Anime & Manga > Digimon
Segui la storia  |       
Autore: monalisasmile    21/09/2008    1 recensioni
Il viola è conosciuto come il colore dello spirito. Rappresenta il valore medio tra terra e cielo, tra passione ed intelligenza, tra amore e razionalità. È il colore della volontà di essere diversi, della metamorfosi. È una forza legata alla vitalità del rosso e all'intimo accoglimento dell'azzurro. Ma è anche il colore degli occhi di una ragazza che entrerà a far parte della vita dei digi-prescelti.
La narrazione comincia in toni leggeri: leggerete di nuovi incontri, di battibecchi e amori adolescenziali, di amicizie e piccoli dispiaceri, emozioni che condizioneranno le giornate e si porranno al centro delle loro vite. Almeno inizialmente.
Perché come nella vita spesso accade, arriverà il momento in cui i personaggi verranno posti di fronte a problemi maggiori e difficili decisioni. D’improvviso tutto parrà sfuggirgli tra le dita. Gli eventi si faranno incalzanti e spesso imprevedibili. Più volte si sentiranno impotenti di fronte a una realtà indecifrabile e troppo crudele per essere affrontata.
Genere: Azione, Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Capitolo 13

 

La mattina di Natale.

Fuori il cielo era nuvoloso, ma ciò non sembrava alterare lo spirito natalizio che animava la città. Eppure non tutti condividevano quell’euforia.

La luce filtrava attraverso la finestra di una stanza buia, illuminando una figura ancora addormentata. Ad un tratto la pace della camera venne infranta dal suono della sveglia, accompagnata dall’altrettanto insistente abbaiare di un cane. La ragazza si rigirò tra le coperte, tirandole fino a coprire il capo.

A quanto pareva la sera prima aveva dimenticato di disattivarla. Accidenti a lei e alla sua sbadataggine! Però anche quel cane poteva smetterla di fare tutto quel casino. Possibile che i padroni non riuscissero a farlo tacere?

Alla fine decise che ne aveva abbastanza. Ancora intorpidita dal sonno, fece leva sul gomito per solversi quel tanto che bastava per allungare una mano verso l’orologio sul comodino, spegnerlo e… trovarsi faccia a faccia con un muso peloso.

-      AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAH! –

Subito la porta si aprì e il signor Kitamura si gettò nella stanza.

-      Tutto bene piccola? Cos’è successo? –

-      Quello – strillò puntando il dito contro l’animale – che ci fa qui?! –

-      Ah, lui è il tuo nuovo amico. Buon Natale, tesoro! – le sorrise.

-      Cosa?! Ma dico sei impazzito?! – saltò su lei – Non mi serve un amico pulcioso e bavoso! –

Forse aveva capito di esser stato tirato in ballo, perché il cane le si accoccolò in grembo.

Rumiko rimase un attimo interdetta. Era un piccolo meticcio dal pelo folto e morbido, color cioccolato. Gli occhi erano scuri e dolci. Aveva le zampe abbastanza grosse, il che preannunciava che sarebbe cresciuto fino a raggiungere una taglia abbastanza considerevole. La sua mano prese a scorrere sul dorso, affondando le dita nella folta pelliccia.

Il padre parve accorgersi del cambiamento, perché esibì un largo sorriso.

-      Allora, come lo chiamiamo? –

-      Sei un’irresponsabile! – tornò alla carica lei – Ho già il mio bel da fare così e ora dovrò occuparmi anche di un cane! –

-      Scusami, hai ragione. Avrei dovuto chiedere la tua opinione. Però quando l’ho visto non ho saputo resistere. Sai, un mio amico l’ha trovato abbandonato sotto casa sua, ma in quel condominio non si possono tenere animali. L’avrebbero portato al canile. Così ho pensato che poteva tenerti compagnia durante le mie assenze. Immaginavo che questa casa ti sembrasse tanto vuota e silenziosa… non sopporto l’idea che tu stia qui da sola. –

Lei rimase un attimo in silenzio. Sapeva che suo padre ce la metteva tutta e nonostante questo lei insisteva a rimanere sulle sue. Perché si comportava in quel modo? Perché non poteva semplicemente venirgli incontro?

