addietro, anche se l'incontro recente con Summer ha lasciato strascichi nel suo animo. Possibile che il suo odio per Winter sia stato inutile, vano? Autumn non lo crede, ma il tarlo del sospetto è ormai presente dentro di lui, e sarà Melody ad aiutarlo, in principio in modo del tutto inconsapevole, a venire a capo di questo mistero. E, al tempo stesso, a riportarlo a una vita vera, una vita che vale la pena di essere vissuta. Ma ombre oscure sono in agguato, e per Autumn e Melody non sarà così semplice scoprire la nuova via per la felicità, così come per gli altri gemelli Hamilton. -QUARTA PARTE DELLA SAGA "THE POWER OF THE FOUR" - Riferimenti alla storia presenti nei racconti precedenti.
Genere: Romantico, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Sovrannaturale
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Power of the Four'
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Capitolo 1
 
 
 
 
Non sapeva mai esattamente cosa provare, a ogni suo nuovo successo, a ogni punto depennato con la sua stilografica Parker.

Gioia? Terrore? Aspettativa?

Davvero non ne aveva idea.

Le faceva una certa paura, in effetti, pensare di non terminare l’elenco ma, a ogni traguardo raggiunto, si chiedeva se non dovesse aggiungerne qualcuno giusto per scaramanzia.

Sua madre, di sicuro, si sarebbe messa le mani nei capelli se l’avesse fatto, mentre suo padre si sarebbe mostrato più indulgente ma, in segreto, avrebbe fatto esattamente come la moglie.

Come dar loro torto, dopotutto?

Era appena tornata da un corso accelerato di rafting, ed era scesa in gommone dalle rapide del fiume Colorado, solo per porre alla loro attenzione il prossimo punto della lista.

Parapendio.

Certo, per quello avrebbe dovuto fare un altro corso e, per l’ennesima volta, avrebbe fatto venire i capelli bianchi ai genitori, ma voleva portare a termine quella lista.

Era la sua vita. E ci avrebbe messo tutta se stessa per arrivare in fondo al suo progetto.

 
∞∞∞

Imbolc1.

La sua nipotina compiva un mese, e lui l’aveva vista solo in fotografia.

Sunshine Armony Parker era nata senza alcuna complicazione per bimba e madre e, dopo solo pochi giorni di degenza in ospedale, era tornata a casa nell’abbraccio caloroso e amorevole della famiglia.

Autumn aveva seguito con trepidante attesa l’intero decorso del parto, seduto nel silenzio del suo salotto.

Le mani sudaticce si erano strette attorno a una bottiglia di birra mentre, tamburellando un piede a terra, aveva ascoltato il vociare caotico in sala parto.

Storm, il suo bel lupo americano dal pelo grigio, si era accucciato ai suoi piedi e l’aveva fissato in ansia per tutto il tempo, quasi comprendendo il suo stato di puro terrore.

Quando aveva percepito il vagito della sua nipotina, un sospiro di sollievo era scaturito dalle labbra tese in una smorfia, ma la sua paura non era scemata finché non aveva saputo che anche Spring era fuori pericolo.

In un attimo, aveva preso il suo cellulare e aveva mandato un messaggio a Max per congratularsi con lui dopodiché, non potendo resistere, aveva cercato Summer al telefono.

Lei aveva risposto dopo alcuni squilli, la voce resa roca dalla commozione provata e, in un rantolo, lui le aveva chiesto di Spring.

Sapeva che stava bene, ma era sempre meglio sincerarsi.

Summer gli aveva confermato che entrambe erano in salute e, in uno slancio di cortesia, gli aveva chiesto se volesse parlare con la sorella.

Lui aveva rifiutato, adducendo come scusa il non volerla disturbare proprio in quel momento ma, nel riagganciare, Autumn si era dato da solo dell’idiota.

La verità, era che non aveva avuto il coraggio di farlo.

Per più di un motivo, trovava più semplice parlare con Summer, piuttosto che con Spring.

La sua bionda gemella, aveva il potere di mandarlo in briciole con la sola presenza psichica, figurarsi se ci avesse parlato!

Avrebbe iniziato a piangere come un bambino petulante, mandando in frantumi lo scudo che, con gli anni, aveva creato attorno a sé per sopravvivere.

