Capitolo
13
La mattina
di Natale.
Fuori il
cielo era nuvoloso, ma ciò non sembrava alterare lo spirito
natalizio che
animava la città. Eppure non tutti condividevano
quell’euforia.
La luce
filtrava attraverso la finestra di una stanza buia, illuminando una
figura
ancora addormentata. Ad un tratto la pace della camera venne infranta
dal suono
della sveglia, accompagnata dall’altrettanto insistente
abbaiare di un cane. La
ragazza si rigirò tra le coperte, tirandole fino a coprire
il capo.
A quanto
pareva la sera prima aveva dimenticato di disattivarla. Accidenti a lei
e alla
sua sbadataggine! Però anche quel cane poteva smetterla di
fare tutto quel
casino. Possibile che i padroni non riuscissero a farlo tacere?
Alla fine
decise che ne aveva abbastanza. Ancora intorpidita dal sonno, fece leva
sul
gomito per solversi quel tanto che bastava per allungare una mano verso
l’orologio sul comodino, spegnerlo e… trovarsi
faccia a faccia con un muso
peloso.
-
AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAH!
–
Subito la
porta si aprì e il signor Kitamura si gettò nella
stanza.
-
Tutto
bene piccola? Cos’è successo? –
-
Quello –
strillò puntando il dito contro
l’animale – che ci fa qui?! –
-
Ah,
lui è il tuo nuovo amico. Buon Natale, tesoro! –
le sorrise.
-
Cosa?!
Ma dico sei impazzito?! – saltò su lei –
Non mi serve un amico pulcioso e
bavoso! –
Forse
aveva capito di esser stato tirato in ballo, perché il cane
le si accoccolò in
grembo.
Rumiko
rimase un attimo interdetta. Era un piccolo meticcio dal pelo folto e
morbido,
color cioccolato. Gli occhi erano scuri e dolci. Aveva le zampe
abbastanza
grosse, il che preannunciava che sarebbe cresciuto fino a raggiungere
una
taglia abbastanza considerevole. La sua mano prese a scorrere sul
dorso,
affondando le dita nella folta pelliccia.
Il padre
parve accorgersi del cambiamento, perché esibì un
largo sorriso.
-
Allora,
come lo chiamiamo? –
-
Sei
un’irresponsabile! – tornò alla carica
lei – Ho già il mio bel da fare così e
ora dovrò occuparmi anche di un cane! –
-
Scusami,
hai ragione. Avrei dovuto chiedere la tua opinione. Però
quando l’ho visto non
ho saputo resistere. Sai, un mio amico l’ha trovato
abbandonato sotto casa sua,
ma in quel condominio non si possono tenere animali.
L’avrebbero portato al
canile. Così ho pensato che poteva tenerti compagnia durante
le mie assenze.
Immaginavo che questa casa ti sembrasse tanto vuota e
silenziosa… non sopporto
l’idea che tu stia qui da sola. –
Lei rimase
un attimo in silenzio. Sapeva che suo padre ce la metteva tutta e
nonostante
questo lei insisteva a rimanere sulle sue. Perché si
comportava in quel modo?
Perché non poteva semplicemente venirgli incontro?
-
D’accordo…
visto che ormai non abbiamo scelta… però dovrai
fare la tua parte quando sei a
casa! –
Lui
sorrise, allegro come un bambino.
-
Lo
prometto! – disse – Però ora che
è entrato a far parte della famiglia ha
bisogno di un nome. –
-
Prima
ho bisogno di una bella tazza di caffè forte e quando
sarò tornata nel mondo
dei vivi… ma sì, certo! –
esclamò sollevando il cucciolo davanti a sé
– Che ne
dici di “Caffè”? Il suo pelo
è dello stesso colore. –
Il padre
le sorrise, dolcemente.
-
Penso
che sia perfetto. –
Si
voltò
per uscire dalla stanza, ma venne richiamato.