-      D’accordo… visto che ormai non abbiamo scelta… però dovrai fare la tua parte quando sei a casa! –

Lui sorrise, allegro come un bambino.

-      Lo prometto! – disse – Però ora che è entrato a far parte della famiglia ha bisogno di un nome. –

-      Prima ho bisogno di una bella tazza di caffè forte e quando sarò tornata nel mondo dei vivi… ma sì, certo! – esclamò sollevando il cucciolo davanti a sé – Che ne dici di “Caffè”? Il suo pelo è dello stesso colore. –

Il padre le sorrise, dolcemente.

-      Penso che sia perfetto. –

Si voltò per uscire dalla stanza, ma venne richiamato.

-      Papà… grazie. – lo raggiunse una voce appena udibile.

-      Di nulla, Rumi. –

 

Si chiuse la porta alle spalle. Era sicuro che la figlia avrebbe fatto resistenza sulle prime, ma aveva contato sull’appoggio del cucciolo per blandirla. Ed infatti il piccolo aveva compiuto egregiamente il suo lavoro, degno di un professionista.

“ Comincio a dubitare che sia stato abbandonato… Quello è un volpacchiotto, non un cane!”

Solo si rammaricava di non aver saputo parlarle come avrebbe voluto. Amava sua figlia e desiderava poterle esprimere tutto il suo affetto, farle sapere che lui voleva solo la sua felicità.

Ma non era mai stato molto bravo ad esternare i suoi sentimenti e dalla morte della moglie…

Si rabbuiò un poco. Amava ancora disperatamente quella donna, anche se era passata a miglior vita da quasi un anno. Spesso aveva pensato che Rumiko necessitasse di una figura femminile al suo fianco, ma non aveva mai preso seriamente in considerazione l’idea di risposarsi. Un’altra donna non sarebbe certamente riuscita a colmare il vuoto che lei aveva lasciato. Era troppo grande.

Emi non era solo bella, ma anche una persona straordinaria. Era speciale, non perfetta. Ed era dei suoi difetti che lui si era innamorato. Fin dall’inizio era stata lei a prendere in mano la relazione e poi la famiglia. Rumiko aveva ereditato il temperamento impetuoso della madre e la reticenza nei sentimenti del padre. Eppure non vi erano mai stati disaccordi o tensioni nella loro casa, perché Emi aveva la capacità di attrarre le persone e trasmettere loro la sua energia. Un piccolo e bellissimo sole che rischiarava i suoi satelliti, facendoli brillare.

Poi se n’era andata e tra padre e figlia era venuto a mancare un legame, oltre al dialogo.

Ora si rammaricava di non essere stato abbastanza vicino alla giovane, di non averla abbracciata nel momento del bisogno. Si era abbandonato al suo dolore, dando per scontate troppe cose.

Ma adesso che l’aveva capito, non se ne sarebbe restato con le mani in mano. Avrebbe riconquistato il rapporto perduto, poco alla volta: dalle ceneri della sua vecchia famiglia ne avrebbe si sarebbe impegnato a crearne una nuova.

Si sentiva come un architetto in procinto di progettare una città, o un comandante che si preparava a dare battaglia. Caffè era stato il primo passo. Il secondo non avrebbe tardato ad arrivare.

 

Quando il citofono suonò, il signor Kitamura si precipitò ad aprire.

-      Buongiorno Hiroshi e buon Natale! – lo salutò il vicino di casa.

- ‘giorno. – si limitò a dire il biondo.

A quanto pareva non era dell’umore migliore.

“ Ah, i giovani d’oggi: anche a Natale con il broncio! Ma pure noi eravamo così?” pensò il padrone di casa.

