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Autore: Lily White Matricide    21/08/2014    1 recensioni
Tutto ha inizio durante un viaggio in Irlanda, verde come gli occhi di Lily. Un viaggio per allontanarsi da Spinner's End per Severus, per averla ancora più vicina ... Per capire, tra uno sprazzo di sole ed uno scroscio di pioggia, che cosa sia averla vicina ogni giorno. La pioggia purifica e salva, il sole asciuga il senso di colpa .... E in tutti quegli anni e mesi e giorni, la pioggia irlandese accompagnerà sempre Lily e Severus. Un lungo viaggio nella loro adolescenza, che andrà ad incupirsi per l'ascesa di Lord Voldemort e dei suoi Mangiamorte, ma che li spingerà a prendere una posizione ben precisa in questa guerra all'orizzonte. Riusciranno i due ragazzi a sopravvivere alla guerra?
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Albus Silente, Lily Evans, Severus Piton, Voldemort | Coppie: Lily/Severus
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Irish Rain Saga'
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43.

Blood Roses



“You gave him you blood

And your warm little diamond

He likes killing you after you're dead

You think I'm a queer

I think you're a queer

Said I think you're a queer

I think you're a queer

I shaved every place where you been boy

I said I shaved every place where you been, yes"

Blood Roses - Tori Amos

 

