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Autore: millyray    01/09/2014    1 recensioni
Connie torna a Londra dopo tanti anni e con sé porta dietro tanti ricordi spiacevoli, tante esperienze terrificanti che non sono mai state dimenticate, tanti sentimenti negativi, risvegliando un lato nella personalità di Sherlock che i suoi amici più intimi non hanno mai conosciuto.
Ma non solo questo... Connie è una ragazza speciale, sa il fatto suo, sa osservare ma soprattutto sa vedere quello che non c'è in superficie. Perché lei, a differenza di qualcun altro che ben conosce, è in grado di vedere col cuore.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: John Watson, Nuovo personaggio, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO QUATTORDICI

Mycroft osservava la sorella, impassibile. I suoi occhi non mostravano alcuna espressione, le sue labbra non si piegarono in nessuna smorfia, nessun muscolo si mosse. Non sembrava nemmeno che stesse respirando. Tutti nell’appartamento tacevano, non una mosca volava.

Connie si avvicinò lentamente al fratello e piegò il capo all’indietro per osservarlo meglio. Oh, l’espressione di Mycroft era cambiata eccome! Da quella superficie fredda e disinteressata che era solito mostrare, faceva capolino il Mycroft giovane che si preoccupava per le sorti del fratellino.

“Da quanto?”

“Un mese”.

L’uomo strinse le mani a pugno come se cercasse di trattenere qualcosa. “Gli hai fatto qualcosa?”

Connie sbatté le ciglia, la bocca semiaperta in un’espressione incredula e contrariata. “Ah, certo, ora è colpa mia?! E’ sempre colpa mia”. Si avvicinò al fratello tutta infervorata; sembrava in procinto di dargli un pugno. Invece si limitò a puntargli un indice contro e a colpirlo sul petto. “Non fai altro che prendertela con me. È colpa mia per qualsiasi cosa brutta gli succeda. È colpa mia se è così sociopatico, se è strano, se si droga, se non mangia abbastanza, se i bulli a scuola gli infilavano la testa nel cesso, se si è fatto bocciare. Ed è colpa mia pure se ha tentato il suicidio tagliandosi le vene, giusto?!”

La ragazza si zittì e Mycroft l’afferrò per i polsi. Tutti nella stanza ora erano sconvolti.

“Oh, Santo cielo!” esclamò la signora Hudson accasciandosi su una sedia e facendosi aria con un fazzoletto. Molly invece scambiò un’occhiata con John. Questi aveva appena sentito confermare il suo sospetto quando aveva visto quelle cicatrici sui polsi di Sherlock. Ma come aveva fatto a non notarli prima? Già, certo, perché Sherlock indossava sempre le maniche lunghe e i guanti per non farli notare. Ma non era una scusante. Diceva di amarlo e non era nemmeno in grado di notare queste cose?

Stupido, stupido, John, sei una testa di cazzo!

“Che cosa pensi di fare ora, Mycroft?” chiese Connie, gli occhi che sembravano perforare il fratello.

“Quello che ho fatto l’ultima volta”.

La ragazza ridacchiò isterica. “Metterlo in un centro di disintossicazione? Sherlock non accetterà mai e lo sai”.

“E tu che proponi di fare?”

In quel momento si sentì un rumore provenire dal corridoio. Tutti si voltarono in quella direzione, scorgendo un ombra scura allontanarsi.

“Sherlock!” gridò Connie allarmata. Ma Sherlock non tornò indietro. “Visto cos’hai fatto?!” rimproverò il fratello, tornando a rivolgere l’attenzione a lui. Restò a fissarlo duramente negli occhi, indecisa su cosa dirgli; alla fine, decise di lasciar perdere. Si voltò verso John e sospirò. “Vieni con me”.  Poi, girandosi verso Mycroft: “E tu resta qui!” Nessuno osò contraddirla in quel momento, nemmeno il fratello maggiore.

Connie e John raggiunsero la stanza di Sherlock, trovando l’uomo fermo di fronte alla finestra con la schiena rivolta alla porta. La ragazza gli si avvicinò cautamente, come se non volesse spaventarlo; il dottore invece rimase un po’ più indietro, come se fosse in attesa di un ordine.
Si agitavano diverse sensazioni dentro di lui, alle quali non riusciva a dare un ordine né un nome. Sapeva solo che non erano affatto piacevoli.
Forse, riflettendoci bene, la sensazione che più dominava sulle altre era la rabbia, rabbia nei propri confronti, rabbia per non aver capito che cosa stesse succedendo a Sherlock in quei giorni, per non averlo ascoltato come doveva, per non essergli stato più vicino. Insomma, abitare nello stesso appartamento non significava per forza essere intimi e sapere tutto del proprio coinquilino. Ma c’era anche un certo senso di impotenza che lo tormentava perché non aveva idea di che cosa fare per aiutare Sherlock e, cosa peggiore, non era certo se ne sarebbe stato in grado. Sicuramente Connie aveva molto più potere di lui, era sua sorella e ci era già passata.

Sei invidioso, John?

No.

