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Autore: Astrid Romanova    20/08/2014    2 recensioni
Fin da bambino, Adrian aveva sempre sentito il desiderio di andarsene. L'andarsene nella sua forma più semplice ed immediata, come puro istinto alla fuga perenne e irrefrenabile. Né il mare né le navi che lo solcavano gli erano mai piaciuti, eppure a ventotto anni è ormai un marinaio esperto e straordinariamente scansafatiche.
Quando un giorno, sul ponte della Sposa Tradita, rivede Ravenna, non può immaginare che diciassette anni di vite diverse abbiano visto la bambina che conosceva diventare una ladra, ormai da due anni alla ricerca di un padre scomparso.
_________
«C'è un modo, sai?»
La spiazzò.
«Per cosa?»
«Per farmi smettere di lamentarmi.»
Ravenna assottigliò lo sguardo, scrutando il volto di Adrian in cerca di una risposta.
«Quale?»
[...]
«Lo stesso per farmi smettere di parlare del tutto» continuò, sperando di non essere costretto a dare spiegazioni dirette.
«Quale?» Insistette lei.
«Lo stesso per immobilizzarmi completamente.»
O per fermarmi il cuore. Potrebbe succedere se tu lo facessi come l'hai fatto stanotte.
«Quale?»
Adrian ebbe un moto di frustrazione.
«Darmi una botta in testa» borbottò sconfitto.
Genere: Avventura, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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#5. La scacchiera senza Re


«Non è che mi dispiace, ma forse ammetto di aver... lievemente... esagerato.»

Ravenna arrestò la sua camminata, alzando un sopracciglio in chiaro senso di dissenso.

«Forse» gli fece eco carica di scetticismo, quando Adrian si voltò. «Lievemente.»

Il marinaio si strinse nelle spalle. «È quello che ho detto» confermò.

Un mezzo sorriso – in parte sarcastico in parte, quasi, indulgente – affiorò sulle labbra della ladra, subito prima che replicasse: «di' che ti dispiace e basta.»

Non c'era ostilità o insistenza nella sua voce, quanto una pazienza del genere che le madri hanno coi figli quando questi combinano uno dei loro sciocchi disastri.

«Se lo dico» ribatté Adrian, calmo, «voglio che sia annotato sul diario di bordo che non è ciò che penso davvero.»

A Ravenna sfuggì un grugnito esasperato mentre alzava gli occhi al cielo, incapace di trattenersi.

«Non voglio che tu lo dica perché io voglio che tu lo dica, voglio che tu lo dica perché so' che è quello che vorresti dire ma per orgoglio preferisci dire che sia io a volere che tu lo dica.»

Le labbra storte nello sconcerto, le sopracciglia appiattite e gli occhi ridotti a due fessure, Adrian aveva dipinta in volto un'espressione perplessa tanto quanto irritata, in uno strano miscuglio quasi ridicolo.

«Ti è tanto difficile essere chiara ed evitare i giri di parole?»

«Non è che tu sia un campione di trasparenza» ribatté lei, piccata. Fu il turno di Adrian di grugnire, una reazione che ebbe il solo effetto di esasperare Ravenna ancora di più. «Sei troppo orgoglioso» precisò lei, tagliando corto.

«Lo dici come se tu non lo fossi» fu la pronta risposta del marinaio.

Dalla posizione delle loro mani, strette a pugno, e dei denti serrati per impedirsi di parlare a sproposito, sembravano entrambi sul punto di saltarsi alla gola.

«Vuoi giocare alle ammissioni?» Domanò lei, sarcastica. «Va bene: sono orgogliosa. Tocca a te.»

Adrian ci pensò un attimo prima di rispondere ostentando naturalezza, deciso a non dargliela vinta.

«Ammetto di essere sexy.»

Ravenna spalancò gli occhi incredula, indecisa se fidarsi o meno delle proprie orecchie. Una parte di lei gridava che lui non l'avesse detto davvero, che era stato uno scherzo della propria mente a trasformare un'ammissione di colpevolezza in una stoccata pungente e cocciuta. Ma un'altra parte, e se fosse quella più razionale o quella più istintiva era impossibile da capire, le sussurrava incessantemente che quelle parole erano davvero uscite dalla bocca di Adrian. Spostò lo sguardo verso le mura della città in lontananza, sperando inconsciamente di leggere una soluzione nel paesaggio o, forse, semplicemente cercando di digerire quanto appena sentito.

All'improvviso inspirò bruscamente dalla bocca e sbattè le palpebre, come se le fosse appena venuta in mente un'idea clamorosa. Tornò a guardare Adrian con calma innaturale e gli si avvicinò con un incedere che lo mise subito in allarme. Eppure, sebbene sospettasse fortemente delle intenzioni dell'amica, non si mosse di un passo; una sorta di curiosità malata lo tenne ancorato al suolo, andando contro ogni suo istinto all'autoconservazione persino quando lei sorrise insidiosa, confermando i suoi cupi presagi. Ma per quanto fosse, in fondo, atteso, quando arrivò riuscì comunque a coglierlo di sorpresa: una scoppola perfettamente piazzata.

