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Autore: Koori_chan    21/08/2014    4 recensioni
[L’Ottobre del 1703 era uno dei più caldi che la gente di Londra ricordasse.
Per strada i bambini correvano scalzi schiamazzando senza ritegno, e sul mercato si vendeva ancora la frutta dell’estate; il sole, che già aveva incominciato la sua discesa verso l’orizzonte, illuminava i dock di un’atmosfera tranquilla, pacifica, quasi si fosse trattato di un sogno intrappolato sulla tela di un quadro.]
Quando un'amicizia sincera e più profonda dell'oceano porta due bambine a condividere un sogno, nulla può più fermare il destino che viene a plasmarsi per loro.
Eppure riuscirà Cristal Cooper, la figlia del fabbro, a tenere fede alla promessa fatta a Elizabeth Swann senza dover rinunciare all'amore?
Fino a dove è disposta a spingersi, a cosa è disposta a rinunciare?
Fino a che punto il giovane Tenente James Norrington obbedirà a quella legge che lui stesso rappresenta?
E in tutto ciò, che ruolo hanno Hector Barbossa e Jack Sparrow?
Beh, non vi resta che leggere per scoprirlo!
Genere: Avventura, Generale, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Elizabeth Swann, Hector Barbossa, James Norrington, Nuovo Personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo Tredicesimo~






Sete.
Violenta, soffocante, graffiante; la sete raschiava la gola e le labbra gonfiate e spaccate dal sale.
C’era qualcosa’altro oltre al desiderio impellente di bere, qualcosa di soffice, di delicato, come la carezza di un guanto di seta, come una brezza gentile e materna.
E il sole.
Quel calore costante e vitale non poteva che essere il sole.
Pian piano la vita riprese a scorrere nelle sue vene come lava incandescente, scaldandole il cuore; ad ogni istante un nuovo dettaglio stuzzicava la sua coscienza stanca e rattrappita: le grida alte e giocose dei gabbiani, lo sciabordio complice delle onde, leggeri scalpiccii poco lontano, un gemito misurato e composto al ritmo con il sibilo del vento…
L’ultimo senso riacquisito fu il tatto.
L’acqua salata colava lenta sulla pelle, appiccicando i vestiti al corpo indolenzito e privo di forze. La schiena poggiava su qualcosa di duro e di stabile e un braccio bruciava terribilmente.
Improvvisamente qualcosa le colpì il viso con un debole schiocco, facendole aprire gli occhi di scatto.
- Señorita! Todo bien?
Sole, luce, cielo, vele.
Era su una nave.
Abbassò appena lo sguardo fino ad incontrare un paio di preoccupati occhi castani.
Un uomo la stava schiaffeggiando delicatamente, forse la credeva svenuta.
Le disse qualcosa che non comprese, poi una voce che sembrava provenire da molto lontano parve ragguagliarlo.
L’uomo si schiarì la voce e riprovò.
- Riuscite a capirmi? State bene, signorina? –
Annuì debolmente, troppo stanca anche solo per pensare.
- La Fleur de Lys… - mormorò in un soffio.
Lo sconosciuto si chinò su di lei e le spostò una ciocca di capelli dal viso.
Solo in quel momento si accorse del capannello di facce attorno a loro.
- Andrà tutto bene, Señorita, non preoccupatevi. Qui siete al sicuro…- sussurrò lui con un’espressione dolce e paterna.
Come cullata da quelle parole sorrise appena. Non riuscì ad opporre ulteriore resistenza, chiuse gli occhi e crollò addormentata.
I giorni seguenti furono un susseguirsi di sogni agitati e veglie deliranti. Aveva la febbre alta, questo era riuscita a capirlo, e il bruciore al braccio persisteva.
Terrorizzata dall’idea che dovessero amputarglielo, cercava di farsi forza pensando che per lo meno era il sinistro, senza tuttavia grandi risultati.
Nei radi momenti di lucidità, sebbene stordita dal sonno e dal dolore, aveva percepito la presenza dell’uomo dagli occhi castani affaccendarsi attorno alla branda dove l’avevano adagiata.
Ogni tanto le davano da bere una strana brodaglia dal gusto forte e tremendo, un misto di alcohol e dio solo sa cosa, ma pian piano le sembrava di riprendersi; i sogni si erano fatti meno agitati e la testa non doleva più come prima.
Aprì gli occhi un giorno in cui il vento accarezzava gentile i fianchi dell’imbarcazione, quasi avesse voluto condurla per mano fino a un porto sicuro dove poter riposare.
Sbatté le palpebre un paio di volte per abituarsi alla luce che filtrava attraverso i vetri degli oblò incrostati di sale e cercò di mettersi a sedere.
Si trovava in una stanza piccola, arredata semplicemente con un letto, un piccolo armadio e una discreta quantità di casse e bauli aperti; probabilmente era la cabina del Capitano.
- Buongiorno, Señorita! Vi sentite un po’ meglio? –
Quel saluto improvviso la fece voltare di scatto verso l’altra estremità della stanzetta, dove l’uomo dagli occhi castani se ne stava seduto a un piccolo scrittoio, fra le mani una bottiglia di rum.
- Buongiorno… - balbettò, appena in imbarazzo.
