CAPITOLO QUATTORDICI
Mycroft osservava la sorella,
impassibile. I suoi occhi non
mostravano alcuna espressione, le sue labbra non si piegarono in
nessuna
smorfia, nessun muscolo si mosse. Non sembrava nemmeno che stesse
respirando.
Tutti nell’appartamento tacevano, non una mosca volava.
Connie si avvicinò
lentamente al fratello e piegò il capo
all’indietro per osservarlo meglio. Oh,
l’espressione di Mycroft era cambiata
eccome! Da quella superficie fredda e disinteressata che era solito
mostrare,
faceva capolino il Mycroft giovane che si preoccupava per le sorti del
fratellino.
“Da quanto?”
“Un mese”.
L’uomo strinse le mani a
pugno come se cercasse di
trattenere qualcosa. “Gli hai fatto qualcosa?”
Connie sbatté le ciglia,
la bocca semiaperta in
un’espressione incredula e contrariata. “Ah, certo,
ora è colpa mia?! E’ sempre
colpa mia”. Si avvicinò al fratello tutta
infervorata; sembrava in procinto di
dargli un pugno. Invece si limitò a puntargli un indice
contro e a colpirlo sul
petto. “Non fai altro che prendertela con me. È
colpa mia per qualsiasi cosa
brutta gli succeda. È colpa mia se è
così sociopatico, se è strano, se si
droga, se non mangia abbastanza, se i bulli a scuola gli infilavano la
testa
nel cesso, se si è fatto bocciare. Ed è colpa mia
pure se ha tentato il suicidio
tagliandosi le vene, giusto?!”
La ragazza si zittì e
Mycroft l’afferrò per i polsi. Tutti
nella stanza ora erano sconvolti.
“Oh, Santo
cielo!” esclamò la signora Hudson accasciandosi
su una sedia e facendosi aria con un fazzoletto. Molly invece
scambiò un’occhiata
con John. Questi aveva appena sentito confermare il suo sospetto quando
aveva
visto quelle cicatrici sui polsi di Sherlock. Ma come aveva fatto a non
notarli
prima? Già, certo, perché Sherlock indossava
sempre le maniche lunghe e i
guanti per non farli notare. Ma non era una scusante. Diceva di amarlo
e non
era nemmeno in grado di notare queste cose?
Stupido,
stupido,
John, sei una testa di cazzo!
“Che cosa pensi di fare
ora, Mycroft?” chiese Connie, gli
occhi che sembravano perforare il fratello.
“Quello che ho fatto
l’ultima volta”.
La ragazza ridacchiò
isterica. “Metterlo in un centro di
disintossicazione? Sherlock non accetterà mai e lo
sai”.
“E tu che proponi di
fare?”
In quel momento si sentì
un rumore provenire dal corridoio.
Tutti si voltarono in quella direzione, scorgendo un ombra scura
allontanarsi.
“Sherlock!”
gridò Connie allarmata. Ma Sherlock non tornò
indietro. “Visto cos’hai fatto?!”
rimproverò il fratello, tornando a rivolgere
l’attenzione a lui. Restò a fissarlo duramente
negli occhi, indecisa su cosa
dirgli; alla fine, decise di lasciar perdere. Si voltò verso
John e sospirò.
“Vieni con me”. Poi,
girandosi verso
Mycroft: “E tu resta qui!” Nessuno osò
contraddirla in quel momento, nemmeno il
fratello maggiore.
Connie e John raggiunsero la stanza
di Sherlock, trovando l’uomo
fermo di fronte alla finestra con la schiena rivolta alla porta. La
ragazza gli
si avvicinò cautamente, come se non volesse spaventarlo; il
dottore invece
rimase un po’ più indietro, come se fosse in
attesa di un ordine.
Si agitavano diverse sensazioni dentro di lui, alle quali non riusciva
a dare
un ordine né un nome. Sapeva solo che non erano affatto
piacevoli.
Forse, riflettendoci bene, la sensazione che più dominava
sulle altre era la
rabbia, rabbia nei propri confronti, rabbia per non aver capito che
cosa stesse
succedendo a Sherlock in quei giorni, per non averlo ascoltato come
doveva, per
non essergli stato più vicino. Insomma, abitare nello stesso
appartamento non
significava per forza essere intimi e sapere tutto del proprio
coinquilino. Ma
c’era anche un certo senso di impotenza che lo tormentava
perché non aveva idea
di che cosa fare per aiutare Sherlock e, cosa peggiore, non era certo
se ne
sarebbe stato in grado. Sicuramente Connie aveva molto più
potere di lui, era
sua sorella e ci era già passata.
Sei
invidioso, John?
No.
Sicuro?
“Sherly?”
Sentì la voce di Connie, cauta e preoccupata.
“Stai
bene?”
Le rispose il silenzio; Sherlock non
disse niente e non
diede segno di averla sentita. Si limitò a rimanere a
fissare il panorama fuori
dalla finestra.
“Non dovevi sentire quello
che…”.
“Non voglio andare
via”.
“Cosa?!”
“Non mandarmi via.