Avrebbe affrontato la sorella a tempo debito, ma non prima di essersi sincerato di avere la mente salda e il cuore un po’ più calmo e sicuro.

“Ehi, capo! C'è Mark del National Weather Service al telefono!” esclamò Sandra dal bancone dell’agenzia di viaggi di proprietà di Autumn, attirando la sua attenzione.

Come sempre, pensare alla nipote gli aveva fatto perdere di vista tempo e spazio.

Quando si affacciò sul bancone per afferrare la cornetta, strizzò l'occhio a Sandra e prese la chiamata.

“Ciao, Mark. Come butta?”

“Tutto regolare, per ora. Mancano ancora otto, nove settimane ai momenti Kodak, perciò dormo abbastanza tranquillo. Volevo però sapere se, anche quest'anno, farai il tuo servizio di ronda con i ragazzi” si informò l'uomo, con tono vagamente speranzoso.

“Potrei mai mancare al mio appuntamento con le tempeste?” ironizzò Autumn, appoggiando i gomiti sulla superficie marmorea del bancone. “Inoltre, devo testare un nuovo tipo di radar doppler, perciò ne approfitterò non appena la Tornado Alley comincerà a darci dentro.”

“Ti adoro, ragazzo. Quand'è che ti decidi a sposarmi?!” rise di gusto Mark, soddisfatto della risposta appena ottenuta.

Autumn si lasciò sfuggire un ghigno e replicò: “Divorzia da Malika, e sarò da te il giorno dopo. Lo sai che non vedo l'ora di sbatterti per bene!”

Sandra fece tanto d'occhi, a quel commento ben poco elegante, e gli fece segno di piantarla, cercando nel frattempo di non scoppiare a ridere, ma Autumn non vi badò.

In quel momento non c'erano clienti, perciò poteva essere un po' più sboccato del solito.

“Te lo sogni, bello! Sarei io a sbattere te!” ribatté Mark, continuando a ridere sonoramente con la sua possente voce. “Col tuo bel faccino, non meriteresti altro. E' un insulto all’intero genere maschile, che tanta bellezza sia finita su un’unica faccia.”

Coi suoi capelli castani tagliati corti e leggermente arricciati sulle punte, il volto volitivo e serio, la barba appena accennata, e due occhi color del mare che avrebbero steso anche un cuor di ghiaccio, Autumn era un'autentica calamita per gli estrogeni.

Il suo fisico prestante e l'altezza importante – raggiungeva il metro e ottantatré – lo rendevano una preda appetibile ma, almeno stando alle voci che correvano, da che era sbarcato a Tulsa, non lo si era mai visto con una donna.

Non in atteggiamenti intimi, per lo meno.

Già da tempo le tre addette alla reception dell'agenzia di viaggi, di cui Autumn era titolare – la Sundance Voyages – avevano rinunciato ad appioppargli qualcuna.

E lui ne era stato ben lieto, ricoprendole di attenzioni tutte fraterne, e proteggendole da uomini indesiderati e scocciatori occasionali, quando necessario.

Un autentico cavaliere dall’armatura scintillante.

Peccato che, al solo nominare qualcosa di più di una birra in compagnia, diventasse scorbutico e solitario come un orso in procinto di chiudersi nel suo sonno invernale.

Nessuna di loro era a conoscenza dei motivi che lo spingessero a rifuggire le attenzioni femminili; visto che non era gay, dove stava il dilemma?

Autumn non avrebbe mai risposto, questo lo sapevano ormai da tempo, come sapevano quali domande fare, o non fare.

Altro elemento tabù, con lui, era la famiglia.

Sapevano che veniva da Washington D.C., che i suoi genitori erano morti quando aveva quattordici anni, che aveva una zia in America, un fratello, due sorelle e due nipoti, ma la cosa finiva lì.

Quando si cercava di scavare a fondo nella sua storia, diventava più ermetico di un contenitore a tenuta stagna.

Lo si sentiva parlare spesso al telefono in una strana lingua e, ogni volta, sembrava sia lieto che angustiato da ciò che sentiva ma, anche in quel caso, il riserbo era massimo.

E se c'era una cosa che incuriosiva e affascinava una donna, o almeno le donne di quell’ufficio, erano proprio i segreti.