Barcollò di lato, più per un maldestro e ritardatario impulso alla fuga che per il colpo in sé.

«Sei impazzita?» Si ritrovò a domandarle sconvolto, una mano premuta sulla nuca per puro istinto.

«Se dico di esserlo» rispose lei, imitando tono e parole usate da lui poco prima, «voglio che sia annotato sul diario di bordo che non è ciò che sono davvero.»

Forse, pensò Adrian, irritarlo era facile: ma lei aveva un dono naturale. E fu il suo ultimo pensiero razionale.

Digrignò i denti, tentò – senza convinzione – di trattenersi e, non riuscendoci, la raggiunse con due brevi falcate per resituirle il favore.

La situazione degenerò in pochi istanti; gli schiaffi quasi indolori divennero calci, spallate, gomitate, ginocchiate, portando la discussione su un piano puramente fisico dove ogni colpo da parte di uno corrispondeva una reazione da parte dell'altro. Ringhi e grugniti orchestravano un concerto di schianti, tonfi, schiocchi e strappi in sempre più rapida successione, finché la superiorità di Ravenna iniziò ad emergere: trascinata dal ritmo sempre più incalzante alzò la guardia e abbandonò i modi caotici e impulsivi dettati dalla semplice stizza nervosa, in favore di movimenti più articolati e precisi, impossibili da contrastare per un marinaio del tutto a digiuno di tecniche da combattimento. Per avitare un'amara, bruciante sconfitta che, sapeva, lo avrebbe fatto sentire umiliato fino alla fine dei suoi giorni, Adrian capì che la sua unica possibilità era quella di usare la testa: si piegò in avanti e caricò Ravenna, gettandosi su di lei e centrandola in pieno petto con una testata tanto forte da farli finire entrambi a terra.

Sdraiato sopra di lei, ancora stordita dall'impatto con suolo, ansimò contro la sua gola, ingoiando un odore di pelle e sudore che non sapeva affatto di vittoria; esausto rotolò su un fianco e si stese supino accanto a lei, il petto che si alzava e abbassava a ritmo serrato, senza sosta.

Mentre entrambi riprendevano fiato non una mosca volò tra di loro, difficile dire se per l'eccessiva stanchezza o perché, semplicemente, si erano già detti tutto un ringhio alla volta.

«Be'» esordì lei parecchi istanti dopo, «mi pare che siamo stati entrambi abbastanza chiari

Per una volta, la punta di sarcasmo in quella frase trovò Adrian completamente d'accordo.

«Trasparenti» approvò. «Ora capisco il significato di “discussione accesa”.»

Si misero entrambi a sedere sull'erba, massaggiandosi l'uno la testa l'altra la schiena. Sulla pianura si stava alzando un vento proveniente da ovest, che scompigliava loro i capelli e trasportava dense nubi grigiastre cariche di pioggia. Ravenna le guardò con preoccupazione; ovest era la loro destinazione, dove la città di Serlas sorgeva cinta da alte mura ben visibili dalla loro posizione. Non dovevano più perdere tempo, o l'acquazzone li avrebbe colti prima che trovassero riparo in una delle locande dell'abitato.

«Sei sicuro di voler venire con me?» Domandò, raddrizzando la schiena e piegando le gambe per potervi appoggiare gli avambracci.

Adrian sospirò. «Te l'ho già detto» mormorò duramente. «Ti devo un favore.»

Ravenna annuì, memore del discorso di quella mattina; sebbene non le avesse fatto delle scuse ufficiali o ammesso di sentirsi in colpa per l'eccesso di rabbia avuto la sera prima – quando aveva fatto quel commento totalmente a sproposito – le aveva promesso di accompagnarla fino a Serlas per dimostrarle il proprio pentimento. Era tipico di Adrian non saper chiedere scusa, preferendo esprimere il proprio rimorso con un'azione rappresentativa. Un tempo le aveva portato una mora guadagnata a caro prezzo, ora le offriva una spalla lungo il tragitto fino alla sua prossima destinazione.

Ma, in quel momento come alcune ore prima, non era del tutto convinta che la sua decisione avesse a che fare esplusivamente col rammarico. C'erano altre centinaia di gesti che avrebbero potuto avere lo stesso significato, ma solo quello gli avrebbe permesso di continuare il viaggio per un giorno in più.

«Guarda che puoi dirlo» lo incoraggiò, confondendolo.

«Dire cosa?»

Lei sorrise. «Che inizi a prenderci gusto.»

Adrian fu svelto a negare tutto, forse troppo svelto, squotendo energicamente la testa. «Ad essere imprigionato? Non direi proprio.»

