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Autore: Alexiel94    15/08/2014    2 recensioni
[AU! Tutti mortali | Future]
[Jason/Piper | accenni altre coppie]
[Presenza di OC]
Jason Grace era conosciuto per essere un buon uomo, sempre disponibile e pronto ad aiutare il prossimo, ma la cortesia di quel pomeriggio superava persino i suoi standard. [...]
Era vero, Jason era un uomo affascinante e non vi era nulla di male se dopo dieci anni dalla morte della moglie avesse cercato di rifarsi una vita. Eppure il solo pensiero di suo padre di fianco ad una donna era sufficiente a farle provare diverse fitte di gelosia. [...]
-Ti darebbe fastidio se venisse da noi a cena stasera? Così la conoscerai, finalmente-.
La ragazza gli scoccò un'occhiataccia.
-Anche se mi desse fastidio, lei verrebbe qui comunque, giusto?-. [...]
Quando aprì la porta per poco non le venne un colpo.
-Miss McLean?-.
Genere: Commedia, Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jason Grace, Nuovo personaggio, Piper McLean
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Note: Mi dispiace se vi stavate abituando ad aggiornamenti regolari e ravvicinati. Purtroppo con l'avvicinarsi di settembre - e quindi sessione autunnale - gli aggiornamenti si faranno sempre più radi.
Passando al capitolo, questo si può dire come la chiave di volta della storia. Non vedevo l'ora di scrivere la scena finale.
Inoltre non faccio informatica dalla maturità, quindi se notate errori in quella parte di testo non fatevi problemi a segnalarli.
Buona lettura. 

The French teacher
Parte IV


Passare per la centrale di polizia le ricordava sempre il primo incontro con Jason. Sebbene allora non fosse stato affatto piacevole, ripensandoci col senno di poi la vicenda assumeva sfumature divertenti.
Era stata fermata da due agenti all'uscita della scuola, che l'avevano poi portata in centrale. Era stata condotta in una stanza spoglia, ad eccezione di un tavolo con una sedia per ciascun lato e un vetro a specchio lungo la parete alla sua sinistra. Fu fatta accomodare su una sedia, mentre sull'altra vi era un uomo della sua età con la divisa da ispettore, che la guardava torvo.
-Dove si trovava alle nove di mattina di due giorni fa?- le aveva chiesto rudemente.
Piper rispondeva con sincerità alle sue domande, ma le sue risposte sembravano irritare l'uomo. Non sapeva quanto tempo era passato, era certa solo del fatto che fosse troppo. 
-Signorina McLean, non menta! Sappiamo benissimo i suoi precedenti ed è accusata di rapina a mano armata-.
-Cosa?!- aveva urlato lei, incredula. 
Non capiva come potesse essere accusata senza alcuna prova di un reato che non aveva commesso. L'incredulità era stata soppiantata in fretta dalla rabbia e aveva strepitato quanto fossero infondate quelle accuse.
-Non sono affatto infondate- aveva replicato lui con decisione. -Più testimoni hanno dato il suo identikit e sappiamo anche che è stata già coinvolta in reati simili. Il furto di una BMW nera a Los Angeles...-
-È successo vent'anni fa!- aveva gridato Piper, sentendosi arrossire. -E non avevo rubato quella macchina, l'avevo solo presa in prestito-.
-Ti aspetti che io creda a simili idiozie?- aveva replicato severamente lui.
In quel momento la porta era stata aperta e un agente aveva fatto irruzione in sala. 
-Ispettore Grace, abbiamo ricevuto i risultati dalla scientifica e rintracciato i rapinatori grazie alle impronte digitali. Ci serve la sua firma sul mandato di arresto-.
Il viso dell'ispettore era improvvisamente diventato rosso e i suoi modi di fare da schietti e decisi si erano fatti imbarazzati. Piper aveva dovuto fare appello a tutto il suo autocontrollo per non scoppiargli a ridere in faccia.
-Mi scusi, pare che ci sia stato un errore- aveva borbottato, preda della vergogna. -Posso offrirle una cena per scusarmi del deprecabile equivoco?-.
Qualsiasi donna normale gli avrebbe tirato uno schiaffone, ma lei aveva accettato l'invito per puro sfizio. Non avrebbe mai immaginato che da allora avrebbero cominciato a frequentarsi e, a quasi nove mesi di distanza, stavano ancora insieme, più uniti che mai.
Sapeva che Jason stava per uscire e voleva fargli una sorpresa, difatti trovò l'uomo intento a discutere con un collega mentre veniva nella sua direzione. Quando la vide sgranò gli occhi, poi sorrise mentre lei gli veniva incontro e lo baciò. 
