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Autore: aduial    13/08/2014    1 recensioni
Talìa e Amdir sono gemelli. Durante un loro viaggio si fermano in un villaggio, dove circolano strane storie e leggende. Una in particolare inquieta la gente del posto e il povero Amdir. La gemella, invece, non ne resta particolarmente colpita, ma attenta Talìa, ogni leggenda ha sempre un fondo di verità…
Questa storia partecipa al contest "AAA protagonista cercasi" indetto da Mariam_Kasinaga sul forum di EFP.
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo secondo
La regina delle fate
 
Talìa e Amdir individuarono subito l’insegna “Il Sole Nascente”. Era in legno, con la scritta d’oro un po’ scrostata e pendeva sbilenca sopra una porta aperta, dalla quale fuoriuscivano cori e risate sguaiate. I due si scambiarono una breve occhiata dubbiosa e si immersero nell’aria calda e fumosa della taverna.
Gruppi di uomini sedevano ai tavoli giocando a carte, le mani saldamente aggrappate a grossi boccali di birra, mentre alcune donne dai seni prosperosi e dalla bocca dipinta assistevano alle partite e si assicuravano che i bicchieri dei clienti fossero sempre pieni.
Talìa si avvicino al bancone con passo sicuro, ignorando i fischi di apprezzamento che le venivano rivolti, mentre Amdir la seguiva a pochi passi di distanza, guardandosi attorno con aria torva.
«Vorremmo un posto dove dormire» annunciò, rivolgendosi all’oste, un uomo nerboruto che asciugava dei bicchieri con uno straccio unto. La ragazza represse un brivido di disgusto. L’uomo la squadrò con aria annoiata e fece loro cenno di seguirlo al piano superiore.
«Prima, però, vorremmo anche mangiare» aggiunse Talìa. Allora l’uomo li fece accomodare a un tavolo appartato e, dopo poco, una donna dalle guance rosse e i capelli raccolti in una spessa treccia portò loro dello stufato e del vino.
«Allora… che cosa vi porta da queste parti?» chiese la donna, curiosa.
«In realtà siamo solo di passaggio» rispose asciutta Talìa.
«Piuttosto – si intromise Amdir – sapreste dirci qualcosa in più sulla leggenda della regina delle fate?».
Talìa appoggiò la fronte sul tavolo chiedendosi a quali livelli di idiozia potesse arrivare suo fratello.
La donna lo guardò fisso per qualche istante, come ponderando bene la domanda, poi iniziò a raccontare: «Si narra che questi boschi siano popolati da delle creature fantastiche: le fate. Questi esseri misteriosi, però, non sono particolarmente portate per la benevolenza nei confronti degli esseri umani, anzi, adorano render loro la vita impossibile. La più potente di tutte è la regina delle fate. A lei sono imputate moltissime sparizioni di bambini in tutta la valle, è un vero e proprio flagello.»
«E cosa dovrebbe farci con tutti questi bambini?» la interruppe Talìa, acida.
«Li mangia» rispose laconica la donna, scrollando le spalle.
Amdir si affrettò a chiederle: «Ma non c’è un modo per sconfiggerla?»
«Oh sì, basta strapparle il diamante intarsiato che porta al collo. Quello è il talismano da cui trae tutti i suoi poteri, senza quello è completamente indifesa. In ogni caso è solo una leggenda. È vero, abbiamo avuto qualche sparizione, ma non è stata sicuramente colpa sua». A quell’affermazione conclusiva Talìa annuì con convinzione, lanciando uno sguardo al fratello che, invece, non sembrava ancora del tutto rassicurato.
La gemella ringraziò la donna, che si accomiatò con un sorriso per lasciarli mangiare tranquilli. I due consumarono la cena in silenzio, assorti nei loro pensieri e , una volta terminata, chiesero all’oste di accompagnarli nella stanza dove avrebbero potuto dormire. Questo li condusse in un ripostiglio minuscolo, dove si trovavano due letti, incastrati all’interno per puro miracolo. Da una piccola finestrella in alto si poteva vedere la luna piena fare capolino dalle nuvole ancora gonfie di pioggia. Un tuono rimbombò minaccioso in lontananza.
Talìa e Amdir ringraziarono l’uomo ed entrarono nello stanzino, chiudendo la porta, che girò sui cardini con un cigolio inquietante.
«Dai andiamo a dormire, che domani mattina ci dobbiamo svegliare presto se vogliamo arrivare in tempo per la cerimonia. Insomma, non vorrai essere apprendista ancora per un altro anno solo perché hai dormito troppo!» disse Talìa con tono spiccio. Amdir annuì brevemente e, dopo essersi tolto la giacca, la camicia e gli stivali, si infilò sotto il lenzuolo ruvido, imitato subito dalla gemella.
 
