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Autore: Bijouttina    02/09/2014    13 recensioni
Un biglietto da visita, una scommessa con gli amici e una piscina basterebbero a capire il significato della storia.
La gelosia e la dolcezza in persona, Marco e Serena.
Marco è un rappresentante e affascinante pallanuotista, Serena una dolce e sensuale commessa in un outlet.
Una storia frizzante e divertente, con personaggi molto particolari che vi conquisteranno.
***
« Ora la mia missione è conquistarla e farla innamorare di me.», mi sento bello deciso e carico.
«E se ci riuscissi? Poi che cosa faresti? Tu non resisteresti neanche due minuti in una relazione stabile. Facciamo una nuova scommessa. Tu la porterai in villa dai tuoi, la farai conoscere ai coniugi Rossini, se non scapperà, vorrà dire che è davvero innamorata di te, e se questo succedesse, tu le farai la proposta.».
«Sei per caso impazzito?».
Che cosa ha bevuto?! Che cosa si è fumato?!
«No, affatto. Se tu la porterai da loro, vorrà dire che sarai innamorato di lei, non lo faresti altrimenti. E se sarai innamorato di lei, metterai la testa a posto. Per la gioia della tua mammina. Che ne pensi? Ti va di rischiare?».
Ho voglia di farlo? Non molta, ma non mi tiro mai indietro.
Genere: Commedia, Erotico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'La serie del rischio'
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2. Un cappuccino per due
Oh Signore che mal di testa! Apro un occhio e mi rendo conto di essermi addormentata accoccolata a Luca nel suo letto, il mio viso è appoggiato al suo petto, il suo braccio lungo la mia schiena. È rilassante ascoltare il battito del suo cuore, ma lo sarebbe anche di più se le mie tempie smettessero di martellare, devo aver esagerato con la birra ieri sera.
«Ti sei svegliata, cucciola?», chiede, strofinandosi gli occhi con la mano libera.
Mugugno sommessamente.
«Mal di testa?», mi accarezza i capelli dolcemente.
Annuisco affondando il naso nell'incavo del suo collo, lui mi stringe a sé, continuando a coccolarmi amorevolmente. È l'unica persona al mondo che mi conosce davvero, sarei persa se non facesse parte della mia vita.
Nessuno dei due lavora oggi, possiamo prenderci del tempo solo per noi. Gli bacio il mento ricoperto da un filo di barba nera incolta e gli sussurro un grazie.
Luca sa quanto lui sia importante per me, e sono certa di esserlo anch'io per lui.
«Che ne dici di andare qui sotto a fare colazione?», domanda, sollevandomi il viso con un dito e posandomi un lieve bacio sulla punta del naso.
«Direi che è un'ottima idea.», gli stampo un bacio sulle labbra e mi stiracchio.
Cerco di tirarmi su, ma cado nuovamente fra le sue braccia.
«Bene, dormiamo ancora un'oretta tesoro mio.».
Non me lo faccio ripetere due volte, mi addormento in un secondo netto.
Alle dieci, però, decidiamo che è ora di alzarsi. Ho proprio bisogno di un bel caffè per svegliarmi, e magari aiuta anche la mia testa.
Raggiungiamo la pasticceria sotto casa di Luca in totale silenzio, sbadiglio in continuazione, è più forte di me, non riesco a smettere. Veniamo spesso qui, le brioche sono davvero favolose e assolutamente imperdibili. Ci sistemiamo a uno dei tavolini e ordiniamo il solito: due cappuccini e due brioche con la crema. Due minuti dopo posso già gustarmi il mio primo caffè della giornata, lo finisco ancora prima di cominciare a mangiare, non ho saputo resistere.
Luca mescola il cappuccino con aria assorta, sembra immerso nel suo mondo.
«Stai bene?», gli chiedo in apprensione.
Lui mi sorride.
«Sto benissimo, devo aver bevuto troppo ieri sera e ora mi sento uno schifo.», risponde, storcendo il naso.
«Siamo troppo vecchi per queste cose, lo sai, vero? Non abbiamo più l'età.», affermo prima di dare un morso a quella delizia ricoperta di zucchero a velo.
«Sai, tesoro, credo che tu abbia ragione. Questa mattina te lo concedo perché non ho voglia di ribattere.».