-Amore, non ti aspettavo- disse lui quando si separarono.
-Lo so- sorrise Piper, baciandolo ancora.
Tenendosi per mano arrivarono al parcheggio. Jason la guardò come se fosse stato colpito da un'idea.
-Questa sera Isabel è a mangiare da un'amica- disse con un sorriso malizioso. -Possiamo avere un po' di tempo solo per noi due-.
-Vieni da me- disse lei.
Si diedero un altro bacio prima di prendere ognuno la propria macchina e dirigersi verso la casa della donna. Piper aprì la porta di ingresso con impazienza e trascinò il fidanzato verso la propria camera, in un breve tragitto pieno di baci e coccole. Si lasciarono cadere sul letto e lei si perse negli occhi celesti di Jason, che la sovrastava.
Dei, quanto lo amava.
Le mani di lui si infilarono sotto la sua maglia e lei istintivamente gli afferrò il polso per bloccarlo. Se ne pentì quasi subito; sebbene non fosse certo la prima volta che facevano l'amore, di tanto in tanto Piper aveva l'istinto di fermarlo quando sentiva le sue dita sfiorarle la pelle, vedendo per pochi secondi in lui l'ombra di un uomo che ormai incontrava solo nei suoi incubi. 
-Mi dispiace- mormorò imbarazzata.
Lasciò andare il braccio di Jason, che prima le scostò una ciocca di capelli dal volto e poi le diede un lungo e passionale bacio. 
-Va tutto bene- le disse lui, con quel tono che riusciva a darle sicurezza. -Amore, con me puoi stare tranquilla. Io non ti farei mai del male-.
Piper lo sapeva, ma non poteva impedire al suo passato di tornare a galla. Prima di incontrare Jason aveva vissuto nel terrore per via di ciò che aveva vissuto in quattro infernali anni, ma lui era riuscito a farle capire che era diverso. Lui l'amava ed era disposto ad affronrare accanto a lei i suoi stessi fantasmi.
-Ti amo- gli disse baciandolo e finalmente lasciandosi andare alla passione e alla dolcezza.

***


Il signor Jackson la accolse con un sorriso a trentadue denti.
-Isabel! Da quanto non vieni a trovarci!-.
La ragazza sorrise.
-Ho avuto da fare con la scuola e il karate- disse la ragazza.
Era vero: aveva passato le ultime tre settimane a studiare assiduamente il francese, in aggiunta ai compiti regolari e verifiche delle altre materie. Gli unici momenti liberi della settimana erano occupati dalle arti marziali: la sensei Clarisse aveva indetto allenamenti straordinari anche nel weekend, così che erano aumentati da tre a settimana ad almeno cinque o sei, uno dei quali alle sette e mezza di domenica mattina. Stava decisamente mantenendo la promessa di fare passare loro dei mesi di duro lavoro.
Appena entrata in casa Jackson venne quasi travolta da un ragazzino biondo, che urlò -Scusa!-.
-Fred, stai attento!- lo rimproverò il signor Jackson.
-Ho chiesto scusa- si giustificò il ragazzino.
Fredrick Jackson era il fratello dodicenne di Sophia, che soffriva di iperattività e dislessia. Ciò lo portava ad avere una scarsa concentrazione e a non riuscire a stare fermo un secondo.
Isabel abbandonò il salotto e andò verso la camera dell'amica; decisamente non voleva essere coinvolta in una lite tra padre e figlio. Sophia, come si aspettava, era intenta a smanettare al computer.
-Che fai? Programmi in Java?- le chiese avvicinandosi a lei.
Ciò che vide fu quasi peggiore di quel che si aspettasse: una lunga serie di codici su un foglio bianco e delle opzioni che riconosceva, sebbene non avesse ben chiara la loro funzione. Linguaggio C++.
-Aspetta, risolvo un piccolo problemino con l'apertura del programma- disse la sua amica, con lo sguardo determinato. 
Se lo era immaginato. Sophia aveva una vera e propria passione per l'informatica e da quando aveva scoperto la programmazione passava molto tempo al computer, creando programmi sempre più strani e improbabili. Sebbene avesse soli sedici anni aveva già deciso che dopo il diploma avrebbe scelto come facoltà universitaria ingegneria informatica.
Isabel stando a stretto contatto con lei aveva imparato anche qualche codice, ma non sarebbe mai stata in grado di riuscire a creare qualcosa da sola. Decise però di provare ad aiutare l'amica, per farla finire prima.