- Sto… sto meglio, grazie… - aggiunse per vedere l’espressione dello sconosciuto distendersi in un grande sorriso.
Aveva i capelli scuri appena striati di grigio raccolti in un codino basso e ondulato, anche se alcune ciocche sfuggivano al nastro colorato e gli ricadevano sulla fronte.
Indossava un paio di grandi stivalacci neri e dei pantaloni di un rosso improbabile, corredati da un’ampia camicia chiara e da una giacca appariscente.
Un paio di baffetti gli rendevano l’espressione intelligente e simpatica.
A giudicare dalle rughe lievi attorno ai suoi occhi doveva avere una quarantina d’anni, forse anche un pochino di più, ma il suo fisico asciutto pareva ancora nel pieno delle forze.
- Chiedo scusa, dove mi trovo? – si azzardò a domandare.
- Siete a bordo della Diablo del Mar, che al momento sta veleggiando al largo di Cherbourg! Siete stata molto fortunata, Señorita: avete avuto la febbre alta, pensavamo non ce l’avreste fatta… - spiegò.
Diablo del Mar… Quindi era su una nave spagnola? Come diamine era arrivata su una nave spagnola?
Tutto quello che ricordava era di essersi impigliata a qualcosa e di aver sentito uno strappo prima di aggrapparsi a qualcosa di solido.
Era forse riuscita a togliersi la gonna? Cercò di ricordare altri dettagli, ma le uniche immagini che riusciva a rievocare erano onde alte e scure e l’acqua gelida che le congelava le ossa.
- Oh, scusate, non mi sono nemmeno presentato! Sono il Capitàn Ramirez, e non preoccupatevi: ho dato l’ordine ai miei uomini di non toccarvi nemmeno con un dito. Non che voi diate l’idea di non sapervi difendere da sola… - ghignò con un cenno del capo in sua direzione.
Confusa, Cristal abbassò lo sguardo per notare che non indossava più la gonna, ma solamente i suoi vecchi abiti maschili.
Sussultò, consapevole di essere stata scoperta. E adesso?
Ramirez scoppiò a ridere di gusto e si passò una mano fra i capelli.
- Calma, calma! Non ho alcuna intenzione di denunciarvi alle autorità! Dopotutto qui siamo tutti sulla stessa barca… - spiegò mostrando il polso sinistro, sul quale una cicatrice a forma di P raccontava una storia cupa e terrificante.
- Mi catturarono a Cadíz quattro anni fa, ma riuscii a scappare, e ora eccomi qui! – raccontò con un sorrisetto compiaciuto.
Dava l’idea di essere un tipo che non si abbatte di fronte a nulla, e il suo viso sincero spronò la ragazza a raccontare la sua storia.
- Mi chiamo Cristal Cooper, sono di Port Royal. Un anno fa vi fu un attacco da parte di una flottiglia di pirati Filippini. I miei genitori furono rapiti, e per salvarli entrai in affari con un pirata. Il resto credo lo sappiate meglio di me… - fece, lo sguardo basso.
- E siete riuscita nel vostro intento? – domandò il Capitano, curioso.
La ragazza annuì, portando istintivamente una mano al ciondolo.
- Mia madre. Lei sta bene. Mio padre è morto a Capo Horn, in una tempesta. –
L’uomo si avvicinò e si sedette accanto a lei, portandole un braccio attorno alle spalle.
- Siete stata coraggiosa, Cristal. La vostra storia vi fa onore. – le disse con estrema serietà.
Poi il suo sguardo si addolcì.
- Dios vi ha fatto la grazia di salvarvi dalla furia dell’Oceano: la vostra vita deve valere molto. Se vorrete, la Diablo sarà la vostra casa. Siete la benvenuta a bordo. –
Cristal considerò quelle parole e si rese conto dell’immensa fortuna che aveva avuto. Non solo era sopravvissuta al naufragio, ma la nave che l’aveva soccorsa era una nave pirata, e il Capitano si era dimostrato una persona talmente gentile e amichevole che se non avesse visto di persona il marchio a fuoco sul suo polso non l’avrebbe mai creduto un fuorilegge.
- Vi ringrazio, Capitano…  - sussurrò, riconoscente.
L’uomo le sorrise e si incamminò verso la porta di fronte al letto.
- Solo Ramirez, por favor! – e con un occhiolino accattivante scomparve al di là dell’uscio.
Si lasciò cadere nuovamente sdraiata, centinaia di pensieri e preoccupazioni a frullarle nella testa.
Quanto tempo era passato dal naufragio della Fleur del Lys? Jack era riuscito a salvarsi? Cos’avrebbe fatto d’ora in avanti?
Secondo Ramirez Dio l’aveva graziata. Non aveva avuto il coraggio di dirgli che lei, in Dio, non aveva mai creduto, nemmeno da bambina, ma non riusciva ad evitare di chiedersi se la sua salvezza non fosse dovuta a qualche strano disegno del destino.
Leggermente barcollante, si alzò dalla branda e gioì nel trovare i suoi stivali poco lontano.
Le girava un poco la testa e si sentiva terribilmente debole, ma era stufa di rimanere a letto, e se davvero avrebbe dovuto trascorrere il resto dei suoi giorni a bordo della Diablo del Mar avrebbe dovuto darsi una mossa a prendere dimestichezza con la nave.
