CAPITOLO 3
Il Gran Re Fermei era raggiante. Stava per raggiungere il suo
obiettivo, cioè iniziare a saccheggiare e a distruggere le città più ricche
dell’impero di Fortwar.
Fin da quando era bambino aveva sempre sognato quel momento.
Era cresciuto in un luogo aspro e difficile al di là del
grande deserto, dove la natura selvaggia e incontaminata faceva da padrona,
disperdendo come biglie le tribù umane, che tra l’altro vivevano in modi molto
differenti dagli abitanti dell’impero di Fortwar.
Le terre al di là del deserto erano abitate dagli uomini solo
nella parte più meridionale, dove i fiumi provenienti dalle alte montagne
dell’entroterra rendevano fertili e piene di vita un territorio che, senza
essi, sarebbe stato deserto.
Nessun umano, che lui sapesse, aveva mai oltrepassato i monti
altissimi della catena montuosa di Akras, che segnava un confine pressoché
invalicabile per gli umani.
Tra i monti Akras e il deserto si svolgeva la vita quotidiana
di decine di tribù umane che combattevano tra loro ogni giorno. Lui era nato a
Valake, la cittadina fondata da suo padre, e che probabilmente era stata la
prima città organizzata in quelle terre.
In confronto alle grandi città in pietra dell’impero, Valake
non era che un villaggio costruito in legno ben protetto da una fitta foresta.
Fermei era il primo e unico figlio maschio del re Valaki il Grande. Suo padre
aveva infatti condotto la propria tribù in un luogo sicuro, rendendola stabile
e fermando i continui spostamenti che provocavano solo guerre con i popoli
vicini, fondando la città di Valake e dandogli il suo nome. Il popolo di Valaki
veniva dal territorio che fa da margine col deserto, ed aveva sempre fatto la
fame, ma grazie allo stanziamento in una zona fertile e sicura, aveva iniziato
a prosperare, con grande gioia del re.
All’epoca Fermei era solo un neonato, sfuggito alla morte
grazie all’aiuto di una balia, visto che sua madre era morta di parto, mentre
sua sorella iniziava già ad essere un’adolescente.
Ora era un ragazzo di 22 anni, con la pelle leggermente
ambrata, segno tipico del suo popolo, e da quando era poco più che un bambino
aveva sempre e solo combattuto con rabbia e odio contro chiunque.
Infatti Valaki era morto molto giovane, a causa di una rara
malattia incurabile, che lo aveva condotto dopo pochi giorni dalla comparsa dei
primi sintomi, a una morte tra atroci sofferenze. Fermei era rimasto molto
scosso, all’epoca aveva appena 17 anni ma sapeva che ora avrebbe dovuto
rivendicare il trono, aveva l’appoggio incondizionato del popolo ma non quello
dell’esercito.
Sua sorella, infatti, si era sposata con il generale Taruk,
ed avevano già tre figli maschi e due femmine. Taruk, avido di potere come
Mary, la sorella di Fermei, non aveva perso tempo, ed aveva subito inviato un
manipolo di soldati al palazzo reale per ucciderlo. Fermei era riuscito a
fuggire e a nascondersi nella foresta
grazie a pochi fedelissimi,che mantennero i contatti con lui, e che grazie ad
alcune promesse, riuscirono ad avvelenare Taruk e Mary.
Al suo ritorno in
città, Fermei fu accolto come un liberatore; con lui veniva ristabilito
l’ordine reale. Fece avvelenare, senza alcuno scrupolo, tutti i suoi nipoti e i
simpatizzanti di sua sorella furono imprigionati e giustiziati.
In pochi mesi aveva rifondato l’esercito, e grazie al
servizio di leva da lui imposto, aveva a disposizione ingenti forze. In quel
momento aveva a disposizione un esercito di 4000 uomini, e, all’età di 18 anni,
si lanciò alla conquista delle tribù vicine, tutte meno numerose e più deboli.
Inoltre esse erano povere e con pochi guerrieri, ma comunque sempre molto
valorosi.
Attraversò foreste rigogliose e zone semidesertiche,
sottomettendo ogni nemico e ogni tribù, che si rivelarono anche molto
disorganizzate tra loro. In un solo anno e mezzo il suo nome spargeva il
terrore ovunque, e con il suo esercito aveva conquistato tutto il possibile.