-
Papà…
grazie. – lo raggiunse una voce appena udibile.
-
Di
nulla, Rumi. –
Si chiuse
la porta alle spalle. Era sicuro che la figlia avrebbe fatto resistenza
sulle
prime, ma aveva contato sull’appoggio del cucciolo per
blandirla. Ed infatti il
piccolo aveva compiuto egregiamente il suo lavoro, degno di un
professionista.
“
Comincio
a dubitare che sia stato abbandonato… Quello è un
volpacchiotto, non un cane!”
Solo si
rammaricava di non aver saputo parlarle come avrebbe voluto. Amava sua
figlia e
desiderava poterle esprimere tutto il suo affetto, farle sapere che lui
voleva
solo la sua felicità.
Ma non era
mai stato molto bravo ad esternare i suoi sentimenti e dalla morte
della
moglie…
Si
rabbuiò
un poco. Amava ancora disperatamente quella donna, anche se era passata
a
miglior vita da quasi un anno. Spesso aveva pensato che Rumiko
necessitasse di
una figura femminile al suo fianco, ma non aveva mai preso seriamente
in
considerazione l’idea di risposarsi. Un’altra donna
non sarebbe certamente
riuscita a colmare il vuoto che lei aveva lasciato. Era troppo grande.
Emi non
era solo bella, ma anche una persona straordinaria. Era speciale, non
perfetta.
Ed era dei suoi difetti che lui si era innamorato. Fin
dall’inizio era stata
lei a prendere in mano la relazione e poi la famiglia. Rumiko aveva
ereditato
il temperamento impetuoso della madre e la reticenza nei sentimenti del
padre.
Eppure non vi erano mai stati disaccordi o tensioni nella loro casa,
perché Emi
aveva la capacità di attrarre le persone e trasmettere loro
la sua energia. Un
piccolo e bellissimo sole che rischiarava i suoi satelliti, facendoli
brillare.
Poi se
n’era andata e tra padre e figlia era venuto a mancare un
legame, oltre al
dialogo.
Ora si
rammaricava di non essere stato abbastanza vicino alla giovane, di non
averla
abbracciata nel momento del bisogno. Si era abbandonato al suo dolore,
dando
per scontate troppe cose.
Ma adesso
che l’aveva capito, non se ne sarebbe restato con le mani in
mano. Avrebbe
riconquistato il rapporto perduto, poco alla volta: dalle ceneri della
sua
vecchia famiglia ne avrebbe si sarebbe impegnato a crearne una nuova.
Si sentiva
come un architetto in procinto di progettare una città, o un
comandante che si
preparava a dare battaglia. Caffè era stato il primo passo.
Il secondo non
avrebbe tardato ad arrivare.
Quando il
citofono suonò, il signor Kitamura si precipitò
ad aprire.
-
Buongiorno
Hiroshi e buon Natale! – lo salutò il vicino di
casa.
-
‘giorno. – si limitò a dire il biondo.
A quanto
pareva non era dell’umore migliore.
“ Ah,
i
giovani d’oggi: anche a Natale con il broncio! Ma pure noi
eravamo così?” pensò
il padrone di casa.
-
Buon
Natale a voi! Prego, entrate. –
-
Non
vorremmo disturbare… - azzardò l’altro,
abbassando un poco lo sguardo.
Kitamura
sorrise fra sé e sé. Era più che
evidente che la loro intenzione era stata
esattamente quella, o almeno per quanto riguardava l’uomo.
Dentro di sé
sospirò: sembrava non fosse l’unico padre a
trovarsi alle prese con una
progenie intrattabile.
-
Non
scherzare, Eichi. – gli disse con sincerità - Su,
venite dentro! –
Richiuse
la porta alle loro spalle e li condusse in cucina, dove la figlia stava
facendo
colazione, incurante del fatto che fosse quasi ora di pranzo.