Raggiunse la porta e salì una rampa di scalette finchè non sentì di nuovo la brezza sul suo viso. Chiuse gli occhi e inspirò a fondo l’aria salmastra, sentendosi immediatamente meglio, ma un’innaturale silenzio la portò a guardarsi intorno.
Il ponte si era come congelato, i marinai immobili a fissare le palle degli occhi sulla sua figura quasi fosse stata una sirena o qualche altra strana creatura mitologica.
Cercò di dire qualcosa, ma si ritrovò presto placcata da un paio di braccia forti e affettuose.
- Sei viva! Che bello! Toby pensava che saresti stecchita, ma sei viva! –
Prima che potesse rendersi conto di cosa fosse successo, un altro individuo le staccò di dosso quel bizzarro concentrato di riccioli ed energia che le era saltato al collo.
- Toby, piccola pulce, lasciala respirare! –
Cristal riconobbe la voce fuori campo che aveva udito quando era stata issata a bordo e scoprì che apparteneva ad un uomo alto con la pelle abbronzata e le braccia muscolose coperte di cicatrici.
- Io sono Finn, e questo disgraziato e Toby. – fece indicando con il pollice un ragazzino alto e magro, che poteva avere su per giù l’età di Cristal.
- Il poveretto ha il cervello di un bambino di cinque anni, ma è infaticabile, un ottimo marinaio! – spiegò poi Finn senza premurarsi di abbassare la voce.
- Sì! Toby è un ottimo marinaio! – ripeté il ragazzo, mostrando i muscoli delle braccia mentre i riccioli castani ondeggiavano qua e là.
Cristal sorrise e si presentò a sua volta.
- E tu che disgrazia ci porti? – le chiese Finn con un sorriso sornione.
- Prego? – replicò quella, non del tutto certa di aver capito.
- A Ramirez non interessano le persone normali. Vuol fare il pirata, ma ha l’animo del buon samaritano… Guarda che ciurma a messo insieme! Un ritardato, un monco… - spiegò alzando una gamba.
Cristal sgranò gli occhi nel notare che era finta.
- Kinsale, contro gli Inglesi. Ma è stato molto tempo prima di arrivare sulla Diablo. Allora, tu che problema hai? –
Cristal ridacchiò, stringendosi nelle spalle, mentre Toby continuava a girarle intorno scrutandola come se fosse stata una scimmia o un pappagallo colorato.
Forse sbagliava, forse era ancora presto per giudicare, ma sentiva che la ciurma di quella goletta sgangherata sarebbe davvero potuta diventare la sua nuova famiglia.
Le settimane passarono in fretta, e ad ogni tramonto la figlia del fabbro riacquistava le forze, finchè non si fu completamente rimessa.
La ciuma, composta in totale da dodici individui così bizzarri da sembrare frutto della fantasia, era tranquilla e divertente: non vi erano dissidi a bordo, ogni cosa veniva equamente divisa e Ramirez sapeva gestire con fermezza e giustizia ogni problema che si presentasse. Era un Capitano capace ed astuto, che aveva imparato con gli anni e l’esperienza a farsi rispettare senza il bisogno di usare violenza.
Dopotutto si trattava di un uomo pacifico, e più che un pirata lo si sarebbe potuto definire un contrabbandiere.
- Ricorda sempre, Cristal: è l’abito a fare il monaco. Se riuscirai a farti un nome rispettato e temuto, non sarà necessario far scorrere sangue. O almeno non più del dovuto. – le diceva spesso, raccontandole di come una goletta dall’equipaggio così disastrato come la Diablo riuscisse a tirare avanti senza alcun problema di sorta.
Eppure, se volevano mettere le mani su un buon carico di seta o d’oro in arrivo dalle Americhe, non potevano certo astenersi dall’attaccare altre imbarcazioni.
Completamente assenti nell’anno di navigazione speso assieme a Jack, gli arrembaggi erano il momento della vita di mare che Cristal preferiva in assoluto: più di stare al timone con Ramirez, più di dare una mano in cucina a Finn, più di sedersi accanto a Toby e raccontargli mille e mille storie per godere della sua espressione piena di meraviglia; nulla, per lei, era paragonabile alla scarica di adrenalina che le accendeva il cuore nel bel mezzo di una battaglia.
Quella era la vita avventurosa che aveva sempre sognato e, finalmente, sentiva di trovarsi nel posto giusto al momento giusto.
Capitava ancora, a volte, che il suo pensiero andasse a casa, che risalisse le stradicciole di Port Royal fino a raggiungere Villa Swann e che, con un po’ di concentrazione, riuscisse ad immaginare Elizabeth affacciata alla finestra di camera sua, lo sguardo fisso sull’orizzonte nella speranza di poterla veder tornare.
Avrebbe voluto riabbracciarla, o almeno scriverle una lettera per rassicurarla, per raccontarle che tutto andava per il meglio e che era felice della sua nuova vita, ma era ben consapevole di non potersi permettere un simile lusso.
