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Autore: Mary P_Stark    18/08/2014    5 recensioni
Autumn Hamilton, Guardiano dell'Aria e fratello ribelle del clan guidato dal serioso Winter, vive ormai stabilmente da tempo a Tulsa, la patria dei Tornado. A guida di un gruppo di Cacciatori di Tornado, studia il sistema di poterli governare, controllare, esaminare senza pericolo. La sua vita procede apparentemente liscia come l'olio, lontana dagli affetti che tanto l'avevano ferito anni addietro, anche se l'incontro recente con Summer ha lasciato strascichi nel suo animo. Possibile che il suo odio per Winter sia stato inutile, vano? Autumn non lo crede, ma il tarlo del sospetto è ormai presente dentro di lui, e sarà Melody ad aiutarlo, in principio in modo del tutto inconsapevole, a venire a capo di questo mistero. E, al tempo stesso, a riportarlo a una vita vera, una vita che vale la pena di essere vissuta. Ma ombre oscure sono in agguato, e per Autumn e Melody non sarà così semplice scoprire la nuova via per la felicità, così come per gli altri gemelli Hamilton. -QUARTA PARTE DELLA SAGA "THE POWER OF THE FOUR" - Riferimenti alla storia presenti nei racconti precedenti.
Genere: Romantico, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Sovrannaturale
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Power of the Four'
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Passare del tempo con la nipotina, la sorella e il cognato, gli era servito a sentirsi meno solo, meno isolato e, quella sera stessa, aveva telefonato a Summer per sapere come le andassero le cose.

Non che sbirciare non fosse divertente.

Ma, ora che stava in pianta stabile con John, le volte che li aveva beccati a letto insieme, erano state di gran lunga superiori alle restanti, per cui…

Meglio chiamare.

Dopo aver ricevuto conferme anche da lei sul suo buono stato di salute, si era arrischiato a domandare di Malcolm, venendo a scoprire che il nipote si era fratturato un dito facendo a botte a scuola.

Subito sconcertato e turbato, era scoppiato a ridere nel venire a sapere i motivi della rissa.

Cherchez la femme.

Malcolm si era battuto come un lottatore per difendere una compagna di classe, rimediando un dito rotto, ma anche l’ammirazione imperitura della fanciulla e di metà della scuola (la parte femminile).

L’altra metà, ora lo guardava con rispetto e vaga soggezione e, pur avendo portato a casa anche un richiamo formale dal preside, se l’era cavata con poco, dopotutto.

Summer e Kimberly erano scoppiate a ridere, quando Winter si era limitato a sogghignare, e Autumn si era ritrovato a fare lo stesso.

Come dar torto al ragazzo, in fondo?

La sorella gli aveva detto che Winter si era raccomandato di non fare più a botte, a scuola, ma si era anche congratulato con il ragazzo per il coraggio dimostrato.

Seduto alla guida del suo chevy, diretto verso l’agenzia di viaggi e sede del suo gruppo di Cacciatori di Tornado, Autumn sorrise nel ripensare ai tre giorni passati con parte della sua famiglia, e sospirò.

Le ragazze gli mancavano, ed era atroce star lontano da Malcolm, non vederlo crescere come avrebbe voluto, ma la vicinanza con Winter era ancora insopportabile.

E il pericolo che Malcolm capisse i motivi del suo rancore, del suo desiderio di rivalsa nei confronti del padre, si faceva di giorno in giorno più serio.

No, nel primo caso avrebbe finito con il cercare di ammazzare il gemello, lo sapeva, e questo davvero non se lo poteva permettere.

Nel secondo, avrebbe turbato davvero troppo il nipote, e questo pensiero era di per sé insopportabile. Quel ragazzo aveva già sofferto troppo.

Ancora doveva capire perché avesse deviato quel proiettile, tanto tempo prima.

Scrupoli? Coda di paglia? Chissà.

A ogni modo, non aveva sopportato l’idea che anche Kimberly morisse, visto quanto lo stesso Mal gli si era già affezionato.

Comunque, meglio l’esilio a una rissa con potenziali vittime, e all’odio imperituro del nipote.

Inoltre, Summer e Spring lo tempestavano di fotografie, e-mail e messaggini, perciò era un po’ come averle ugualmente vicine.