Non voglio andare in quel… quel
posto”. Quando il detective si voltò
verso la sorella, John si sentì sprofondare nel vedere
quegli occhi così
sofferenti e quell’espressione abbattuta.
“Oh, tesoro. Nessuno ti
manderà da nessuna parte. Te ne
starai qui, con me e John. Non dare ascolto a Mycroft!”
Connie si sollevò sulle
punte e strinse il fratello in un abbraccio. Questi non si ritrasse ma
si
lasciò andare contro di lei, le braccia lasciate pendere sui
fianchi.
Attraverso la spalla della ragazza, lanciò
un’occhiata a John che, appoggiato
contro l’armadio, lo guardava con un piccolo sorriso
rassicurante. Non voleva
fargli capire di essere in pena per lui perché sapeva che a
Sherlock non
piaceva, ma non era molto bravo a nascondere i suoi sentimenti, non
come il
detective, almeno.
“Adesso riposati. A Mycroft
ci penso io. L’ho sempre fatto”.
John e Connie uscirono dalla stanza,
lasciando Sherlock da
solo, ma prima di tornare in salotto, la ragazza si fermò in
corridoio,
guardando il dottore gravemente. “Fagli un prelievo e poi
faremo analizzare la
provetta a Molly. È meglio che non si sappia troppo in giro,
ok?” sussurrò all’amico
per non farsi sentire dal fratello. Benché la porta fosse
chiusa, sapeva che
quando Sherlock voleva, poteva sentire tutto. “Dovremo
tenerlo sotto controllo
in questi giorni. Io non ho intenzione di metterlo in un centro di
disintossicazione”.
“Nemmeno io”,
rispose John, annuendo. “Non ti preoccupare,
ce la farà”. Era d’accordo con Connie:
per quanto fosse un medico e sapesse
comunque che i centri di disintossicazione aiutavano, non gli andava di
lasciare Sherlock in uno di quelli. Insomma, Sherlock non era una
persona
qualsiasi e quindi non era nemmeno un drogato qualsiasi. E poi,
c’era anche il
suo lato egoistico a impedirgli di fare una cosa del genere.
In quel momento i due sentirono
qualcuno tossicchiare dietro
di loro e si voltarono contemporaneamente. Mycroft li guardava col
solito
cipiglio altezzoso. “Constance, dobbiamo parlare di questo
fatto. Non credo sia
una buona idea…”.
“Sta’ zitto! Non
mi interessa che cosa credi tu. Mi occuperò
io di Sherlock e se provi a portarlo via da me e John giuro che chiedo
a Greg
di arrestarti!” Connie era in procinto di mettere le mani
addosso al fratello,
quando un improvviso trillare la bloccò. Mycroft estrasse il
cellulare dalla
tasca e lesse il messaggio che aveva appena ricevuto. Poi
alzò lo sguardo sulla
sorella e storse la bocca. “Ora devo andare. Ma dobbiamo
continuare questo
discorso. Ci rivedremo presto”.
La ragazza alzò gli occhi
al cielo e osservò il fratello
andare via. Non aveva intenzione di fermarlo e sperava di non doverlo
rivedere
troppo presto.
Quando sentì che la porta d’ingresso si chiudeva,
tornò in salotto insieme a
John che aveva appena estratto un po’ di sangue dal braccio
di Sherlock per
consegnarlo a Molly per farglielo esaminare. La ragazza sembrava
piuttosto
turbata, così come la Signora Hudson, che correva di qua e
di là per la cucina,
lavando tazze e pulendo tutti i ripiani che trovava, di modo da tenersi
occupata. John riuscì a farla calmare e la convinse ad
andare a riposarsi, assicurandole
che Sherlock non avrebbe tentato di tagliarsi di nuovo le vene e
nemmeno di
impiccarsi o qualsiasi altra cosa che poteva mettere fine alla sua
vita.
Anche Molly alla fine se ne andò, facendosi promettere che
l’avrebbero tenuta
aggiornata sulle condizioni di Sherlock.
“Che ne dite se ordiniamo
delle pizze per cena?” chiese a un
certo punto Connie, una volta che in casa furono rimasti solo lei, John
e
Lestrade. “Ho parecchia fame”, aggiunse,
massaggiandosi la pancia.
“Per me va bene”,
rispose Greg e John annuì.
Finirono di mangiare la pizza
parlando del più e del meno,
senza nominare Mycroft, la droga o qualsiasi altra cosa che potesse
rovinare l’atmosfera.
Greg parlò di un caso piuttosto semplice che stava seguendo,
al che Sherlock si
distrasse e poté unirsi alla conversazione. Sia Connie che
John furono però
molto felici di vederlo mangiare finalmente come si deve.
Mentre Connie e Lestrade buttavano
via i cartoni della pizza
e mettevano via le posate, Sherlock si alzò da tavola per
salire in camera sua.
La ragazza allora lanciò un’occhiata a John che,
senza aver bisogno di
ulteriori spiegazioni, lo seguì senza farsi notare. Quando
lo raggiunse, lo
trovò che rovistava nell’armadio.