Ormai aveva scelto la sua strada, una strada che l’aveva condotta sempre più lontano da coloro che amava in cambio di una libertà a lungo agognata. Era giunto il momento che chiudesse i ricordi a doppia mandata in fondo al suo cuore e accettasse una volta per tutte la sua decisione.
Ormai, si ripeteva accarezzando distrattamente la collana di sua madre, lei apparteneva all’Oceano.
 








La stagione delle piogge si era riversata su Port Royal con innaturale violenza, quasi avesse voluto rimproverare i suoi abitanti per chissà quale grave mancanza, per chissà quale affronto alla vita stessa.
L’acqua scrosciava sui tetti e lungo le strade, ribollendo nelle pozzanghere e nei barili vuoti, il vento scuoteva le palme e fischiava meschino nelle fessure di porte e finestre.
Al Forte, al riparo del candido colonnato, un uomo osservava la tempesta abbattersi lungo la costa, un sorriso malinconico ad ogni fulmine che squarciava il nero pece delle nubi.
Da quando era tornato dalla sua disperata spedizione, il Capitano James Norrington non era più lo stesso.
Stanco, vuoto, arido, sembrava solamente il fantasma dell’uomo energico e deciso di un tempo. I suoi colleghi e sottoposti avevano imparato a conoscere un ragazzo disponibile ed educato, il carattere serio e stacanovista smussato dalla genuina irruenza dei sorrisi della giovane Cooper, ma da quando il Mare del Nord se l’era portata via, la luce negli occhi dell’Ufficiale si era spenta di colpo, lasciandolo simile a un guscio vuoto.
Sembrava che l’unica cosa in grado di dargli un po’ di sollievo fossero i fulmini, quasi come se l’aria elettrica della tempesta gli portasse alla mente ricordi di una vita migliore.
Fu uno dei tanti giorni di pioggia che qualcuno venne a disturbare la sua contemplazione assorta.
- Capitano Norrington… -
Si voltò di scatto, ritrovandosi con una certa sorpresa ad incrociare lo sguardo cupo di Weatherby Swann.
- Governatore! Buongiorno! – lo salutò, osservando vagamente incuriosito il mantello grondante dell’uomo e la parrucca imperlata di goccioline d’acqua.
- A cosa devo l’onore della vostra visita? – domandò poi, quasi preoccupato dal ritrovarsi al cospetto di Swann in quello stranissimo frangente.
L’uomo mosse qualche passo sotto al porticato, rivolgendo un’occhiata nervosa alle saette che illuminavano la baia, poi trasse un profondo sospiro.
- Si tratta di Elizabeth. – sentenziò serio, torturandosi le mani.
- Da quando ha ricevuto la notizia della scomparsa di Miss Cooper… Sono molto preoccupato, Capitano Norrington! Non parla più, mangia poco, a malapena si alza da letto… - spiegò, negli occhi chiara la paura di un peggioramento delle condizioni della figlia.
Norrington digrignò impercettibilmente i denti, una rabbia e un dolore profondi a scuotergli l’animo.
- Cristal era la sua più cara amica, la reazione di Miss Swann è più che comprensibile… - si limitò ad asserire, la voce pesante e il cuore rattrappito e consumato.
- Non capite, Elizabeth si sta lasciando andare! Ve ne prego, Capitano, dovete parlarle! –
A quella richiesta il giovane sobbalzò.
- Come, prego?! –
Swann annuì vigorosamente, muovendo un altro passo verso di lui.
- Ho provato in mille modi a farla ragionare, ma non vuole darmi ascolto! –
- E secondo voi con me dovrebbe essere diverso? In tutta onestà, Governatore, non credo che la vostra sia una buona idea… - si difese quello, voltandogli sgarbatamente le spalle.
Come avrebbe potuto aiutarla, lui che a malapena riusciva a tenere insieme i suoi, di pezzi? Come avrebbe potuto esserle di conforto, lui che non aveva mai osato un sorriso più di quanto non fosse richiesto dall’etichetta?
- James… -
A sentirsi chiamare di nuovo per nome dopo tanti anni, Norrington si irrigidì, il respiro trattenuto.
- Voi ed Elizabeth siete cresciuti insieme, a Londra. Vi ha sempre stimato ed ammirato, e vi è profondamente affezionata. Se non ascolterà voi, non so davvero a chi altri potrei rivolgermi… - esalò, acquattata nelle sfumature della sua voce una disperazione profonda e nera.
James, sempre voltato di spalle, si morse un labbro, combattuto.
Dopotutto Elizabeth aveva sofferto di certo quanto lui, sola e abbandonata dall’unica persona che avesse saputo capirla e illuminare le sue giornate.
Con quale cuore avrebbe potuto ignorare il grido di aiuto di un padre devoto? Con quale coscienza avrebbe potuto fingersi cieco di fronte al desiderio di morte di una ragazza così giovane, un’amica che aveva visto crescere e sbocciare come il più bello dei fiori?
Trasse un profondo sospiro e si voltò nuovamente verso il Governatore, annuendo piano.
- Farò tutto ciò che è in mio potere, ve lo prometto. –
Quando bussò alla porta della camera di Elizabeth Swann, nessun suono gli giunse in risposta.
Picchiò ancora le nocche contro il legno chiaro, annunciandosi a mezza voce.
