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Autore: Monkey_D_Alyce    30/08/2014    4 recensioni
Si continuava a convincere di aver fatto la cosa giusta.
Non chiedeva il mondo.
Voleva solamente voltare pagina.
Eppure tutte le sfortune di questo pianeta capitavano solo a lei!
Era arrivata a Londra sotto un bell'acquazzone, ma non solo!
Ora doveva pure sorbirsi delle stupide deduzioni da parte di un detective eccentrico ed egoista di nome Sherlock Holmes!
Fantastico!
Veramente fantastico.
(SOSPESA MOMENTANEAMENTE!)
Genere: Avventura, Azione, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Nami, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: AU, Cross-over, What if? | Avvertimenti: Non-con, Triangolo
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7° capitolo: Cioccolata e cornetto

 
 
Arrivarono sulla scena del crimine, rimanendo senza parole: una donna era stata uccisa sul ciglio della strada e, successivamente, le era stato tolto il cuore.
Nami rimase allibita, trattenendo un conato di vomito con tutte le sue forze, mentre Sherlock aveva già cominciato ad osservare il corpo con la sua lente d’ingrandimento portatile.
 
“Abigaille Flatcher, trent’anni. Faceva la prostituta dalle parti St Paul’s Cathedral. Ora del decesso: 4.30 di stamane. Le hanno tolto il cuore con estrema precisione, nonostante fosse buio” affermò Lestrade guardando con attenzione l’operato del consulente investigativo, incrociando le braccia al petto.
 
Holmes si alzò, assottigliando lo sguardo, come se non capisse qualcosa, il che, non sfuggì a Nami.
 
“A cosa stai pensando?” gli domandò avvicinandosi a lui, guardandolo di sottecchi.
“Perché uccidere una persona affetta di Sindrome di Noonan?” chiese a sua volta, facendola impensierire.
Non se ne intendeva molto di medicina, ma da qualche parte, una volta, aveva letto che una delle cause di quella Sindrome era un difetto cardiaco congenito.
Nami si chiese del perché uccidere quella donna: vendetta? Rabbia come quella che provava quel serial killer verso le streghe? Cosa?
 
La rossa si mise ad osservarla, notando che non portava alcuna fede al dito, né ve ne era traccia, ma poteva essere fidanzata con qualcuno, anche se il fidanzato, doveva sapere che lo tradiva, in un certo modo…
Fissò il viso della vittima: era sereno e sorrideva.
Dedusse che conosceva il suo assassino, o forse era stata narcotizzata prima dell’omicidio.
 
“Avanti: ti ascolto” la risvegliò dai suoi pensieri Sherlock, facendola sobbalzare dalla sorpresa.
Perché chiedeva il suo parere?
“Perché?” domandò con una certa nota di diffidenza, facendolo sorridere mestamente.
“Semplice: voglio un tuo parere, mi pare ovvio” decretò per nulla toccato dalla reazione della ragazza, guardandola a fondo negli occhi.
Voleva metterla al lavoro e testare ancora le sue capacità.
A differenza dell’ultima volta, in questo caso, lei vi avrebbe partecipato fin dall’inizio, o dal prologo.
Proprio come in una storia…
 
