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Autore: Beatris Humble    04/09/2014    1 recensioni
QUESTA È LA REVISIONE DELLA MIA PRECEDENTE STORIA "SOLO IO E TE".
In questa storia troviamo una Lily potter distrutta, senza altro che vuoto. Una Lily fatta delle macerie di quella che era prima.
Una Lily che nessuno vede e che nessuno ha il coraggio di aiutare.
Una Lily che lotta per quelli che ama ma che mai l'hanno amata.
Non fino a quando capiscono che l'hanno irrimediabilmente persa.
Genere: Generale, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Famiglia Malfoy, Famiglia Potter, Famiglia Weasley | Coppie: Lily/Scorpius
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
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Capitolo 1.

Diciamo che ci sono poche, anzi pochissime cose da sapere su di me.

Innanzitutto sono un maschiaccio (provate a propinarmi i vestiti orrendi e zuccherosi come quelli che mette mia cugina Rose e potreste non raccontarlo, ve lo garantisco); sono stronza, acida, vendicativa e glaciale; ho un brutto rapporto con la mia famiglia e sono l’antipodo dei miei fratelli.

Infatti, al contrario dei miei amatissimi, vanesi e pressoché perfetti fratelli maggiori, Grifondoro fino al midollo (forse anche più in profondità) e prediletti dei miei genitori in quanto portatori di onori, glorie e vittorie alla casata Potter, io, Lily Luna Potter appartengo alla casata del nobile Salazar Serpeverde (cosa che fece quasi venire un infarto al nonno Arthur, che non si aspettava che la cara, dolce e piccola Lily potesse appartenere a un tale covo di “malvagi”), sono in continuo contrasto con i miei amatissimi genitori e fratelli e non sopporto in alcun modo di stare a casa mia.

Difatti, penso di essere forse il più grande rimpianto dei miei genitori, i salvatori del mondo magico Harry James Potter (noto anche con il nome di Prescelto) e Ginevra Molly Weasley (cacciatrice delle Holyhead Harpies) che avrebbero sicuramente voluto una figlia diversa.

Invece i miei fratelli James Sirius e Albus Severus riescono a porre freno al loro patimento per la mia personalità così differente, o almeno credo.

James è sicuramente l’orgoglio di papà. Bello, simpatico, pieno di amici, impulsivo e tremendamente Grifondoro, è disgustosamente pieno di fierezza quando papà, nei suoi elogi dopo la vittoria dell’ennesimo campionato di Quidditch per i Grifondoro, sostiene che lui sia la fotocopia di nostro nonno James. Lui adora in un modo direi schifoso questo paragone, anche se non so quanto possa effettivamente essere veritiero.

Poi c’è Albus, orgoglio di mamma: anche lui bello, bello da morire, gentile generoso, tremendamente intelligente, perfetto in tutto ciò che fa, pieno di ragazze che gli girano attorno, alle quali lui però non sembra prestare attenzione più di tanto. Insomma è il figlio che tutti vorrebbero avere!

E alla fine, tanto perché il mio orgoglio non soffre abbastanza, ci sono io, Lily, Serpeverde fino al midollo, “disgrazia” e pecora nera della perfetta e dorata famiglia Potter: non bellissima, non magra, non piena di amici, con un certo talento per i guai, velenosa e acida come una serpe, disfatta di tutti i sogni di Harry e Ginny e un portento sprecato per il Quidditch.

Un solo elemento, oltre al mio innato talento per il volo, mi lega a mio padre: una miopia di quelle bastarde, che ti rovinano per sempre e il cui unico rimedio sono un paio di spessi occhiali.  

E vi assicuro che sono le uniche cose che abbiamo in comune: non parliamo mai, noi due.

Simpatica la vita eh?

La mia storia parte tutta dal giorno prima della partenza per Hogwarts: non potevo essere più felice di così, credetemi.

Mi stavo per liberare (metaforicamente s’intende) della mia famiglia per molto, molto tempo e questa cosa era ossigeno per i miei polmoni riarsi da tutto quello spirito Grifondoro: mi mancavano i miei simili, i cari vecchi Serpeverde senza cuore o interesse (se non per sé stessi) o un qualsivoglia moto dell’anima che facesse pensare minimamente ai miei familiari; mi mancavano i sotterranei e tutto il resto.