- Miss Swann, sono James Norrington… Io… - ma anche quella volta Elizabeth tacque.
Norrington sbuffò, imbarazzato. Per quale motivo quell’ingrato compito doveva spettare proprio a lui? Se almeno si fosse degnata di uscire dalla sua camera!
- Miss Swann, sto per entrare! – fece, alzando la voce.
Niente, silenzio.
Spazientito e ben deciso a portare a termine quella farsa il più in fretta possibile, mandò al diavolo ogni etichetta e spalancò la porta, facendo irruzione nella stanza.
- Elizabeth… - gli sfuggì in un sussurro quando finalmente comprese ciò che agitava i pensieri del Governatore.
La stanza era completamente a soqquadro, i cassetti erano rovesciati, le ante degli armadi aperte, così come le finestre dalle quali entrava con prepotenza il vento in arrivo dal mare.
- Santo cielo, Elizabeth, così vi si allagherà la stanza! – esclamò, fiondandosi a chiudere le finestre.
La figlia del Governatore era a letto, seduta fra le coperte. I capelli sciolti sulle spalle erano sparsi sui cuscini, e alcune ciocche le ricadevano sugli occhi gonfi e arrossati.
- Vi ha mandato mio padre, vero? – sibilò rabbiosa dopo qualche istante di silenzio, senza tuttavia alzare lo sguardo su di lui.
James annuì.
- Sì, è così. Ma mi pento di non essere venuto io prima. – aggiunse.
La ragazza si decise finalmente a guardarlo in viso, stupita dalla sua sincerità, poi tornò a puntare lo sguardo sull’orizzonte burrascoso.
L’Ufficiale rimase in piedi nell’attesa di una qualsiasi replica, poi, arresosi a dover intraprendere una battaglia di silenzi, si sedette ai piedi del letto su una grande cassapanca decorata in rosa e oro.
Rimasero così per una decina di minuti, ognuno dei due arroccato nella sua personalissima fortezza di odio e rancore, finchè, all’improvviso, Elizabeth non ruppe il silenzio.
- Come fai? – domandò in quella che parve un’accusa.
- Come fai a continuare a vivere dopo quello che è successo? Come fai a uscire in strada e accettare la vita che va avanti lo stesso, come se lei non fosse mai esistita, come se tutto fosse normale?! – finì per gridare, le guance solcate da nuove lacrime dense come sangue.
James tacque, sferzato dal rancore in quelle parole di veleno.
- Non la accetto, infatti. Non posso acettarla, non lo farò mai. Sono stato io, Elizabeth. Io l’ho lasciata andare, io non ho saputo proteggerla, e questa consapevolezza mi sta uccidendo come un cappio attorno al collo… - mormorò, di fronte agli occhi ancora vivido il ricordo del loro addio.
- Però, Elizabeth, la vita va avanti anche senza di lei, e non possiamo permetterci il lusso di raggiungerla, ovunque sia andata. Non è giusto, non è corretto nei suoi confronti. – continuò, stupendosi da sé della facilità con cui le parole sgorgavano dalle sue labbra senza incontrare ostacoli.
Era come se, finalmente, fosse riuscito ad ammettere ciò che negava fin da quel lontano giorno a Londra.
- Puoi mentire a tuo padre, puoi mentire a me, puoi mentire anche a te stessa, se vuoi, ma sai benissimo, in fondo al cuore, che arrendersi in questo modo non ha senso. Diamine, Elizabeth, cosa credi che direbbe se ti vedesse in questo stato?! – concluse, alzando appena la voce.
La figlia del Governatore tenne gli occhi bassi e strinse il lenzulo fra le dita, poi un flebile sorriso le tirò impercettibilmente le labbra verso l’alto.
- Capitan Swann, suvvia, vi sembra davvero il caso di tirare i remi in barca? – scimmiottò i modi di fare dell’amica, mentre James sorrideva assieme a lei.
- Sai, fin da quando l’ho conosciuta mi è sempre sembrata indistruttibile. Sapeva sempre cosa dire, cosa fare… Sembrava che niente potesse destabilizzarla… - spiegò con dolcezza lasciando trasparire tutto l’affetto che la legava alla giovane.
Poi la sua espressione si spense di nuovo, e altre lacrime fecero capolino dai suoi occhi.
- Mi aveva promesso che sarebbe tornata. L’ho aspettata, ogni singolo giorno, non vi è stato tramonto in cui io non abbia rivolto lo sguardo all’orizzonte. Ero sicura che sarebbe tornata, non… non mi sono mai preoccupata per lei e invece… - tirò su col naso e si sfregò il dorso della mano sugli occhi in un gesto nervoso, tendendo un foglio di carta al Capitano.
Quello abbandonò la cassapanca e prese ad esaminare il foglio spiegazzato, sedendosi lentamente sul materasso accanto a Elizabeth.
Era una lettera, frettolosa e scritta con una calligrafia minuta e appena inclinata verso destra, la calligrafia di Cristal Cooper.
Le parole presero a danzargli vorticose davanti agli occhi, susseguendosi come in un incubo. Voltò la lettera fino a trovarsi a fissare un paio d’occhi scuri e irriverenti.
- Jack Sparrow… - sillabò in un gorgoglìo rabbioso.