-      Buon Natale a voi! Prego, entrate. –

-      Non vorremmo disturbare… - azzardò l’altro, abbassando un poco lo sguardo.

Kitamura sorrise fra sé e sé. Era più che evidente che la loro intenzione era stata esattamente quella, o almeno per quanto riguardava l’uomo. Dentro di sé sospirò: sembrava non fosse l’unico padre a trovarsi alle prese con una progenie intrattabile.

-      Non scherzare, Eichi. – gli disse con sincerità - Su, venite dentro! –

Richiuse la porta alle loro spalle e li condusse in cucina, dove la figlia stava facendo colazione, incurante del fatto che fosse quasi ora di pranzo.

Quando la vide sorrise allegramente, di fronte a quella scena che, se solo avesse potuto, avrebbe immortalato sulla pellicola.

 

Ed eccola lì, davanti a loro. Yamato si fermò un attimo, incerto. Tutto si sarebbe aspettato tranne quel singolare quadretto.

Rumiko era seduta sul tavolo della cucina, davanti alla finestra. Indossava una vestaglia grigio perla, con dei fiorellini rosa stampati sopra. I capelli erano spettinati e raccolti frettolosamente in uno chignon. Ciocche disordinate le ricadevano sulle piccole spalle. Le gambe, nude, erano incrociate, i piedi scalzi. Le mani stringevano una tazza fumante di quello che, con ogni probabilità, era caffè. In grembo, accoccolato tra le morbide pieghe della veste e col capo appoggiato su un suo ginocchio, stava un cucciolo dal folto pelo scuro. Lui sonnecchiava beatamente, lei guardava fuori dalla finestra.

Il contrasto tra la pelle ancora calda di lei e il vetro freddo e appannato. L’espressione rilassata, la posa naturale. La piccola palla di pelo raggomitolata tra le sue gambe come un uccellino nel suo nido. E ancora la sua bocca, bagnata da un velo di caffè.

Si sentì arrossire: in quel momento gli parve bellissima. E il pensiero che tale visione fosse stata riservata a lui, gli scaldò il cuore.

Yamato scosse la testa energicamente, turbato da pensieri che si era imposto di cancellare dalla sua mente. Si soffermò su quegli occhi viola, cercando di decifrarne lo sguardo. Ma quelli rimanevano distanti, persi in un ricordo o un desiderio, in un pensiero che lui non riusciva a cogliere.       

Poi, come ogni visione, anche quella si dissolse.

-      Andiamo, Caffè, la colazione è finita. – disse quasi in un sussurro, accarezzando il pelo morbido.

Posò la tazza nel lavello, il cagnolino che scodinzolava gioioso al suo fianco. Poi si voltò e registrò la loro presenza. Si bloccò, per un attimo sorpresa. Le gambe a penzoloni, le mani puntellate sul bordo del tavolo, una ciocca di capelli a solleticarle il volto. Ma subito riacquistò il controllo e spiccò un piccolo salto fino ad atterrare con i piedi nudi sul freddo pavimento. Voltò loro le spalle e permise al piccolo di saltarle in braccio.

-      Sbaglio o l’hai chiamato Caffè? – commentò Yamato, ironico, senza sapere nemmeno il  perché di quel tono canzonatorio.

-      E se così fosse? –

-      È un nome banale. – tagliò corto.

Lei gli lanciò un’occhiata fulminante e lo superò a grandi passi, il cucciolo stretto al petto, la vestaglia frusciante.

In quel momento un pensiero irrilevante attraversò la mente del biondo: prima non se n’era accorto, ma sotto la veste indossava una maglietta e delle culottes, che le fasciavano bene il corpo dalle dolci forme...

Un tonfo sonoro indicò ai presenti che Rumiko si era richiusa la porta della camera alle spalle.

 

Eichi Ishida sospirò.

