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Autore: Yutsu Tsuki    04/09/2014    2 recensioni
Dal primo capitolo:
“Osservando il suo volto, si accorse di una cosa. Tutti quegli anni passati dietro a due spesse lenti rotonde gli avevano fatto dimenticare di quanto belli fossero i suoi occhi. Erano di un verdeacqua chiaro, ma intenso, quasi luminoso. Si avvicinò ancora allo specchio e allungò la mano, come per poter afferrare quel colore che era un misto fra il cielo azzurro senza una nuvola ed un prato fresco d'estate.
Voleva toccarli, sfiorare quella luce e immergersi in essa, ma venne bruscamente interrotto dalle urla di sua sorella: — Keeeen! Vieni a cena, è prontooo!
Si allontanò in fretta dalla sua immagine riflessa. Per un attimo restò senza parole. Era rimasto affascinato dal suo stesso volto. Poi scoppiò a ridere, rendendosi conto dell'assurdità della cosa.
Aprì la porta della stanza gridando: — Mi chiamo Kentin!! — e corse in cucina.”
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Dolcetta, Kentin, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 4


Ego







Era ormai notte inoltrata, ma Kentin non riusciva a dormire. La verità era che non poteva fare a meno di pensare a se stesso.
Dopo la sua trasformazione aveva cominciato a vedere il suo corpo sotto un’altra luce. Prima non si crucciava affatto se fosse brutto, basso, striminzito o mollaccione. La sua regola di vita era la spensieratezza. Adesso invece, si piaceva un sacco, talmente tanto da non potersi più staccare dallo specchio.
Contemplava quegli occhi colpiti dal chiarore lunare, quelle labbra sottili e morbide. Si gloriava del suo fisico muscoloso e della folta chioma color cioccolato, finché non udì dei passi provenienti dall’esterno della sua camera. Non fece in tempo a mettersi in piedi, che la porta si spalancò e ne entrò la sorellina, con lo sguardo di chi ha appena visto un fantasma.
— Ken ma che ci fai per terra? — sussurrò stupita di non averlo trovato a letto.
— Ehm, il letto… è troppo molle — pronunciò la bocca di Kentin. Aveva fatto tutto da sola, perché, dato l’inaspettato arrivo della sorella, il cervello non aveva avuto il tempo di comunicarle cosa rispondere. Così trovò una scusa casuale, per giustificare il suo padrone del fatto che si trovasse davanti ad uno specchio, nel pieno della notte.
— Ah, okay. — Fortunatamente la bambina non sembrava preoccupata dell’anomalo comportamento del fratello, così si sedette accanto a lui e fissò il suolo, in attesa di una richiesta di spiegazioni.
Kentin lo capì al volo e l’assecondò: — Come mai sei qui, Annette? — La piccola rispose: — Ho fatto un brutto sogno! Ho sognato che Viktoria mi tagliava i capelli e io ce lo andavo a dire alla maestra e lei non mi credeva! — Le lacrime sgorgarono da quel faccino innocente, che Kentin si premurò subito di asciugare, con le sue dita delicate e fraterne. — Allora tu domani tagliaglieli a lei! — E la bimba scoppiò a ridere, dimenticando in fretta l’incubo che l’aveva turbata.
Si avvicinò al fratello e lo strinse in un tenero abbraccio, che lui prontamente ricambiò. Gli sembrava di rivedere se stesso, quattro mesi prima, quando veniva picchiato dai bulli della scuola. Solo che all’epoca non lo consolava nessuno.
Rimasero un momento in quella posizione, poi Annette si spostò per vedere meglio il volto del fratello. — Che belle labbra che hai. — gli disse allungando la manina per toccargliele. Ma Kentin si rese conto di quel suo gesto, ed in modo automatico scostò bruscamente il suo braccio, prima che potesse raggiungerlo.
La sorella restò stupita, e non sapeva se rimettersi a piangere o scappare dai genitori. Non aveva fatto nulla di male, era solo un complimento il suo. Ma prima che potesse reagire, Kentin esclamò: — Scusa scusa scusa! non avevo intenzione di farlo, Annette, perdonami! — Come mai si era comportato in quel modo? Era davvero talmente geloso del suo corpo, che nemmeno sua sorella, con cui condivideva il sangue, aveva il diritto di sfiorarlo? Eppure solo alcune ore prima aveva permesso ad Ambra di toccare quelle stesse labbra. Le meritava più lei di Annette!?
— Scusami, è stato un movimento involontario…sai, sono ancora abituato a quando gli altri mi picchiavano… — Aggiunse cercando di apparire il più triste possibile. La bambina si era tanto dispiaciuta per lui, che tornò a piagnucolare fra le braccia del fratello. Era riuscito a cavarsela sfruttando una scusa che calzava a pennello. Perché oltre che bello era anche più intelligente. Questo, però, al costo di un pezzo della sua reputazione verso la sorella: non era molto onorevole far tornare a galla certi ricordi.
— Eddai, non fare così: adesso sono diventato forte. Se qualcuno ti fa del male, il tuo fratellone gli darà una bella lezione! Ora torna a letto, dai. — Voglio stare con te — farfugliò con voce rotta.
— Mmm, d’accordo, però devi promettermi che ti addormenterai subito. Ok? — Annette annuì, così i due si imbacuccarono nel letto di Kentin e, confortati dalla reciproca presenza, presero sonno.