Nonostante la sua giovane età, era temuto da tutti. Si era fermato solo di
fronte ai monti Akras, e solo allora aveva deciso di tornare a Valake. Il suo
esercito aveva sofferto molto, più per i diversi climi e per le malattie che
per i nemici.
Tornò alla capitale con soli 50 uomini, più 200 valorosi
guerrieri che avevano deciso di seguirlo e giurargli fedeltà, lasciando le loro
tribù nomadi e le loro famiglie.
Anche lui ora aveva fondato un impero, ma non desiderava
essere chiamato imperatore, ma Gran Re, proprio come suo padre, da cui aveva
preso esempio. Trovò Valake molto cambiata; nei 18 mesi della sua assenza il
villaggio era diventato una bella città, che si stava espandendo in
continuazione, ai danni della foresta circostante. Il suo sogno era quello di
spostare i suoi interessi verso le terre del sud, l’impero, da dove provenivano
genti sconosciute che affrontavano il deserto per giungere nei Regni Ignoti.
Valaki gliene aveva parlato, aveva pensato che una volta costruito il suo
impero, avrebbe invaso il sud, e aveva già piani che suo figlio aveva studiato
e imparato a memoria.
Il deserto non era un ostacolo.
Il problema era che non aveva a disposizione un grande
esercito. Per ora.
Ogni giorno giungevano a Valake decine di ambasciate, inviate
da popoli distanti, che intimoriti dal Re gli chiedevano amicizia e giuravano
fedeltà. Sfruttando la situazione li convinse a combattere per lui e a mandare
tutti i guerrieri disponibili a Valake, dove avrebbero preso le armi per
combattere per il Re. In cambio aveva offerto la sua benevolenza e tante
ricchezze. Gli ambasciatori se ne andavano felici e in quattro anni aveva
racimolato un immenso esercito ben addestrato, pronto per attraversare il
deserto. I guerrieri arrivavano continuamente in città, ed ora possedeva un
esercito immenso.
All’età di 22 anni si era sentito pronto per invadere il sud
e così fu. D’altronde, tutti quei guerrieri in città stavano iniziando a dargli
problemi. Così aveva iniziato la sua marcia, e, guidato da una ristretta
avanguardia a dorso di cammello, aveva attraversato il deserto, e si era
trovato ben presto in un luogo magnifico, con grandi pianure fertili, grandi e
ricche città e migliaia di pacifici abitanti inadatti a combattere.
Aveva devastato gran
parte del confine per poi riversare il suo esercito verso la grande città di
Arus, di cui ora restavano solo rovine. Aveva distribuito le ricchezze
depredate tra i suoi guerrieri, che erano sempre più felici e bramosi di
rimettersi in marcia. Aveva perso pochissimi uomini ed aveva fatto molti
schiavi, che gli sarebbero stati utili in seguito, poiché ben presto, se fosse
riuscita la missione da lui commissionata,avrebbe avuto dei validissimi alleati,
talmente tanto potenti da far vacillare qualsiasi forma di vita. Doveva
rallentare la marcia in attesa di notizie.
Ora si stava sedendo sul trono nella sua grande tenda, ed
avrebbe ostentato un sorriso sicuro sul volto, per nascondere la sua indecisione.
Doveva mostrarsi sicuro, stava per ricevere i suoi generali.
Shon, che era uno dei guerrieri più abili e resistenti del
Gran Re, stava impazzendo.
Era passato un bel po’
di giorni, non ricordava quanti, da quando aveva accettato di portare a termine
la missione più importante del Re. Fermei gliene aveva parlato e lui,
ingenuamente, aveva accettato, pensando di non temere nulla.
Ora si pentiva amaramente della sua scelta, mentre il suo
corpo e la sua mente stavano collassando. La missione consisteva
nell’affrontare gli impervi monti Akras e trovare, in una vallata dove la luce
non arriva mai, la caverna in cui riposavano da tempi antichissimi i Demoni.
Era partito da Valake con 8 dei suoi migliori guerrieri, e
nel giro di pochi giorni, a cavallo, erano già giunti ai piedi dei primi monti.