Sicuro?

“Sherly?” Sentì la voce di Connie, cauta e preoccupata. “Stai bene?”

Le rispose il silenzio; Sherlock non disse niente e non diede segno di averla sentita. Si limitò a rimanere a fissare il panorama fuori dalla finestra.

“Non dovevi sentire quello che…”.

“Non voglio andare via”.

“Cosa?!”

“Non mandarmi via.  Non voglio andare in quel… quel posto”. Quando il detective si voltò verso la sorella, John si sentì sprofondare nel vedere quegli occhi così sofferenti e quell’espressione abbattuta.

“Oh, tesoro. Nessuno ti manderà da nessuna parte. Te ne starai qui, con me e John. Non dare ascolto a Mycroft!” Connie si sollevò sulle punte e strinse il fratello in un abbraccio. Questi non si ritrasse ma si lasciò andare contro di lei, le braccia lasciate pendere sui fianchi. Attraverso la spalla della ragazza, lanciò un’occhiata a John che, appoggiato contro l’armadio, lo guardava con un piccolo sorriso rassicurante. Non voleva fargli capire di essere in pena per lui perché sapeva che a Sherlock non piaceva, ma non era molto bravo a nascondere i suoi sentimenti, non come il detective, almeno.

“Adesso riposati. A Mycroft ci penso io. L’ho sempre fatto”.

John e Connie uscirono dalla stanza, lasciando Sherlock da solo, ma prima di tornare in salotto, la ragazza si fermò in corridoio, guardando il dottore gravemente. “Fagli un prelievo e poi faremo analizzare la provetta a Molly. È meglio che non si sappia troppo in giro, ok?” sussurrò all’amico per non farsi sentire dal fratello. Benché la porta fosse chiusa, sapeva che quando Sherlock voleva, poteva sentire tutto. “Dovremo tenerlo sotto controllo in questi giorni. Io non ho intenzione di metterlo in un centro di disintossicazione”.

“Nemmeno io”, rispose John, annuendo. “Non ti preoccupare, ce la farà”. Era d’accordo con Connie: per quanto fosse un medico e sapesse comunque che i centri di disintossicazione aiutavano, non gli andava di lasciare Sherlock in uno di quelli. Insomma, Sherlock non era una persona qualsiasi e quindi non era nemmeno un drogato qualsiasi. E poi, c’era anche il suo lato egoistico a impedirgli di fare una cosa del genere.

In quel momento i due sentirono qualcuno tossicchiare dietro di loro e si voltarono contemporaneamente. Mycroft li guardava col solito cipiglio altezzoso. “Constance, dobbiamo parlare di questo fatto. Non credo sia una buona idea…”.

“Sta’ zitto! Non mi interessa che cosa credi tu. Mi occuperò io di Sherlock e se provi a portarlo via da me e John giuro che chiedo a Greg di arrestarti!” Connie era in procinto di mettere le mani addosso al fratello, quando un improvviso trillare la bloccò. Mycroft estrasse il cellulare dalla tasca e lesse il messaggio che aveva appena ricevuto. Poi alzò lo sguardo sulla sorella e storse la bocca. “Ora devo andare. Ma dobbiamo continuare questo discorso. Ci rivedremo presto”.

La ragazza alzò gli occhi al cielo e osservò il fratello andare via. Non aveva intenzione di fermarlo e sperava di non doverlo rivedere troppo presto.
Quando sentì che la porta d’ingresso si chiudeva, tornò in salotto insieme a John che aveva appena estratto un po’ di sangue dal braccio di Sherlock per consegnarlo a Molly per farglielo esaminare. La ragazza sembrava piuttosto turbata, così come la Signora Hudson, che correva di qua e di là per la cucina, lavando tazze e pulendo tutti i ripiani che trovava, di modo da tenersi occupata. John riuscì a farla calmare e la convinse ad andare a riposarsi, assicurandole che Sherlock non avrebbe tentato di tagliarsi di nuovo le vene e nemmeno di impiccarsi o qualsiasi altra cosa che poteva mettere fine alla sua vita.
Anche Molly alla fine se ne andò, facendosi promettere che l’avrebbero tenuta aggiornata sulle condizioni di Sherlock.

“Che ne dite se ordiniamo delle pizze per cena?” chiese a un certo punto Connie, una volta che in casa furono rimasti solo lei, John e Lestrade. “Ho parecchia fame”, aggiunse, massaggiandosi la pancia.

“Per me va bene”, rispose Greg e John annuì.

 

Finirono di mangiare la pizza parlando del più e del meno, senza nominare Mycroft, la droga o qualsiasi altra cosa che potesse rovinare l’atmosfera. Greg parlò di un caso piuttosto semplice che stava seguendo, al che Sherlock si distrasse e poté unirsi alla conversazione. Sia Connie che John furono però molto felici di vederlo mangiare finalmente come si deve.

Mentre Connie e Lestrade buttavano via i cartoni della pizza e mettevano via le posate, Sherlock si alzò da tavola per salire in camera sua.
La ragazza allora lanciò un’occhiata a John che, senza aver bisogno di ulteriori spiegazioni, lo seguì senza farsi notare. Quando lo raggiunse, lo trovò che rovistava nell’armadio.