Finalmente smette di mescolare e sorseggia piano quella bevanda schiumosa. Mi sta tornando voglia di cappuccino, non mi è bastato.
«Vado a prenderne un altro.», lo avviso, indicando la tazza vuota. «Vuoi ancora qualcosa?».
Scuote la testa.
«Sono a posto, grazie.».
Raggiungo il bancone lentamente e aspetto che Sergio, il proprietario, finisca di parlare con un cliente. Quando si accorge di me, gli chiedo un altro dei suoi strepitosi cappuccini e aspetto in trepidante attesa che finisca tra le mie mani.
Non ho fatto i calcoli con la mia poca lucidità e, nel girarmi, rovescio tutto il contenuto della tazza addosso al tizio con cui stava parlando fino a un attimo fa. La tazza cade con un tonfo sul pavimento e si rompe a metà. Mi porto entrambe le mani alla bocca, mi sento avvampare per la vergogna: tutti i clienti si sono girati a guardarmi.
«Ma guarda dove vai, cazzo!», sbotta l'uomo a cui ho fatto il bagno. «Era la mia camicia nuova!».
«Mi dispiace tanto, non l'ho fatto apposta.», cerco di scusarmi, con il viso completamente in fiamme.
«Ci mancherebbe anche che l'avessi fatto apposta!».
Si tampona la camicia con dei tovagliolini; una volta doveva essere bianca, ora è del colore del caffè latte. Quando mi guarda negli occhi, è furioso.
«Fammi avere il conto della tintoria, ti pagherò il danno.», farfuglio, intimorita dal suo atteggiamento.
Non mi piace neanche un po' il suo modo di fare e se devo pagare, pagherò. Tanto ormai mi sono rassegnata dopo quello che ho combinato ieri.
«Dai, stai tranquillo, non è successo niente.», viene in mio soccorso Sergio con una scopa e una paletta per raccogliere i cocci.
L'uomo grugnisce.
«Scusami Sergio, se mi presti uno straccio, pulisco io.», mi offro per sistemare il casino che ho fatto.
«Ma figurati! Te ne preparo subito un altro, vatti a sedere, te lo porto al tavolo.», mi strizza l'occhio.
Lo ringrazio con lo sguardo. Cerco di avvicinarmi all'uomo, ma mi respinge con un cenno della mano.
«Stai lontana da me, hai già fatto abbastanza.», tuona arrabbiato.
Ora mi sta decisamente antipatico. Va bene, ho sbagliato, ma ci sono modi e modi di dire le cose. Gli ho chiesto scusa, mi sono offerta di pagare il conto della tintoria, che altro dovrei fare? Fustigazione pubblica? Taglio della mano? Che cosa vuole da me?
«Stronzo.», sibilo sommessamente, a denti stretti.
«Che cosa hai detto?», ringhia a bassa voce.
«Ho detto che sei uno stronzo.», ripeto candidamente.
I suoi occhi azzurri sono iniettati di sangue. Non mi faccio mettere i piedi in testa da un borioso, cretino, che non riesce ad accettare le mie scuse.
«Tu sei... Tu sei...», comincia furioso, riesco a vedere il fumo che gli esce dalle orecchie.
«Fai avere il conto a Sergio, darò io i soldi a lui. Volevo ripeterti le mie scuse, ma mi è passata la voglia. Sono stanca e non ho voglia di perdere altro tempo con te a chiederti perdono. Se non vuoi accettare le mie scuse, è un problema tuo. Sei un cafone e pure un maleducato. Ti auguro una buona giornata.», dico tutto d'un fiato.
Lascio i soldi per la colazione sul bancone, compresi quelli del cappuccio extra e della tazza rotta, e torno da Luca. Osservo l'uomo con la coda dell'occhio e mi sta ancora fissando con odio. Peggio per lui.
Prendo Luca per mano e usciamo dalla pasticceria. Ho dato un bello spettacolo stamattina, che soddisfazione. Mi sento ancora gli occhi della gente addosso.
«Che figura di merda.», borbotto una volta in casa.
«Ehm, sì, in effetti è stato piuttosto divertente assistere a quella scena seduto bello comodo. Mi mancavano i pop corn.», commenta Luca, ridendo di gusto.