Ma lei aveva visto la luce nei suoi occhi il giorno prima, subito dopo la loro sfrenata corsa a cavallo, la stessa che aveva quand'erano bambini e scappavano nel bosco nonostante fosse loro vietato andarci.

«Ad essere libero» lo corresse con semplicità.

Questo lo zittì per qualche secondo, ma dal suo sguardo corrucciato non era difficile capire che non lo avrebbe ammesso. Probabilmente nemmeno a sé stesso.

«Ero molto più libero prima di venire trascinato in tutta questa storia» ribatté stoico.

Ravenna, ed era certa che in fondo Adrian fosse dello stesso parere, non pensava affatto che prestare servizio su una nave mercantile fosse libertà. C'era quella discrepanza, invisibile ai più, per cui non avere una dimora fissa non equivaleva al potersi muovere liberamente, ma se Adrian non l'aveva mai notata prima ora ne era certamente diventato consapevole, che lo volesse o meno.

Tuttavia la ladra accolse di buon grado l'obiezione dell'amico, perché se il suo stile di vita aveva per molto tempo rasentato la libertà assoluta, da due anni a quella parte non era più nemmeno in grado di sfiorarla. Almeno non per sé stessa.

«Allora dovresti tornare su una nave, perché il mio non è un viaggio di piacere, è una ricerca: devo trovare mio padre.»

«No, non devi» affermò Adrian a sorpresa, stupendo entrambi. «Voglio dire... lo vuoi. Non devi, ma vuoi farlo.»

Per un attimo Ravenna sembrò sinceramente colpita, più profondamente di quanto lui si fosse aspettato di raggiungerla, tanto da guardare il marinaio come se non lo avesse mai visto prima. Ma non durò che pochi istanti: scrollò le spalle, riacquistando un'aria allo stremo dell'indifferenza.

«Non fa differenza.»

La fa, pensò Adrian. Faceva quel genere di differenza tra l'essere davvero liberi e l'essere costantemente incatenati ad una speranza, ormai più dimile ad un'ossessione.

«E comunque» riprese lei, alzandosi e spazzolandosi i vestiti con le mani, «faremmo meglio a muoverci se non vogliamo finire nel pieno di una tempesta. Dunque: sud o ovest?»

Adrian la imitò, ma a quella domanda aggrottò le sopracciglia, confuso.

«Serlas è ad ovest, laggiù» spiegò lei, con un cenno del capo nella direzione delle mura in lontananza. «Valenia è a Sud.»

Capendo la situazione, il marinaio la guardò negli occhi nel tentativo di cogliervi un desiderio, tra l'essere lasciata sola o continuare il viaggio con lui. Gli stava lasciando una scelta, come aveva sempre fatto da quando si erano incontrati a Port Gale, ma per una volta voleva capire cosa volesse lei.

«Non pensare a fare un favore a me, pensa a quello che vuoi tu» lo esortò.

Adrian aprì gli occhi un po' di più, cogliendo al volo l'opportunità di dirle quello che pensava. «E quello che vuoi tu? Non pensare ai miei desideri, pensa ai tuoi» la incalzò, e sebbene non fosse sua intenzione suonò in parte come un'accusa.

«Mi stai chiedendo se vorrei che tu venissi con me?» Lo provocò lei alzando un sopracciglio.

«Ti sto chiedendo di fare quello che tu continui a chiedere a me: una scelta» fu la sua pronta ribattuta e, al contrario di lei, era completamente serio.

A quel punto lo divenne anche lei. Si rese conto che si trovavano ad un bivio, più serio dei precedenti: non era più questione di aspettare una risposta per lei o decidere se imbarcarsi oppure stare con la propria famiglia per lui. Non era questione di quando o di dove, di come o di perché, era questione di chi. Uno dei due avrebbe dovuto prendere l'iniziativa e svelare il proprio desiderio.

«Va bene» soffiò. «Ma chi sarà il primo a rischiare?»

 

◄►

 

La pioggia la colse poco prima che entrasse nella locanda, scrosciante e irruenta.

Il cappuccio calcato sulla testa le si inzuppò in breve, così come il resto degli abiti, mentre camminava svelta sulla strada già fangosa, da sola.

Aveva provato. Fin da quando aveva mosso il primo passo all'interno delle musa di Serlas – una delle le più piccole tra le città in cui si fosse recata – non aveva fatto che cercare e porre domande in lungo e in largo con un solo obiettivo. Aveva visto decine di teste scuotersi come avevano fatto prima di loro altre centinaia, tanto da divenire un'immagine che ormai associava alla sua crescente disperazione. Adrian navigava in un oceano di acqua e sale, lei in uno di dissensi e “mi dispiace” di circostanza.