“ Mi chiedo come abbia potuto anche solo sperare di trascorrere un Natale tranquillo. Possibile che anche noi fossimo così alla loro età?”

No, si rispose da solo. Era quella nuova generazione ad essere tanto inquieta. Grazie al suo lavoro, che lo teneva sempre in contatto diretto con la gente, il signor Ishida aveva avuto modo di assistere a quel lento consumarsi, a quelle esplosioni d’ira. Erano giovani vibranti di passione, che si ritrovavano di fronte ad un mondo che non riuscivano a sentire loro. Nemmeno suo figlio faceva eccezione. Capiva bene, infatti, che quell’atteggiamento spesso indifferente e scostante era dettato dal bisogno di mettere più spazio possibile tra sé e tutto ciò che lo circondava. Avrebbe voluto dargli una mano, fargli capire che gli era vicino. Ma si può venire incontro a qualcuno che non vuole essere aiutato?

Uno scambio di sguardi con il vicino di casa gli tolse ogni dubbio. Sì, si può. Ma non è semplice. Tuttavia bisogna persistere, senza arrendersi mai. Perché quelle tigri brucianti di emozioni non hanno altra arma che il loro coraggio.

In cuor suo attendeva con fiducia il giorno in cui suo figlio avrebbe incontrato quel qualcosa che l’avrebbe spinto ad abbattere la barriera, a protendersi verso il mondo e, dunque, verso di lui. Sperava solo che quel qualcosa non tardasse troppo.

 

Rumiko gettò la vestaglia sul letto. Come si era permesso a fare un simile commento?! L’aveva fatto apposta, questo era ovvio. Sapeva esattamente come avrebbe reagito lei, glielo aveva letto negli occhi, in quelle stesse iridi che l’avevano fatta sognare la notte precedente. Possibile che la detestasse a tal punto da provocarla ogni volta che era possibile? Eppure fino al giorno prima era convinta che il loro rapporto fosse finalmente migliorato o che, per lo meno, sarebbero andati più d’accordo. Invece…

Aggrottò la fronte.

“ Ma come ragiona quel tipo? Prima litighiamo a più non posso, poi di punto in bianco mi dice che è innamorato della vecchia me stessa. Nasce un caos tremendo e non ci parliamo per un bel po’. Poi alla festa mi dedica una canzone bellissima e balliamo tutta la sera. Pure la Vigilia sembra andare tutto abbastanza bene, se si tralasciano piccoli incidenti di percorso…”

Immancabilmente la sua mente volò al giorno prima, quando era andata a casa sua e lui l’aveva accolta mezzo nudo e bagnato come un pulcino. Solo al ricordo si sentì avvampare. S’impose la calma: non era da lei comportarsi come una qualsiasi ragazzina ingenua. In vita sua non era certo la prima volta che le capitava di vedere un uomo mezzo nudo! Eppure le sue ginocchia non volevano smettere di tremare. Si sentiva la testa leggera, il cuore le batteva forte.

Si stese sul letto, subito raggiunta da Caffè. Lei lo abbracciò stretto, come se fosse un peluche, e lui la lasciò fare. Era inutile continuare quell’assurda pagliacciata e lei lo sapeva bene: Yamato Ishida le piaceva e molto. Non era solo attrazione fisica. C’era qualcosa in lui che le faceva battere il cuore a mille, che la faceva arrabbiare o sorridere. Con lui non poteva fare a meno di essere travolta da un turbine di forti emozioni, che lottavano nel suo piccolo petto. Ma non le piaceva tutto di lui. Era incantata da quegli occhi vibranti e penetranti, ma ne detestava lo sguardo tagliente e sprezzante. Le piaceva la sua voce vellutata e bassa, ma non il tono sarcastico e canzonatorio. Al contrario di quanto andavano dicendo le sue fans, Yamato era pieno di difetti e lei lo sapeva bene, poiché li aveva sperimentati sulla sua stessa pelle. Quante volte aveva pianto e sofferto a causa sua, Dio solo lo sapeva!