Zia Brigidh, invece, non aveva mai tentato di tenere contatti con lui.

La donna sapeva fin troppo bene quanto il nipote ce l’avesse ancora con lei.

Autumn non poteva dimenticare che, anche a causa sua, i nonni li avevano trovati, mandando all’aria tutto ciò che i loro genitori avevano fatto per tenerli lontani dalle macchinazioni del Consiglio.

Senza il suo intervento, Erin non si sarebbe mai sposata con Winter, e lui non avrebbe mai dovuto struggersi d’amore per lei, o abbandonare la famiglia.

“Dio, che schifo la vita, a volte…” brontolò tra sé, posteggiando nel suo parcheggio privato, accanto all’entrata dello stabile a quattro piani dove si trovava l’agenzia.

Sopra la sua testa, un enorme cartello luminoso occupava per gran parte della facciata e, nell’osservarlo divertito, lo trovò un tantino eccessivo.

Quella scritta era davvero enorme.

Ma, a lasciar fare alle donne, succedeva così.

Sandra e Bethany si erano sbizzarrite, nello scegliere il font e la grandezza dell’insegna dell’agenzia, e quello era stato il risultato.

Ben gli stava, a mostrare un po’ di elasticità mentale.

 
∞∞∞

“Cosa... vorresti fare?”

Quel rauco gracidio riverberò per il salotto di casa Snow, come il suono profondo di un gong in un tempio e Melody, sbuffando, si preparò all'ennesima battaglia campale con la madre.

Il padre, Thomas Jefferson Snow – il nonno era stato categorico, sul nome – fissò le sue due donne quasi pronto a defilarsi, ma la sua dolce metà glielo impedì con un'occhiata d'acciaio.

Avrebbe partecipato anche lui all’ordalia, questa volta.

“Non se ne parla neanche!”

Il dissenso categorico di Sabrina Emerson Snow giunse come una pioggia di chicchi di grandine sulla testa della figlia che, rattrappendosi un poco nelle esili spalle, replicò cocciuta: “Fa parte dei miei desideri, però.”

“Questa faccenda sta diventando un'ossessione! Puoi anche evitare di seguire tutti i punti di quella maledetta lista che hai scritto! Non è un obbligo morale, sai?!” sbottò la madre, sbattendo sonoramente le braccia grassocce contro i fianchi rotondi.

In quel momento, il suo viso rubizzo era rosso come un peperone maturo, e Melody temette per le sue coronarie. Mamma non era mai stata una persona controllata e, negli ultimi anni, era addirittura peggiorata.

Capiva il perché – le sue attività ricreative erano tutto tranne che tranquille, o sicure per la sua incolumità – ma non poteva fare a meno di gettarsi in quelle avventure.

Erano... vitali, per lei. Sentiva di doverlo fare.

Il sangue stesso le gridava contro in cerca di nuovo nutrimento, di altra adrenalina.

Farlo capire ai suoi genitori, ormai allo stremo delle loro forze, era tutt'altro affare.

Cercando di non apparire più testarda di quanto non fosse già per natura, Melody chetò lo spirito con un lungo, profondo respiro, e mormorò: “Mamma, calmati. Non ho detto che voglio lanciarmi dall'Empire State Building senza paracadute. Voglio solo finire il dottorato in meteorologia, e desidero fare la tesina sulla Tornado Alley.”

“Ma perché?!”

La sua esplosione emotiva fu simile a quella di un tuono nel cielo.

Thomas rabbrividì, sapendo che sarebbe stata una di quelle volte.

Anche Mel lo sapeva, ed entrò subito in modalità di attacco, pur se con maggiore gentilezza del solito.

“Forse perché ci abitiamo, e sarebbe carino fare una tesi su qualcosa che viviamo sulla pelle tutti gli anni?” le fece notare con candore la figlia, sorridendo tenue e ingenua quanto bastò per far scoppiare sua madre.

Sabrina non abboccò minimamente e ringhiò feroce al suo indirizzo, apparendo più un mastino feroce, che una docile donna di cinquant’anni.

“E perché dovresti andare assieme a dei cacciatori di tornado, spiegami!?”