Al suo ingresso nella locanda fu accolta dal calore del fuoco e dei corpi ammucchiati intorno ai tavoli. La luce delle fiamme dipingeva la stanza di tonalità dal rosso al bruno, conferendole un'atmosfera quasi intima nonostante il gran numero di avventori. Non riconobbe nessuno dei volti illuminati dalle vampe, e si augurò che nessuno riconoscesse lei: Serlas era a solo un giorno di cammino da Hyssen e le notizie, da quelle parti, circolavano in fretta. Sopratutto se trattavano di una ladra sfuggita di prigione.

Non appena la vide passare, fermò una cameriera dall'aria esausta che reggeva un vassoio di legno, sul quale tre boccali di birra erano tanto pieni che la schiuma era colata oltre i bordi fino alla base.

«Perdonami, sto cercando una persona.»

Cercò di spiegarsi come meglio poteva, descrivendo l'uomo che voleva trovare forse più nei modi che nell'aspetto. In risposta ricevette un semplice cenno del capo che indicava un tavolo lontano dal fuoco, dove un uomo parzialmente avvolto nell'ombra se ne stava seduto con un che di annoiato nella postura dimessa, appoggiato allo schienale di una sedia. Vi si avvicinò, lasciando impronte di fango sul pavimento già lurido, sforzandosi di non tremare per i brividi di freddo che sentiva nelle ossa.

Adrian alzò lo sguardo, aggrottando le sopracciglia nell'esatto istante in cui intercettò la figura di Ravenna fermarsi di fronte a lui.

«Sei fradicia» constatò.

«Scommetto che ti mettevano sempre di vedetta, occhio di falco» commentò lei, ironica e vagamente scocciata.

«Ah-ah» bofonchiò lui, ma invece di rispondere a tono si alzò con un sospiro. «Vieni, ti accompagni alla camera.»

La “camera” era uno spazio quadrato chiaramente pensato per una sola persona; la branda – all'apparenza non molto stabile – era appoggiata alla parete di destra, dalla parte opposta rispetto ad un braciere rotondo in cima ad una struttura a tre piedi di un metallo scadente, dentro il quale dei carboni ardenti emanavano un piacevole calore e un fastidioso lezzo di fumo e legno bruciato. Una sedia e un comodino se ne stavano in un angolo a completare il quadro, polverosi e malmessi. Su quest'ultimo Adrian appoggiò la lanterna, sufficiente a rischiarare quando bastava l'ambiente ristretto.

«Era l'unica libera» si giustificò lui, ben cosciente di quali pensieri potessero aver attraversarsato la mente di Ravenna.

«Ho visto di peggio» minimizzò lei, varcando la soglia, «ma ero da sola» aggiunse, fermandosi di fronte alla branda. «Se volevi venire a letto con me c'erano modi più romantici per farmelo capire».

«Non fai ridere» borbottò Adrian. «E comunque dubito che su quell'affare si possa fare qualsiasi cosa, nemmeno dormirci: sembra sul punto di sfondarsi solo a guardarla.»

Ravenna si trovò costretta ad assentire. Avrebbe mai retto il peso di due corpi? Nessuno dei due, di certo, aveva alcuna intenzione di dormire per terra, ma si sarebbero potuti trovare costretti a farlo lo stesso. Non sarebbe stata la prima volta per lei, ma Adrian si lamentava persino quando dormiva sul terreno relativamente morbido della foresta, non osava immaginare i brontolii se avesse domito su delle assi di duro legno.

Fece spallucce, abbassando il cappuccio e iniziando a slegare le grosse fibbie della casacca di pelle zuppa di pioggia.

«Che stai facendo?» la redarguì immediatamente Adrian, colto alla sprovvista.

«Evito la febbre» rispose lei serafica, spostando la sedia vicina alle braci e appendendo la casacca allo schienale.

«Sì, geniale. E poi cosa pensi di metterti addosso?»

Ravenna si sedette sulla sedia e, iniziando a slaciarsi gli stivali, fece schioccare la lingua. «La tua giacca.»

«La mia... oh no» negò lui.

«Oh, sì» lo contraddisse lei, appoggiando gli stivali sul pavimento uno dopo l'altro.

Si alzò di nuovo in piedi e prese a sciogliere i numerosi lacci del corpetto di cuoio, sotto il quale una camicia bianca di lino mostrava già le proprie maniche, strette sugli avambracci da due bracciali di cuoio. Tolse anche quelli e poi si sfilò la camicia dalla testa, senza dare il tempo ad Adrian di capire che anche il lino era bagnato laddove non era protetto dal cuoio. La pelle della casacca doveva essere di fattura scadente per essersi permeata tanto d'acqua.