Quando la
vide sorrise allegramente, di fronte a quella scena che, se solo avesse
potuto,
avrebbe immortalato sulla pellicola.
Ed eccola
lì, davanti a loro. Yamato si fermò un attimo,
incerto. Tutto si sarebbe
aspettato tranne quel singolare quadretto.
Rumiko era
seduta sul tavolo della cucina, davanti alla finestra. Indossava una
vestaglia
grigio perla, con dei fiorellini rosa stampati sopra. I capelli erano
spettinati e raccolti frettolosamente in uno chignon. Ciocche
disordinate le
ricadevano sulle piccole spalle. Le gambe, nude, erano incrociate, i
piedi
scalzi. Le mani stringevano una tazza fumante di quello che, con ogni
probabilità, era caffè. In grembo, accoccolato
tra le morbide pieghe della
veste e col capo appoggiato su un suo ginocchio, stava un cucciolo dal
folto
pelo scuro. Lui sonnecchiava beatamente, lei guardava fuori dalla
finestra.
Il
contrasto tra la pelle ancora calda di lei e il vetro freddo e
appannato. L’espressione
rilassata, la posa naturale. La piccola palla di pelo raggomitolata tra
le sue
gambe come un uccellino nel suo nido. E ancora la sua bocca, bagnata da
un velo
di caffè.
Si
sentì
arrossire: in quel momento gli parve bellissima. E il pensiero che tale
visione
fosse stata riservata a lui, gli scaldò il cuore.
Yamato
scosse la testa energicamente, turbato da pensieri che si era imposto
di
cancellare dalla sua mente. Si soffermò su quegli occhi
viola, cercando di
decifrarne lo sguardo. Ma quelli rimanevano distanti, persi in un
ricordo o un
desiderio, in un pensiero che lui non riusciva a cogliere.
Poi, come
ogni visione, anche quella si dissolse.
-
Andiamo,
Caffè, la colazione è finita. – disse
quasi in un sussurro, accarezzando il
pelo morbido.
Posò
la
tazza nel lavello, il cagnolino che scodinzolava gioioso al suo fianco.
Poi si
voltò e registrò la loro presenza. Si
bloccò, per un attimo sorpresa. Le gambe
a penzoloni, le mani puntellate sul bordo del tavolo, una ciocca di
capelli a
solleticarle il volto. Ma subito riacquistò il controllo e
spiccò un piccolo
salto fino ad atterrare con i piedi nudi sul freddo pavimento.
Voltò loro le
spalle e permise al piccolo di saltarle in braccio.
-
Sbaglio
o l’hai chiamato Caffè? –
commentò Yamato, ironico, senza sapere nemmeno
il perché
di quel tono canzonatorio.
-
E
se così fosse? –
-
È
un nome banale. – tagliò corto.
Lei gli
lanciò un’occhiata fulminante e lo
superò a grandi passi, il cucciolo stretto
al petto, la vestaglia frusciante.
In quel
momento un pensiero irrilevante attraversò la mente del
biondo: prima non se
n’era accorto, ma sotto la veste indossava una maglietta e
delle culottes, che
le fasciavano bene il corpo dalle dolci forme...
Un tonfo
sonoro indicò ai presenti che Rumiko si era richiusa la
porta della camera alle
spalle.
Eichi
Ishida sospirò.
“ Mi
chiedo come abbia potuto anche solo sperare di trascorrere un Natale
tranquillo. Possibile che anche noi fossimo così alla loro
età?”
No, si
rispose da solo. Era quella nuova generazione ad essere tanto inquieta.
Grazie
al suo lavoro, che lo teneva sempre in contatto diretto con la gente,
il signor
Ishida aveva avuto modo di assistere a quel lento consumarsi, a quelle
esplosioni d’ira. Erano giovani vibranti di passione, che si
ritrovavano di
fronte ad un mondo che non riuscivano a sentire loro. Nemmeno suo
figlio faceva
eccezione. Capiva bene, infatti, che quell’atteggiamento
spesso indifferente e
scostante era dettato dal bisogno di mettere più spazio
possibile tra sé e
tutto ciò che lo circondava. Avrebbe voluto dargli una mano,
fargli capire che
gli era vicino. Ma si può venire incontro a qualcuno che non
vuole essere
aiutato?