Farlo capire ad Autumn era tutt'altra storia.

La telefonata andò avanti su quella linea ancora per un paio di minuti e, quando finalmente l’uomo mise giù, Sandra intrecciò le dita sotto il mento e celiò: “Sentirvi parlare così ha fatto salire la temperatura di questa reception.”

Ammiccando, l’uomo si volse per scrutarla in viso e replicò: “Devo accendere il condizionatore?”

“A febbraio? Non di certo! Ma cerca di non esagerare, o noi moriremo di invidia!” ridacchiò Sandra, indicando Bethany al suo fianco che, con un foglio ciclostile, si stava facendo aria con espressione maliziosa.

Lui scoppiò a ridere e, sollevando una mano per mandarle calorosamente al diavolo, si diresse verso il suo ufficio.

“Si divertiranno di più i vostri uomini, stanotte!”

“Poco ma sicuro” sentenziò Sandra sfregandosi le mani al solo pensiero, e facendo  così scoppiare in un altro accesso di risa il suo capo.

Quando però si ritrovò solo nel suo ufficio, che guardava direttamente sulla strada principale di Tulsa, Autumn si azzittì.

Chiusi gli occhi, si concentrò su Sunshine e, nel giro di pochi attimi, ne avvertì il respiro pacato e il lieve sospirare nel sonno. Stava dormendo, la piccola.

Sorrise e, sedutosi che fu alla sua scrivania, rimase in collegamento per diversi minuti solo per sentirla dormire placidamente.

In quei brevi momenti gli parve di essere lì, di vedere il suo bel faccino paffuto e roseo e la spolverata di capelli chiari sulla testolina minuta.

All'improvviso, udì il suono di una porta che si apriva, e il rumore di alcuni passi sul pavimento in parquet. Max.

Avrebbe riconosciuto i suoi mocassini ovunque.

Percepì il fruscio dei suoi vestiti – ipotizzò si stesse piegando sulla culla – e il dolce e orgoglioso saluto che il padre tributò alla sua bambina.

Sorridendo tra sé, accarezzò con il suo elemento una spalla di Max per fargli notare la sua presenza e, subito, avvertì i movimenti improvvisi dell'uomo e la sua apparente sorpresa.

“Autumn?”

La sua voce gli giunse alle orecchie come se si fosse trovato nel suo ufficio, pur se li dividevano miglia e miglia di territorio ricolmo di una miriade di elementi disturbanti.

Il fatto che, poi, fossero a Washington D.C., peggiorava solo le cose.

Lì, i segnali erano disturbati dalla rete di potere messa in piedi dalla massoneria, al momento del concepimento della città stessa.

Lui era in grado di oltrepassarne le maglie solo perché vi aveva abitato per lungo tempo, e ne aveva imparato i segreti, ma altri Dominatori dell'Aria non ne sarebbero mai stati capaci.

Ugualmente, la ricezione era abbastanza buona.

Un altro colpetto alla sua spalla e Max, più sicuro, disse: “Ehi, amico, ciao. Se non ti scoccia troppo, chiameresti Spry? Non ha il coraggio di farlo, ma so che muore dalla voglia di parlarti. E... una cosa. Ho un impegno lì in zona, e Spring vorrebbe venire con me, portando anche Sunshine. Non è che potremmo... sì, insomma, venire anche a farti visita?”

Irrigidendosi dietro la sua scrivania, Autumn prese immediatamente il suo cellulare e inviò un messaggino a Max.

Quando udì il bip in risposta, seppe che era arrivato.

Preventivamente, Max uscì dalla stanza della figlia e digitò il numero di telefono del cognato. Nel giro di un paio di squilli, Autumn rispose.

“Ehi, ciao” esordì Max. Ad Autumn piaceva molto, quell'uomo, non poteva negarlo.

“Cognato” mormorò lui, serafico.

“Senti, non vorremmo scocciarti con la nostra presenza, e Spry si è sincerata di non dire nulla a Winter, mentre io ho detto che sarei andato in tutt'altra zona” si affrettò a dire Max, prevenendo qualsiasi protesta.

Il Guardiano dell’Aria sorrise.

Quei due si erano veramente trovati.

Avevano lo stesso modo di esprimersi, di corsa, come se il tempo non bastasse mai, e con tono sempre molto compito.