Lo sguardo del marinaio era attonito quando constatò che Ravenna non indossava alcun corsetto intimo, benché se lo sarebbe dovuto aspettare; portava solo una fascia di panno stretta sul seno, rigirata più volte e sgualcita in numerosi punti. La pancia le rimaneva completamente scoperta, come le spalle e le braccia; sotto la sua pelle si indovinavano i profili dei muscoli che aveva sviluppato negli anni, probabilmente allo stesso modo di come aveva imparato a combattere e, inutile ignorarlo, a rubare.

Non era la prima volta che Adrian vedeva una donna con così pochi vestiti addosso, ma in quelle occasioni era stato lui a toglierglieli, e nessuna di quelle signorine era la sua dannata amica d'infanzia a cui era davvero spuntato il seno.

Il passo successivo sarebbero stati i pantaloni, e lui non era certo di poter sopportare dell'altro.

Si levò la giacca e gliela lanciò addosso mentre le mani di lei raggiungevano la cintura, dove due scarselle erano ben assicurate in corrispondenza dei suoi fianchi. Per un attimo era tornato bambino, spaventato dal corpo delle donne come se si trattasse di qualcosa di innaturale.

«Molto gentile» lo canzonò lei, apparentemente a proprio agio, e questo fece sorgere in Adrian il dubbio che quella non fosse la prima volta che una cosa del genere accadeva. Ma l'idea lo abbandonò in fretta quando vide che lei non accennava ad indossare la giacca; al contrario, le sue mani avevano già tolto la cintura e si apprestavano a slacciare i bottoni dei pantaloni.

«Vuoi proprio mettermi in imbarazzo?» La accusò, forse solo per dire qualcosa che rompesse quello scomodo silenzio.

«Puoi anche voltarti» gli fece notare lei, liberando l'ultimo bottone dalla sua asola, «e poi non pensavo ti desse così fastidio.»

«La domanda è come fa a non dare fastidio a te» replicò lui, sbigottito. Stava scalpitando.

«Sono cresciuta con persone che non hanno mai dato peso a sciocchezze del genere. È solo un corpo, ed è coperto dove serve.»

«Ma non abbastanza» borbottò lui in un sussurro quasi inafferrabile, ma Ravenna non mancò di sentirlo.

«Ripeto: puoi anche voltarti» disse di nuovo, appendendo i pollici al bordo dei pantaloni in un gesto scocciato.

«Non puoi spogliarti di fronte a me e chiedermi di non guardare. È contro la natura maschile.»

Si rendeva conto che la sua affermazione suonasse contraddittoria se paragonata alle sue lamentele precedenti, ma era proprio questo il problema: Adrian si sentiva combattuto, combattuto tra il desiderio di guardare il corpo di una donna innegabilmente attraente e la sensazione che farlo fosse una cosa assolutamente sbagliata.

Ma Ravenna questo non poteva capirlo.

«Che diavolo ti prende?»

«È disgustoso» sputò Adrian. «Voglio dire, tu sei meravigliosa, ma questo è disgustoso. È come vedere semi nuda la propria sorella.»

Per un attimo furono entrambi troppo occupati a capire il significato delle parole del marinaio, se un significato c'era, per avere una qualsiasi altra razione.

«Grazie, credo» disse per prima Ravenna, fortemente incerta.

«Sì, insomma... mettiti quella giacca» tagliò corto Adrian, sentendosi assurdamente esausto.

Fece per sedersi sulla branda, ma nell'istante in cui si allungò e fece il primo passo Ravenna compì un movimento molto simile, stringendo le dita sopra giacca di Adrian gettata sul materasso. Lui si arrestò all'istante, tirandosi leggermente indietro come a volerle lasciare spazio. Si schiarì la gola – piuttosto secca – e si voltò di lato, deglutendo mentre aspettava che lei si coprisse.

«Sei un bambino» le sentì dire serafica, coprendo il fruscio prodotto dall'indumento che le scivolava sulla pelle. Ravenna dovette rigirare le maniche diverse volte per avere le mani libere, e solo allora chiuse tutti i bottoni coprendo finalmente ogni centimetro del suo corpo fino alle ginocchia. Adrian azzardò un'occhiata: sembrava ancora più piccola avvolta in quella giacca davvero troppo grande per lei. Si voltò di nuovo, immediatamente, quando la vide armeggiare per sfilarsi i pantaloni; per distrarsi si sedette sulla branda e iniziò a slacciare i propri stivali, togliendoli con una calma infinta. Li poggiò entrambi a terra mentre lei si avvicinava alle braci e lì si fermava, le braccia strette intorno al corpo, a fissare il rosso intenso del carbone surriscaldato.

Sapendo di non essere visto si passò una mano tra i capelli, improvvisamente tanto stanco da faticare a tenere gli occhi aperti. Ma aveva come l'impressione che, se avesse abbassato le palpebre, non sarebbe più riuscito a contenere lo strano miscuglio di emozioni che gli si agitavano nello stomaco. Ricordare lo scontro di quel pomeriggio, le sue mani su di lui – anche se di certo non lo stavano accarezzando – il momento in cui si era trovato sdraiato sopra di lei... e associare quelle sensazioni alla visione del corpo di Ravenna tanto scoperto era qualcosa di difficile da tollerare, anche se non ne capiva il motivo.