Nami sospirò pesantemente, scuotendo un poco la testa con fare sconsolato.
Sicuramente, Sherlock, l’avrebbe presa in giro, affermando quanto poco osservasse e non desse caso ai dettagli.
“Come hai detto tu, la vittima soffriva di Sindrome di Noonan: bassa statura, scoliosi, fronte spaziosa… Non era sposata…” cominciò lei, ma venne interrotta dal detective.
“Cosa ti fa pensare che non fosse sposata? Poteva togliersi la fede quando andava al lavoro” affermò con tono sicuro, al fine di metterle i bastoni tra le ruote: la rossa aveva ragione, ma almeno doveva spiegargli (anche se lui già lo sapeva) il perché di quella osservazione.
“No. Anche se le persone sposate si tolgono la fede, rimarrà comunque una leggera linea più chiara sulla pelle, a meno che non si siano sposate da poco. Non la porta nemmeno al collo come fanno di solito i vedovi” controbatté un poco irritata, facendo ghignare il consulente investigativo.
“Che altro?” chiese ancora incitandola a parlare con un gesto della mano.
“Non credo che l’assassino abbia ucciso la donna per vendetta sentimentale”
“Su questo concordo anch’io.  Devo ammetterlo: sei stata abbastanza brava, anche se hai omesso dei dettagli”- a quelle parole, Nami, sospirò pesantemente, pensando che quel ragazzo superbo non avrebbe mai cambiato il suo atteggiamento nei suoi confronti. La considerava come una mocciosa alle prime armi e che non aveva capito niente dalla vita, anche se lei, ne aveva capito fin troppo…- “La vittima non ha cercato di ribellarsi al suo omicida e lo conosceva piuttosto bene: per terra ci sono due sigarette consumate, indice che hanno parlato per un po’ di tempo…”
“Sherlock: come fai a sapere che sono le loro? Non le abbiamo fatte analizzare!” lo fermò Lestrade, guardandolo stupito negli occhi.
 
Nel frattempo, la rossa si avvicinò ai due mozziconi, mettendosi a guardarli con attenzione.
La prima sigaretta era più corta ed era stata spenta calpestandola.
La seconda, a differenza della prima, no.
Si era spenta con il tempo…
Si riavvicinò velocemente alla vittima, guardandole sotto le scarpe: erano presenti lieve tracce di cenere sotto la punta delle scarpe della vittima.
Molto probabilmente era stata assassinata mentre fumava la seconda sigaretta.
Non avrebbe avuto senso se anche l’omicida avesse fumato.
Non poteva essere stato così stupido da lasciare DNA alle mercé di Scotland Yard.
 
“Teoria plausibile” disse Sherlock con voce roca vicino all’orecchio di Nami, facendola sussultare da quella vicinanza così intima.
Era talmente concentrata da non averlo sentito arrivare dietro di sé.
“Non ho detto niente!” si giustificò lei  con voce leggermente strozzata, alzandosi dalla sua posizione e rivolgendo lo sguardo altrove cercando di darsi un contegno, sperando di non essere arrossita come un’adolescente.
 
“E’ vero, però lo pensavi” disse il giovane Holmes, ghignando malizioso.
 
Nami non controbatté, sapendo che aveva ragione.
Era inutile avviare una discussione, avrebbe vinto lui.
 
Cominciò a guardarsi intorno, costruendosi una specie di mappa mentale con tutte le informazioni necessarie.
 
La donna era stata uccisa in una strada che dava sul St. Paul’s Cathedral.
Nessuno se ne era accorto.
Nessuno si era accorto che in quel frangente veniva commesso un omicidio.
Qualcuno doveva pur passare da quelle parti.
Era impossibile che non ci fossero testimoni.
O quel killer era molto fortunato o aveva fatto bene i suoi calcoli.
 
Nami cominciò a vagare senza una meta, immersa completamente nei suoi pensieri.
Gli edifici la sovrastavano in tutta la loro grandezza, mentre la Cattedrale le “guardava” le spalle come un Guardiano nella notte.
Il cielo si vedeva in strisce sottili, coperte in parte dai tetti delle case e dei negozi.
Era piuttosto opprimente come spazio e molto abitato…
 
 
Un ragazzino correva a perdifiato, non guardando mai davanti a sé.
Le persone e gli agenti di polizia lo guardavano in modo perplesso, altri cercavano di fermarlo.
Era vestito con vestiti sgualciti e rattoppati in più punti.
La maglia che gli copriva l’esile busto gli faceva da veste fino alle ginocchia, mentre i suoi pantaloni lo facevano incespicare sui suoi stessi piedi, talmente erano lunghi.
I suoi capelli color castano scuro, lunghi fino al collo, gli ricadevano davanti alla faccia sporca di nero.
I suoi occhi vispi e neri come la pece fissavano a intervalli irregolari l’asfalto e le persone che lo circondavano o gli andavano addosso.
 