Eppure ne era attratta come le api dal miele. No, non ne era semplicemente attratta. Se no come spiegare quelle fitte al cuore? Quella sensazione di euforia che la scuoteva e la turbava?

Capì e la presa su Caffè si strinse ancor di più.

D’altronde anche sua madre lo diceva sempre: “ Papà ha tante imperfezioni e alcune proprio non riesco a mandarle giù. Però questo non significa che non lo ami. Vedi, Rumi, ci sono tanti tipi d’amore, perché ogni persona è diversa dall’altra e ognuno ama in modo diverso. Ma è pur sempre amore.”

Sorrise.

-      Avevi ragione, mamma. – sussurrò - Come sempre: avevi ragione tu. –

 

Quando la porta della stanza si riaprì lei indossava una paio di jeans attillati e uno spesso maglione bianco, con il collo alto e le maniche che le nascondevano le mani. I capelli pettinati scivolavano sulle spalle in morbide onde di creme caramel.

-      Potevi almeno cercare qualcosa che fosse della tua taglia. – bofonchiò il biondo, cercando di nascondere l’imbarazzo.

Stranamente lei si limitò a sbuffare e lo sorpassò, seguita dal cucciolo che trotterellava allegramente. Yamato si diede mentalmente dello stupido. Per giorni non si erano nemmeno rivolti la parola e lui non aveva desiderato altro che farsi perdonare. Le aveva anche dedicato una canzone. Eppure sembrava non riuscisse a fare a meno di stuzzicarla. Perché continuava a ferirla con parole taglienti e sguardi beffardi?

Gli tornarono in mente le parole di un’anonima canzone.

“ È colpa tua, che mi streghi e m’incanti. Giorno dopo giorno mi appari sempre più bella e desiderabile. Sei speciale, come se emanassi un’aura invisibile. Sei così piccola e fremente di emozioni, che mi togli il respiro. Per quanto mi sforzi non riesco a capirti. Non so nulla del tuo passato, della tua vita, dei tuoi dolori, ma vorrei che mi aprissi il tuo cuore. Da quando ti sei chiusa nel tuo bozzolo, piccola farfalla viola? Mi chiedo se riuscirò mai a conquistare la tua fiducia, ad avvicinarmi abbastanza da sfiorarti. Ma tu respingi tutti, li eludi sgusciando tra le loro dita, inafferrabile come l’acqua. Dunque che posso fare io? Solo continuare a guardarti, incantato, studiandoti e cercando di svelarti.”

Certo avrebbe dovuto trovare un modo per evitare di provocarla. Entrò nel salotto.

 

-      Allora al pranzo ci penso io! – stava annunciando lei allegramente.

-      Meglio che ci stia io ai fornelli, o qua finiamo per passare il Natale al pronto soccorso. –

Lei gli lanciò uno sguardo fulminante e voltò il capo, indispettita.

Yamato alzò gli occhi al cielo: l’aveva di nuovo offesa.

 

Il biondo lavorava in cucina da quasi un’ora, quando fece capolino un piccolo muso peloso, seguito dal volto di Rumiko. Senza una parola, lei lo guardò un attimo, per poi sedersi sul tavolo e incrociare le gambe, il cucciolo accoccolato nel suo grembo. Tuttavia, anziché rivolgersi verso la finestra, questa volta le diede le spalle, appoggiandovi la schiena.

Lo guardava, mentre mischiava gli ingredienti e scaldava la carne, attenta ad ogni suo movimento.

Lui le lanciava delle occhiate di nascosto con la coda dell’occhio, ma fingeva di non badare alla sua presenza. In realtà non proferiva parola per evitare di offenderla di nuovo.

Poi lei allungò il braccio verso una mensola e, aprendo l’anta, svelò una radio portatile. Era un modello vecchio, tanto che aveva solo il posto per le cassette. L’accese e le note insistenti di un ritornello riempirono la stanza. Lei storse la bocca, come disgustata da quelli che erano i tormentoni del momento.