«Divertente? Giuro che se becco quel tizio per strada, lo prendo sotto con la macchina e poi ingrano anche la retro, per essere sicura di aver fatto un buon lavoro.», esclamo, gesticolando come una pazza.
«L'hai visto almeno?», chiede senza smettere di ridere.
«Chi? Il bastardo? Certo che l'ho visto, purtroppo!», rispondo alterata.
«Purtroppo? No, non sono sicuro che tu lo abbia guardato davvero. Era un gran pezzo di uomo e non te ne sei nemmeno resa conto. Io tornerei giù e gli chiederei di uscire insieme.», mi strizza l'occhio maliziosamente.
Un moto di disgusto mi prende la bocca dello stomaco.
«Io non uscirei mai con uno stronzo del genere, neanche se mi pagassero. Hai visto come mi ha trattato? Gli ho chiesto scusa più di una volta e a lui interessava soltanto la sua camicia firmata. Non voglio avere niente a che fare con un uomo come lui, piuttosto rimango zitella a vita.», tuono, esasperata.
«Al massimo ci sposiamo noi due.», propone, fingendosi serio.
Scoppio a ridere.
«Dovremmo essere entrambi molto disperati per arrivare a questa soluzione.».
Gli allaccio le braccia intorno al collo e lui mi prende per i fianchi, attirandomi a sé.
«Ammettilo, saremmo una coppia perfetta.», commenta, posandomi un lieve bacio sulle labbra.
«Una coppia di perfetti idioti sicuramente.».
Appoggio la testa sulla sua spalla e sospiro.
«Ti sei comportata perfettamente con lui. Concordo sul fatto che sia uno stronzo, non avrebbe mai dovuto trattarti in quel modo.», mi rassicura, massaggiandomi la schiena.
«Grazie di essere sempre dalla mia parte.».
«Sarò sempre dalla tua parte tesoro mio.», mi bacia dolcemente la fronte.
Rimaniamo abbracciati a lungo e senza dire una parola, poi decido di rompere il silenzio.
«Davvero era un bell'uomo?», chiedo, liberandomi dalla sua stretta e andandomi a sedere sul divano. Mi tolgo le scarpe e le calcio via, allungo le gambe sopra il tavolino.
Non ho voglia di fare niente oggi, voglio prendermela davvero comoda.
Luca incrocia le braccia al petto e inarca un sopracciglio.
«Oh, adesso ti interessa.», commenta divertito.
Mi stringo nelle spalle. Ho notato solo che era ben piazzato sotto il vestito firmato, doveva avere un gran bel fisico, gli occhi azzurri sarebbero stati anche ammalianti, se non fossero stati iniettati di sangue. I capelli castani erano scompigliati a regola d'arte. Tutto questo, però, era passato in secondo piano, la sua arroganza aveva preso il sopravvento e questo mi aveva fatto salire a dismisura il livello di stronzaggine. Non lo stavo osservando obiettivamente, lo stavo soltanto odiando con tutta me stessa.
Non è da me comportarmi in questo modo, ma non sono riuscita a trattenermi, è riuscito a tirare fuori il peggio di me, e non ne vado per niente fiera.
«No, non sono interessata, però vorrei sentire un parere esterno, da uomo. Quando ero di fronte a lui, volevo solo ucciderlo.», gli spiego con una smorfia.
Mi raggiunge sul divano con un tuffo, distende anche lui le gambe sul tavolino.
«Posso dirti che, se non fossi stata prima imbarazzata e poi incazzata, un po' di ginnastica sotto le lenzuola l'avresti fatta più che volentieri. È sicuramente il tuo tipo d'uomo, anche se devo ammettere che non è bello quanto il sottoscritto.», si indica, puntandosi contro entrambi i pollici.
«Sempre il solito narcisista.», lo prendo in giro, alzando gli occhi al soffitto.
«Tesoro, non ci posso fare niente se sono nato figo.», esclama, mettendosi in posa, come solo un attore consumato saprebbe fare.
Non resisto più e mi sciolgo in una risata liberatoria, la tensione sembra scivolare via e mi sento notevolmente meglio. Luca è un mago in queste cose, riesce sempre a fare miracoli sul mio umore.
«Nessuno può essere più bello di te, credimi.», lo rassicuro, stampandogli un bacio con lo schiocco sulla guancia.