La fatica di Voldemort diventava anche la sua fatica.
Ogni goccia di sudore del mago era come se iniziasse a scorrere anche sulla sua fronte, attaccando le ciocche di capelli corvini alle tempie, alla fronte, al naso. Lo vedeva impegnarsi, affannarsi dietro quella gloria che voleva raggiungere a tutti i costi, una gloria più grande di tutti loro e Bellatrix soffriva con lui. Si struggeva per ogni minuscola, quanto rara, dimostrazione di un qualsiasi stato d’animo dell’uomo per cui provava un’adorazione che si immergeva completamente nel liquido viscoso e opaco dell’ossessione. 
Non credeva nell’amore, era un sentimento per i deboli, così si diceva. E secondo Bellatrix, quel sentimento non aveva i contorni definiti e precisi della devozione, della fedeltà assoluta e incondizionata. L’amore era solo una ventata effimera di petali di fiori, di uccellini canterini e di giornate di sole splendente. Lei era devota. Fedele. Ossequiosa. Se il suo amante le avesse detto di trasfigurarsi in uno zerbino, perché lui era contrariato del fatto che i suoi stivali si fossero imbrattati di fango, lei lo avrebbe fatto senza mettere in dubbio l’ordine. Con quel gesto gli avrebbe fatto passare il malumore scatenato da uno sciocco paio di stivali infangati - qualsiasi cosa pur di dargli sollievo e conforto. Qualsiasi cosa, purché fosse lei sola a poterglieli dare.
Eppure, nell’ultimo periodo, lo struggimento della donna si era fatto più intenso, più doloroso, fino a farlo diventare fitte di amarissimo risentimento. Ma ci vedeva pure il riflesso preoccupante dell’odio. Aveva paura a dire che ogni tanto si ritrovava a odiarlo. Odiare Voldemort voleva dire cacciarsi in un guaio, talvolta mortale.
Odiarlo significava mettersi contro di lui - e lui tanto era impenetrabile, tanto era bravo a capire le sensazioni dei suoi sottoposti. La Legilimanzia era un’arte che aveva appreso e studiato a lungo per incantare e ingannare le persone con le sue meravigliose bugie, che una volta raccontate parevano dei capolavori di retorica.
Odiarlo voleva dire rifiutarlo sia come persona, sia come mago, e significava tirarsi indietro dal suo progetto. Uno sgarro, una frase contrariata, un’obiezione ed eri automaticamente fuori, un nuovo avversario da emarginare e possibilmente eliminare. Ma Bellatrix non voleva essere tagliata fuori, voleva fare tutto quello che le fosse possibile per eliminare la feccia del mondo magico - e se poteva farlo da protagonista, era proprio grazie a Lord Voldemort, che aveva radunato e organizzato le forze disorganizzate dei sostenitori della purezza di sangue.
Eppure, ultimamente non poteva fare a meno di nutrire qualcosa di oscuro per lui, che la metteva inconsciamente contro di lui, malgrado tutta la sua devozione. Forse era un’accumularsi di frustrazioni nate nella speranza di poter vedere qualcosa di più sul suo volto, un assaggio di emozione, un lampo nei suoi occhi. Una confessione inaspettata, qualche parola o frase esclusivamente dette a lei o pensate per lei. Niente, da quando erano iniziati i loro rendez-vous segreti e privati, non aveva mai avuto niente di tutto questo. Una parte di lei iniziava a scalpitare per qualcosa di più, per un segno di riconoscenza che lei potesse custodire gelosamente e poterlo definire proprio. Si rotolava da sola nel letto, con Voldemort già lontano, nel suo studio, rivestito di tutto punto, nuovamente in perfetto equilibrio fisico e mentale, con i pensieri lontani da Bellatrix. Lei rotolava tra le lenzuola e le coperte pregiate che coprivano il letto del suo amante, si aggrappava ai cuscini, se li stringeva al petto, cercando qualche traccia ancora fresca di lui, per imprimersela sulla pelle il più a lungo possibile. Ma lui… Sembrava così tutto d’un pezzo. Non lasciava alcuna traccia di sé nel letto, come se fosse invisibile o leggero sulle lenzuola, mentre il ventre di lei era un deserto incapace di accogliere tracce di vita.  A cos’altro poteva aggrapparsi? A quei sporadici baci? A quei momenti trascorsi tra le lenzuola quando lo voleva lui? Non lo sapeva più. A volte le sembravano un sogno, a volte un incubo, perché destinati a finire senza che lei ci guadagnasse qualcosa, né come persona, né come strega. Bellatrix affondava il viso in un tessuto che sapeva solo di marsiglia e poco altro; disperata, sperava in una prossima volta, un prossimo incontro, in cui avrebbe potuto ottenere di più. Eppure, quella “prossima volta” fatidica stentava ad arrivare, e intanto il risentimento cresceva a dismisura, presentandosi all’improvviso, come un ospite sgradito nel suo altare di devozione verso Voldemort. 