“Ehm...” tentennò Melody, grattandosi pensosa una tempia, da cui pendeva una ciocca dei capelli di un originale color bianco di titanio. “... forse perché così è più reale?”

“Tu mi farai impazzire, lo so!” strillò allora la madre, lanciando per aria le mani, mentre il suo balletto attorno al tavolino del salotto ebbe inizio.

Melody aveva assistito a quella scena un sacco di volte, per essere precisi sedici, e cioè a ogni sua nuova avventura.

Suo padre Thomas, invece, a gran parte di quegli spettacoli non aveva partecipato, e vedere la moglie gironzolare per la stanza del piano terra come un bufalo nervoso, fece uno strano effetto.

Impallidì, si sentì cedere le gambe e crollò infine su una poltrona, passandosi una mano sul viso madido di sudore freddo.

Melody provò pena e sconforto per entrambi.

Sapeva di essere egoista, di non aver la minima considerazione dei loro sentimenti, ma ciò che si proponeva di fare era troppo importante.

Reclinando il capo per un momento, la giovane si guardò le braccia nude – in casa, era solita indossare maglietta e pantaloncini, indipendentemente dalla stagione – e, aggrottando la fronte, mormorò: “Mamma, guarda.”

La donna bloccò la sua filippica per incrociare lo sguardo della figlia, che appariva seria e determinata e, dubbiosa, si chiese cosa volesse mostrarle di così strano. O importante.

Lei appariva come al solito; alta, magra e dalla pelle chiara.

Era tonica e forte, grazie alla quantità di sport praticati negli anni, e i suoi strani capelli bianchi, invece di invecchiarla, la rendevano bella e sbarazzina.

Facevano risaltare l'ovale perfetto del volto e i suoi occhi grigi come lame di spada, oltre alla sua bocca carnosa e a cuore.

Melody era sempre stata bella. Ma anche troppo sfrenata e desiderosa di avventure, soprattutto per essere una ragazza.

“Cosa devo vedere, Mel?”

Sabrina lo disse con rassegnazione, muovendo mollemente le braccia come a spingerla a parlare.

“Sono forte. Non sono una mammoletta. Posso sopportare qualsiasi cosa, e tu lo sai” sottolineò la figlia, mettendo dell'acciaio nei suoi occhi chiari.

“So benissimo tutte queste cose, Melody, ma devi anche pensare che, ormai, questa faccenda sta diventando insostenibile per entrambi.”

Nel dirlo, la donna lanciò un'occhiata al marito, che appariva ancora parecchio turbato.

“Se fosse per te, scaleresti anche l'Everest a mani nude e senza respiratore, ma devi pensare che vederti sempre in pericolo, ci sta uccidendo.”

Il colpo andò a segno.

Melody reclinò colpevole il capo e gli occhi le si riempirono di lacrime, lacrime che però non lasciò sfuggire dalla gabbia offerta dalle palpebre socchiuse.

Con voce roca e a stento controllata, replicò: “Voglio finire il dottorato, mamma. E desidero farlo grazie all'aiuto del miglior cacciatore di tornado della zona. Nessuno si è mai fatto un graffio, grazie a lui, e lo zio mi ha organizzato un incontro con lui per domani. Sarò al sicuro, ve lo posso dire per cosa certa. E dopotutto, si tratta dell'ultimo punto della lista. Poi basta, niente più follie. Terminato quello, mi riterrò soddisfatta.”

Quell'accenno fece singhiozzare debolmente il padre che, trovato il coraggio di rialzarsi, lanciò un'occhiata disperata alla moglie e disse a mezza voce: “Se ti fidi di lui, noi ci fideremo di te. Ancora una volta. Ma stai attenta.”

“Lo farò” assentì grata Melody, correndo ad abbracciare il padre.

Un attimo dopo, la giovane si volse verso la madre ma lei declinò e si allontanò in silenzio, lasciandoli soli nel salotto.

La giovane sospirò sconsolata e Thomas, dandole una pacca consolatoria sulla schiena, mormorò: “Sai che tua madre si arrabbia subito, ma poi sbollisce altrettanto alla svelta.”

“Non è mia intenzione farvi soffrire, ma io...

Non terminò la frase. Suo padre sapeva già tutto da tempo.