Riposò ancora una volta il suo sguardo sulla gente, non accorgendosi in tempo di una ragazza dai capelli rossi che camminava per i fatti suoi.
In meno di tre secondi si ritrovò  a sbattere contro quel corpo femminile, cadendo rovinosamente a terra.
 
Nami riuscì a reggersi in equilibrio per un pelo, agitando le braccia per ritornare ad una postura eretta.
 
“Ehi, marmocchio! Sta’ più attento la prossima…volta…” lo sgridò la ragazza irritata, ma quando lo vide rannicchiato a riccio su se stesso, in preda ai tremiti, lo guardò sconvolta.
 
La sua mente vagò nei suoi ricordi, vedendo scorrere davanti a sé le immagini di quando Arlong la maltrattava a piacimento, mentre lei, ancora giovane ragazza ingenua, subiva in silenzio, tremando in continuazione, proprio come faceva quel ragazzino in quel momento.
 
La rossa s’inginocchio difronte a lui e, senza accorgersene, lo avvolse in un abbraccio caldo e rassicurante, accarezzandogli dolcemente i capelli e la schiena, mentre il piccolo si lasciava andare a poco a poco, stringendosi ancor di più contro la figura di Nami, stropicciandole convulsamente la felpa rossa, impregnandola di lacrime.
 
“Calmati. Va tutto bene. Sei al sicuro, ora” lo rassicurò ella, sussurrando quelle parole in modo materno.
 
Sherlock e Lestrade, seguiti a ruota da alcuni agenti di polizia, la raggiunsero, guardando quella scena un po’sorpresi.
Il giovane consulente investigativo non capiva tale atto d’affetto, restando impassibile come sempre.
 
“Nami, lo conosci?” gli chiese Greg affiancandola.
Senza staccare la presa da quel corpo piccolo e fragile, guardò l’ispettore girando un poco la testa:
“No, non lo conosco. Mi è venuto addosso…” gli rispose in tono serio e calmo.
 
Il ragazzino alzò di un poco la testa, guardando il viso della rossa con curiosità mista a diffidenza.
Era contento di aver trovato qualcuno che sembrava avesse capito ciò che provava, ma aveva paura che gli si rivolgesse contro, consegnandolo a quell’uomo privo di pietà.
A fatica comprendeva ciò che dicevano quelle persone così serie ad eccezione della ragazza, che in confronto a loro, sembrava il fuoco in persona.
Se aveva capito bene, si doveva chiamare Nami…
Un uomo si avvicinò velocemente a loro due, stretti ancora nell’abbraccio, e lo scrutò a fondo con i suoi occhi color ghiaccio, impaurendolo un poco.
La rossa guardò l’uomo dagli occhi di ghiaccio in modo truce, sibilando parole veloci e un po’arrabbiate.
 
“Lo stai spaventando, Sherlock!” masticò tra i denti, volendolo uccidere con lo sguardo.
“Lo sto solamente guardando!” sbottò a sua volta il riccioluto, guardando la rossa allo stesso modo.
“Che insensibile!”
“Allora perché tu lo abbracci se non lo conosci? Non ha senso!” osservò Sherlock sbuffando lievemente.
Nami si rabbuiò di colpo, ma si trattenne di tirargli uno schiaffo sul volto davanti a tutti.
Non voleva aggravare la situazione, né spaventare il piccolo.
Sapeva che un gesto avrebbe influenzato moltissimo il comportamento del ragazzino.
C’era passata anche lei, d’altronde: in quei momenti la mente era come offuscata e le parole si riducevano a monosillabi sconnessi e incomprensibili.
 
Si alzò lentamente, lasciando il ragazzino “scoperto” dal calore, ma non durò molto.
La ragazza gli porse la mano e lui, insicuro la strinse, alzandosi con un po’di fatica.
 