Yamato sorrise tra sé: nemmeno lui poteva dire di apprezzare quelle band di idol, che infestavano le stazioni radio con le loro canzoni banali. Non erano in grado di comporre musica, solo di fare presenza sul palco.

Lei armeggiò un attimo in una scatola che aveva trovato lì vicino, poi estrasse una cassetta e la infilò nello stereo. Play.

 

Le dolci note di una melodia conosciuta si diffusero nell’aria.

“ Yesterday.” Pensò lui.

Per un attimo lasciò che il mestolo si appoggiasse al bordo della pentola e socchiuse gli occhi.

Poi la musica lasciò spazio alle parole…

Yesterday, all my troubles seemed so far away,
Now it looks as though they're here to stay,
Oh I believe in yesterday.

Un’altra voce si aggiunse a quella di John Lennon e il ragazzo si voltò verso Rumiko. Aveva le palpebre abbassate e cantava piano, muovendo lentamente le labbra, la pronuncia fluida e sicura di chi ha vissuto diversi anni all’estero.

Suddenly, I'm not half to man I used to be,
There's a shadow hanging over me.
Oh yesterday came suddenly.

Il volume della voce si alzò un poco. Yamato, distogliendo lo sguardo, tornò alla sua occupazione, la bocca a mala pena socchiusa.

Why she had to go?
I don't know she wouldn’t say.

Il piccolo petto si gonfiò appena, inspirando l’aria ed emettendolo lunghe note melodiose.

I said something wrong,
now I long for yesterday.

Le sopracciglia leggermente contratte per la concentrazione di tenere l’accordo.

Yesterday, love was such an easy game to play,
Now I need a place to hide away,
Oh I believe in yesterday.

 

Una breve pausa, giusto il tempo di appoggiarsi più comodamente contro il vetro freddo. Poi la musica ripartì, con un’altra canzone composta da John Lennon.

Imagine there's no heaven
It's easy if you try
No hell below us
Above us only sky
Imagine all the people
Living for today... 

Imagine there's no countries
It isn't hard to do
Nothing to kill or die for
And no religion too
Imagine all the people
Living life in peace... 

Il ragazzo diede fiato alle sue corde vocali e la sua voce si unì al coro. Lei aprì un attimo gli occhi, poi li socchiuse nuovamente. La sua voce acquistò maggiore sicurezza e si alzò leggermente, più energica e vitale.

You may say I'm a dreamer
But I'm not the only one
I hope someday you'll join us
And the world will be as one 

Imagine no possessions
I wonder if you can
No need for greed or hunger
A brotherhood of man
Imagine all the people
Sharing all the world... 

You may say I'm a dreamer
But I'm not the only one
I hope someday you'll join us
And the world will live as one.

Ora veniva un altro grande successo dei Beatles, leggermente più impegnativo. Non era sicuro di ricordare bene la canzone, ma le parole parvero venire da sé.

When I find myself in times of trouble
Mother Mary comes to me
Speaking words of wisdom, let it be.
And in my hour of darkness
She is standing right in front of me
Speaking words of wisdom, let it be.

 

Let it be, let it be.
Whisper words of wisdom, let it be.

Lei si sollevò un poco, lui posò lo strumento da cucina.

And when the broken hearted people
Living in the world agree,
There will be an answer, let it be.
For though they may be parted there is
Still a chance that they will see
There will be an answer, let it be.

Let it be, let it be. Yeah
There will be an answer, let it be.

And when the night is cloudy,
There is still a light that shines on me,
Shine on until tomorrow, let it be.
I wake up to the sound of music
Mother Mary comes to me
Speaking words of wisdom, let it be.

Let it be, let it be.
There will be an answer, let it be.
Let it be, let it be,
Whisper words of wisdom, let it be.