“Non serve che mi controlli. Non sto sniffando cocaina, volevo solo cambiarmi la maglietta”, gli arrivò la voce calma e profonda dell’amico.

“Non volevo controllarti”, mentì John, ma capì subito che era inutile negare l’evidenza, specialmente davanti a un consulente detective così intelligente e perspicace. “E’ solo che sono preoccupato”.

“Non serve nemmeno che ti preoccupi”.

“Non posso farne a meno, Sherlock”.

Il moro si tolse la maglietta rimanendo a petto nudo davanti a John che non poté evitare di farci cadere l’occhio. Ma da quando era diventato così gay? Maledetto il karma!
Sherlock si sedette sul letto con lo sguardo basso. “Scusa, John”.

“Per cosa?”

“Per essermi drogato. E per aver pianto sulla tua maglietta”.

John sorrise e si sedette accanto a lui, poggiandogli una mano sulla coscia. “Tutti commettono degli errori e sei ancora in tempo per tornare indietro. E per quanto riguarda la mia maglietta… be’, ti lascerò piangerci sopra tutte le volte che vorrai”.
Sherlock ridacchiò, alzando gli occhi sull’amico e fermandosi a osservarlo. Poi sussurrò: “Scusami anche per questo”.

John spalancò gli occhi quando si trovò le labbra del detective premute contro le sue, sorpreso e incredulo. Perché, perché Sherlock era sempre così dannatamente… così come? Imprevedibile?
Il dottore ricambiò il bacio, affondando la mano nei capelli del moro, lasciandosi andare a quel bacio dolce ma intenso.
Si staccarono solo perché dovevano riprendere fiato.

 “Sappi che tu non mi devi mai chiedere scusa”, sospirò John contro l’orecchio di Sherlock, senza poter evitare di sorridere come un ebete. “Tantomeno se mi baci così”.

“Allora posso baciarti di nuovo?”

“Tutte le volte che vuoi”.

“Solo se stanotte resti a dormire con me”.

 

Connie stava lavando i bicchieri quando sentì Greg sfiorarle un braccio e appoggiarsi al lavello accanto a lei. Si limitò a rimanere in silenzio, però.

“Che c’è che ti tormenta?” gli chiese lei

Lestrade inarcò un sopracciglio, maledicendo la sua ragazza che si accorgeva sempre di tutto. Dopotutto, bastava vedere con chi era imparentata.

“Stavo solo pensando a Sherlock”.

“Non ti preoccupare. Si riprenderà”.

“Questo lo so. È solo che…”.

Connie richiuse il rubinetto e lanciò un’occhiata incuriosita al suo fidanzato. D’accordo che era intelligente e perspicace, ma non fino a questo punto. “Solo che cosa, Greg?”

“Non avrei dovuto farlo lavorare a quel caso, quello della droga, intendo. Scommetto che è da allora che ha iniziato”.

La ragazza sbatté le ciglia e lasciò cadere lo straccio. “Tesoro, ma che dici? Non importa quando ha iniziato, di sicuro non c’entri tu”.

“Sì, però io…”.

“Greg, non è colpa tua. Smettila!”  Si protese per dargli un bacio veloce sulle labbra e spettinargli i capelli. “E in ogni caso non è questo che conta”.

L’uomo le sorrise e la strinse a sé. Certo, lui non poteva saperne niente, non sapeva molto del passato di Sherlock e di certo non si immaginava che avrebbe ripreso a drogarsi, ma comunque non poteva fare a meno di sentirsi un po’ in colpa. In fondo, lui per primo ha lanciato il sasso.
Ma ormai il danno era fatto e dare la colpa a qualcuno non avrebbe aiutato nessuno.

 

 

MILLY’S SPACE

Ok, giuro che io non odio Mycroft, anzi, lo amo. È solo che qui è venuto un po’ così. Ma non preoccupatevi che si rifarà. Ma da quant’è che lo ripeto?? Boh.

Scusate il ritardo nell’aggiornamento ma sono veramente a corto di ispirazione e nemmeno questo capitolo mi convince troppo ma non volevo continuare a rimandare. Temo di aver fatto Sherlock un po’ OOC. Pazienza.

Prima di chiudere volevo linkarvi una Oneshot di Torchwood che ho pubblicato proprio ieri, nel caso seguiate la serie mi piacerebbe che le deste un’occhiata http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2801209&i=1
e andate a visitare la mia pagina facebook https://www.facebook.com/MillysSpace

E ricordatevi anche di lasciare una recensione.

Baci,
M

P.S. ho intenzione di pubblicare una raccolta di Missing Moments tratta da questa storia, ma non so ancora quando.

ALICE_D_MONKEY: Sherlock è troppo puccio solo che non lo vuole ammettere . Ti prego, non prendertela con Mycroft, è solo che lui non capisce… ^^
Alla prossima, un Bacione. Milly

  
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