Non osava nemmeno mettere in dubbio il modus operandi di Voldemort, l’organizzazione che stava dando a chi aveva deciso di seguirlo; eppure, iniziava a provare del risentimento anche lì, un sentimento bizzoso che si alternava a piccoli scatti d’impazienza, nell’attesa che anche lei avesse un ruolo. 
Era gelosa di tutti gli altri Mangiamorte. Suo marito Rodolphus non contava in quanto marito, era dentro quel calderone di rivalità e gelosie che provava verso chi cercava di sgomitare nel mucchio per farsi notare e diventare il Mangiamorte prediletto del Signore Oscuro. Il problema era che quella gelosia stava diventando deleteria sul rendimento di Bellatrix sul campo: tutti avevano un ruolo preciso, o che era andato definendosi nel corso dei mesi, tranne lei. Lucius Malfoy, suo cognato, era “la bella faccia” della Magia Oscura, gestiva i rapporti al di fuori della cerchia di servitori del Signore Oscuro, rapporti che potevano anche essere tra funzionari di alto livello del Ministero; ma ci teneva anche a mantenere un’aria di sofisticata dignità a Hogwarts, tra i professori, grazie al buon legame con il Professor Lumacorno. Lo slavo, Karkaroff, che Voldemort chiamava Igor Aleksandrovič con molta formalità nel suo tono di voce, era colui che aveva lungamente studiato la magia tradizionale slava e germanica, e aveva bussato alla porta di Lord Voldemort con quelle sue creature strane, in quella Notte dei Cacciatori. E a volte, portava il suo amante lontano, togliendolo dalla sua vista. Perché questo Karkaroff sosteneva che non fosse sufficiente appoggiarsi al mondo della magia inglese, per poterlo conquistare: bisognava contare su tutto l’appoggio esterno possibile. E i suoi studi antropologici e magici lo avevano portato sulle piste della magia slava e quella germanica, da dove aveva scoperto l’esistenza delle Creature Oscure. 
Poi, era arrivato quel Mercurius - assolutamente ambiguo, la donna non aveva ancora capito quali fossero i suoi intenti e non capiva il motivo per cui Lord Voldemort gli desse così tanto credito, su una base di fatti a suo giudizio inesistente. Farneticava sulle Arti Arcane, oramai dimenticate da tutti e, come Karkaroff, sosteneva che per conquistare il mondo magico e oltre, non bastasse il mondo magico inglese. Mentre Bellatrix non voleva nessuno attorno e pensava di essere sufficiente per conquistare una nazione intera con il Signore Oscuro. Lei si sentiva onnipotente accanto a lui, quando era con lui, quando sapeva di avere i suoi occhi addosso nel momento in cui lei lanciava una delle Maledizioni senza Perdono. Usare una Maledizione Cruciatus aveva un gusto in più di cui solo lei conosceva il sapore. 
Pensava di essere sufficiente. Non lo era - e le sue occhiate si facevano più cupe, quando Voldemort si fermava a parlare con Karkaroff per sapere come andasse l’addestramento dei Crioshad, quando si chinava per esaminare gli scritti di Mercurius appoggiati sul tavolo. Quando lui e Lucius erano seduti delle comode poltroncine a sorseggiare vino e a ridacchiare di quanto fosse sciocco questo o quel funzionario al Ministero, o quanto ottuse fossero quelle persone che sostenevano le loro posizioni pro-Nati Babbani di fronte a Malfoy. 
Lei chi era? Lei, Bellatrix, perché era lì, allora? Per scaldargli il letto? Per svuotarlo di una necessità fisiologica che destabilizzava le sue facoltà mentali e magiche? Poteva soprassedere su un qualsiasi riconoscimento sentimentale - e d’altronde lei era sposata, ed era altrettanto vero che in una cerchia del genere, era praticamente certo che qualcuno sapesse della sua liaison con il Signore Oscuro. Ed era altrettanto certo che la notizia fosse passata di bocca in bocca, per arrivare fino a Narcissa, sua sorella; o peggio, poteva essere arrivata ai genitori, Cygnus e Druella. Tuttavia, poteva diventare anche motivo di vanto, l’avere il matrimonio di facciata e l’amante di un certo livello e spessore. Poteva mettere in buona luce la famiglia intera, in caso di vittoria. 
Bellatrix chi era in quel momento? Si sentiva solamente un pezzo di carne - lei che gli aveva dato, forse coscientemente o incoscientemente, molto di più di sé. Gli aveva dato diamanti, il meglio di sé - e l’odiava per questo, perché sembrava totalmente indifferente verso il valore della strega, che voleva il suo posto, il suo ruolo al più presto, ora che la faccenda si stava facendo seria e decisamente interessante. 