 

Rumiko riaprì gli occhi si lasciò di nuovo andare all’indietro. Sospirò soddisfatta: non era andata poi tanto male.

Inizialmente si era recata in cucina con l’intenzione di dargli una mano, ma quando l’aveva visto all’opera aveva preferito mettere da parte i suoi propositi. Quasi senza accorgersene l’aveva osservato dosare con sicurezza gli ingredienti, creare e amalgamare un impasto informe e trarne una pietanza. Le pareva impossibile che da quell’agglomerato fosse nato un simile manicaretto. Di certo lei non vi sarebbe riuscita.

Era calmo e tranquillo in quella cucina, uno spettacolo singolare con il grembiule bianco a stampe floreali e le maniche della camicia arrotolate fino ai gomiti. Però non aveva riso di lui. Semplicemente era rimasta incantata e guardarlo. Anche se poteva sembrare assurdo, in quel momento, con il volto sporco di farina e il mestolo in mano, le era sembrato più… uomo.

Si ritrovò ad arrossire fino alla punta dei capelli. Davanti a lei c’era forse il Yamato del futuro, un uomo maturo e affidabile, padrone di sé come di tutto ciò che lo circondava. Il suo cuore prese a battere forte, al pensiero che sembrava il tipico marito casalingo sposato con una donna che era meglio tenere lontana dalla cucina.

Le tornarono in mente le parole di poco fa:

-      Meglio che ci sto io ai fornelli, o qua finiamo per passare il Natale al pronto soccorso. –

Certo, in quel momento l’aveva incenerito con lo sguardo, ma ora… In fondo avrebbe potuto limitarsi a prenderla in giro e deriderla per quella sua mancanza. Invece si era recato senza altre parole in cucina e lì si era applicato. Proprio come un marito che, nonostante le proteste, afferrava il mestolo e preparava la cena.

Poi avevano cantato. Lei aveva estratto la vecchia radio che sua madre ascoltava di tanto in tanto, mentre preparava i pasti. Aveva ripetuto quei famosi versi istintivamente, guidata da note che conosceva da sempre. Poi lui si era unito a lei, la voce più sicura ed allenata. Presto Rumiko si era ritrovata a seguirne i ritmi e le intonazioni, rapita da quella voce profonda e virile, estremamente vellutata. Come aveva potuto una volta schernirlo per le sue scarse doti canore?

-      Non credevo sapessi cantare. – lo sentì dire.

-      È da quando sono piccola che ho la passione per la musica. Però di solito preferisco ascoltarla. –

-      È un peccato, con un po’ di allenamento potresti senz’altro diventare una buona vocalist. –

Lei si sforzò di cogliere l’immancabile nota beffarda, ma non la percepì.

-      Beh, per ora mi accontento di aiutare gli altri cantanti. – fece con cautela.

Sapeva che le sue parole costituivano un azzardo: conosceva abbastanza Yamato da sapere che non era tipo da accettare aiuto dagli altri. Dunque attese con trepidazione la protesta. Che non arrivò.

-      Allora posso dire ai ragazzi che sei dei nostri? – si voltò a guardarla.

-      Suppongo di sì… -

-      Ah, hai appena fatto la felicità di molti! – le sorrise, il volto illuminato e disteso in quel gesto tanto semplice e incantevole, quanto raro.

Poi tornò alle sue occupazioni.

Lei voltò il capo verso il vetro appannato. Alzò un dito affusolato a strofinarne piano la superficie opaca. Ciò che vide nel riflesso fu un volto speranzoso, sognante, molto confuso e… innamorato.

 

 

 

Continua…

 

 

N.d.a.

Ovviamente i testi delle canzoni che ho trascritto non sono opera mia. Si tratta di “Yesterday”, “Imagine” e “Let it be” dei Beatles.

 

Monalisasmile

 

 

  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Digimon / Vai alla pagina dell'autore: monalisasmile