Amdir ruzzolò a terra con un tonfo sordo. Talìa scattò a sedere immediatamente, la mano che già correva all’elsa della spada. Poi vide il gemello che si stropicciava gli occhi, con le gambe impigliate nel lenzuolo e si rilassò, scoppiando a ridere. Amdir la fulminò con lo sguardo, senza però sortire alcun effetto.
«Che c’è da ridere?»chiese imbronciato. Talìa si zitti improvvisamente, facendo segno anche al gemello di rimanere in silenzio. Amdir tacque, sentendo quello che i sensi allenati della ragazza avevano già percepito. Un tintinnio delicato e una voce dolce e carezzevole, quasi ipnotica: «Vieni, seguimi».
Talìa si alzò, affacciandosi alla finestrella, seguita da un Amdir incredibilmente inquieto. Agli occhi esterrefatti dei gemelli si mostrava una scena agghiacciante: una donna dai lunghi capelli rossi, mossi da un vento che pareva colpire solo lei, chiamava a sé con voce suadente un bambino, che la seguiva docilmente. La donna era bellissima, fasciata da un aderente abito nero che si confondeva con l’oscurità della notte e un sorriso sereno le increspava le labbra. Sulle sue spalle si allargava un paio di frastagliate ali nere ricamate d’argento e suo collo brillava un diamante purissimo. Aguzzando lo sguardo Talìa si rese conto che quella che sembrava un semplice, seppur preziosa, pietra, in realtà era un talismano riccamente intarsiato e scolpito.
«La regina delle fate» mormorò Amdir, riscuotendola dallo stato di trance in cui era caduta.
«Dobbiamo salvare quel bambino!» esclamò allora la ragazza, infilandosi i morbidi stivali di pelle. Amdir la seguì, afferrando la camicia e indossandola mentre si precipitavano giù dalle scale.
 
Uscirono dalla taverna giusto in tempo per vedere la regina delle fate sparire tra gli alberi con la sua preda. Svelti i gemelli si lanciarono al suo inseguimento. In poco tempo, Talìa lasciò indietro il fratello e raggiunse la fata. Si scagliò contro di lei con la spada sguainata, ma la regina si voltò e, con uno schiocco delle dita, la mandò a sbattere contro un tronco, impadronendosi dell’arma.
«Sciocca ragazza – sibilò, con un sorriso crudele sulle labbra sottili – pensavi davvero di potermi uccidere così? Ora sarai tu a morire». Con queste parole si scagliò su Talìa, ma, prima che potesse trafiggerla, qualcosa la bloccò. Si voltò rabbiosa e scorse Amdir, che aveva appena lanciato un incanto di protezione per fare da scudo alla gemella. Talìa, ripresasi, approfittò della distrazione della fata per riappropriarsi della spada con un calcio ben assestato.
La fata ringhiò e, sotto lo sguardo attonito di Talìa ed Amdir, si trasformò. I denti divennero zanne, le unghie artigli, mentre gli occhi si tinsero di rosso sangue e le pupille si allungarono. La mostruosa creatura che la splendida regina era diventata colpì Amdir al petto, scavando dei solchi profondi nella carne, prima che lui potesse reagire in qualche modo. Il sangue colò a terra, macchiando il muschio mentre il ragazzo si accasciava contro il tronco di un albero.
In quel momento, il sibilo di una lama sfiorò il collo del mostro.
«Non hai una grande mira, ragazzina» ghignò.
«Non era a te che miravo» rispose Talìa, rialzandosi da terra. Tra le mani stringeva qualcosa di luminoso: il talismano.
Con un assordante ringhio di rabbia, il mostro si accucciò su se stesso, ritornando una donna bellissima.
«Di te non rimarrà che un ricordo» affermò Talìa, sollevando la spada.
«Io non sarò mai un ricordo – ribatté la regina, con un sorriso amaro – io sono e sarò sempre una leggenda». Poi la lama della ragazza calò su suo collo, spiccandole la testa dal busto. Il corpo si dissolse in mille rivoli d’acqua che penetrarono nella terra, svanendo in un attimo.
 
Immediatamente Talìa corse dal fratello e si lasciò sfuggire un sospiro di sollievo, constatando che le ferite non erano profonde come sembravano. Allora lo distese sul morbido tappeto del sottobosco e prese per mano il bambino, che sembrava non essersi ancora reso conto di quello che era successo, accompagnandolo al villaggio. Lo riconsegnò alla madre disperata, alla quale chiese anche delle erbe mediche per curare il fratello. Poi tornò nel bosco e masticò le erbe, creando un impasto che applicò sulle ferite perché non si infettassero. Un potente spostamento d’aria le annunciò l’atterraggio di Laddhogr.
“Mi sono perso tutto il divertimento?”
“Temo proprio di sì” gli rispose la ragazza, caricando il gemello sul dorso del suo compagno. Si chinò a terra e raccolse il talismano, che brillava freddo e indifferente alla morte della sua proprietaria. Lo mise nella bisaccia e montò anche lei in groppa.
“Ricordami di non ascoltare mai più favole per bambini” emanò la ragazza. Il drago sogghignò e spiccò il volo con un balzo, sparendo tra le nuvole di tempesta che oscuravano il cielo.
«Oh no! – gemette Talìa – abbiamo dimenticato il cavallo. Amdir mi ucciderà!».
   
 
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