“Lo so. E lo sa anche mamma. Se solo avessimo la certezza che stavolta è sul serio l’ultima tua avventura spericolata, lei si sentirebbe più tranquilla” asserì suo padre, il tono di voce stanco, rassegnato.

Melody preferì non mettere a voce il suo pensiero ma suo padre la comprese ugualmente, e sospirò.

 
∞∞∞

A volte, pensava che Robin fosse un completo pazzoide.

Non che non ne avesse avuto riprova in più di un'occasione.

Le viti che aveva nel femore destro, la piastra che teneva salda la caviglia sinistra e la profonda cicatrice - che portava come un trofeo - sull'avambraccio destro, ne erano la bandiera.

A ogni buon conto, non l'avrebbe cambiato con nessuno al mondo. Come leggeva le carte lui, nessuno poteva.

Conosceva a menadito tutte le strade da lì a Detroit, carreggiate comprese, e poteva districarsi in mezzo a una tempesta con la stessa facilità di una donna in un negozio di abiti, durante il Black Friday.

Stavolta, però, dubitò davvero delle sue doti mentali.

Che gli aveva detto il cervello, quando aveva invitato una universitaria a seguirli nelle loro scorribande per le pianure? A caccia di tornado, poi!

Grattandosi pensieroso una tempia, la barba incolta lì a dargli un fastidio cane – non l'aveva tagliata perché si era svegliato tardi, quel mattino – Autumn si chiese per la millesima volta cosa dovesse farci, con quella tipa.

Sarebbe venuta in Agenzia proprio quella mattina, e lì avrebbe perorato la sua causa.

Non aveva per nulla voglia di affrontare una ragazzina armata di notes giallo, pennarello in mano e occhi sognanti quanto inconsapevoli, ma non se l'era sentita di dire di no a Robin.

Gli doveva troppi favori, per non accettare di fargliene almeno uno.

Innanzitutto, era stato lui il primo amico che aveva trovato lungo la sua nuova strada, quando era giunto da Washington D. C. come un cane bastonato e il cuore a pezzi.

La morte di Erin, aveva sfilacciato anche l'ultima bava di ragno che l’aveva tenuto legato alla famiglia.

Dopo aver ingiuriato a male parole Winter, aveva preso armi e bagagli ed era salito sul primo pullman utile.

La linea Grey Hound che aveva preso lo aveva condotto fino a Tulsa, nel regno dei tornado e delle tempeste e lì, al suo arrivo sulla pensilina, aveva visto Robin per la prima volta.

Seduto sul cassone del suo pick-up a bersi sconsolato una birra, gli era parso avere l'aria di un cane malmenato più volte, e con forza.

Autumn si era sentito molto in sintonia con lui ma, come al solito, aveva preferito non mostrare agli altri quanto, anche il suo cuore, fosse stato pestato a dovere.

Gli era passato a fianco per raggiungere il punto informazioni poco distante, ma Robin l'aveva fermato, dicendogli che non avrebbe trovato nulla da quella parte, solo altre grane.

Autumn si era girato a fissarlo con aria confusa e Robin, dopo essere balzato giù dal cassone, gli aveva allungato una mano e si era presentato.

“Robin 'cuore infranto uno' Emerson. Tanto piacere. Tu come ti chiami, 'cuore infranto due', se posso chiedere?”

Suo malgrado, lo aveva trovato simpatico ed estremamente intuitivo e, dopo un attimo di incertezza, aveva accettato la sua stretta di mano, presentandosi a sua volta.

Da quel momento, erano diventati inseparabili.

In breve tempo, era subentrato al vecchio proprietario dell'Agenzia di Viaggi più grande di Tulsa, sempre grazie all'aiuto di Robin e, nel giro di un anno, aveva fondato la sua personale squadra di cacciatori di tornado.

Durante una loro gita ad Aspen, poi, Autumn aveva trovato Storm in mezzo alla bufera, ed era sempre stato Robin a dargli una mano a farlo sopravvivere ai primi, terribili giorni lontano dalla mamma morta.

Storm lo considerava come il suo secondo padrone, e a ben d'onde.

Robin si sarebbe tagliato una mano, per lui, lo sapeva bene.

Perciò, come poteva dirgli di no? Proprio non se l’era sentita.