Uno
scambio di sguardi con il vicino di casa gli tolse ogni dubbio.
Sì, si può. Ma
non è semplice. Tuttavia bisogna persistere, senza
arrendersi mai. Perché
quelle tigri brucianti di emozioni non hanno altra arma che il loro
coraggio.
In cuor
suo attendeva con fiducia il giorno in cui suo figlio avrebbe
incontrato quel
qualcosa che l’avrebbe spinto ad abbattere la barriera, a
protendersi verso il
mondo e, dunque, verso di lui. Sperava solo che quel qualcosa non
tardasse
troppo.
Rumiko
gettò la vestaglia sul letto. Come si era permesso a fare un
simile commento?!
L’aveva fatto apposta, questo era ovvio. Sapeva esattamente
come avrebbe
reagito lei, glielo aveva letto negli occhi, in quelle stesse iridi che
l’avevano fatta sognare la notte precedente. Possibile che la
detestasse a tal
punto da provocarla ogni volta che era possibile? Eppure fino al giorno
prima
era convinta che il loro rapporto fosse finalmente migliorato o che,
per lo
meno, sarebbero andati più d’accordo.
Invece…
Aggrottò
la fronte.
“ Ma
come
ragiona quel tipo? Prima litighiamo a più non posso, poi di
punto in bianco mi
dice che è innamorato della vecchia me stessa. Nasce un caos
tremendo e non ci
parliamo per un bel po’. Poi alla festa mi dedica una canzone
bellissima e
balliamo tutta la sera. Pure
Immancabilmente
la sua mente volò al giorno prima, quando era andata a casa
sua e lui l’aveva
accolta mezzo nudo e bagnato come un pulcino. Solo al ricordo si
sentì
avvampare. S’impose la calma: non era da lei comportarsi come
una qualsiasi
ragazzina ingenua. In vita sua non era certo la prima volta che le
capitava di
vedere un uomo mezzo nudo! Eppure le sue ginocchia non volevano
smettere di
tremare. Si sentiva la testa leggera, il cuore le batteva forte.
Si stese
sul letto, subito raggiunta da Caffè. Lei lo
abbracciò stretto, come se fosse
un peluche, e lui la lasciò fare. Era inutile continuare
quell’assurda
pagliacciata e lei lo sapeva bene: Yamato Ishida le piaceva e molto.
Non era
solo attrazione fisica. C’era qualcosa in lui che le faceva
battere il cuore a
mille, che la faceva arrabbiare o sorridere. Con lui non poteva fare a
meno di
essere travolta da un turbine di forti emozioni, che lottavano nel suo
piccolo
petto. Ma non le piaceva tutto di lui. Era incantata da quegli occhi
vibranti e
penetranti, ma ne detestava lo sguardo tagliente e sprezzante. Le
piaceva la
sua voce vellutata e bassa, ma non il tono sarcastico e canzonatorio.
Al
contrario di quanto andavano dicendo le sue fans, Yamato era pieno di
difetti e
lei lo sapeva bene, poiché li aveva sperimentati sulla sua
stessa pelle. Quante
volte aveva pianto e sofferto a causa sua, Dio solo lo sapeva!
Eppure ne
era attratta come le api dal miele. No, non ne era semplicemente
attratta. Se
no come spiegare quelle fitte al cuore? Quella sensazione di euforia
che la scuoteva
e la turbava?
Capì
e la
presa su Caffè si strinse ancor di più.