«Hai trovato niente?» Domandò distrattamente, conscio solo di dover continuare a parlare.

«No.»

Sembrava una risposta definitiva, che non chiudeva solo l'argomento appena iniziato, ma più in generale qualsiasi discorso della giornata. Come spegnere le luci prima andare a dormire.

Nella bruna penombra della stanza, non c'era più niente che impedisse alla stanchezza di insinuarsi tra le sue ciglia e appesantirgli le palpebre. Si posizionò meglio sulla branda, tirandosi indietro per appoggiare la schiena alla parete; non voleva dormire, non ancora, ma non si sarebbe potuto addormentare se avesse chiuso gli occhi solo per qualche istante. Il tempo di constatare se ritrovarsi completamente al buio avrebbe davvero scatenato strane reazioni nella sua testa, condizionate dall'inisieme di esperienza della giornata. Inspirò nel buio, piano, quell'odore di fuoco e pioggia che permeava la stanza, stranamente rilassante. Era un profumo già sentito, qualcosa di familiare quanto e più del suono delle onde del mare. Qualcosa di antico e nuovo, come perso e ritrovato, che lo accompagnò in un sonno privo di sogni prima che lui potesse fare qualcosa per evitarlo.

Quando Ravenna si voltò, sentendosi finalmente abbastanza calda e asciutta, lo trovò addormentato, le spalle rilassate contro le assi di legno dure. Con indosso la sua giacca, pregna del vago odore di mare che lui si portava sempre addosso come una seconda pelle, gli si sedette accanto, lasciandosi cullare dal suono del suo respiro leggero e regolare; in pochi minuti tutto il suo corpo si adattò a quel ritmo, distendendosi mentre il battito rallentava, i pensieri si facevano meno intricati e la sua mente si annebbiava. Percepì distintamente il buio farsi più intenso mentre le braci si consumavano, ma il sonno l'avvolse molto prima che potessero spegnersi definitivamente.

 

◄►

 

Dal piano di sotto giungeva un gran trambusto; voci concitate discutevano animatamene, inafferrabili e confuse, tanto da penetrare il dormiveglia di Adrian e riportarlo gradualmente alla coscienza.

La luce filtrava dalle imposte chiuse illuminando la stanza di strane linee chiare, che parevano tagliare a strisce l'esiguo spazio della camera altrimento avvolta nell'oscurità. Prima ancora che la consapevolezza prendesse il pieno controllo delle sue facoltà, il marinaio sentì la schiena dolere, mentre il braccio – da qualche parte inarrivabile del suo corpo – formicolava fastidiosamente.

Spostò la mano libera cercando a tentoni un appoggio stabile, in modo da poter far leva per raddrizzarsi, ma lentamente si accorse che le sue dita stavano toccando una superficie troppo irregolare per poter essere il materasso. Anche la consistenza era ben diversa, ma di cosa si trattasse rimaneva un mistero ai suoi sensi intorpiditi.

«Quando hai finito avverti.»

La voce risuonò in un punto spaventosamente vicino a quello dove supponeva si trovasse la sua mano. Per un attimo si immobilizzò, domandandosi stupidamente se i materassi parlassero. Turbato dal proprio assurdo pensiero cercò di fare mente locale; mosse piano le dita provando a definire ciò che stavano toccando, finché non sfiorarono una sporgenza dalla forma familiare. Si rese preoccupatamente conto che quello aveva tutte le probabilità di essere un naso e, orrore, quelle di fianco dovevano certamente essere delle labbra.

All'improvviso divenne molto più consapevole di ogni parte del proprio corpo: non solo della mano spalmata sul viso di Ravenna, ma anche della propria testa sulla sua pancia e del fianco cinto da un braccio di lei. Erano singolarmente incastrati i una posizione scomoda ad entrambi, che gli Dei soli sapevano come avevano fatto a trovare. Si tirò indietro di scatto, picchiando la schiena contro la parete.

«E per la cronaca» riprese Ravenna, «hai davvero la testa dura.»

Adrian borbottò qualcosa di incomprensibile mentre lei si raddrizzava, piegando il collo a destra e sinistra per tentare di recuperare la mobilità dei muscoli irrigiditi.

Diverse imprecazioni e grugniti dopo entrambi avevano di nuovo indosso i propri abiti, sebbene quelli di Ravenna fossero ancora umidi, e lo stesso cipiglio di chi aveva dormito male. Ma, se lei sembrava solo aver trascorso una notte poco riposante, lui aveva tutta l'aria di chi si fosse ridestato in una trincea della Guerra del Ferro.