Allungandosi contro lo schienale reclinabile della poltrona da ufficio, su cui era mollemente accomodato, Autumn si passò le mani tra le corte onde castane.

E, dentro di sé, sperò ardentemente che la ragazza fosse pronta a un eventuale rifiuto.

Non voleva pesi morti nella squadra, perché il più piccolo errore poteva voler dire farsi male, veramente molto male.

Lui poteva controllare fino a un certo punto i tornado, in modo che non compromettessero la loro missione, ma non poteva impedire che colpissero.

L'equilibrio stesso del pianeta sarebbe stato compromesso, se si fosse messo a giocare coi venti.

Avrebbe potuto far esplodere un'intera città, a causa di un tifone fuori controllo, e solo perché aveva risparmiato a un'altra zona il colpo di coda di un tornado.

Non se lo poteva proprio permettere.

L'unica cosa che era in suo potere fare, era dare una mano al servizio di allerta meteo e, con quello che sapeva di fisica e meccanica, cercare di mettere a punto un radar doppler più efficace degli attuali in commercio.

Era snervante, ma non poteva semplicemente dire all'addetto meteo: “quel giorno, nel tal Stato, ci sarà una tempesta”.

A volte, molte a dir la verità, detestava i suoi poteri, anche se sapeva benissimo che, in quei cinque anni vissuti a Tulsa, aveva comunque fatto la differenza, ove possibile.

Anche lui era fallibile, e non poteva prendere dappertutto nel medesimo momento, ma era riuscito in qualche modo a migliorare l'allerta meteo nei paesi più piccoli, e questo era già un successo.

L'interfono gracchiò, interrompendo di fatto i suoi pensieri errabondi e, rispondendo a Sandra, mormorò: “Dimmi, ciliegina mia.”

La donna all'altro capo ridacchiò – il gioco della frutta era l'ultima trovata di Autumn, in ufficio – e disse il più seriamente possibile: “E' arrivata la stagista. La faccio passare, arancino mio?”

“Ovvio. Mi tocca” ironizzò l'uomo, chiudendo la comunicazione.

In un attimo si levò in piedi, poggiando poi il fianco contro l'ampia scrivania e, a braccia conserte, attese l'arrivo della molto poco attesa universitaria.

Un breve colpetto alla porta lo spinse a dire 'avanti' e, subito dopo, fece capolino una giovane alta e magra, dal corpo da fotomodella, curiosi capelli bianchi stretti da un fazzoletto e due occhi volitivi e forti.

Autumn si raddrizzò lentamente, studiando con maggiore attenzione quel concentrato di stranezza al femminile.

Indossava jeans attillati e strappati in più punti, anfibi neri dal pesante carro armato, un top dei Linkin Park e una camicia da cowboy legata in vita, e arrotolata sui gomiti.

Sulla spalla, portava una pesante sacca militare e, alle orecchie, pendevano due grandi cerchi dorati.

Il sacco informe di tela venne poggiato a terra e, con due rapidi passi, la ragazza fu da lui con la mano protesa e un mezzo sorriso stampato in faccia.

Sorriso bianco latte su labbra carnose e piene color rosso sangue, notò con un certo nervosismo Autumn, irrigidendosi immediatamente.

“Io sono Melody Snow, tanto piacere... arancino” esordì la ragazza, sollevando ironica le sopracciglia scure.

Lui strinse quella mano sottile e dalle lunghe dita, su cui spiccavano corte unghie laccate di nero e una collezione di anellini d’argento e, storcendo la bocca, replicò: “Interfono alto, eh?”

“Già” scrollò le spalle Melody, senza aggiungere altro.

“Autumn Hamilton, piacere mio” disse allora lui, indicandole di accomodarsi mentre lui tornava al suo posto, dietro la scrivania.

La ragazza accettò la cortesia e recuperò la sacca prima di accomodarsi, accavallando le gambe e poggiando gli avambracci sui braccioli della poltrona, in posa del tutto rilassata.

Gli occhi, però, brillarono incerti quanto speranzosi, e Autumn ne rimase colpito.

Era giovane, forse aveva venticinque, ventisei anni, ed era magra come un fuso, tutta fibra e nervi e forme deliziose che, nonostante tutto, notò più che bene.