Aveva capito fin da subito che qualcosa non andava. Avrebbe seguito una pista
costruita da chissà chi migliaia di anni fa, e ben presto i nove si erano
ritrovati, come morti, a percorrerla.
Seguivano i fianchi dei monti, poi scendevano in buie vallate
da giorni, mentre tutt’attorno a loro non c’era nulla, se non la neve perenne.
Non c’era traccia di forme di vita attorno a loro, e vivevano con magre scorte
di alimenti che si portavano dietro da inizio viaggio.
Ma non erano state le
bufere continue di neve o i paesaggi spettrali a destabilizzarli.
Nell’aria aleggiava
qualcosa di strano. Lui e i suoi guerrieri, ben addestrati a sopravvivere
ovunque, non riuscivano a riposare, la loro mente veniva scossa da visioni
terribili mentre i loro corpi perdevano le forze. Pian piano, ogni giorno.. ora
doveva mancare veramente poco alla loro meta.
In uno dei rari momenti di lucidità mentale, Shon si girò
indietro a controllare i suoi uomini. Avevano tutti gli sguardi vacui, erano
deboli e scossi da tremori, mentre cavalcavano cavalli ancor più sofferenti.
Nessuno parlava da giorni, non ne avevano le forze.
Quel luogo era indubbiamente maledetto.
La sua mente iniziava a offuscarsi di nuovo. Poi tutto ad un
tratto, nella buia vallata che stava percorrendo senza orientamento, scorse un
bagliore. Sì, un bagliore che usciva da una grotta.
La sua mente si risvegliò, come quella dei suoi soldati e dei
cavalli, che si lanciarono al trotto verso il bagliore. I soldati smontarono,e,
senza dire parola, abbandonarono i cavalli ed entrarono nella grotta. Attorno a
loro c’era solo buio, non si potevano vedere i limiti dell’ambiente, mentre una
fioca luce violetta brillava sospesa poco distante da loro. I soldati si
guardarono per un istante in faccia, poi si lanciarono verso la luce, e,
contemporaneamente, ci misero le mani, come per afferrarla. Shon aveva solo
seguito il suo istinto, guidato da forze sconosciute, come anche gli altri
avevano fatto.
La luce in un primo istante infuse calore nei loro corpi, che
si rilassarono.
Poi, inaspettatamente, esplose.
Shon fu gettato a
terra, sotto di sé sentiva la roccia
gelida, mentre si contorceva dal dolore. Non vedeva nulla attorno a sé, solo il
buio, mentre cercava di far uscire un grido dalla sua gola secca. Non uscì
nulla dalla sua gola. Ora però si sentiva mancare il fiato. Non riusciva più a
respirare, mentre si contorceva al suolo. Il suo volto divenne violaceo, poi
perse i sensi e morì lì, a pochi passi dai suoi soldati, che avevano condiviso
con lui la stessa fine.
Dalla grotta, dopo poco, uscirono nove figure umane. Erano
gli stessi soldati che erano entrati poco prima, ma avevano il volto pallido
tipico dei morti e gli occhi completamente bianchi, senza iride. Presero i
cavalli e partirono, dovevano raggiungere in fretta l’esercito del gran Re. Ben
presto, il Re si sarebbe accorto del grave errore che aveva commesso ridando il
corpo ai Demoni della Morte.
La bella Ilse si trovava
al torrente che scorreva placido vicino a Frampul, e stava lavando i
panni dei suoi padroni. Frampul era un villaggio vicino ad Arus, ed era il
posto dove lei viveva ora come serva. Come gli sembravano lontani quei giorni
spensierati a Fortwar! Era abbastanza bella e ricca, alta, mora e con dei bei
capelli raccolti in una grossa treccia, aveva anche gli occhi di una rara
tonalità grigia, come sua madre, ma l’unico corteggiatore che aveva era Tim, un altro ragazzo del suo quartiere,
e lei lo aveva rifiutato e allontanato.