“Dove alloggerete?” gli chiese allora Autumn.

Più sereno, Max disse: “Alloggeremo al Duble Tree... è della catena degli Hilton Hotel. Ho una conferenza lì e...”
Interrompendolo con una risatina, il cognato asserì: “Max, rallenta, non c'è bisogno che tu mi faccia un piano di volo. Va bene. Ma siamo sicuri che la bimba non avrà problemi? In fondo, è ancora molto piccola.”

Max allora ridacchiò e, con un tono tra il tronfio e il meravigliato, disse: “Stando a quel che ci ha detto Brigidh, Sunshine sarà la prossima Guardiana dell'Aria, quindi sarà nel suo elemento naturale. Inoltre, anche il pediatra ha detto che non ci sono controindicazioni, perché il viaggio è breve. Dovremo solo attuare qualche piccolo accorgimento.”

Quella notizia colpì Autumn come un pugno al plesso solare e, per alcuni secondi, non fu in grado di parlare.

La sua... erede.

A rigor di logica, avrebbe dovuto essere lui ad addestrarla, una volta raggiunta la sua maturità sessuale, quando i gangli di potere si risvegliaao pienamente al flusso di energia degli Elementi.

Lui era stato addestrato da un uomo scelto da Nonna Shaina – visto che il Dominatore dell’Aria si era rifiutato di venire in America per addestrarlo.

Le faide erano dure a morire, anche quando c’erano di mezzo degli interessi potenti come quelli che intercorrevano nel loro Clan.

Il pensiero di poter fare, per Sunshine, quello che il Vecchio Guardiano non aveva fatto per lui, lo fece rabbrividire di aspettativa e di terrore.

Rammentava fin troppo bene cos'era successo a lui, quando aveva iniziato a percepire la prima volta l'energia dell'Aria.

All'epoca, aveva avuto all'incirca l'età di Malcolm.

Si era spaventato a morte, ed era corso dal padre per sapere cosa gli stesse succedendo.

Anthony allora lo aveva preso sulle sue ginocchia e gli aveva spiegato che, nel giro di un paio d'anni al massimo, avrebbe iniziato il suo training per diventare Guardiano.

Con un sorriso, aveva aggiunto che, quello che aveva percepito per la prima volta, era stato il saluto di Arianrhod al suo nuovo Dominatore.

Sia il padre che la madre non erano stati Guardiani, ma solo portatori del dono e, grazie ai matrimoni combinati dal Clan, avevano generato quattro gemelli destinati a dominare i quattro Elementi.

Pur amandosi, avevano aborrito la scelta delle loro famiglie di obbligarli a tale scelta e, non appena si erano sentiti abbastanza sicuri per il grande salto, erano partiti per l’America, lasciandosi alle spalle ricordi e sicurezze.

Negli anni, la loro decisione era stata da prima osteggiata, poi caldeggiata da alcuni.

Con il passare del tempo, i più giovani componenti del Clan avevano iniziato una vera e propria battaglia per riportare la libertà all'interno delle loro famiglie, pur senza grosso successo.

Quando infine Sean O'Gready, studioso di Lingue Antiche, aveva parlato con lui e Winter del suo desiderio di trovare un modo per evitare la Legge dei Prescelti, si erano trovati d’accordo ad aiutarlo.

Forse la prima volta in assoluto, dalla morte di Erin, in cui i due fratelli si erano parlati, seppur per un breve momento.

Grazie a Sean, Colin e Miranda, questo scambio di battute si era ridotto a ben poche, scarne parole e, in seguito, tutto era avvenuto senza un loro coinvolgimento diretto.

O, comunque, non nello stesso momento.

Grazie anche all’intervento di Mæb, che aveva concesso l’accesso agli archivi segreti, Colin era riuscito a portare fuori il grimorum, e Miranda aveva guidato come una folle per raggiungere Sean.

Miranda, la sua potenziale futura sposa.

Sorrise, ricordando come l’avesse seguita con il suo potere, il cuore in gola per l’ansia, mentre conduceva Colin e il grimorum in salvo, protetti dal suo scudo d’Aria.

Gli era sembrata in tutto simile a Michael Schumacher, alla guida e, quando finalmente aveva fermato la piccola Mini Minor nel cortile di casa di Sean, l’aveva chiamata per complimentarsi con lei.