Non era appariscente come certe donne che aveva conosciuto, di sicuro somigliava più alle modelle odierne, che alle dive in carne degli anni cinquanta, ma era … beh, davvero bella.

Scacciò quel pensiero dalla mente con un moto di stizza e, senza attendere oltre, chiese a Melody di spiegarle i motivi della sua richiesta.

Lei allora estrasse dalla sacca una carpetta in carta rigida e gliela allungò, dicendo: “Qui c'è il mio curriculum. Spiega da solo perché voglio partecipare alla caccia.”

Autumn la aprì curioso e sbirciò i suoi dati anagrafici con interesse – era di Tulsa –, scoprendo così che aveva ventotto anni, che aveva già una Laurea in Fisica, e stava completando un dottorato in Climatologia.

D'istinto, sbirciò sul muro alla sua destra, dove erano state rilegate le sue tre lauree in Fisica, Meccanica e Meteorologia e, sorridendo spontaneamente, dichiarò: “A quanto pare, vuoi fare una tesi sui cambiamenti climatici dell'ultimo decennio, e il relativo aumento dei tornado nella zona.”

“Ho pensato che trattare sul campo questo argomento potesse dare una marcia in più al mio lavoro.”

Scrollò le spalle, come se dover dare una spiegazione alle sue intenzioni fosse superfluo.

“Immagino saprai che intervenire sul campo è...” iniziò col dire Autumn, soffermandosi un attimo dopo sugli hobby della ragazza, elencati nel curriculum con dovizia di particolari.

Parapendio, free style sugli sci, equitazione e cross country, kitesurf, … brevetto di volo per elicottero e aereo. Arti marziali.

Di certo, non amava le attività tranquille.

Tossicchiando, Autumn tornò a guardarla e notò immediatamente il suo sorrisetto furbo e, sì, la determinazione nei suoi occhi orlati da lunghe ciglia scure.

Era evidente che aveva capito cosa l'avesse bloccato di punto in bianco e, per un momento, si accigliò.

Non era mai stato trasparente per nessuno, e ora arrivava dal nulla quella ragazzina allampanata e lo smascherava in pochi secondi.

Aveva perso il tocco, per caso?

“Dando per scontato che, evidentemente, il pericolo è il tuo mestiere...” tornò a parlare Autumn, facendole sgorgare una scampanellante risata. “... penso che, innanzitutto, potresti cominciare con il presentarti alle nostre riunioni preparatorie. Le uscite vere e proprie sono solo una parte del nostro lavoro. Studiamo a tavolino le tabelle altimetriche, stratimetriche e barometriche di tutta la Tornado Alley, e ci confrontiamo con vari Centri di Analisi meteorologica prima di stilare una mappa approssimativa del campo di azione. Inoltre, alcuni di noi sono impegnati anche accanto alle apparecchiature, per cui avrai a che fare con bulloni, cacciaviti e fili elettrici.”

“Non c'è problema. Ho costruito il mio primo impianto elettrico a otto anni, e a dodici ho mandato in corto circuito quello della scuola” dichiarò lei, scrollando nuovamente le spalle.

Forse era il suo marchio di fabbrica, notò Autumn con un certo divertimento.

“Ottimo. Due occhi in più fanno sempre comodo. Va da sé che, quando entreremo in scena, tu prenderai ordini da me e ti atterrai strettamente alle mie direttive. Non mi piacciono le teste calde e, se metterai in dubbio la mia autorità, ti caricherò così in fretta sul pick-up che non te ne accorgerai neppure.”

Mise un tono autoritario nella sua voce, ma Melody non ci fece neppure una piega. Era evidente che non lo temeva neppure un po', e questo diede un po' fastidio a Autumn.

Era abituato a tutt'altro genere di atteggiamento, in una donna, specialmente se si trovava da solo con l'altro sesso in una stanza chiusa, e senza testimoni attorno.

Quando Robin gli aveva proposto quel piccolo strappo alla regola, gli aveva dato del pazzo, ma evidentemente conosceva questa ragazza abbastanza da sapere che non avrebbe creato guai.

Il fatto che fosse immune al suo fascino, però, lo infastidì un poco.

Ma forse, più semplicemente, non era interessata agli uomini, bensì alle donne. Oppure era già felicemente fidanzata.