Il silenzio non voleva dire quiete totale. Per i poco attenti, ma chi sa ascoltare nel profondo di ciò che lo circonda, il silenzio aveva un suono, un rumore di fondo. Troppo spesso si associava la quiete alla stasi totale, e nel mondo della magia non c’era errore più marchiano che si potesse fare. La magia, l’energia magica che era dentro tutti i maghi e le streghe, aveva una gamma e varietà di suoni - ogni incantesimo aveva il suo fragore, il suo scoppio specifico, il suono di un Alohomora era ben distinguibile da quello di un Expelliarmus. Ma quando la magia non veniva evocata e praticata, non taceva, tutt’altro. 
Il suono della magia c’era sempre e comunque. Era appena una vibrazione, un vetro finissimo leggermente percosso, aveva quel timbro soffuso, ma limpido. Vibrava dentro tutti; o meglio, tutti i maghi buoni.
Mentre il rumore della magia nelle persone che iniziavano ad avere i semi urlanti della cattiveria dentro di loro, aveva tutt’altro timbro. Si faceva sempre più distorto, si mescolava allo stridere dei primi atti intrisi di perfidia. Lo corrompeva in maniera irrimediabile - tanto che a un certo punto, il suono della rettitudine sembrava l’unico a essere fuori luogo. E quando quest’ultimo cercava di intervenire, per ristabilire l’equilibrio, causava una cacofonia insopportabile che arrivava in maniera distinta alle orecchie di colui che ospitava tutto quel baccano.
Una persona onesta e retta era fondamentalmente un’armonia di suoni - fatti da nobili sentimenti, gesti quotidiani, pensieri, capacità e abilità, tra cui la magia. Ricercare i motivi per cui quest’armonia, a un certo punto, s’interrompeva in alcuni individui, era un’impresa troppo grande per uno solo. Ma succedeva. E quest’interruzione e corruzione non guardava in faccia a nessuno - colpiva a prescindere dall’età, dalla razza, dal colore della pelle, a prescindere dalla purezza del sangue.  
C’era una distorsione particolare, nel suono della cattiveria: era suadente, poteva dare fastidio per la sua distorsione, all’inizio, ma alcuni arrivavano ad abituarsi. Il suono della malvagità aveva bisogno di percussioni continue, affinché non si disperdesse e si placasse; queste percussioni non erano altro che atti malvagi - e ciascuno si adoperava per dare un ritmo a quelle azioni bieche. Poteva essere lento e profondo - poche azioni malvagie ma durature - come poteva essere martellante, dipendeva dall’individuo. 
Mulciber e Avery si erano accorti da qualche tempo di quelle dissonanze e percussioni dentro di loro - nel momento in cui avevano provato il desiderio di aggredire qualche altro SangueSporco tra gli studenti di Hogwarts. Ma erano stati fermati da colui che li aveva inizialmente esortati a mettersi alla prova, a testare la loro cattiveria. Lucius Malfoy aveva apprezzato - e prontamente riportato a chi di dovere - il tentativo di mettersi in mostra, ma da lì in avanti avrebbero dovuto procedere con molta più discrezione, per non essere scoperti e per non essere espulsi da Hogwarts e dare il via a qualcosa di molto più grande di loro, che entrambe le fazioni non sarebbero state in grado di gestire in maniera organizzata nelle prime fasi. 
Tuttavia, i due Serpeverde avevano sentito il rimbombo della prima percussione della cattiveria dentro di loro, quando avevano attaccato Mary MacDonald. Ne avevano apprezzato il suono, un timbro nuovo e diverso rispetto al mortorio che si sentivano dentro, quando imparavano i fondamenti della magia a Hogwarts. Era un suono nuovo, che avevano cercato invano negli schiocchi di un Incantesimo di Difesa, nel sobbollire di una pozione che di velenoso e letale non aveva assolutamente nulla. L’avevano trovato e non volevano più che li abbandonasse. 
Ma come fare? Se non potevano più andare a colpo sicuro, come avevano fatto prima, cosa potevano fare? 
Il suono della malvagità non era fatto di una nota sola: era fatto di tante altre note nascoste, sfumature da scoprire e da far risuonare. L’agire in maniera aggressiva era solo una parte di quel suono - bisognava scoprire altri modi di essere malvagi.
Mulciber e Avery erano stufi di stare ad aspettare i comodi di Lucius Malfoy - e uno di loro aveva avuto un’illuminazione, un pomeriggio noioso e soleggiato, al terminare dell’inverno. Essere cattivi, subdolamente cattivi, voleva dire anche essere in grado di manipolare qualcuno, rompere la sua armonia, distorcerla, farla diventare una confusione e un trionfo di caos. E loro sapevano chi manipolare, loro sapevano che cosa avrebbero dovuto fare per far tornare quel meraviglioso ritmo predominante. Dovevano convincere qualcun altro che quella musica era la migliore in assoluto e che valeva la pena farsi coinvolgere in quella melodia sinistra. Loro sapevano a chi rivolgersi.
Sapevano chi coinvolgere, perché quel ragazzo che volevano coinvolgere una volta per tutte aveva tutte le qualità per suonare un’intera sinfonia di cattiveria. Almeno, così pensavano. Era troppo avanti rispetto a tutti. Lo avevano lusingato, avevano cercato di stargli addosso come compagni di casata, come pseudo-amici. Ma non c’era più la voglia di recitare, non erano bravi, non erano portati per le recite. Avevano bisogno di qualcuno che recitasse per loro. 
Era il momento di prendere Severus Piton definitivamente, o lasciarlo andare; e in quel caso, il lavoro sarebbe stato proprio da rifare, con un’altra persona. 
Eppure, loro due sapevano dove e come convincerlo delle loro ragioni, della bontà della loro missione - erano convinti che un Serpeverde andasse toccato sull’orgoglio. 
Loro sapevano che l’orgoglio di Severus non stava nella purezza del sangue, non in maniera diretta, ma glielo potevano far pesare. Il suo orgoglio era “quella là”, Lily Evans. Per Severus, il fatto che fosse una Nata Babbana non faceva differenza - anche perché suo padre era un Babbano, non aveva senso che lui facesse differenze di nascita. Non ne aveva mai avuto, era un’incoerenza troppo evidente per lui. Per loro, Mulciber e Avery, il problema era che “quella là” fosse una SangueSporco. Ed era un potenziale nuovo bersaglio servito sul piatto d’argento, un obiettivo che si poteva colpire con estrema facilità, una volta ferito Severus nell’orgoglio.
In quel pomeriggio noioso, due avevano deciso che non ci sarebbe più stato tempo da perdere. Avrebbero dovuto affrontarlo in fretta; Avery aveva suggerito di farlo nella sera dell’Equinozio di Primavera, che sarebbe stato tre giorni dopo. 
“Da quando dai corda alla Divinazione?” osservò sarcastico Mulciber, mentre tornavano in Sala Comune.
“Divinazione rimane una materia inutile” spiegò l’altro “Ma oggi pomeriggio, ho avuto vari riferimenti all’Equinozio di Primavera…”.
L’Equinozio di Primavera implicava il perfetto equilibrio tra giorno e notte, e da lì in poi, la luce sarebbe diventata predominante rispetto al buio. Simboleggiava il rinnovamento e il risveglio; in Divinazione, era sempre il momento in cui si poteva dare vita a sogni, desideri e progetti nati nel freddo e nell’oscurità dell’inverno. La loro idea di attirare nella loro trappola Severus, in effetti, era lentamente germogliata nell’ultima brina invernale ed era ora che si svegliasse del tutto. 
Loro volevano contribuire a cambiare gli equilibri. Speravano che non vi sarebbe più stato il trionfo della luce, ma dell’oscurità. Non più il trionfo della tolleranza, della comprensione, dei sentimenti buoni e corretti verso tutti. Non il trionfo di una pluralità, non più il dominio dell’Altro, ma un dominio nuovo e incontrastato dell’Ego. Un solo, unico Ego indiscutibile che non era altro che Lord Voldemort. Quell’Ego voleva essere un nuovo Sole, dove tutti gli altri pianeti - servitori, fedeli, sostenitori - avrebbero ruotato attorno a lui, attratti dalla sua forza e dalla sua magia potentissima. Il Signore Oscuro voleva essere il nuovo astro che avrebbe fatto fiorire rose dal sangue purissimo nel giardino del mondo magico. 
“Poi” continuò Avery “Ho visto che Severus ha avuto qualche problema con i tarocchi… L’insegnante era estremamente preoccupato”. 
“Che intendi?” chiese Mulciber “Io odio queste fandonie, non ci capisco un granché…”. Però il ragazzo era stupito dalle capacità divinatorie dell’altro. O perlomeno, dalle sue capacità di comprensione di quella materia inutile. 
“Ha trovato il Diavolo dove non avrebbe dovuto trovarlo. L’insegnante gli ha detto di stare attento, perché qualcuno di indesiderato si sarebbe presentato presto”. Tacque un secondo: “Peccato che non ha idea che si sarebbero presentati ben due diavoli, di fronte a lui”. E loro non sapevano che se ne sarebbe presentato almeno un altro, in quei giorni, davanti a Sev.
Quei due diavoli erano pronti a percuotere di nuovo le corde della malvagità con rinnovato vigore: per Severus, quella musica sarebbe stata insopportabile. Infernale. 