Si allontanarono dal resto del gruppo, mentre Nami faceva vagare lo sguardo alla ricerca di un bar.
 
“Dove stai andando, Nami? Dobbiamo portarlo in centrale! Non sappiamo perché lui sia qui, né perché sia ridotto a quel modo!” esclamò Greg Lestrade nel tentativo di fermarla, ma lei si girò e lo guardò con occhi spenti:
“No.” rispose seccamente, per poi voltarsi e dar loro le spalle…
 
L’ispettore rimase a bocca aperta, non aspettandosi una reazione simile da parte della rossa.
Non riusciva a spiegarsi che le era preso.
Camminava tenendo il piccolo per mano, rimanendo nel silenzio più totale.
Il ragazzino non era da meno: teneva il capo basso e qualche volta la sua presa sulla mano di Nami si faceva più stretta, come a voler sciupare un po’di dolore.
 
“Ma che le è preso?” mormorò strabuzzando leggermente gli occhi.
Sally Donovan gli era a fianco, le braccia incrociate sotto al seno mentre guardava con disinteresse quelle due figure così diverse, ma al contempo simili.
“Molto probabilmente vuole farlo riprendere dallo shock. Ma come può? Non è uno psicologo!” osservò Donovan, riconoscendo in quella ragazza testarda il carattere di Sherlock.
Il consulente investigativo, invece, rimaneva zitto, avendo dedotto che quel comportamento assunto dalla rossa era dovuto al suo passato…
 
Continuarono a camminare per dieci minuti finché non raggiunsero un bar che dava sulla strada principale.
Nami si fermò davanti alla porta d’ingresso chiusa, guardando distrattamente le persone al loro interno, per poi posare lo sguardo sul ragazzino.
Gli sorrise radiosa, per poi invitarlo ad entrare.
“Andiamo?” gli chiese con dolcezza, tranquillizzando un poco il più piccolo.
 
Anche se non aveva capito quello che aveva detto, dedusse che lo aveva invitato ad entrare in quel locale pieno di persone che parlavano tranquillamente bevendo o mangiando qualcosa.
In effetti, aveva una certa fame.
Non mangiava dalla sera prima.
Quando aveva visto quell’uomo uccidere la donna senza pietà era rimasto impietrito.
Non aveva visto altro, dato che era scappato via, terrorizzato e incredulo da quel che era successo.
 
“Obrigado (1)*” disse chinando lievemente la testa in avanti, facendola sorprendere un poco.
 
Nami era contenta.
Non solo perché le aveva rivolto la parola, ma anche perché in parte aveva capito del perché si sentiva smarrito.
Solo che non capiva il perché non conoscesse la lingua inglese.
Aveva capito che era straniero e questo, lo confermava anche la sua carnagione scura e il colore dei capelli e degli occhi, anche se in un primo momento non ci aveva fatto caso.
Da quanto tempo risiedeva a Londra?
Aveva un mucchio di domande da porgli, ma non gli sembrava il momento migliore.
Però, una cosa doveva saperla: il suo nome.
 
“Nami” disse alcuni secondi dopo, indicandosi, facendogli capire cosa intendeva.
“Baltazar” ribatté eseguendo lo stesso gesto di lei.
 
La ragazza sorrise felice di quel primo passo compiuto con successo e poi entrarono nel bar.
Dopo essersi seduti su due sgabelli alti vicino al bancone, Nami ordinò due cioccolate calde, per poi girarsi verso il suo nuovo piccolo amico, domandando con vari gesti cosa volesse mangiare, ricevendo come risposta un cornetto alla crema, mentre lei lo prese al mandarino.
 