-Hai chiuso tutti i "while"?- chiese.
Sophia assentì.
-Anche tutti i cicli di "for". Non riesco a trovare il problema!-.
Isabel provò a esaminare i codici scritti dall'amica, sebbene solo leggere le prime due righe le avesse già dato un gran mal di testa.
-Perché sommi le matrici?-.
L'altra la guardò, i tempestosi occhi grigi traboccanti di entusiasmo e saccenza. Isabel si pentì immediatamente della domanda: Sophia si sarebbe lanciata in una lunga, prolissa e dettagliata spiegazione del programma, aggiungendo frasi di autocompiacimento e lodi alla sua genialità in un discorso di cui l'amica avrebbe capito al massimo un quarto di ciò che diceva. 
Disperata, diede un'altra occhiata al computer e finalmente lo vide. Mancava una parentesi graffa.
-Non hai chiuso la seconda matrice- disse.
Sophia la guardò scettica, prima di andare a controllare. 
-Hai ragione! Ora dovrebbe funzionare-.
Grazie al cielo, pensò Isabel. Sapeva che ora, dopo aver risolto il problema, l'amica sarebbe stata troppo intenta a provare il programma appena creato per perdersi in inutili spiegazioni. Difatti, soddisfatta del risultato, spense il pc pochi minuti dopo.
-Allora, dimmi di che volevi parlarmi-.
Isabel le raccontò della cena con Miss McLean della settimana precedente, di come avesse scoperto della madre della donna e di come lei avesse raccontato come era morta Reyna. 
Non vedeva l'amica da una settimana, causa compiti, karate e il fatto che non si facesse quasi più viva in mensa. Parlare con Sophia confidando tutto ciò che aveva provato era come sollevarsi di dosso un enorme peso, grazie anche alla sicurezza di ricevere una consolazione e dei consigli.
-Il fatto che tu sia stata in grado di dirglielo è un grande passo avanti- commentò la ragazza dagli occhi grigi. -Come vanno le cose tra di voi?-.
-Meglio- rispose Isabel.
In effetti il loro rapporto era cambiato un po', sebbene non eccessivamente. Lei si sforzava di non mostrare troppa ostilità nei confronti della donna, che d'altra parte sembrava apprezzare questo atteggiamento, dimostrandosi più gentile.
-Bene! Vedrai che un po' alla volta riuscirai ad avere un buon rapporto con lei-.
-Speriamo- borbottò Isabel.
Sophia le posò una mano sulla spalla.
-Non fare quella faccia. Sai cosa potrebbe tirarti su il morale?-.
L'altra scosse la testa.
-A fine mese i genitori di Jake partono ed egli darà una festa! Posso fare invitare anche te visto che sei mia amica-.
Jake Lightwood era la cotta non molto segreta di Isabel. Era un bel ragazzo dai corti capelli rossi che frequentava il corso di matematica con Sophia; l'altra ci aveva parlato al massimo un paio di volte in cinque mesi di scuola, ma si era innamorata di lui.
Si ritrovò ad arrossire istintivamente, ma non poté fare a meno di sorridere. 
-Grazie Sophia, sei la migliore!- urlò, abbracciando l'amica.
-Oh, ti prego, dimmi qualcosa che non so- rispose scherzosamente lei, abbracciandola a sua volta.
Isabel rise. Nonostante la sua saccenza e la tendenza all'autocompiacimento, era davvero felice di avere lei come amica.

Appena la campanella di fine lezione suonò gli alunni riposero i libri nello zaino e abbandonarono l'aula chiacchierando allegramente. Isabel avrebbe tanto voluto seguirli, ma da una settimana a quella parte passava la pausa pranzo a studiare francese. La sua situazione era decisamente disperata e il fatto che mancassero poco più di due mesi e mezzo all'esame aveva fatto nascere quella necessità.
I suoi progressi non erano molti, ma a Isabel sembravano enormi miglioramenti. Ora riusciva più o meno a cogliere il significato delle domande poste dalla professoressa, sebbene non fosse ancora in grado di formulare una risposta sensata e coerente. 
-Il problema più grosso è che Drew corregge il compito- le ripeté per l'ennesima volta Miss McLean. -Ha un metro di valutazione molto più rigido del mio e ti toglierà un sacco di punti al minimo errore-.
La ragazza lo sapeva già. Mangiò l'ultimo pezzo del panino, per poi prendere il quaderno e una penna in attesa che anche l'insegnante finisse il suo pranzo - un'insalata biologica. Aveva scoperto che Miss McLean era vegetariana la prima volta che era venuta a cena a casa sua, ma vederla mangiare cibi non derivati da carne le faceva sempre uno strano effetto.