- E’ colpa mia…  Se solo fossi stata meno cieca… Se solo avessi parlato quando era il momento! – si lamentò la ragazza, il rimorso a bruciarle nelle vene.
James scosse la testa e accartocciò appena il foglio di carta nel pugno.
- Elizabeth. – esordì cercando di trattenere la sua ira, le mani poggiate con fermezza sulle spalle esili della ragazza.
- Elizabeth, guardami. – la esortò ancora.
Quella levò gli occhi segnati dal sonno perduto, le guance pallide e le labbra gonfie di pianto.
- Elizabeth, questo non devi nemmeno pensarlo. Quello che è successo… Tu non ne puoi niente. Devi capirlo, non è dipeso da te. – sentenziò, serio come non mai.
- James, io… -
- Esci da questo letto, Elizabeth, esci in strada, vai al porto, respira aria pulita! Non ha senso lasciarti morire! – esclamò poi, scuotendola appena.
In quel momento, il Capitano Norrington si sarebbe aspettato tutto meno che la giovane Swann affondasse il viso nella sua giacca umida e scoppiasse a piangere ancora più forte.
- Non ce la faccio, James! Non ce la faccio! E’ crollato tutto, tutto quanto! Che cosa mi rimane? – riuscì a comprendere fra i singhiozzi soffocati dalla stoffa.
Fu come se una pallottola gli avesse spezzato la spina dorsale, strappandogli in un colpo cuore e polmoni.
Per un istante rimase rigido e freddo, non riusciva a respirare, non riusciva nemmeno a pensare.
Poi, lentamente, portò le sue braccia attorno al corpo esile e fragile dell’amica e prese a carezzarle piano la schiena.
- Hai tuo padre, Elizabeth. Hai me. – si sorprese a dire.
- Il dolore potrà piegarti, ma non permetterò che ti spezzi. Ce la faremo, entrambi, ma tu devi promettermi che ci proverai. Un passo alla volta. Fallo per lei. – aggiunse, determinato a infonderle forza e coraggio.
Elizabeth sospirò e annuì piano, le spalle di tanto in tanto ancora scosse dai singhiozzi.
James aveva ragione, era giunto il momento di farsi coraggio e affrontare la vita per quello che era, e lei l’avrebbe fatto. Sarebbe stata dura, sarebbe inciampata e caduta, ma avrebbe sempre camminato a testa alta, perché in realtà era questa la loro promessa: non arrendersi mai, di fronte a niente.
E mentre sul mare i fulmini schioccavano liberi e severi, il giovane Capitano e la figlia del Governatore, stretti l’uno all’altra a sorreggersi nel loro dolore, assurdamente, continuavano a sperare.
 








 
Fu una mattina di Agosto, pochi giorni dopo che avevano lasciato le coste dell’Irlanda diretti a Sud, che Cristal Cooper si rese conto di avere ormai diciannove anni.
Uscì sul ponte e si stiracchiò, sentendo le ossa della schiena scricchiolare di piacere. L’aria era frizzante e pulita e gonfiava le vele bagnate dal primo sole, vibrante come un alito di fuoco.
La ciurma era di buon umore, caricata dal breve ed intenso soggiorno sull’Isola di Smeraldo e lei stessa sentiva come un brivido dentro al cuore, una forza che l’avrebbe resa invincibile di fronte a qualsiasi nemico.
- Sono passati due anni! Toby tiene sempre il conto dei giorni! –
Sussultò nel ritrovarsi le braccia dell’amico strette attorno al busto.
- Buongiorno Toby! Non sbagli mai un colpo, eh? – sorrise scompigliandogli i riccioli.
Il giovane mozzo aveva ragione: i giorni si erano inseguiti senza tregua, portando con loro il freddo vento dell’inverno e il tiepido calore della primavera, e poi ancora, i colori silenziosi dell’autunno, fino a rinnovare l’estate nel canto libero dei gabbiani.
Due anni.
In quei due anni aveva lavorato sodo, aveva faticato, ma aveva anche riso, imparato, conosciuto luoghi e persone.
Aveva analizzato così tante volte le carte nautiche da conoscere a memoria ogni singolo scoglio o secca del Mare del Nord, aveva ascoltato storie antiche ed entusiasmanti, vecchie leggende spaventose, e, ricambiata, aveva finito per affezionarsi a quella stramba famiglia come se avesse da sempre vissuto con loro.
- Su, al lavoro! – strillò Toby, infaticabile, mentre Ramirez spuntava dalla sua minuscola cabina a poppa e rideva divertito del suo zelo.
Si affacendarono tutta la mattina, mantenendo la rotta per la Francia e procedendo svelti fra i flutti, finchè nel tardo pomeriggio una strana e fastidiosa nebbia non avvolse la Diablo.
Cristal era appollaiata su un mucchio di cordame, Finn, Toby e altri due marinai seduti di fronte a lei.
La discussione era stata sollevata da Ramirez all’ora di pranzo, e a più riprese i suoi uomini avevano tentato di portarla avanti.
- Secondo me sono tutte balle! Insomma, figuratevi se un Italiano… - azzardò Jan, l’Olandese.