Le voci, fino a quel momento un semplice sottofondo, divennero più forti e distinguibili non appena aprirono la porta, ma ancora l'argomento di discussione rimaneva inafferrabile nei discorsi che si sovrapponevano l'un l'altro. Giunti in fondo alle scale li accolse un anomalo quantitativo di avventori, specie per quell'ora del mattino. Erano tanti, troppi, si accalcavano intorno ai tavoli e in ogni spazio libero della sala. Era tutto confuso, dai corpi accalcati gli uni contro gli altri ai veri e propri dibattiti che avevano luogo in ogni angolo.

Ravenna intercettò uno dei numerosi presenti che, in quel momento, passò davanti a loro per trasferirsi da un capannello all'altro; lo fermò, afferrandogli un braccio con un gesto inquieto.

«Cos'è successo?» Domandò, gli occhi che saettavano da un punto all'altro della stanza con ansia nervosa.

L'ultima volta che aveva assistito a tanta agitazione era stato per l'arrivo in città di un cacciatore di taglie, uno dei pochi ancora in circolazione da quando la maggior parte di loro era stata reclutata per il fronte. Se la notizia della loro fuga si fosse diffusa in fretta, se il governatore avesse deciso di volerli riprendere ad ogni costo...

«Non avete sentito?»

L'uomo li guardò incredulo, eppure pareva eccitato dall'idea di poter essere il primo ad informare qualcuno della novità.

«È successo un paio di giorni fa, la notizia è arrivata stamattina: il Re è morto.»

Mentre il marinaio aggrottò le sopracciglia, turbato dalla notizia, Ravenna parve visibilmente rilassarsi tanto da sospirare di sollievo, suscitando lo sconcerto dei due uomini a lei vicini.

«Il principe Lachlan è il legittimo erede, ma sembra che suo fratello, il Bastardo, non voglia dargliela vinta tanto facilmente» continuò lo sconosciuto, quasi a spiegare il motivo per cui la morte del Re non potesse essere una notizia sollevante. Subito dopo se ne andò, liberando il braggio dalla presa e unendosi ad uno dei tanti gruppi immersi in accese discussioni.

«Guarda che non è una buona notizia» le fece notare Adrian.

«Eh? Ah, no, lo so» rispose lei, distratta.

«Ravenna, se il principe e il Bastardo non trovano un accordo e uno dei due non rinuncia alla corona, ci sarà una guerra civile» chiarì lui, parlando come se dovesse spiegare un concetto estremamente difficile ad una persona estremamente stupida.

«Lo so» rispose lei con indifferenza, coe se non lo avesse affatto ascoltato, iniziando ad avanzare nella massa in direzione dell'uscita.

Adrian si affrettò a starle dietro, ma nel farsi strada tra i corpi non riucì a continuare la conversazione. Dovette aspettare che furono entrambi fuori per riprendere la parola.

«E quindi...» la incitò, cercando di cavarle di bocca il motivo del suo apparente disinteresse, mentre lei si calcava il cappuccio in testa con un gesto naturale. Non le vide più il viso, ma la sentì sospirare.

«Vediamo se riesco a fartelo capire: di solito, quando la gente si riunisce nelle locande o nelle taverne in questo modo, è perché in città è arrivato qualcuno di... insolito. E, per questo, interessante. A volte è il Re, a volte è uno straniero di un'altro popolo... a volte è un cacciatore di taglie.»

Ravenna lasciò all'amico il tempo di arrivare da solo al punto della situazione, ma lui sembrava ancora confuso. In parte se l'era aspettato: lui non era abituato a quelle faccende da ladri.

«Coincidenza delle coincidenze, due giorni fa noi siamo scappati da una prigione. Non ci sono più molti cacciatori su piazza, ma uno potrebbe bastare e avanzare se stesse cercando noi. Ora ti è chiaro?»

La comprensione si fece largo nelle iridi di Adrian, estendendosi rapidamente all'espressione del suo volto.

«Temevi che uno di loro fosse qui» constatò, annuendo a sé stesso.

«Ma bravo.»

Il marinaio ignorò il sarcasmo nella sua voce. «Be', comunque non so quale delle due cose sia peggio: un cacciatore di taglie in città o una guerra civile in tutto il paese.»

«Date le circostanze, un cacciatore di taglie sarebbe molto peggio.»

Adria sgranò gli occhi, sconvolto.

«Stai scherzando?»

Ravenna non doveva essersi aspettata una replica tanto irrequieta, perché parve rimanere sorpresa dalla sua reazione. Con la fronte aggrottata sbatté le palpebre, smarrita.

«Perché te ne preoccupi tanto?» Chiese, sinceramente confusa.

«Perché...» boccheggiò Adrian, incredulo. «Una guerra civile, Ravenna! Siamo appena usciti da un altro conflitto e dovremmo iniziarne un altro?»