-Stai leggendo I Fiori del Male?- le chiese improvvisamente.
Oh, cavolo.
La verità era che non aveva neanche toccato il libro da quando l'insegnante glielo aveva consegnato. Era stata troppo impegnata e svogliata per mettersi a leggere un centinaio di pagine completamente scritte in francese, senza nemmeno una nota in inglese.
-Certo- mentì.
La sua espressione doveva essere lo specchio della colpevolezza, visto che l'insegnante le elargì uno sguardo molto severo. Non aveva mai pensato di descrivere Miss McLean come minacciosa, ma quell'espressione lo era decisamente.
-Allora potrai commentare qualche poesia- disse candidamente.
-Sì, ecco... per prima cosa direi che Baudleaire ha uno stile molto... ehm... baudelaireiano...- balbettò Isabel.
Miss McLean inarcò un sopracciglio.
-Ma non mi dire-.
La ragazza abbassò lo sguardo, incapace di reggere quello severo dell'insegnante. La sentì sospirare.
-Isabel, se ti dico di fare qualcosa è unicamente per il tuo bene. Ti ho chiesto di leggere I Fiori del Male per farti entrare in familiarità con la lingua francese, non per sadismo o perché mi diverte vederti fare qualcosa in cui hai difficoltà. Lo faccio per te-.
-Non si comporti come se fosse mia madre, perché non lo è- borbottò, credendo di averlo detto a voce abbastanza bassa da non farsi sentire.
Come al solito, si era sbagliata.
Gli occhi dell'insegnante furono percorsi da un lampo d'ira, ma replicò in tono piuttosto calmo.
-Lo so. Reyna è morta da anni-.
Isabel si sentì come se fosse stata colpita da una coltellata al cuore. Un'accecante ira insosrse nel suo petto e sputò con quanta più rabbia possibile -Come osa nominare mia madre?-.
Lo sguardo di Miss McLean cambiò e la ragazza vi lesse l'emozione che più detestava al mondo. Compassione.
Fu come gettare benzina sul fuoco. Isabel voleva prendere a calci i banchi, ribaltare sedie e urlare ingiurie. Non riuscì però nemeno a muovere un dito, tremante di rabbia e dolore.
-Come temevo. Quando finisci le lezioni raggiungi la mia macchina, devo portarti da una parte-.
-Se mi rifiutassi?- replicò acidamente la ragazza.
Miss McLean sorrise.
-Questo pomeriggio devo passare a casa tua visto che Jason mi ha invitata. Per cui mi dispiace, ma evitarmi sarà inutile-.

Per il resto della giornata Isabel pensò seriamente rifugiarsi a casa degli zii. Accantonò l'idea quando mancavano pochi minuti alla fine dell'ultima ora; non voleva che l'insegnante interpretasse la sua decisione come codardia. Il suo orgoglio si ribellava al pensiero di qualcuno che la riteneva una fifona, specie se questa persona stava con suo padre.
Così quando finirono le lezioni attese l'arrivo di Miss McLean seduta sul cofano della sua macchina. La donna non si fece aspettare molto, e quando la vide le disse solamente -Sali-.
Isabel entrò in macchina, mentre la proprietaria faceva lo stesso e partiva. La ragazza tentò di riconoscere le strade, ma non riuscì a dedurre la meta di quel viaggio.
-Dove stiamo andando?- chiese dopo venti minuti di viaggio, quando la macchina si era fermata davanti un semaforo rosso.
-Se te lo dicessi cercheresti di scappare- rispose Miss McLean.
La ragazza le scoccò un'occhiataccia. 
-Crede davvero che io sia così codarda da scappare via? Non mi conosce affatto-.
L'insegnante colse la provocazione. La guardò con aria di sfida e le chiese -Dimmi sinceramente, quante volte sei andata a trovare tua madre?-.
Isabel sbiancò. Aveva capito dove voleva portarla Miss McLean e pensò che avrebbe avuto ragione: se fosse stata da sola sarebbe fuggita. Eppure, non poteva mostrarsi debole davanti a lei. Doveva ignorare il cuore palpitante di terrore e il tremore delle mani, ma soprattutto evitare di parlare. La sua voce avrebbe tradito la sua paura e il suo dolore.
Decisamente troppo presto la macchina si fermò davanti all'entrata monumentale del cimitero. La ragazza riuscì nel suo intento di mostrarsi forte fino a quando non varcarono il cancello; allora la paura e il dolore presero il sopravvento.