“Non serve che mi
controlli. Non sto sniffando cocaina,
volevo solo cambiarmi la maglietta”, gli arrivò la
voce calma e profonda dell’amico.
“Non volevo
controllarti”, mentì John, ma capì
subito che
era inutile negare l’evidenza, specialmente davanti a un
consulente detective
così intelligente e perspicace. “E’ solo
che sono preoccupato”.
“Non serve nemmeno che ti
preoccupi”.
“Non posso farne a meno,
Sherlock”.
Il moro si tolse la maglietta
rimanendo a petto nudo davanti
a John che non poté evitare di farci cadere
l’occhio. Ma da quando era
diventato così gay? Maledetto il karma!
Sherlock si sedette sul letto con lo sguardo basso. “Scusa,
John”.
“Per cosa?”
“Per essermi drogato. E per
aver pianto sulla tua maglietta”.
John sorrise e si sedette accanto a
lui, poggiandogli una
mano sulla coscia. “Tutti commettono degli errori e sei
ancora in tempo per
tornare indietro. E per quanto riguarda la mia maglietta…
be’, ti lascerò piangerci
sopra tutte le volte che vorrai”.
Sherlock ridacchiò, alzando gli occhi sull’amico e
fermandosi a osservarlo. Poi
sussurrò: “Scusami anche per questo”.
John spalancò gli occhi
quando si trovò le labbra del
detective premute contro le sue, sorpreso e incredulo.
Perché, perché Sherlock
era sempre così dannatamente… così
come? Imprevedibile?
Il dottore ricambiò il bacio, affondando la mano nei capelli
del moro,
lasciandosi andare a quel bacio dolce ma intenso.
Si staccarono solo perché dovevano riprendere fiato.
“Sappi
che tu non mi
devi mai chiedere scusa”, sospirò John contro
l’orecchio di Sherlock, senza
poter evitare di sorridere come un ebete. “Tantomeno se mi
baci così”.
“Allora posso baciarti di
nuovo?”
“Tutte le volte che
vuoi”.
“Solo se stanotte resti a
dormire con me”.
Connie stava lavando i bicchieri
quando sentì Greg sfiorarle
un braccio e appoggiarsi al lavello accanto a lei. Si limitò
a rimanere in
silenzio, però.
“Che
c’è che ti tormenta?” gli chiese lei
Lestrade inarcò un
sopracciglio, maledicendo la sua ragazza
che si accorgeva sempre di tutto. Dopotutto, bastava vedere con chi era
imparentata.
“Stavo solo pensando a
Sherlock”.
“Non ti preoccupare. Si
riprenderà”.
“Questo lo so. È
solo che…”.
Connie richiuse il rubinetto e
lanciò un’occhiata
incuriosita al suo fidanzato. D’accordo che era intelligente
e perspicace, ma
non fino a questo punto. “Solo che cosa, Greg?”
“Non avrei dovuto farlo
lavorare a quel caso, quello della
droga, intendo. Scommetto che è da allora che ha
iniziato”.
La ragazza sbatté le
ciglia e lasciò cadere lo straccio. “Tesoro,
ma che dici? Non importa quando ha iniziato, di sicuro non
c’entri tu”.
“Sì,
però io…”.
“Greg, non è
colpa tua. Smettila!” Si
protese per dargli un bacio veloce sulle
labbra e spettinargli i capelli. “E in ogni caso non
è questo che conta”.
L’uomo
le sorrise e la strinse a
sé. Certo, lui non poteva saperne niente, non sapeva molto
del passato di
Sherlock e di certo non si immaginava che avrebbe ripreso a drogarsi,
ma
comunque non poteva fare a meno di sentirsi un po’ in colpa.
In fondo, lui per
primo ha lanciato il sasso.
Ma ormai il danno era fatto e dare la colpa a qualcuno non avrebbe
aiutato
nessuno.
MILLY’S
SPACE
Ok, giuro che
io non odio Mycroft, anzi, lo amo. È solo che qui
è venuto un po’ così. Ma non
preoccupatevi che si rifarà. Ma da
quant’è che lo ripeto?? Boh.
Scusate il
ritardo nell’aggiornamento ma sono veramente a corto di
ispirazione e nemmeno
questo capitolo mi convince troppo ma non volevo continuare a
rimandare. Temo di
aver fatto Sherlock un po’ OOC. Pazienza.
Prima di
chiudere volevo linkarvi una Oneshot di Torchwood che ho pubblicato
proprio
ieri, nel caso seguiate la serie mi piacerebbe che le deste
un’occhiata http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2801209&i=1
e andate
a visitare la mia
pagina facebook https://www.facebook.com/MillysSpace
E ricordatevi
anche di lasciare una recensione.
Baci,
M
P.S. ho
intenzione di pubblicare una raccolta di Missing Moments tratta da
questa
storia, ma non so ancora quando.
ALICE_D_MONKEY: Sherlock
è troppo puccio solo che
non lo vuole ammettere . Ti prego, non prendertela con Mycroft,
è solo che lui
non capisce… ^^
Alla prossima, un Bacione. Milly