La sera del 21 Marzo 1976 era arrivata. 
Mulciber e Avery erano tranquilli, in Sala Comune, facevano finta di essere concentrati sui compiti. Sapevano che Severus sarebbe rientrato brevemente prima di andare a cena, per lasciare in stanza pergamene e libri. 

I due lo videro arrivare, quando i loro sguardi si incrociarono, gli fecero un cenno con il capo e Avery lo chiamò.
“Severus, avremmo bisogno di te. Hai qualche minuto?”.
Il ragazzo immaginò che si trattasse di qualche compito che loro non riuscivano a fare. Borbottò qualcosa, sbuffò senza farsi vedere, e rispose secco: “Lascio i libri in stanza e arrivo”.
L’inquietudine si fece strada. Quella stessa inquietudine che si era fatta avanti quando aveva trovato il Diavolo ed era stato interpretato al rovescio, nella chiave di lettura più nefasta che ci potesse essere nei tarocchi. In quel momento, mentre entrava in stanza, si era visto il Diavolo camminare davanti a sé, per qualche attimo, prima di scomparire nel nulla. Appoggiò i libri e le pergamene sul letto, senza neanche riporli, com’era solito fare, nel baule ai piedi del letto e si sedette - o meglio - si lasciò andare per qualche attimo, buttando la testa sul cuscino. Guardò il soffitto assorto e respirò profondamente.
Chi era il Diavolo delle profezie insulse fatte a Divinazione? Chi era colui che lo avrebbe fatto cadere nella trappola che lui non era stato in grado di evitare? Sarebbe stato travestito, avrebbe agito sotto mentite spoglie, o lo avrebbe affrontato a viso aperto?
Era preoccupato, ma cercò di farsi forza: tanto valeva affrontarlo, in qualsiasi momento si sarebbe presentato, a prescindere dall’aspetto e dalla forma. 
Si rialzò, si sistemò i vestiti, i capelli spettinati - stavano diventando un po’ tanto lunghi a suo avviso, forse urgeva una spuntata, non esagerata, ma a Lily piacevano tantissimo, lo facevano più maturo dei suoi sedici anni - e si avviò verso la Sala Comune, preparando la sua espressione più impassibile in volto.
Si sedette, fingendosi innervosito dalla loro stupidità e incompetenza nel fare i compiti, coprendo il nervoso di quello che gli avrebbero potuto dire.
“Che c’è!?” disse secco e con il volto privo di ogni emozione. Mulciber e Avery sembravano più gongolanti del solito, non poteva trattarsi di compiti che non riuscivano a svolgere. 
“Abbiamo bisogno del tuo aiuto” iniziò Avery tranquillo.
“Ma non con i compiti” aggiunse sogghignando Mulciber.
Lo sguardo di Sev si fece attento. Non se ne accorse, ma si mise in guardia. 
“Lo sai che il nostro interesse per Hogwarts è… Diciamo relativo” continuò Avery.
“L’avevo notato” ribatté Severus, schernendoli. Gli sfuggì una risatina sarcastica e un po’ nervosa. I due sembrarono non farci troppo caso.
“Fuori di qua c’è molto di più per un Serpeverde” riprese sempre Avery “Lo sai che Hogwarts è troppo limitante per noi - e non abbiamo spazio per… Esprimerci”. 
Sev aveva inarcato un sopracciglio in segno di perplessità, ma non aveva osato ribattere, a quel giro. Forse iniziava a capire dove volevano andare a parare e l’inquietudine stava crescendo, fino a diventare panico. Doveva rimanere calmo, per quanto gli fosse possibile.
“Sai benissimo anche tu che quello che ti insegnano è limitante: lo sappiamo, sei troppo bravo e molto presto questa conoscenza non ti basterà più” aggiunse Avery.
“Quello che vogliamo offrirti, è di farti vedere che cosa stiamo imparando - il mondo che stiamo frequentando e… Conoscendo. Quel mondo ha veramente tanto da darti, fidati” aggiunse Mulciber, con un tono anche troppo amichevole.
Severus guardava altrove, ben lungi dall’incrociare lo sguardo degli altri due. Prima o poi, lo doveva sapere, avrebbe dovuto schierarsi, prendere una posizione nei confronti di quella sorta di amicizia, che non era amicizia, ma gli serviva per capire che cosa stessero tramando; serviva a Silente per capire se due giovani fossero già persi nel percorso della Magia Oscura; era servito per capire se Lord Voldemort fosse veramente così minaccioso. Che cosa doveva fare, ora? Non lo sapeva. Non sapeva cosa rispondere. In quel momento, si stava unicamente ricordando come respirare, per non annebbiare il cervello. 
“Tra un mese, per Pasqua, torneremo a casa. Vorremmo che tu venissi con noi, abbiamo una persona interessante da farti conoscere”. 