Miranda ne aveva riso e, nel ringraziarlo per lo Scudo Protettivo, gli aveva promesso di tenerlo informato sugli sviluppi.

Come da accordi, lui si era occupato di tenere al riparo Sean dagli occhi indiscreti del Clan e, in quel periodo, aveva avuto tutto il tempo di ammirare la tenacia del giovane studioso.

In fondo, nessuno dei tre Prescelti si era dimostrato una semplice pedina del Clan, e avevano messo in mostra doti davvero sorprendenti, pur senza avere alcun potere nominale.

Durante una delle loro numerose telefonate, Miranda lo aveva poi messo al corrente della sua futura maternità, e del prossimo matrimonio con Colin.

Quando Miranda gli aveva parlato del loro bambino, che sarebbe nato più o meno quell’estate, si era quasi sentito in dovere di pestare per bene l'irlandese.

In fondo, sentiva come proprio il diritto di proteggere anche Miranda, visto che in qualche modo erano da sempre stati legati.

Lei ne aveva riso, e Colin si era detto più che lieto di saperlo a migliaia di miglia di distanza, pur se apprezzava il suo interessamento nei confronti della futura moglie.

Sapere che sua nonna aveva desistito dall’obbligare Colin e Miranda a separarsi lo aveva allietato, ma non era sicuro che quella vecchia megera avesse perso il gusto di ficcare il naso ovunque.

Non si era mai arresa, in quegli anni, e dubitava che l'ammutinamento di parte del Clan, come dei Prescelti, potesse bastare a fermarla.

Dalla riunione del Consiglio, avvenuta a Yule, non era scaturito nulla di nuovo e, da quel che aveva saputo da Colin, era stato indetto un nuovo incontro nel periodo di Ostara2.

Dopotutto, da una dannatissima Dominatrice del Fuoco, cosa poteva aspettarsi se non sotterfugi e altri sotterfugi ancora? Erano tutte delle maledette testarde senza speranza.

“Una... una Guardiana dell'Aria, eh? Beh, promette bene fin dall'inizio” ironizzò a fatica Autumn, tornando con i piedi per terra per riprendere la conversazione col cognato.

Come doveva sentirsi, di fronte a quella scoperta?

Orgoglioso? Atterrito? Fiero?

Davvero non lo sapeva.

“Malcolm dice che non vede l'ora di poter giocare con lei” ridacchiò Max, tutto contento. “Se la porta in giro tutto giulivo. Ha passato mezza giornata a fare domande su domande a Spry, su come tenerla senza farle male!”

Autumn sorrise. Mal era davvero un bravo bambino, e anche per questo si era allontanato dalla famiglia.

Winter c’entrava solo in parte, anche se una buona fetta di colpa era da attribuire a lui.

Non poteva comunque non pensare ai poteri del nipote che, entro breve si sarebbero scatenati come uno tsunami.

Come sottoporlo a tutto lo stress emotivo che teneva dentro? No, impensabile.

Doveva stargli lontano.

Tossicchiando, Max aggiunse: “Winter dice che assomiglia a vostra madre quando era neonata.”

L'accenno al fratello lo fece rabbuiare un istante ma, ripensando alle foto della mamma – che tante volte aveva guardato nell'album di famiglia – fu costretto ad ammettere che aveva ragione.

“Sì, in effetti è vero. Mamma aveva lo stesso nasino a punta, e le stesse labbra a cuore” mormorò l’uomo, annuendo debolmente.

“Beh, comunque arriveremo lì domenica prossima” si affrettò a dire Max, forse timoroso di aver detto troppo. “Sarà un piacere vederti in faccia, amico.”

“Altrettanto” ghignò lui, chiudendo la chiamata.

E così, avrebbe visto sua nipote e suo cognato di persona.

Lasciandosi andare contro lo schienale imbottito della poltrona, si crogiolò in quel pensiero e non pensò a ciò che era successo solo pochi mesi prima con Summer.

Quello scontro aveva lasciato strascichi non indifferenti nel suo animo e, più di tutto, la presenza del carillon della mamma in casa gli dava al tempo stesso fastidio e dolore.

Non poteva liberarsene e, allo stesso momento, non voleva farlo.