D’altronde
anche sua madre lo diceva sempre: “ Papà ha tante
imperfezioni e alcune proprio
non riesco a mandarle giù. Però questo non
significa che non lo ami. Vedi,
Rumi, ci sono tanti tipi d’amore, perché ogni
persona è diversa dall’altra e
ognuno ama in modo diverso. Ma è pur sempre amore.”
Sorrise.
-
Avevi
ragione, mamma. – sussurrò - Come sempre: avevi
ragione tu. –
Quando la
porta della stanza si riaprì lei indossava una paio di jeans
attillati e uno
spesso maglione bianco, con il collo alto e le maniche che le
nascondevano le
mani. I capelli pettinati scivolavano sulle spalle in morbide onde di
creme
caramel.
-
Potevi
almeno cercare qualcosa che fosse della tua taglia. –
bofonchiò il biondo,
cercando di nascondere l’imbarazzo.
Stranamente
lei si limitò a sbuffare e lo sorpassò, seguita
dal cucciolo che trotterellava
allegramente. Yamato si diede mentalmente dello stupido. Per giorni non
si
erano nemmeno rivolti la parola e lui non aveva desiderato altro che
farsi
perdonare. Le aveva anche dedicato una canzone. Eppure sembrava non
riuscisse a
fare a meno di stuzzicarla. Perché continuava a ferirla con
parole taglienti e
sguardi beffardi?
Gli
tornarono in mente le parole di un’anonima canzone.
“
È colpa
tua, che mi streghi e m’incanti. Giorno dopo giorno mi appari
sempre più bella
e desiderabile. Sei speciale, come se emanassi un’aura
invisibile. Sei così
piccola e fremente di emozioni, che mi togli il respiro. Per quanto mi
sforzi
non riesco a capirti. Non so nulla del tuo passato, della tua vita, dei
tuoi
dolori, ma vorrei che mi aprissi il tuo cuore. Da quando ti sei chiusa
nel tuo
bozzolo, piccola farfalla viola? Mi chiedo se riuscirò mai a
conquistare la tua
fiducia, ad avvicinarmi abbastanza da sfiorarti. Ma tu respingi tutti,
li eludi
sgusciando tra le loro dita, inafferrabile come l’acqua.
Dunque che posso fare
io? Solo continuare a guardarti, incantato, studiandoti e cercando di
svelarti.”
Certo
avrebbe dovuto trovare un modo per evitare di provocarla.
Entrò nel salotto.
-
Allora
al pranzo ci penso io! – stava annunciando lei allegramente.
-
Meglio
che ci stia io ai fornelli, o qua finiamo per passare il Natale al
pronto
soccorso. –
Lei gli
lanciò uno sguardo fulminante e voltò il capo,
indispettita.
Yamato
alzò gli occhi al cielo: l’aveva di nuovo offesa.
Il biondo
lavorava in cucina da quasi un’ora, quando fece capolino un
piccolo muso
peloso, seguito dal volto di Rumiko. Senza una parola, lei lo
guardò un attimo,
per poi sedersi sul tavolo e incrociare le gambe, il cucciolo
accoccolato nel
suo grembo. Tuttavia, anziché rivolgersi verso la finestra,
questa volta le
diede le spalle, appoggiandovi la schiena.
Lo
guardava, mentre mischiava gli ingredienti e scaldava la carne, attenta
ad ogni
suo movimento.
Lui le
lanciava delle occhiate di nascosto con la coda dell’occhio,
ma fingeva di non
badare alla sua presenza. In realtà non proferiva parola per
evitare di
offenderla di nuovo.
Poi lei
allungò il braccio verso una mensola e, aprendo
l’anta, svelò una radio
portatile. Era un modello vecchio, tanto che aveva solo il posto per le
cassette. L’accese e le note insistenti di un ritornello
riempirono la stanza.
Lei storse la bocca, come disgustata da quelli che erano i tormentoni
del momento.