«Farò finta di crederti. Comunque, tornando al nostro pezzo di manzo della pasticceria...».
Lo blocco immediatamente e lo prendo in giro: «È diventato un pezzo di manzo ora?».
Mi scocca un'occhiata eloquente, devo tapparmi la bocca e lasciarlo finire di parlare. Metto le mani avanti in segno di resa e faccio finta di sigillarmi le labbra con una chiave invisibile.
«Ecco, brava, buttala anche via, così per un po' non ti sentirò parlare.», brontola lui, fingendosi offeso. In tutta risposta gli mostro la lingua.
«Potrei chiamarlo anche quarto di bue se davvero volessi, o pezzo di gnocco... mi hai fatto perdere il filo del discorso!», sbuffa, stringendosi le braccia al petto.
Io non apro bocca, non ne ho il diritto, perciò aspetto, cercando di non ridere.
Luca sembra riscuotersi all'improvviso e riprende con il suo monologo.
«Vabbé, poco importa. Io, se fossi in te, tornerei giù a cercarlo e gli salterei addosso. È la volta buona che la tua topolina lì sotto si risveglia dal suo torpore.».
Eh no, dopo questa osservazione non posso più stare zitta.
«La mia topolina?», sbotto, inorridita.
«Preferisci patatina? Passerottina?», domanda con un luccichio divertito negli occhi.
«Ma dai!», faccio una smorfia, disgustata. «E poi non sono secoli che non vado con un uomo! Non sono mica disperata da andare con il primo su cui vado a sbattere.».
«Tre mesi sono un secolo, credimi. Ti si saranno già formate le ragnatele lì sotto.».
Bene, penso di aver toccato il fondo con questo commento. Le ragnatele!
Fa presto a parlare lui! Cadono tutti ai suoi piedi con uno schiocco delle dita. Io ci metto un po' ad aprirmi con un uomo, almeno vorrei conoscerlo un po' prima di andarci a letto. Le storie di una notte non fanno per me. Non dico che aspetto il principe azzurro che venga a raccattarmi in groppa al suo destriero bianco, ma non voglio nemmeno concedermi al primo che passa, se è pure stronzo, poi, lo evito come la peste.
Con uno come lui non ci andrei mai, mai e poi mai, neanche se fosse rimasto l'unico uomo sulla faccia della terra. Okay, forse a quel punto potrei anche decidere di dargli una possibilità, ma prima dovrebbe chiedermi perdono in ginocchio sui carboni ardenti per il modo in cui mi ha trattato. E sarebbe solo l'inizio... non la passerebbe per niente liscia con me.
 
***
 
Cazzo, che mal di testa! Lo sapevo che non dovevo bere tutta quella birra ieri sera, ma dovevo dimenticare... ecco, ora che sono quasi sobrio riesco a rivedere quel danno sulla mia bambina e mi sento di nuovo uno schifo. Mi metto seduto sul letto e mi tengo la testa tra le mani; appena la stanza smetterà di girare, cercherò di alzarmi.
Ci provo qualche minuto dopo e mi tengo alla pediera del letto per non cadere. Credo che ora vomiterò, mi metto una mano sulla bocca e corro, per quanto possibile, al bagno.
La giornata è cominciata proprio nel migliore dei modi, spero solo che non possa peggiorare.
Mi dirigo in cucina con la lentezza di un bradipo e mi accorgo che c'è qualcuno che russa sul mio divano. Allungo il collo per vedere meglio ed è Lorenzo. Ha la bocca spalancata, un rivolo di bava gli cola lungo un angolo della bocca. Che scena disgustosa. Scaccio quell'immagine dalla mia testa e mi fiondo sotto il getto della doccia, acqua rigorosamente gelata per riprendermi.
Decido di andare a fare colazione da Sergio, la sua pasticceria è alla fine della strada e posso andarci a piedi: non ho intenzione di far correre altri pericoli alla mia piccolina. E poi, a dirla tutta, non sono nemmeno nella condizione di guidare. La testa mi sta scoppiando e ho bisogno di un caffè bello forte, normalmente è la soluzione a tutti i problemi, non vivrei senza quella bevanda scura e aromatica.
Di sabato e a quest'ora c'è parecchio movimento.
«Hey Mister!», mi saluta Sergio appena entro nel suo locale.