O anche...

Lì, Autumn si fermò, perché stava dando ai numeri su una cosa che, in teoria, non avrebbe dovuto interessargli affatto.

La verità, però, era che quella ragazza dallo sguardo sicuro, un curriculum strambo quanto copioso e due occhi che sembravano traforargli l'anima, lo incuriosiva.

Ed era decisamente la prima volta che gli accadeva in tanti, tantissimi anni.

“Obbedirò ciecamente, farò tutto quello che mi direte, laverò anche le vostre auto...” iniziò a dire Melody, facendo accigliare immediatamente Autumn. “... ma c'è un favore che ti chiedo, in cambio... se posso.”

“Spara” borbottò lui, mettendosi sul chi vive.

Arricciando le spalle come se fosse in castigo, la ragazza ammise controvoglia: “Mamma mi ha cacciata di casa, e ha vietato a parenti e amici di darmi asilo, e credimi, lei è in grado di minacciare benissimo, e di certo non a vuoto. Non era esattamente d'accordo con la mia iniziativa, e questo è il risultato.”

“Come?!” esalò sconvolto Autumn, non aspettandosi niente del genere.

Melody annuì con veemenza, dando forza alle sue parole.

“Chiederei a zio Robin, ma lui è il fratello di mamma, e sa cosa vuol dire vederla arrabbiata. Se tu conoscessi qualcuno dei tuoi colleghi disposto a prestarmi anche solo una branda, per me andrebbe benissimo. Dormirò anche in una rimessa, se necessario.”

C'era acciaio nelle sue parole, così come nei suoi vividi occhi grigi, occhi che gli ricordavano troppo quelli di …
Scuotendo il capo per il fastidio – non aveva nessun motivo per paragonare Melody a Winter – Autumn si massaggiò pensoso il mento.

Quindi, Robin gli aveva scodellato la nipote, eh?

Che gran figlio di…

“Ci tieni così tanto a partecipare a questa cosa? Non sarebbe meglio studiare da casa i nostri resoconti, senza far infuriare tua madre? Robin ti potrebbe portare tutta la documentazione, e staresti al sicuro tra le tue quattro mura di casa” le propose a quel punto lui, preferendo non imprecare per le manchevolezze dell’amico, quanto a informazioni basilari.

“Io devo partecipare. E' la cosa a cui tengo di più.”

La sua forza di volontà, la veemenza e il coraggio contenuti nella sua voce e sì, la sua disperazione, convinsero Autumn che c'era molto più di un capriccio, in quella richiesta.

E fu questo a farlo capitolare.

Si sarebbe cacciato nei guai, ma non se la sentiva di abbandonare un cucciolo nella tempesta, e Melody gli ricordava troppo Storm, per lasciarla in balia di quello che lei stessa aveva scatenato.

Intrecciate le mani in grembo, Autumn si appoggiò completamente contro la poltrona, facendo scricchiolare la copertura di pelle nera.

“Visto che so già che troveresti solo porte chiuse, dai miei colleghi, poiché la maggioranza di loro vive ancora con i genitori, e uno è escluso in automatico perché non ti manderei mai a stare da lui, rimango io. Non me la sento di domandare alle mie impiegate, visto che conosco bene le loro situazioni familiari. Sono tutte troppo impegnate coi figli, e in casa loro non hanno posto. Io posso offrirti una camera, ma ti dovrai dare da fare con i lavori di casa, oltre a darmi una mano con il radar doppler.”

Melody si illuminò letteralmente in volto e, aprendosi in un sorriso radioso, esalò: “Farò tutto quello che mi dirai, non temere.”

“Problemi con i cani?” le chiese allora lui.

“Affatto. Ne hai uno?” ritorse lei.

“Già” chiosò lapidario.

Sbattendo confusa le palpebre di fronte a quella risposta telegrafica, Melody si chiese cosa non le stesse dicendo sul cane, ma preferì accantonare il discorso per chiarirne un altro, più impellente.

“Voglio specificare una cosa, però. Non sono il tipo di ragazza che... beh, che gira tra le lenzuola altrui, tanto per usare un eufemismo. Robin ha decantato solo le tue doti, e non ha detto nulla sui tuoi difetti, perciò, se pensi che io sia quel genere di ...”