“Lucius Malfoy” pensò subito Sev.
“Sarà un’occasione per… Conoscerci meglio” osservò Avery “Naturalmente sarai ospite della mia famiglia. Hai la stoffa e la testa giusta per piacere ai miei genitori”.
Il ragazzo lo guardò negli occhi. I suoi occhi neri era come se fossero diventati all’improvviso opachi, come se non volessero più far entrare la luce e non volessero più far uscire le emozioni. 
“Perché me?” chiese Severus. Quello che era uscito dalle sue labbra era appena percettibile, ma non aveva il tono della rassegnazione, semmai quello della rabbia sorda. Sembrava più un ringhio.
Per un attimo, si sentì sopraffatto dal vittimismo, pienamente comprensibile per un sedicenne. Perché Silente aveva voluto che fosse lui a tenere d’occhio quei due? Perché quei due volevano tirarlo dentro le loro faccende? 
Poi si rese conto la ragione suprema per cui aveva acconsentito a farsi coinvolgere. Non era per quelli che aveva davanti in quel momento. Non era per il Preside Silente. 
Era per Lily, era sempre stato tutto per lei, e sperava che ogni rischio preso da lui, servisse a salvare lei dal pericolo incombente. 
“Perché meriti di più della mediocrità di Hogwarts” si giustificò Mulciber.
Severus si alzò in piedi, di scatto. “Bella la risposta di facciata. Ho chiesto PERCHÈ PROPRIO ME!?”. Era pronto per andarsene, e possibilmente, andarsene a cena, come aveva sempre fatto. 
Anche Mulciber si alzò in piedi. Si avvicinò a Sev, e per quanto quest’ultimo fosse ben più alto di lui, Mulciber era più muscoloso, aveva un aspetto più taurino. L’aria da amico rilassato era sparita e nei suoi occhi c’era il bagliore del Diavolo, quello dell’ingannatore supremo. 
“Perché te? Perché se non ci segui, la prossima SangueSporco attaccata è la tua amichetta con cui te la fai. E non ti conviene fare domande, perché noi sappiamo che accadrà presto, se non ci dai retta” lo minacciò gelido, senza troppi giri di parole. 
Severus rimase impalato lì dov’era. Si sentì gelare il sangue. Tutto tranne Lily, non dovevano torcerle un solo capello. Lui era certo che fossero loro, sicuramente guidati da qualcuno di esterno. Da un lato voleva rifiutare; dall’altro, c’era un milione di motivi per cui anche solo fingere di dare retta avrebbe potuto giovargli. Avrebbe conosciuto i nemici direttamente a casa loro, avrebbe avuto la possibilità di ottenere informazioni altrimenti non ottenibili. Avrebbe tenuto in salvo Lily, andando nella tana del lupo.
Ma chi glielo faceva fare, a sedici anni? Ne valeva la pena? E se, una volta accettato, avrebbero attaccato comunque Lily? Avrebbe comunque avuto la possibilità di farli a pezzi personalmente, e senza bacchetta, in quel caso, perché avrebbe avuto la certezza che sarebbero stati loro gli autori del gesto abominevole. 
Non gli andava, però, di accettare in posizione di svantaggio. Doveva fare in modo che quelli sottomessi a quel patto fossero loro. Non gli andava di rifiutare nettamente quella proposta, non senza prima aver valutato una contro-proposta vantaggiosa e non senza aver valutato i pro e i contro. Voleva guadagnarci il più possibile, in quella situazione: più avrebbe guadagnato, più Lily sarebbe stata in salvo. Almeno, così sperava in cuor suo. Se lo ripeteva ossessivamente, di salvare Lily.
“Tu invece sarai il primo che pietrificherò, doveste fare del male a quella ragazza”. Non erano degni di sentire il suo nome. Voltò loro le spalle: “Ho del tempo per pensarci?” chiese tagliente.
“Temo non molto” rispose Avery, con quel sorriso soddisfatto di chi sa di essere riuscito nel suo intento. “Tre giorni ti possono bastare?” aggiunse, cercando di essere accondiscendente e non bruciarsi definitivamente la possibilità di avere Severus dalla loro parte.
“Sì. Basteranno” tagliò corto. “Me li devo far bastare” pensò tra sé e sé. 
Severus se ne andò senza salutarli. Appena uscito dalla Sala Comune, si voltò a destra e a sinistra per accertarsi che non ci fosse nessuno di conosciuto nei paraggi e iniziò a correre. “Al diavolo la cena”, si disse, con lo stomaco completamente chiuso. Aveva urgentemente bisogno di Silente. Aveva bisogno del suo sostegno, della sua guida. Di un suo consiglio, prima che scadessero quei tre giorni.