«Ciao.».
Il mio saluto era un po' meno entusiasta.
«Che cosa è successo? Ti è morto il gatto?», chiede, inarcando un sopracciglio.
«No, nessun gatto che possa morirmi. È successo qualcosa di peggio, fidati.», rispondo, appoggiando i gomiti sul bancone di marmo.
Si avvicina con fare cospiratorio e mormora: «Non avrai mica un brutto male?».
Le mie mani finiscono entrambe sui miei gioielli di famiglia, in un gesto prettamente scaramantico. Perché la gente deve sempre pensare al peggio? Se il mio umore già non era dei migliori, ora è anche peggio.
«No! Mi hanno rigato la macchina nuova ieri.», gli spiego con una smorfia.
«Ah, okay, ora capisco la tua faccia da funerale.», mi strizza l'occhio.
«Fammi un bel caffè, va.», dico massaggiandomi una tempia.
Con Sergio ho una certa confidenza, vengo qua ogni martedì anche per lavoro. Sono rappresentante di materie prime per pasticcerie e gelaterie e la mia azienda fornisce anche la sua attività. A volte, nei periodi più tranquilli, chiacchieriamo per più di un'ora dopo aver preso l'ordinazione, è piacevole parlare con lui. È un cinquantenne solare e attivo, e con lui si parla volentieri di qualsiasi cosa.
Mi piazza davanti una tazzina di caffè bollente, l'aroma meraviglioso mi sta inebriando. Lo sorseggio lentamente gustandomelo fino all'ultima goccia.
«Meglio?», chiede lui, ridendo.
«Decisamente.», ammetto con un mezzo sorriso.
«Seratina poker ieri sera, vero? Dalla tua faccia direi che tu e i tuoi soci ci avete dato dentro con le birrette.», mi lancia un'occhiata particolarmente divertita.
«Sergio, credo di non avere più l'età per queste cose.», borbotto.
«Sei ancora giovane! Che cosa dovrei dire io?».
Incrocia le braccia al petto e mi osserva attentamente.
«Tu sei più vicino alla pensione di me.», commento, ridendo.
Una donna si appoggia al bancone e chiede un cappuccino a Sergio. Lui si scusa, lasciandomi ai miei pensieri. Aspetto che finisca per salutarlo e andare a svegliare quel pelandrone di Lorenzo. Ultimamente non va nemmeno più a casa dopo la nostra serata tra uomini, vive ancora con i suoi e non ha voglia di ascoltare le ramanzine di sua madre quando fa tardi. A trentadue anni suonati è piuttosto deprimente.
Mi distraggo un secondo e mi ritrovo inzuppato di cappuccino. Giuro che faccio una strage! È bollente, cazzo! La tizia che era accanto a me al bancone si scusa per il disastro che ha appena combinato, diventa rossa come un pomodoro. Non me ne faccio niente delle sue scuse, mi ha appena rovinato una camicia da cento euro. Ho già le palle girate di mio, questo ha fatto aumentare a dismisura la mia voglia di uccidere qualcuno.
Ha anche il coraggio di darmi dello stronzo! Ora sarei io lo stronzo? Lei mi ustiona con quel dannato cappuccino e poi si incazza pure perché le ho risposto male? Ma che vada a quel paese! Le mani mi pizzicano da morire. Che rabbia!
La guardo con odio mentre esce dalla pasticceria, trascinando con sé un uomo, probabilmente il povero Cristo che deve sopportarla ogni giorno. Non lo invidio per niente, con una così impazzirei prima.
Ho il fumo che mi esce dalle orecchie, giuro che se la becco per strada la prendo sotto con la macchina! No, non posso rovinare ulteriormente la mia bambina, troverò certamente un'altra soluzione.
«Tutto bene?», domanda Sergio con una strana espressione in volto, è un misto tra il preoccupato e il divertito.
L'intera clientela mi sta ancora fissando. Che cazzo avranno da guardare? Non ci si può neanche più alterare al giorno d'oggi? Devo andarmene da qua, o faccio una strage.
«Sì, bene.», ringhio a denti stretti. «Scusa, Sergio, non è proprio giornata. Meglio se me ne torno a casa.».
«Forse è meglio se stai lontano dai luoghi pubblici almeno per qualche giorno.», mi consiglia sul punto di scoppiare a ridere.