La notte passava con lentezza e la mente di Kentin era percorsa da sogni silenziosi.
Si trovava nel corridoio della scuola, attorniato da belle ragazze. In lontananza c’era Candy in compagnia di Iris, con uno sguardo triste. Poi la sua espressione mutò: lo fissava con profonda crudeltà. Dopo qualche secondo le passò accanto Nathaniel, e lei lo spinse brutalmente contro il muro, baciandolo sotto gli occhi stizziti di Kentin. Per ripicca lui afferrò il polso di una ragazza a caso e fece lo stesso con lei. Sbirciò in direzione di Candy, e questa volta al posto di Nathaniel c’era Castiel. Infuriato più che mai, allontanò la persona che stava baciando e ne cercò un’altra fra le ragazze che stavano intorno a lui. Ma tutte le loro teste si erano trasformate in quelle di Ambra. Decine di Ambra arrabbiate lo spingevano e cercavano di soffocarlo, senza che lui potesse fare niente per liberarsi: — Come hai osato prenderti gioco di me? — La morsa asfissiante non lo lasciava andare, finché con un respiro improvviso rinvenne dal sogno e si destò di soprassalto.
Evidentemente quella era la notte degli incubi. Si girò per controllare se avesse svegliato sua sorella, ma la vide beatamente addormentata. Guardò l'ora: erano già le 6:41. Siccome si sarebbe dovuto alzare pochi minuti dopo, fece lo sforzo di tirarsi su dal letto e prepararsi per la nuova giornata. In realtà era ancora scosso per quello che aveva visto, anche se si trattava solo di un sogno. Dopo aver mangiato ed essersi preparato, indossò la camicia bianca, salutò sua madre ed uscì di casa.
Si decise che entro quella mattina avrebbe dovuto scoprire i veri sentimenti di Candy verso Nathaniel e Castiel.
Arrivato a scuola, si diresse verso lo spogliatoio maschile per l'ora di ginnastica. Attraversata la palestra, stava per spingere la porta, quando questa si aprì e ne uscì Candy.
— Candy! Ma che ci facevi lì dentro?
— Niente! Ho sbagliato porta...
Kentin sapeva che non era la vera ragione, ma proprio mentre si preparava a ribattere, la porta si aprì di nuovo, e ne emerse un Nathaniel con la camicia sbottonata messa alla bell'e meglio. — Nathaniel? Mi spiegate cosa sta succedendo?
— Niente niente! Candy aveva solo bisogno di un'informazione — spiegò il biondino, visibilmente agitato.
— E quale tipo di informazione cercavi? — chiese Kentin.
L'imbarazzo di Candy non le permise di aprir bocca, così Kentin, per evitare di metterla in ulteriore difficoltà, entrò con freddezza nello spogliatoio, lasciandosi gli altri due ragazzi alle spalle.
I numerosi specchi all'interno della stanza gli fecero presto dimenticare dell'accaduto; si avvicinò ad uno di essi e restò a contemplare il verde dei suoi occhi, con un sorriso un po' ebete stampato in faccia.
Dopo pochissimi secondi entrò improvvisamente Nathaniel, che, vedendolo osservarsi con grande intensità, assunse un'aria un po' confusa. Kentin si accorse del suo arrivo troppo tardi, e si girò di scatto.
— Ken, ti assicuro che non è successo niente fra me e Candy. È entrata proprio mentre mi stavo cambiando, tutto qui. — si affrettò a dire Nathaniel.
— Mi chiamo Kentin.
— Si, scusa. Comunque devi fidarti.
Anche se non lo dava a vedere, Kentin era profondamente dispiaciuto per ciò che era successo, ma decise di non dire niente e si girò verso lo specchio per cambiarsi.
Proprio mentre si stava togliendo la maglietta, entrò qualcuno nello spogliatoio. Ciuffi di capelli rossi si scorsero nel riflesso davanti a lui, facendolo rabbrividire.
Castiel era entrato insieme ad alcuni compagni di classe e si stava avvicinando a Kentin.
Sono morto. Pensò automaticamente. Ha scoperto chi sono realmente ed è venuto per vendicarsi! Si, ma vendicarsi di cosa?
Non c’era più tempo per pensare, Castiel era a due passi da lui, il volto serio e allo stesso tempo fiero. Di come sono diventato, è ovvio! Oh no…mi pesterà, è sicuro. Come faceva all’inizio dell’anno… Che cosa faccio? Kentin sentì il terrore invadergli le ossa. Ormai la faccia era andata, ma almeno il resto del corpo poteva ricevere lividi meno profondi, se avesse avuto addosso un indumento. In fretta e furia raccattò la maglietta e cercò di infilarsela. L’ansia e il terrore crescenti resero vano ogni tentativo di riuscire ad indossarla. Per evitare figure imbarazzanti, gettò per terra la maglietta e si decise ad affrontare a testa alta il suo destino. Le botte sì, ma lo scherno non poteva più accettarlo.
Lentamente ruotò il corpo, fino a trovarsi faccia a faccia con Castiel, che era ormai davanti a lui. Aveva un lievissimo sorriso, lo stesso di chi si prepara a fare qualcosa che gli piace. Kentin deglutì. Dietro al rosso vi erano altri quattro o cinque ragazzi più grandi di lui, che in un primo momento si soffermarono sui suoi muscoli nudi, poi alzarono lo sguardo fino a fissarlo negli occhi. Anche se li affrontassi, non potrei batterli. Sono troppi per me. Non poté pensare ad altro, perché Castiel prese la parola.



   
 
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