Yamato
sorrise tra sé: nemmeno lui poteva dire di apprezzare quelle
band di idol, che
infestavano le stazioni radio con le loro canzoni banali. Non erano in
grado di
comporre musica, solo di fare presenza sul palco.
Lei
armeggiò un attimo in una scatola che aveva trovato
lì vicino, poi estrasse una
cassetta e la infilò nello stereo. Play.
Le dolci
note di una melodia conosciuta si diffusero nell’aria.
“
Yesterday.” Pensò lui.
Per un
attimo lasciò che il mestolo si appoggiasse al bordo della
pentola e socchiuse
gli occhi.
Poi la
musica lasciò spazio alle parole…
Yesterday,
all my troubles seemed so far away,
Now it looks as though they're here to stay,
Oh I believe in yesterday.
Un’altra
voce si aggiunse a quella di John Lennon e il ragazzo si
voltò verso Rumiko.
Aveva le palpebre abbassate e cantava piano, muovendo lentamente le
labbra, la
pronuncia fluida e sicura di chi ha vissuto diversi anni
all’estero.
Suddenly,
I'm
not half to man I used to be,
There's a shadow hanging over me.
Oh yesterday
came
suddenly.
Il volume
della voce si alzò un poco. Yamato, distogliendo lo sguardo,
tornò alla sua
occupazione, la bocca a mala pena socchiusa.
Why
she had
to go?
I don't know she wouldn’t say.
Il piccolo
petto si gonfiò appena, inspirando l’aria ed
emettendolo lunghe note melodiose.
I
said
something wrong,
now I long for yesterday.
Le
sopracciglia leggermente contratte per la concentrazione di tenere
l’accordo.
Yesterday,
love was such an easy game to play,
Now I need a place to hide away,
Oh I believe in yesterday.
Una breve
pausa, giusto il tempo di appoggiarsi più comodamente contro
il vetro freddo.
Poi la musica ripartì, con un’altra canzone
composta da John Lennon.
Imagine
there's no heaven
It's easy if you try
No hell below us
Above us only sky
Imagine all the people
Living for today...
Imagine there's no countries
It isn't hard to do
Nothing to kill or die for
And no religion too
Imagine all the people
Living life in peace...
Il ragazzo
diede fiato alle sue corde vocali e la sua voce si unì al
coro. Lei aprì un
attimo gli occhi, poi li socchiuse nuovamente. La sua voce
acquistò maggiore
sicurezza e si alzò leggermente, più energica e
vitale.
You
may say
I'm a dreamer
But I'm not the only one
I hope someday you'll join us
And the world will be as one
Imagine no possessions
I wonder if you can
No need for greed or hunger
A brotherhood of man
Imagine all the people
Sharing all the world...
You may say I'm a dreamer
But I'm not the only one
I hope someday you'll join us
And the world will live as one.
Ora veniva
un altro grande successo dei Beatles, leggermente più
impegnativo. Non era
sicuro di ricordare bene la canzone, ma le parole parvero venire da
sé.
When
I find
myself in times of trouble
Mother Mary comes to me
Speaking words of wisdom, let it be.
And in my hour of darkness
She is standing right in front of me
Speaking words of wisdom, let it be.
Let
it be,
let it be.
Whisper words of wisdom, let it be.
Lei si
sollevò un poco, lui posò lo strumento da cucina.
And
when the
broken hearted people
Living in the world agree,
There will be an answer, let it be.
For though they may be parted there is
Still a chance that they will see
There will be an answer, let it be.
Let
it be, let it be. Yeah
There will be an answer, let it be.
And when the night is cloudy,
There is still a light that shines on me,
Shine on until tomorrow, let it be.
I wake up to the sound of music
Mother Mary comes to me
Speaking words of wisdom, let it be.
Let
it be,
let it be.
There will be an answer, let it be.
Let it be, let it be,
Whisper words of wisdom, let it be.
Rumiko
riaprì gli occhi si lasciò di nuovo andare
all’indietro. Sospirò soddisfatta:
non era andata poi tanto male.