Passandosi una mano sui corti capelli, ringhiò a bassa voce: “Sei una vera stronza, Summy.”

 
∞∞∞
 
Come aveva fatto a dimenticare quell'inebriante profumo di fresia e sole? O la dolce carezza del corpo di Spring stretto al suo in un abbraccio caloroso?

Autumn la tenne avvinta a sé per diversi secondi, assaporando tutto questo e molto altro ancora e, quando infine la lasciò andare, le baciò affettuosamente la fronte mormorando: “Mo chrói...fàilte. Conas ta tù.”3

Lei rispose con un sorriso e asserì lieta e vagamente emozionata: “Tá me go maith.”4

Tornando all'inglese, dichiarò poi allegramente: “Sei davvero bellissimo, brathàir. Ti fa bene l'aria di Tulsa.”

“E a te fa bene fare la mamma. Sei stupenda, sorella” le sorrise Autumn prima di rivolgersi a Max, che teneva premurosamente in braccio la piccola Sunshine.

Allungandogli una mano, l'uomo esclamò: “Benvenuto anche a te. E grazie per aver reso felice la mia Spry.”

“Piacere di conoscerti, Autumn” asserì Max, stringendogli la mano con forza, gli occhi chiari che studiarono quel volto dai tratti forti ed eleganti assieme.

Sì, i gemelli non si somigliavano davvero, pur se riflettevano ognuno a modo proprio l'appartenenza a uno stesso ceppo famigliare.

Erano tutti orgogliosi, dal portamento fiero e dallo sguardo sicuro di sé.

I tratti regali appartenevano a tutti e quattro e, nei loro occhi brillanti, si intravedeva – a chi sapeva coglierlo – il potere che scorreva nel loro sangue.

La postura di Autumn, poi, era ancor più rigida e impostata di quella di Winter, come se sulle sue spalle gravasse un peso enorme e che, solo a stento, riusciva a sopportare.

Che fosse la causa prima dei suoi screzi con l'altro gemello di casa Hamilton? Difficile dirlo, visto che era un argomento off limits.

“E tu, signorina, sei Sunshine?” mormorò Autumn, rivolgendosi infine alla bambina.

Questa, mosse la testolina bionda in direzione del suono della sua voce bassa e roca e, nell'aprirsi in un sorriso sdentato, lanciò un urletto prima di muovere una mano grassoccia verso di lui.

“Il riconoscimento dell'Elemento” sussurrò Spring, orgogliosa e fiera.

Il gemello annuì, sfiorando con un dito quella mano stupenda e color delle pesche. Subito, la bimba glielo strinse con forza e, tra loro, scorse una scintilla.

Sì, Sunshine Armony Parker sarebbe diventata una Dominatrice dell'Aria con i fiocchi.

Avvertendo un groppo in gola, Autumn si affrettò a scostarsi dalla nipotina prima di lasciarsi andare a una lacrimuccia ben poco virile e, indicando una berlina chiara poco distante, disse: “Venite, vi accompagno all'albergo.”

“Non vuoi farci vedere il caos che regna a casa tua?” ironizzò Spring, mettendosi a braccetto del gemello.

“Diciamo che, al momento, è piena di macchinari, e non saprei davvero dove farvi passare. Sto portando a termine un nuovo radar doppler e, visto che la stagione dei tornado comincerà con qualche settimana di anticipo, ho i tempi contingentati” le spiegò Autumn, aprendole una portiera per farla salire.

Sull'altro lato del sedile posteriore, era già stato montato un ovetto per Sunshine.

A quella vista, Spring si fece malinconica e mormorò: “Oh, brathàir...

“Non ti sconvolgere tanto. L'auto è a noleggio, e l'ovetto me l'ha prestato Candice, una mia amica” la rabberciò bonariamente Autumn, indicando a Max di salire davanti assieme a lui.

“Perché, tu che auto hai?” si informò Max, allacciandosi le cinture mentre Autumn metteva in moto.

“Un chevy tutto ammaccato, che uso quando vado fuori a caccia di tornado, e una Alfa Romeo JTS Spider... decisamente poco adatta per portare un bebè” ghignò il cognato, avviandosi lungo la strada per uscire dall'aeroporto.