Lily era seduta a tavola con le altre e stava raccontando divertita, per l’ennesima volta, di quella volta che aveva scatenato una rissa lo scorso San Valentino; quella volta che si era fatta viva l’unica gattamorta che ci avesse mai provato con Severus al di là di lei. Solo che lei non era una gattamorta, lei sapeva quello che voleva, e si era mossa di conseguenza, a suo tempo. Di tanto in tanto, la incrociava ancora per i corridoi, ma quest’ultima guardava altrove o abbassava la testa, vergognosa.
Era persa nel racconto e nelle risate generali, al punto che non si era accorta dell’assenza di Severus. Avevano passato il pomeriggio a esercitarsi con il Levicorpus. Alla fine Sev le aveva confessato tutto, e lei non l’aveva presa così male. Era rimasta un po’ stupita per poche ore successive alla confessione, ma poi la curiosità di vederlo applicato aveva preso il sopravvento. Così, nei giorni successivi aveva insistito per farselo insegnare da Sev. Aveva accettato di farsi malamente sollevare e rovesciare in aria da Lily, non senza essere caduto a terra, nei primi goffi tentativi. Lily aveva accettato di fargli da cavia, a sua volta, a patto che il ragazzo non la tenesse fluttuante troppo a lungo. Non che provasse vergogna nel far vedere le gambe…
Si erano lasciati prima di cena, come sempre, e ognuno sarebbe andato a mangiare con la propria Casa. Durante il pasto, erano soliti incontrarsi con lo sguardo, quindi Lily, come al solito, iniziò a cercarlo. Sapeva più o meno dove era abituato a sedersi, al tavolo dei Serpeverde, quindi andò a colpo sicuro. Non lo trovò. Il posto era proprio vuoto. Rimase stupita e perplessa. Poco distante dal posto di Severus, Mulciber vide Lily e incrociò per qualche attimo il suo sguardo, per poi dare una gomitata ad Avery, che la guardò sghignazzando. Poi, tornarono a concentrarsi sui loro piatti. Lily li guardò con disprezzo e cercò Regulus Black con lo sguardo. Era solito sedersi a destra di Sev. Regulus si accorse di Lily, che con il movimento delle labbra, ma senza parlare, gli chiese “Severus?”.
Regulus guardò il posto vuoto accanto a sé, ma scosse la testa, alzando le mani: non sapeva dove fosse.
Lily cercò di imitare qualcuno malato, e fece una smorfia con il viso. “Malato?” provò a chiedere ancora. Il Serpeverde scosse di nuovo la testa, mostrandosi dispiaciuto. 
La ragazza continuò a mangiare il suo piatto di cosce di pollo e patate arrosto, ma improvvisamente si zittì. Saltò il dolce, con una certa preoccupazione via via crescente. Che una delle botte prese durante la pratica del Levicorpus si fosse rivelata più seria del dovuto? In cuor suo sperava che fosse andato da Madama Chips a farsi dare un’occhiata, per precauzione. Dopo cena avrebbe provato a passare in Infermeria.
Intanto, Severus era corso verso lo studio di Silente, cercando di non dare troppo nell’occhio. Ma nella sua corsa, arrivato quasi a destinazione, aveva incontrato la Professoressa McGranitt.
“Signor Piton!” esclamò ferma “Dovrebbe essere a cena con i suoi compagni di Casa”.
Sev si sentì nei guai. Voleva evitare reprimende e punizioni. Cercò di essere onesto, almeno con lei, in quella serata travagliata: “Professoressa, avrei urgenza di parlare con il Preside Silente”. 
“Se ha un problema urgente, può anche rivolgersi al Professor Lumacorno, signor Piton” osservò pratica l’insegnante di Trasfigurazione.
“Guardi, ho proprio necessità di incontrare il Preside, davvero…” continuò Sev, sempre più agitato. Doveva vederlo, iniziava a sentire la necessità di avere un consiglio saggio, il più presto possibile.
“Mi dispiace dirle che per qualche giorno il Preside non ci sarà, per impegni della massima importanza” spiegò dispiaciuta la McGranitt. “Se le può essere di conforto nell’immediato, ne parli con il Professor Lumacorno, mi ascolti. Lo troverà di sicuro a cena”. Sev la guardò sconvolto da quella notizia, sentendosi perso.
“Se lo dovesse vedere nei prossimi giorni… Gli può dire che ho bisogno di parlargli?” chiese. La McGranitt annuì. Lui non disse altro, si limitò a ringraziare la professoressa per la gentilezza e si allontanò abbattuto.
E adesso che faccio?
” si chiese. Quella notte sarebbe stata una delle più difficili in assoluto - e Sev scommesse che l’avrebbe passata insonne, ad attorcigliarsi nelle coperte pensando a cosa fare, quale scelta compiere, senza l’aiuto di Silente. Che cosa avrebbe detto a Lily, l’indomani?
 