Prima che potesse terminare il discorso, però, Simone, un Veneziano dall’orgoglio proverbiale, scattò in piedi.
- Che cosa insinui?! Che noi Italiani siamo forse da meno delle altre genti? –
- Nessuno è peggio degli Inglesi! – si intromise Finn, iniziando a canticchiare fra sé e sé una vecchia canzone in Irlandese.
Cristal incrociò le braccia al petto e sbuffò.
- Suvvia, signori! Non vorrete certo litigare per simili sciocchezze! Lasciate che vi racconti la storia di un Italiano prodigioso che ho avuto l’onore di conoscere tre anni fa! –
Toby, sdraiato accanto a lei, rizzò improvvisamente la schiena, i grandi occhi verdi spalancati di curiosità.
- Sì! Raccontaci una storia! –
Finn roteò gli occhi mentre la bionda si sistemava meglio sul cordame e incrociava le gambe, pronta a raccontare.
“Se non hai almeno una buona storia da raccontare, non vali niente in questo mondo!” le diceva sempre sua madre.
Nulla di più vero.
Si schiarì la voce e si curvò appena in avanti, la nebbia complice attorno a loro.
- Era un pomeriggio nebbioso di fine Novembre, e la mia nave, il Nausicaa, beccheggiava mollemente al largo del Portogallo… -
Ma prima che potesse aggiungere qualsiasi altro dettaglio un urlo li fece voltare tutti quanti. Non ebbero nemmeno il tempo di alzarsi in piedi, una violenta cannonata fece tremare la nave, mentre schegge di legno volavano in ogni direzione.
- Ci attaccano! – gidò qualcuno.
In men che non si dica il ponte fu un brulicare di uomini, Ramirez che sbraitava ordini nella sua giacca colorata.
- Alle armi! Svelti! Difendiamo la nostra nave! – tuonava camminando su e giù.
- Ai cannoni! Svelti! –
Cristal balzò in piedi e raggiunse velocemente l’altro fianco della nave, fino a ritrovarsi di fronte a un piccolo vascello interamente dipinto di nero.
Sporti dalla murata, decine e decine di uomini dall’aspetto rivoltante, gridavano dimenando sciabole e pistole.
Diede una rapida occhiata all’imbarcazione, e non fu necessario un gran sforzo per rendersi conto che i loro quattro cannoni non avrebbero potuto niente contro la potenza di fuoco dei loro nemici.
- Ramirez! – gridò per attirare l’attenzione del Capitano, che la raggiunse in un paio di falcate.
- Non ce la faremo mai, sono troppo… - ma l’uomo la interruppe, levando una mano.
- Mai arrendersi senza aver provato, Cristal Cooper! Prepararsi all’arrembaggio! –
La ragazza sguainò la spada e caricò la pistola, lanciando un’occhiata preoccupata a Finn, qualche passo dietro di lei.
Dopo di ciò, fu solo follia.
La nebbia si era fatta ancora più densa, ed era quasi impossibile riuscire a vedere a più di dieci passi dal proprio naso. Cristal continuava a roteare e schivare attacchi, menando fendenti e facendo attenzione a non ritrovarsi a corto di colpi per il troppo sparare.
Gli uomini della Diablo di battevano con coraggio e tenacia, ma più nemici uccidevano, più ne comparivano, quasi avessero fatto un patto col diavolo per non morire mai.
- Ramirez! Qualcosa non va! – gridò sopra al frastuono, mentre affondava la sua spada nel fianco di un pirata alto e pelato.
L’uomo non parve udirla, impegnato in un duello contro un tizio dai capelli biondicci che sembravano essere stati tagliati da un cieco.
Lanciò un occhiata alla ruota del timone della nave nemica, dove un uomo alto e vestito con una lunga giacca scura e un immenso cappello piumato osservava la battaglia: doveva essere il loro Capitano.
Non ce l’avrebbero mai fatta, a meno che…
Un’idea assurda e folle parve riemergere dalla sua infanzia, spingendola ad aggrapparsi a una corda e lanciarsi sul ponte della nave nemica.
La Santabarbara. Doveva trovare la Santabarbara.
Schivò un fendente e assestò un calcio nello stomaco al suo assalitore, facendolo piombare in acqua, ma altri due pirati le si pararono davanti, pronti ad ucciderla.
Una pallottola si conficcò in fronte al più basso, mentre l’altro veniva prontamente infilzato da Toby.
- Nessuno fa male alla mia sorellina! – esclamò il ragazzo, bianco come un lenzuolo: a differenza di Cristal, lui aveva un terrore nero degli arrembaggi.
Fu a quel punto che la figlia del fabbro spalancò gli occhi con orrore.
- Toby, attento! –
Non fece in tempo nemmeno a muoversi, una spada si conficcò nella spalla sinsita del mozzo spezzandogli le ossa.
Quello crollò a terra con un grido disumano, mentre l’amica si sbarazzava del nemico e lo gettava fuori bordo con una spallata.
Cercò di ignorare il fatto che l’uomo che aveva appena ferito Toby era lo stesso che si era appena preso una palottola in testa e si lasciò cadere a terra al capezzale dell’amico.
- Toby, guardami, Toby! – ma il ragazzo aveva preso a piangere, scosso da fremiti violenti.