“Se proprio non possiamo entrare, puoi almeno farci vedere dove abiti? Daiii, ti pregooo!” esclamò la donna, intrecciando le mani in preghiera.

L'uomo rise sommessamente e, nell'avviarsi in direzione del suo quartiere, dichiarò: “Sei sempre la stessa, Spry.”

“Lo so” ammiccò lei, dondolando un dito di fronte alle manine protese di sua figlia, che trillò felice.

Autumn la ammirò distrattamente nello specchietto retrovisivo e, tra sé, si disse che, in effetti, un po' era cambiata.

Aveva una sicurezza nello sguardo che prima non aveva mai avuto e, nei confronti di sua figlia, era un amore. Si vedeva al primo sguardo quanta affinità vi fosse tra loro.

E Max? Beh, era un raggiante neo-papà, e guardava la sua sposa come se il mondo iniziasse e finisse con lei.

Così avrebbero dovuto essere marito e moglie! Non come...

Imponendosi di non pensarci, per non rovinare la giornata assieme alla famiglia – era un evento così raro! – Autumn raggiunse il suo quartiere dopo un lungo peregrinare per vie e semafori.

Piccole case a un piano sorgevano le une vicine alle altre, e prati ancora ricoperti da qualche sparuta spruzzata di neve minacciavano già l'arrivo della primavera.

Le piante, ancora prive del loro fogliame, mostravano però i primi timidi accenni di ripresa e, quando l'auto si fermò di fronte a un villino in sasso bianco e sprazzi di pareti intonacate color pesca, Autumn disse: “Il mio regno.”

“Ti si addice. C’è molto di te, qui.”

Spring annuì compiaciuta e, mentre Max ridacchiava per quel commento, la donna slacciò la piccola dall'ovetto e Autumn fece gli onori di casa.

Passando lungo il vialetto in pietra liscia e bianca, raggiunsero la porta d'ingresso e lì, lanciato uno sguardo a una supplichevole Spring, le ordinò: “Non toccare nulla! E' un ordine! O giuro che ti caccio fuori a pedate!”

“Agli ordini!” esclamò lei tutta giuliva, entrando non appena il fratello glielo permise.

Sulla soglia, però, si fermò immediatamente e, vagamente dubbiosa, indicò verso il basso e mormorò: “Ehm… è normale che ci sia un lupo in casa tua, Autumn?”

Non avendo minimamente pensato a Storm, troppo preso dalla presenza della famiglia per ricordarselo, Autumn fu lesto a dire: “Non è cattivo. Ed è il mio coinquilino.”

La sorella lo guardò da sopra una spalla con aria vagamente scettica e celiò: “Che eri strano lo sapevo, ma da qui a prendersi un lupo in casa ce ne corre. Ha un nome, comunque?”

“Si chiama Storm e, da quel che vedi, è ben addestrato” replicò il gemello, sorridendo complice al lupo che, ancora accucciato a terra, li stava guardando con aria curiosa e attenta.

La coda falciava l’aria a tutta velocità, segno che Storm era curioso ed eccitato al tempo stesso.

Spring allora si piegò sulle ginocchia, allungò una mano verso l’animale per lasciarsi annusare e, con un accenno di potere, lo sfiorò sul capo mormorando: “E’ un piacere incontrarti, figlio delle foreste e delle nebbie. Possa la nostra permanenza non arrecarti disturbo, e la nostra amicizia renderti lieto.”

Il lupo le leccò la mano, scodinzolando allegro e, sollevatosi sulle forti zampe, si allungò per sfiorarle il viso con il naso umido e freddo.

Ciò fatto, reclinò il muso verso il basso e si dileguò un attimo dopo, sparendo oltre una porta da saloon visibile dall’entrata di casa.

Max, che aveva osservato l’intera scena in silenzio, sospirò e disse a mezza voce: “Quello cosa voleva essere?”

“Posso parlare con tutte le creature viventi, Max, non te lo ricordi?” asserì quieta Spring, come se nulla fosse. “Gli ho solo fatto capire che non stiamo invadendo il suo territorio.”

“Stregoni” chiosò l’uomo, fissando esasperato la figlia. “Tu vedi di essere chiara fin dall’inizio, quando ti troverai qualcuno per la vita. Tua madre è stata una frana, quando l’ha fatto.”