* * *

Ed eccomi qua <3 Vi avviso molto semplicemente che le cose si faranno decisamente tese. Ci stiamo avvicinando a un momento che non vedevo l’ora di scrivere, perché sarà difficile e pieno di sentimenti da gestire - e il capitolo 44, “Mercy Street”, il prossimo, sarà emotivamente molto intenso. Anche per me che lo scriverò. Anche il 45, “Slavocracy”, sarà molto intenso, ma… Insomma, come vedete, le fila della storia ce le ho in pieno controllo e sono soddisfatta di aggiornare più o meno con regolarità. 

Ah, la meraviglia di poter parlare dei tarocchi in un contesto dove sono perfettamente normali (di tanto in tanto, me li faccio fare, ma non ne parlo mai perché sembro una pazza fricchettona, in realtà sono molto interessanti da conoscere, per le metafore e la splendida iconografia che hanno). Fortunatamente, non ho mai trovato il Diavolo nella lettura a rovescio, mentre nella lettura a diritto è piuttosto innocuo. Comunque, vanno sempre interpretati e ben inquadrati nella lettura generale. Tutto questo esoterismo mi appassiona e sono contenta di poterne mettere un po’ di più… Per rendere questo mondo magico ancora più magico. Sennò che mondo magico è!?

A presto… Preparate i fazzoletti per il capitolo 44…

Lily White Matricide <3

   
 
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