Il ragazzino si guardò un po’in torno, vagando con lo sguardo sui quadri appesi alle pareti color panna.
Raffiguravano di tutto: dai paesaggi di boschi e paesini sperduti a foto di Londra, completando il tutto con degli animali come cani e gatti.
Nonostante l’aspetto rustico e semplice, quel luogo di medie dimensioni era accogliente e non troppo claustrofobico.
Le persone che chiacchieravano allegramente gli ricordarono con nostalgia gli abitanti delle favelas di Rio, pieni di entusiasmo e gioia di vivere, nonostante le condizioni in cui riversavano.
Adorava correre per quelle stradine assieme agli altri ragazzi, giocando e scherzando a fare gli eroi.
La sua casa gli mancava da morire, così come i suoi amici e parenti…
 
Il suono della tazza ricolma di cioccolata posata sul tavolo richiamò la sua attenzione, mentre vi si aggiungeva anche il piattino su cui era adagiato il cornetto.
 
Assaggiò quella leccornia con gusto, mentre lacrime di gioia premevano per uscire dai suoi occhioni neri.
Da quando era venuto ad abitare a Londra, doveva chiedere l’elemosina per comprarsi qualcosa da sgranocchiare oppure mangiava gli scarti di cibo buttati dalla gente perché non aveva più fame.
Si poteva considerare il ragazzo più felice della Terra grazie a quell’Angelo dai capelli rossi che gli aveva dato calore e un buon pasto per sfamarsi.
Bevve un sorso di cioccolata, per poi ritrovarsi con la lingua fuori dalla bocca in cerca di aria perché si era scottato.
La rossa rise di gusto, coinvolgendo subito dopo anche lui, mentre il lieve bruciore andava scemando.
 
“Ehi! Bevi con calma, non abbiamo fretta” lo rimproverò Nami dolcemente, per poi fargli cenno di soffiare sopra la bevanda bollente.
Baltazar seguì il consiglio e bevve un altro sorso di cioccolata, questa volta senza scottarsi la lingua.
 
“E’ muito bom (2)*” disse addentando un altro pezzo di cornetto.
 
La ragazza lo guardò con tenerezza, paragonandolo al suo migliore amico.
 
Rufy, forse non s’ingozza come te quando mangia, però ha la tua stessa innocenza e dolcezza…” pensò con malinconia, prima di mettere da parte i ricordi e tornare a mangiare assieme a quel ragazzino entrato con prepotenza nella sua vita…
 
 
(1)* Grazie
(2)* E’ molto buono






Angolo di Alyce: Siete liberi di uccidermi!!!! :D
So di essere in un ritardo pazzesco e mi dispiace, dico davvero!
Sapevo cosa scrivere ma non come (si gratta il capo, imbarazzata)
Sarò sincera: le prime frasi che scrivevo sono state difficili da scrivere, ma poi ho ritrovato confidenza con il capitolo e ta da!!!
Non affermo che il capitolo sia bello, secondo me fa schifo, inoltre, è anche corto!!
Ripeto: siete liberi di uccidermi! xD
Questo è un po' un capitolo di transizione, soprattutto perchè entra in gioco il nostro piccolo Baltazar: quanto lo adoro *^*
E Sherlock che un po' gelosetto lo è, è da coccolare, insomma! xD
Avverto che Balti (gli ho già dato il soprannome xD) è un personaggio abbastanza primario, ma ci sarà per pochi capitoli, anche se pensavo di farlo entrare definitivamente nel cast.
Voi che ne pensate?
Mi farebbe piacere una vostra opinione!
Dico anche che Balti è Brasiliano, anche se lo avrete già capito dal nome della città "Rio", di conseguenza, Balti parla portoghese.
Io non lo parlo e nemmeno Nami lo sa (non voglio che appaia come una Marie Sue: dolce, bella, buona e che sa tutto? Ma manco no! Forse bella sì, e che capisce la situazione di Baltazar, ma dolce non lo è! Al limite solo con Balti...Già le facevo conoscere la SIndrome di Noonan, figuriamoci -.-''), quindi ci affidiamo a Google Traduttore, sperando che le traduzioni siano giuste ^_^''
Non ho altro d'aggiungere!
Ci si vede al prossimo capitolo!
Ciao e un strasuperbacione!
Alyce :))))))))))))))))))))))))))))))))
  
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