“Ha un mese, Max… non pensi sia un tantino presto per insegnarle cose simili?” brontolò Spring, proseguendo dentro casa di Autumn, che stava sghignazzando platealmente.

“Non si sa mai. Siete notoriamente testoni, in famiglia. Prevenire è meglio che curare” replicò sagace il marito, imperturbabile di fronte allo sguardo glaciale che la moglie gli lanciò.

Lei sospirò, scuotendo esasperata il capo.

Max, sorridendo comprensivo, osservò la moglie gironzolare attentamente tra una miriade di scatoloni ancora da sballare in quello che, a prima vista, sembrava il paradiso del maschio americano.

Uno schermo al plasma, di almeno quaranta pollici, era appeso alla parete di fronte al divano – enorme – in pelle chiara e dall’aria decisamente comoda.

Una poltrona bianca e dalle linee moderne era ricoperta di riviste, per lo più del settore meteorologico, anche se si potevano intravedere diversi numeri di Sport Illustrated.

Sull'ampia libreria, in fondo al salone, si trovavano un sacco di oggetti mesoamericani, oltre alle fotografie di Sunshine, Malcolm e delle sorelle Hamilton.

Poco più in là, una più vecchia ritraeva i loro genitori.

Ma quello che colpì Max, fu la vista di una teca contenente quelli che sembravano i cimeli di un atleta.

Guantone, mazza e pallina erano sistemati su appositi piedistalli.

Ben ripiegata e stirata, infine, una maglia con i colori bianco e blu di Yale –  evidentemente l’Università che aveva frequentato Autumn – era sistemata in una cornice di legno scuro.

A giudicare dalle mostrine contenute nella teca, doveva essere stato parecchio bravo.

Quel che invece attirò l’attenzione di Spring fu altro, e i suoi occhi si velarono subito di mestizia e dolce rammarico.

Accanto al camino – in ardesia scura e dalle linee semplici e piatte – , poggiato su una mensola in legno scuro, se ne stava uno strano oggetto a forma di torre.

“Il carillon della mamma…” mormorò la donna, sfiorando la riproduzione del Tor di Avalon con dita leggere.

Il gemello le si avvicinò, avvolgendole le spalle con un braccio e lei, silenziosa, si lasciò andare contro il suo torace, sospirando nel chiudere gli occhi e farsi cullare dai ricordi.

Max li osservò muto, sorridendo tra sé al pensiero di quanto, le posture di Winter e Autumn, fossero simili.

Per quanto i due provassero rancore l’uno nei confronti dell’altro, erano maledettamente identici nel trattare le sorelle, ugualmente forti e protettivi.

Se solo l’avessero saputo, probabilmente avrebbero dato in escandescenze, ma lui era bravo a mantenere i segreti, e di sicuro, non avrebbe rovinato la giornata alla moglie nominando Winter.

Quando il momento di sconforto passò, Spry sorrise al gemello con gratitudine.

“Summ mi aveva detto di averlo lasciato a te, dopo la sua visita, ma mi ha fatto uno strano effetto vederlo.”

“Se lo vuoi, puoi prenderlo.”

“Lo lascerò a te. Se Summy te l’ha portato, avrà avuto i suoi motivi” scrollò le spalle la gemella, negandosi quel piacere.

La sorella poteva apparire impulsiva, ma non aveva mai compiuto un solo gesto avventato in tutta la sua vita e, se aveva lasciato quel prezioso cimelio al gemello, doveva aver scorto qualcosa che lei non sapeva.

Le sarebbe piaciuto portarlo a casa, ma era meglio che stesse con Autumn.

 
 
 
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N.d.A.: Nella prima parte di questo capitolo, sentiamo i primi pensieri della protagonista della storia, assieme a Autumn, ma ve la presenterò meglio al prossimo aggiornamento. 

1.      Imbolc (festività celtica): Corrisponde al 2 febbraio.
2.      Ostara (festività celtica): Corrisponde al periodo tra il 19 e il 22 marzo, a cavallo con l’Equinozio di Primavera.
3.      Mo chrói...fàilte. Conas ta tù (gaelico irlandese): Mio cuore, benvenuta. Come stai?
4.      Tá me go maith. (gaelico irlandese): Io sto bene.



  
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