- Muoio, muoio! – piagnucolava mentre un rigagnolo di sangue gli colava dall’angolo della bocca.
Cristal deglutì, cercando di trattenere le lacrime, ma per una buona volta il ragazzo sembrava aver capito la situazione senza che nessuno dovesse spiegargli niente.
- No che non muori. Dio, Toby, no… - balbettò, mentre il sangue che usciva a fiotti dalla ferita le inzuppava le mani e i vestiti e colava sul ponte di legno.
- Ho paura… - pianse ancora quello, la mano destra stretta attorno a quella della giovane che era per lui madre e sorella.
Cristal si morse un labbro e scosse la testa, accarezzandogli piano il viso.
- No, Toby, no. Non avere paura. Siamo insieme. Vedi? Sono qui con te, ti tengo la mano… - e mentre gli diceva quelle parole si chiese per quale recondito motivo non l’avessero ancora uccisa.
Forse, accasciati dietro a un enorme barile, esangui e tremanti, non rappresentavano un pericolo.
Si voltò per un momento verso la Diablo, ma la Diablo non c’era.
Lontana nella nebbia, una sagoma scura e delle grida di giubilo indicavano l’incredibile vittoria della goletta spagnola.
Fu questione di un secondo, un brivido di ghiaccio le corse su per la schiena.
- NO! – ma il suo urlo si perse nell’esplosione.
Poi, ancora pietrificata dall’orrore, si accorse che la presa sulla sua mano era svanita.
Si voltò solamente per incontrare un paio di vitrei occhi verdi spalancati nel terrore della morte.
- NO! BASTARDI! – gridò fuori di sé.
Si alzò in piedi e si lanciò contro la ciurma, ancora intenta a sghignazzare di fronte a ciò che restava della detonazione.
Quelli rimasero immobili, senza opporre la minima resistenza, quasi la furia della sua lama non li avesse potuto scalfirli minimamente.
Non morivano.
Quei maledetti non morivano.
Folle di rabbia e desiderio di morte, individuò il Capitano e si scagliò contro di lui, ma quello parò il colpo con facilità.
- Abbastanza prevedibile... – ghignò beffardo, le lame ancora a premere l’una contro l’altra.
Poi lo sguardo azzurro dell’uomo si fece serio di colpo.
Puntò le cornee gialle sul suo viso sfigurato dall’ira e in un gesto secco le afferrò il polso, stringendo così forte da costringerla a lasciare l’arma.
- Questa bella signorina viene con me, e che nessuno di voi sudici topi di sentina si azzardi ad obbiettare! – comunicò con tono alto e fermo.
- E adesso al lavoro, vermi schifosi! – sbraitò poi, trascinando Cristal fino alla sua cabina e sbattendo la porta alle loro spalle.
Disarmata e stravolta, il desiderio di vendetta cedette il passo alla paura, mentre il Capitano, alto e minaccioso nel suo cappello di piume, la squadrava con bramosia.
- Benvenuta a bordo della Perla Nera! – fece malvagio mostrando i denti.
Cristal sussultò.
Era spacciata.
 












 
Note:

Salve a tutti!
Vi prego, non picchiatemi, so di essere in ritardo clamoroso, ma ho una giustificazione: ero in vacanza.
No, okay, non vale un fico secco, ma vabbè... A mia discolpa posso dire che mi sono portata da scrivere! xD
Ma ora eccoci qui, tornati con un nuovo capitolo!
Vi confesso che non sono troppo soddisfatta, forse perchè è uno dei miei odiati capitoli di transizione...
Cristal non è morta, anche se penso fosse abbastanza scontato... xD In ompenso è stata raccattata da questa ciurma di disgraziati che, anche se compare per poco più di una decina di pagine, adoro con tutta me stessa.
Ho fatto un bel balzo temporale, me ne rendo conto... ^^"
E poi c'è la scena a Port Royal.
So che Elizabeth in queste condizioni potrebbe far storcere il naso, e Norrington ancora di più, ma quei due li ho sempre immaginati da un legame molto più profondo di quanto non sembrasse in apparenza.
E poi insomma, ci siamo avvicinando alla storyline dei film, quindi... A voi trarre le debite conclusioni! 
~
Per quanto riguarda il finale di capitolo, permettetemi di squittire perchè è entrato in scena Capitan Barbossa, ovvero il personaggio che amo di più all'interno della saga.
Spero di riuscire a gestirlo bene, perchè insomma, dopo Jack credo sia il personaggio con più sfaccettature di questa storia, e sento già che sarà una bella spina nel fianco.
Ora, chiedendo umilmente scusa in ginocchio sui ceci, fuggo a cena prima che la Famiglia mi fustighi.
A proposito! Ho creato una pagina su FB dove -appena la connnessione ballerina della Montagna me lo permetterà- pubblicherò gli aggiornamenti delle mie storie, i miei disegni ad esse relativi e qualche sclero che non fa mai male!
Anche se vi va di fare solo quattro chiacchiere siete tutti i benvenuti, vi aspetto qui --> https://www.facebook.com/pages/Koori-chan/264301627099186?ref=hl  

Kisses,
Koori-chan

 
  
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