«Seguirò alla lettera le tue sagge parole.», brontolo.
Gli lascio l'euro del caffè sul bancone e lo saluto con la mano mentre esco.
Basta, Sergio ha ragione. Non uscirò da casa fino a lunedì quando tornerò al lavoro. Sta andando tutto storto in questi giorni e ne ho piene le scatole. Osservo la mia camicia mentre cammino verso casa e mi viene da urlare. Due donne rimbambite in due giorni sono troppo per me, non ce la posso fare.
Quando entro in salotto, trovo Lorenzo seduto sul divano, con le mani tra i capelli e la bocca spalancata in uno sbadiglio.
«Ben svegliato eh!», tuono nella sua direzione.
Mi saluta con un gesto della mano, sbadiglia nuovamente. Schiocca la lingua, fissandomi con gli occhi socchiusi.
«Che cosa è successo alla tua camicia?», chiede con voce arrochita, deve essersi appena svegliato.
La sbottono e la sfilo, gettandola con rabbia sulla sedia.
«Una cretina in pasticceria mi ha rovesciato il suo cappuccino addosso.», rispondo, sedendomi con un tonfo sul divano, accanto a lui.
«Era gnocca almeno?».
Lo incenerisco con lo sguardo.
«Ti sembra che abbia controllato come fosse? Ero incazzato nero.», borbotto sempre più infastidito.
«Sono cose essenziali e sono sicuro al cento per cento che tu sai perfettamente com'è, non puoi nasconderlo, non a me! Ti conosco troppo bene vecchio marpione.», mi punta un dito contro.
Lorenzo ha ragione, ho guardato ogni dettaglio, potrei descriverla minuziosamente. Sui trent'anni, un metro e settanta, un corpo da favola, occhi verdi meravigliosi e le labbra così carnose e invitanti. Oh sì, era fantastica, peccato per il livello esagerato di stronzaggine.
«Hai lo sguardo languido! Lo sapevo, non potevo sbagliarmi con te!», batte le mani soddisfatto. «Se non ti avesse fatto incazzare, tu ci avresti provato con lei!».
«Non credo proprio, era accompagnata da un bellone moro.», gli dico con una smorfia.
Lo ammetto, in questo momento lo sto invidiando, baciare quelle labbra deve essere semplicemente meraviglioso.
«Oh, ma te la saresti fatta, eccome se lo avresti fatto.», continua maliziosamente.
Muore dalla voglia di sapere tutti i dettagli, ne sono più che certo.
«Che cosa vuoi sapere?», sospiro, sconsolato.
«Le cose essenziali: bocca, tette, culo.», risponde, mettendosi comodo sui cuscini.
«Ti dico solo una cosa, era perfetta.».
«Ma...», mi sprona a continuare.
«È una stronza di prima categoria, acida, scorbutica, non andrei mai con una del genere, neanche se fosse l'ultima donna sulla faccia della terra.».
Sto per aggiungere altro, ma mi zittisce con un gesto.
«Non dire stronzate! Devi solo fartela, mica sposartela.», mi fa notare con la sua solita saggezza.
Sbuffo. Okay, per un istante ho pensato di sbatterla contro il bancone e baciarla come se non ci fosse un domani, ma è stata solo una frazione di secondo; per tutto il resto del tempo avrei voluto sbatterle la testa sul bancone. Non picchierei mai una donna, normalmente non avrei nemmeno questi pensieri omicidi. Tutto quello che è successo, mi ha reso irascibile e particolarmente nervoso. In un giorno normale avrei flirtato con lei e le avrei chiesto di uscire, con un sorriso ammaliante e seducente sulle labbra, sarebbe caduta ai miei piedi. Sfortunatamente l'ho trattata da schifo e me ne sono reso conto, perciò non avrò mai nessuna possibilità con lei. Beh, ha pure un uomo e io non rubo le donne degli altri.
«Non andrei mai con una donna già impegnata.».
«Magari era solo un amico o suo fratello.», ipotizza lui.
«Lorenzo, chissenefrega! Tanto non la rivedrò mai più. Punto.», sbotto alla fine.
Comincio a non poterne più di questa conversazione.
«Come sei acido! Hai proprio bisogno di una sana scopata, lasciatelo dire.», commenta, incrociando le braccia al petto e osservandomi a occhi socchiusi.