Autumn la interruppe con un secco gesto della mano e, dopo essersi alzato e aver raggiunto la porta dell'ufficio, le fece segno di raggiungerlo.

Che volesse sbatterla fuori? Si era giocata tesi e letto in cui dormire in un colpo solo? Era stata così stupida?

Vagamente preoccupata, Melody fece per scusarsi ma lui la azzittì con un'occhiata gelida e, nell'aprire la porta, si rivolse alle sue dipendenti.

“Ragazze, verreste a dormire da me, stasera?”

“Anche adesso” dichiarò Bethany, scrollando le spalle con noncuranza. “Chiamo Troy e glielo dico.”

“Suo marito” sussurrò a mo' di spiegazione Autumn, ghignando divertito.

Colette, poco distante, sbatté dolcemente le palpebre e disse eccitata: “Mi renderesti la donna più felice del pianeta. E, sicuramente, daresti un sollievo enorme a Paul e Seb, visto che è da un po’ che dicono di voler fare una serata ‘per soli uomini’. Li chiamo?”

“Marito e figlio di tre anni” disse ancora Autumn, sorprendendola sempre di più.

“E perché verreste a casa mia senza problemi?” chiese ancora lui, ora apertamente ghignando.

Le due donne, a quel punto, compresero dove volesse andare a parare il loro capo e Bethany, la più anziana, sorrise in direzione del visetto confuso di Melody.

“Autumn non ha mai sfiorato una donna con un dito e, per noi, è come il cavaliere con l'armatura scintillante, bambina. Certo, noi tutte avremmo voluto, a un certo punto, che si togliesse quella stramaledetta armatura e giocasse un po' con noi, ma non l'ha mai fatto.”

Poi, rivolta ad Autumn, aggiunse: “Sempre il solito guastafeste, comunque.”

Lui rise sommessamente e, lanciatole un bacio, tornò a chiudersi la porta alle spalle, appoggiandovi le ampie spalle per poi fissare ironico Melody.

“Okay, hai chiarito l'unico punto che mi stava a cuore chiarire” decretò lei, sorridendo a denti spianati.

“Hai fatto comunque bene a dirmelo, così abbiamo evitato inutili fraintendimenti. Non ho interesse a cercare divertimento con le donne e, stando in mia compagnia, lo scoprirai presto. Sapere che non ti vuoi infilare nel mio letto, mi è di conforto.”

Melody ridacchiò e, divertita, disse: “Se mia madre sapesse che sto parlando di sesso con un uomo che ho conosciuto da circa dodici minuti, mi taglierebbe la testa.”

“Parlarne non è mai un male, e chiarisce le cose. A volte, essere troppo puritani sui rispettivi pensieri, porta a casini ben peggiori che una sana chiacchierata senza peli sulla lingua” replicò tranquillo Autumn, tornando alla sua scrivania.

Lei lo seguì, annuendo.

“Quoto in toto. Non ho problemi a dire quel che penso.”

“Bene, perché nessuno di noi è molto... diplomatico.”

Autumn sorrise a quel commento, e Melody lo imitò, complice.

“Devo sapere qualcosa, vista la nostra futura convivenza?” chiese a quel punto lei.

Era una parola strana, per Autumn, visto che per anni aveva vissuto solo con il suo Storm in maniera praticamente monastica, ma visto che ormai le aveva offerto vitto e alloggio...

“Mi sveglio alle sei ed esco per una corsetta, perciò non ti stupire se sentirai dei rumori per casa a un orario strambo. Io faccio colazione alle otto, ma tu puoi gestirti come meglio credi. Pranzo quando mi ricordo, e ceno quando ho fame. Storm, il mio lupo, è molto indipendente, ma si fa capire quando ha bisogno di qualcosa. Per il resto, direi non ci sono altre cose da sapere.”

Melody annuì e, curiosa, gli domandò: “Quando dici lupo, intendi pastore tedesco?”

“No. Intendo lupo.”

Lei sbatté le palpebre, annuì e non disse più nulla.

E Autumn ne fu molto, molto felice.

Perché si era accorto fin da subito di un particolare parecchio inquietante: con Melody, aveva voglia di parlare.
E a lui non succedeva mai.

Assolutamente mai.



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