Ma lei era ancora disorientata. Sembrava davvero non comprendere le preoccupazioni del marinaio, come se ad essere assurda fosse l'ansia di lui invece del disinteresse di lei. Abbassò lo sguardo, facendo scattare le pupille a destra e sinistra come se stesse leggendo rapidamente qualcosa. I suoi stessi pensieri, forse, in un tentativo di comprensione. D'un tratto li rialzò sul petto di Adrian, sui bottoni della giacca scura, e la sua espressione di distese visibilmente. Era giunta ad una conclusione, come sempre. In un modo o nell'altro, capiva sempre tutto.

Lo inchiodò con lo sguardo da sotto il suo maledetto cappuccio, ogni traccia di incertezza svanita.

«Conosci le nostre leggi. Non possono costringerti ad arruolarti, non per una guerra civile. Né te né Rhonon.»

Adrian sbuffò.

«Non è questo il problema...»

Fu interrotto.

«No, il problema è che tu sia convinto che ogni città e ogni villaggio si trovino costretti a giurare fedeltà all'uno o all'altro pretendente, e che due eserciti si scontrino per conquistare i territori avversari uccidendo o obbligando alla fuga migliaia di civili. Be', non accadrà niente di tutto questo: la battaglia sarà privata, fatta di sabotaggi e tentativi di denigrazione. L'hai detto anche tu, Adrian, siamo appena usciti dalla guerra: non c'è un solo soldato che abbia intenzione di riprenderne un'altra. Non troveranno mai due eserciti abbastanza forti da scontrarsi sul campo, né credo abbiano così tanta voglia di distruggere la metà del regno che vogliono governare. Sarà tutta una questione politica, e la politica non ci riguarda. Nella peggiore delle ipotesi la capitale si spaccherà a metà e rimarremo senza un vero sovrano per qualche mese, forse qualche anno. Ma, per quello che faceva di utile il Re per la comunità, non sarebbe una grande differenza. Quindi, marinaio, sì, preferisco una guerra civile ad un cacciatore di taglie che mi sta alle costole. Chiamalo egoismo, se vuoi, ma le mie preoccupazioni sono un po' più pratiche e immediate delle tue. Non sono ancora viva e in libertà perché mi aspetto l'apocalisse ogni volta che un paio di aritocratici gonfiano il petto.»

Senza attendere alcuna risposta, Ravenna riprese la marcia lungo la via; nonostante Adrian rimase fermo per pochi secondi, irritato dalla sua testardaggine e ancora più dal fatto che non potesse darle torto, si trovò costretto a correre per arrivare ad affiancarla, tanto veloce e deciso era il suo passo.

«Spero che tu abbia ragione» commentò aspramente. «Lo spero davvero.»

«Allora spera, invece che essere fatalista. Se non sei capace di sperare tanto vale che ti siedi qui e aspetti la fine del mondo.»

La voce improvvisamente ridotta ad un mormorio, non c'era frase più sincera che lei avrebbe potuto pronunciare. Era la sua speranza che stava muovendo i loro mondi. La sua speranza di ritrovare il padre, la speranza che aveva avuto quando gli aveva chiesto di partire con lei da Port Gale, la speranza di riuscire ad evadere da quella cella.

La speranza di arrivare da qualche parte e lì, finalmente, potersi fermare.

 

È successo davvero: durante i giorni di mare ho riempito decine di pagine, scrivendo questo intero capitolo e anche una parte del prossimo. Tornata a casa ho solo dovuto ricopiare e fare tutti gli aggiustamenti del caso, operazione che odio a morte. Quando scrivo devo farlo di getto, mi infastidisce trascrivere interi blocchi di testo, motivo per cui ci ho messo così tanto.
Detto questo, torno al tema prossimo capitolo: sarà, in un certo senso, l'ultimo capitolo "isolato", che pur riprendendo gli avvenimenti del precedente e formando una tappa fondamentale per l'arrivo del successivo, non è strettamente connesso agli altri per una questione di continuità di scene. Per essere più chiara, dal 7° capitolo in avanti accadranno tutta una serie di eventi e situazioni allacciati l'uno all'altro, e potremo scordarci la relativa calma che abbiamo avuto fino ad adesso. 
Chiudo con i soliti ringraziamenti, verso tutti voi che state praticamente leggendo la mia mente. Siete sempre di più a seguire questa storia, anche se paradossalmente sono sempre meno quelli che mi fanno sapere realmente cosa ne pensano. A questo proposito voglio dire a tutti quanti che sono un po' lenta nelle risposte alle recensioni, perché da quando pubblico un capitolo poi ho poco tempo per entrare su Efp e non voglio scrivere due righe in croce di fretta. Ci tengo a dare a tutti una risposta completa - spero non noiosa - anche se questo significa quasi sempre un ritardo nel darla. Ma, e questo ve lo assicuro, rispondo sempre, non disperate.

Au revoir,
Astrid

   
 
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