«Comunque mi sembra giunta l'ora di chiamare quella Serena e scoprire com'è.», continua come se niente fosse. «Magari sarà lei ad addolcirti.».
Lo guardo in cagnesco.
«Non ne ho voglia.», brontolo.
«Prendi quel dannato telefono e componi quel dannato numero, dannato idiota che non sei altro!», m’intima con una spinta.
«Ah, beh, se me lo chiedi gentilmente...», faccio una smorfia.
Mi romperà le scatole finché non avrò chiamato. Non credo di avere altra scelta e la cosa non mi piace neanche un po'.
«Pensa solo che lo fai per la tua bambina. Vuoi davvero tenere quel graffio in eterno?».
Ha toccato un nervo scoperto, e salto impercettibilmente sul posto. Sa benissimo che non riuscirò a resistere e chiamerò quel numero. Lo faccio solo per sistemare quella schifezza sulla carrozzeria. Spero soltanto non sia un numero fasullo.
Il citofono fa sussultare entrambi. Chi è che rompe a quest'ora del sabato?
«Sì?», rispondo brusco.
«Tesoro, sono la mamma.».
Ci mancava solo lei stamattina. La faccio salire e, mentre aspetto che arrivi, vado a infilarmi una maglietta, non vorrei che si facesse strane idee.
La signora Rossini ha sessantacinque anni, ma ne dimostra almeno una decina di meno, è sempre vestita e truccata con cura. Il suo più grande problema è che vuole a tutti i costi accasare il suo unico figlio maschio, che poi sarei io. Le mie due sorelle, Lucrezia e Chiara, sono entrambe sposate con figli, due a testa per la precisione.
Io sono lo scapolone d'oro, secondo lei; almeno un giorno sì e uno no, mi chiede se ho trovato la ragazza. L'ansia è assicurata. Non ho intenzione di sposarmi e mettere su famiglia, per lo meno non a breve. La cosa complicata è farlo capire a lei.
«Ciao amore.», mi saluta con un bacio sulla guancia. «Ti ho portato un po' di riso freddo per pranzo, sennò tu non mangi.».
Perché non dovrei mangiare? Okay, non sarò un grande cuoco, ma un piatto di pasta riesco ancora a farmelo.
«Grazie mamma.», dico, cercando di essere cortese.
Si sporge con la testa per vedere se c'è qualcuno con me e, quando nota Lorenzo, fa una smorfia.
«Ciao Lorenzo.», saluta lei con un sorriso.
«Salve signora.».
Appoggia la ciotola sul tavolo e mi fissa a braccia conserte. Che cosa ho combinato ora?
«Non sarai mica gay?», chiede sommessamente. Il panico nei suoi occhi aumenta a ogni secondo che passa. Sono tentato di risponderle con un bel Sì, sono gay, mamma!, ma non sono così bastardo.
«Sei per caso impazzita?», tuono, invece, disgustato. «Non sono mai stato gay!».
Sia ben chiaro che a me la banana non è mai piaciuta, sempre e solo patata!
Sembra riprendersi e tornare in sé dopo questa mia risposta, torna a respirare normalmente.
«Non ci sarebbe niente di male.», afferma con pochissima convinzione.
«Ma non è il mio caso mamma.», insisto.
«Va bene, ti aspetto domani a pranzo allora.».
Mi bacia sulla guancia e se ne va.
Gay! Ci mancava solo che mia madre credesse che mi piacciono gli uomini. Può qualcos'altro andare storto?

 
***Note dell'autrice***
Ecco a voi questo secondo capitolo! Come vi è sembrato questo primo incontro al buio? Nessuno dei due sa chi è l’altro e ci sarà da ridere quando si incontreranno davvero! :) Abbiamo conosciuto meglio i caratteri di Serena e Marco, caratteri belli forti, che dite? Fatemi sapere le vostre impressioni! Sono curiosa :)
Volevo ringraziare infinitamente chi ha dato una possibilità a questa nuova storia fin dall’inizio, non mi sarei mai aspettata tanto riscontro e mi avete davvero reso tanto felice! Spero di non deludervi man mano che la storia prosegue! Grazie davvero a tutti! :)
A martedì prossimo per la telefonata! LOL!

 
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