Inizialmente
si era recata in cucina con l’intenzione di dargli una mano,
ma quando l’aveva
visto all’opera aveva preferito mettere da parte i suoi
propositi. Quasi senza
accorgersene l’aveva osservato dosare con sicurezza gli
ingredienti, creare e
amalgamare un impasto informe e trarne una pietanza. Le pareva
impossibile che
da quell’agglomerato fosse nato un simile manicaretto. Di
certo lei non vi
sarebbe riuscita.
Era calmo
e tranquillo in quella cucina, uno spettacolo singolare con il
grembiule bianco
a stampe floreali e le maniche della camicia arrotolate fino ai gomiti.
Però
non aveva riso di lui. Semplicemente era rimasta incantata e guardarlo.
Anche
se poteva sembrare assurdo, in quel momento, con il volto sporco di
farina e il
mestolo in mano, le era sembrato più… uomo.
Si
ritrovò
ad arrossire fino alla punta dei capelli. Davanti a lei c’era
forse il Yamato
del futuro, un uomo maturo e affidabile, padrone di sé come
di tutto ciò che lo
circondava. Il suo cuore prese a battere forte, al pensiero che
sembrava il
tipico marito casalingo sposato con una donna che era meglio tenere
lontana
dalla cucina.
Le
tornarono in mente le parole di poco fa:
-
Meglio
che ci sto io ai fornelli, o qua finiamo per passare il Natale al
pronto
soccorso. –
Certo, in
quel momento l’aveva incenerito con lo sguardo, ma
ora… In fondo avrebbe potuto
limitarsi a prenderla in giro e deriderla per quella sua mancanza.
Invece si
era recato senza altre parole in cucina e lì si era
applicato. Proprio come un
marito che, nonostante le proteste, afferrava il mestolo e preparava la
cena.
Poi
avevano cantato. Lei aveva estratto la vecchia radio che sua madre
ascoltava di
tanto in tanto, mentre preparava i pasti. Aveva ripetuto quei famosi
versi
istintivamente, guidata da note che conosceva da sempre. Poi lui si era
unito a
lei, la voce più sicura ed allenata. Presto Rumiko si era
ritrovata a seguirne
i ritmi e le intonazioni, rapita da quella voce profonda e virile,
estremamente
vellutata. Come aveva potuto una volta schernirlo per le sue scarse
doti
canore?
-
Non
credevo sapessi cantare. – lo sentì dire.
-
È
da quando sono piccola che ho la passione per la musica.
Però di solito
preferisco ascoltarla. –
-
È
un peccato, con un po’ di allenamento potresti
senz’altro diventare una buona
vocalist. –
Lei si
sforzò di cogliere l’immancabile nota beffarda, ma
non la percepì.
-
Beh,
per ora mi accontento di aiutare gli altri cantanti. – fece
con cautela.
Sapeva che
le sue parole costituivano un azzardo: conosceva abbastanza Yamato da
sapere
che non era tipo da accettare aiuto dagli altri. Dunque attese con
trepidazione
la protesta. Che non arrivò.
-
Allora
posso dire ai ragazzi che sei dei nostri? – si
voltò a guardarla.
-
Suppongo
di sì… -
-
Ah,
hai appena fatto la felicità di molti! – le
sorrise, il volto illuminato e
disteso in quel gesto tanto semplice e incantevole, quanto raro.
Poi
tornò
alle sue occupazioni.
Lei
voltò
il capo verso il vetro appannato. Alzò un dito affusolato a
strofinarne piano
la superficie opaca. Ciò che vide nel riflesso fu un volto
speranzoso,
sognante, molto confuso e… innamorato.
Continua…
N.d.a.
Ovviamente
i testi delle canzoni che ho trascritto non sono opera mia. Si tratta
di
“Yesterday”, “Imagine” e
“Let it be” dei Beatles.
Monalisasmile