-Perché mi sta facendo questo?!- attaccò la donna.
Miss McLean non si scompose, anzi, la sua espressione si addolcì.  
-Perché tu non hai ancora accettato il fatto che Reyna sia morta. Devi prendere atto di questo se vuoi continuare a vivere serenamente-.
La risposta la lasciò interdetta. Di certo non si aspettava una cosa del genere.
-Tu...- mormorò. -Tu...-.
-Non sei da sola- disse ancora l'insegnante, posandole una mano sulla spalla. -Sono qui con te-.
Isabel sentì una scarica di calore pervaderle il corpo, subito schiacciata dai propri sentimenti negativi. Il pensiero di liberarsi da quel grumo di rabbia e dolore che si portava dentro da fin troppi anni fu l'unica cosa che la spinse ad andare avanti in cerca della tomba di sua madre. 
Si bloccò quando lesse quel nome tremendamente familiare, il cuore che sembrava essersi fermato per qualche istante e un nodo alla gola. Sentì la mano di Miss McLean posarsi nuovamente sulla sua spalla in un muto incoraggiamento. Deglutì un paio di volte prima di compiere quei pochi passi.
Non era quasi mai stata al cospetto della tomba della madre: il dolore era troppo, per cui aveva spesso evitato di passare a meno di un isolato dal cimitero. Forse ci era stata solo al funerale e un paio di volte da bambina, per cui la sua tomba fu una vera scoperta.
La lapide era di marmo bianco, su cui era scritto in lettere dorate "Reyna Avila Ramirez-Arellano, leale amica, amata moglie e amorevole madre". Seguivano la data di nascita e quella di morte, terribilmente e dolorosamente vicine. Tra il nome e l'epitaffio vi era una foto scattata poche settimane prima della morte: una donna venticinquenne dalla pelle ambrata, i capelli corvini e gli occhi dello stesso colore sorrideva al fotografo. 
Isabel si avvicinò lentamente, tremando. Il nodo alla gola era più stretto che mai quando posò la mano sul bordo superiore della lapide.
-Ciao mamma- sussurrò. -Sono venuta a trovarti finalmente-.
Delle lacrime scesero dai suoi occhi prima che potesse fermarle. Fu come se si fosse appena riaperta una vecchia ferita nel suo petto, ma non riusciva a fermare il flusso delle parole adesso che aveva cominciato.
-Mi manchi molto, sai? Da quando non ci sei più le cose non sono più le stesse. Non sai quante volte desidero che tu sia qui a darmi consiglio o...- si interruppe con un singhiozzo. Il pianto le impediva di continuare col discorso, faticava a respirare e tremava tanto da non riuscire più a reggersi in piedi. 
Cadde in ginocchio, trovandosi alla stessa altezza della foto di Reyna. Cercò di fissare lo sguardo in quello sorridente della madre, cercando di ricordare quando le rivolgeva quello sguardo sorridente.
-Sebbene faccio tanto la dura ho bisogno della tua guida- disse tra i singhiozzi. -Ma non ci sei, per quanto io possa cercarti. Non te ne faccio una colpa, te ne sei andata da eroe...- tirò su col naso, asciugandosi gli occhi con la manica della felpa sebbene le lacrime non accennassero a fermarsi -...Perché lo eri. Anzi, lo sei. Sono molto fiera di essere tua figlia-.
Un tocco delicato per poco non la fece sussultare; si era completamente dimenticata della presenza di Miss McLean. 
Prima ancora di rendersene conto si ritrovò abbracciata alla donna, intenta a piangere sulla sua spalla. L'insegnante, sorpresa, le passò un braccio attorno alla vita e con l'altra mano le accarezzava il capo. Non disse nulla, conscia che le parole sarebbero state di troppo.
Quando, un paio d'ore più tardi, Jason le vide entrare in casa con gli occhi arrossati, i capelli arruffati e gli abiti sporchi chiese insistentemente dove fossero state, ma le altre due evitarono l'argomento. 
Quella sera, dopo che lo shock e il dolore furono passati, Isabel fu arrabbiata a morte con la McLean per averla portata al cimitero e averle risvegliato il dolore per la dipartita della madre. Solo più avanti scoprì perché lo aveva fatto: non si era certo colmata l'assenza di Reyna, né tantomeno se ne era andata la malinconia legata ai suoi ricordi. Ma pensare a lei o parlarne non era più doloroso come una coltellata e sebbene non fosse diminuita la sua mancanza, portare avanti il suo ricordo era più facile.
Di questo era estremamente grata a Miss McLean.


 
   
 
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