Non che lo odiasse, ma voleva essere frequentata solo da
persone del suo stesso rango. Aveva provato un soffio al cuore quando aveva
saputo che il giovane si sarebbe arruolato nell’esercito a causa dei suoi
problemi economici e familiari. Gli era dispiaciuto un po’, forse lei
ricambiava il suo amore, ma sapeva di non poterlo dimostrare. Lei mirava a ben
altri uomini, ricchi e influenti. Ma suo padre, consigliere reale, era stato
accusato, ingiustamente, di tradimento. Suo padre, sua madre e i suoi tre
fratelli maschi furono imprigionati e condannati a morte, mentre tutti i
possedimenti di famiglia venivano confiscati. Si era trovata sola e in strada,
risparmiata solo perché veniva ritenuta innocua. Aveva lasciato la capitale, ed
aveva percorso l’impero in cerca di un lavoro.
L’aveva trovato lì, dove veniva trattata come una schiava.
’’Pensi troppo ragazza. Poi non strofini bene i panni, che
restano sporchi.’’. Il rimprovero gli giunse, distante, alle orecchie. Dopo
alcuni mesi era riuscita ad abituarsi alla governante che se la prendeva con
lei.
Raccolse i panni in una cesta e, incurante della vecchia che
la fissava, iniziò a percorrere i pochi metri che la separavano dalla villa dei
padroni, non senza andare a sbattere contro una giovane inserviente.’’Stai
attenta, caspita!guarda dove vai almeno!’’, le gridò l’anziana governante da
dietro. Sbuffando, entrò nella villa. Posò la cesta a terra. Qualcosa non
andava. Non c’erano più schiamazzi della servitù e neppure ospiti che ogni
giorno andavano a visitare i suoi padroni. Inaspettatamente, comparve di corsa Vale,
un'altra giovane domestica. La fermò.
’’Cosa sta succedendo?’’, chiese spaventata.
‘’ Ma come non lo sai? Non le senti le grida distanti? Dopo
Arus, i nemici stanno distruggendo Frampul, che sta già venendo saccheggiata,
visto che non ha neppure le mura. Vattene e scappa, qui lo stanno facendo
tutti. Nasconditi bene, se ti prendono quelli ti uccideranno di sicuro..’’, e
scappò via nel cortile di corsa.
Frastornata, Ilse sentiva già i primi rumori riecheggiare
dalle case vicine. Era troppo tardi per fuggire. Guardò in cortile. La vecchia
governante giaceva riversa al suolo, trafitta da una freccia, mentre nei vicoli
poco distanti riecheggiavano le grida d’aiuto della domestica, probabilmente
già catturata. La sua unica possibilità di fuga era nascondersi nella villa.
Salì frettolosamente una rampa di scale e poi si accorse che qualcuno, appena
entrato, la stava fissando. Erano cinque nemici, avvolti in tuniche colorate.
Iniziò a correre più veloce, inseguita dai guerrieri che sghignazzavano
divertiti. Per loro era un gioco.
Corse il più
velocemente possibile nel piano superiore, ma inciampò in un secchio mezzo
d’acqua abbandonato nel corridoio, cadde rovinosamente a terra. Piangendo, si
accorse che i suoi inseguitori la stavano per afferrare.
Tentò di rialzarsi, ma
ricadde, scivolando nell’acqua. Una mano forte l’afferrò, e la rialzò.
Ora era in mano nemiche.
I nemici parlavano una lingua sconosciuta, e ridevano mentre
la gettavano tra gli altri prigionieri. Erano tantissimi. Ilse piangeva, perché
era una stupida, era un disastro per sé stessa. Aveva sbagliato tutto, solo ora
ci pensava.
Se solo avesse accettato quel ragazzo, Tim, ora sarebbe
sposata, magari con qualche problema economico ma in una città sicura come
Fortwar, amata e circondata dai suoi figli. Invece ora si trovava schiava del
nemico, con il suo amore segreto Tim probabilmente già morto in battaglia,
ucciso e deriso dagli amici.
Le sue erano lacrime amare, era stata la condanna per sé
stessa e per chi l’amava. Si sedette sulla terra battuta, disperata, ignorando
gli altri schiavi già con le mani legate, che gridavano attorno a lei.
Frampul era stata distrutta, proprio come la sua stessa vita.
NOTA DELL’AUTORE
Ho risistemato meglio i capitoli. Spero che la storia vi stia
piacendo. Naturalmente, le recensioni sono sempre ben accette. Grazie per la
lettura.