Mi mancava la libertà che lo stare lontana dalla mia famiglia portava con sé.

Come vi dicevo, stavo finendo di ultimare il mio baule per poi andare a fare un giro sulla scopa quando mia madre, la cara dolce Ginny, mi urlò di scendere in salotto perché la colazione era pronta con il tono di una banshee impazzita.

Con tutta calma chiusi il mio baule, oramai pronto, e scesi in cucina dove mi aspettavano tutti.

-Buongiorno- dissi con uno sbadiglio.

-Buongiorno Lily- disse mia madre porgendomi una tazza di thè.

Un buongiorno sussurrato arrivò pure da mio padre.

Da mio fratello James ottenni solo un grugnito e da Albus lo stesso.

Prevedibili.

-Buongiorno anche a voi cari fratelli.- dissi ironica.

-Le serpi di prima mattina mi stanno sullo stomaco, lo sai.- disse James con cattiveria.
Bene, anzi benissimo. Partiamo con la solita solfa.

-Dimmi una cosa, caro James, ti sta sullo stomaco il fatto che io sia serpeverde o le serpeverde in genere? No perché terrei a ricordarti che non la pensavi così quando ti sei ripassato tutte le ragazze ritenute appetibili della mia casa.- e sorseggiai placida il mio thè.

-Lilian!- disse mio padre –Ti rendi conto di ciò che stai dicendo per Merlino?-

-Oh si che me ne rendo conto, perfettamente anzi. Perciò, mio caro James, piantala di fare il bastardo con me, perché davvero non sei nella posizione più adatta per dare giudizi.-

-Ma vaffanculo Lilian, sei solo una stronza senza cervello che vuol fare la grande. Ti ripeto, tu e la tua casata mi state sullo stomaco al mattino. Siete disgustosi- e si alzò venendo verso di me.

Mi alzai anche io e ci raggiungemmo, guardandoci in cagnesco.

-Oh si certo è sempre colpa della mia casa non è vero? Guardati, sei patetico James Sirius Potter. E penso che dovresti tenere la lingua a freno qualche volta, tanto per non fare la figura dell’idiota.- dissi glaciale.

-Non è colpa mia se sei marcia e con te tutta la tua casa, Lilian. E ti ho già detto che devi smetterla di insultarmi.- disse avvicinandosi sempre di più.

-Adesso sono io quella marcia? Ah si scusate, io sono sempre stata la pecca della vostra famiglia, l’errore. Bene, se permettete me ne vado, questa situazione è patetica e penosa. E non credere che lo faccia per codardia, James, perché se volessi, e credimi che lo voglio, ti avrei già tirato un pugno, solo che ci penso due volte prima di sporcarmi le mani per esseri come te. Come voi.- dissi fredda non distogliendo mai lo sguardo da mio fratello.

Girai i tacchi e me ne andai, senza far trapelare alcuna emozione.

Se fuori sembrava che fossi una maschera di ghiaccio, dentro qualcosa (o forse molte cose) si era rotto in mille pezzi.

“Non è colpa mia se sei marcia e con te tutta la tua casa, Lilian.”

Marcia.

Non cattiva, non fredda ma marcia. Significa che sono proprio l’errore, che magari non era solo una mia paranoia l’essere considerata uno sbaglio.

James lo pensava e me lo aveva detto. Albus probabilmente lo pensava ma provava pena per me e non aveva il coraggio di dirlo. I miei genitori non avevano mosso un dito per difendermi, come sempre.

Nessuno si era pronunciato a parte mio fratello maggiore, lui aveva scoperto gli altarini e portato alla luce i pensieri di tutti.

Marcia.

Faceva male, molto male, troppo male.

Eppure avevo imparato presto che la vita era dura, che non fa sconti a nessuno, che una scelta dettata da come sei e chi sei può mandare a rotoli un rapporto, che l’essere diversi da come gli altri ci immaginano è forse una delle più grandi delusioni per chi ha scommesso su di noi.

Ma io non sono delusa da me stessa, io sono così e basta, né di più, né di meno.

E devono accettarlo, perché io non cambio per loro.

Mi sentivo ferita nel profondo, ma non avevo lacrime. Non avevo più lacrime da versare per nulla ormai, sentivo solo quella ferita causata dalla delusione bruciare più che mai.

Era come essere svegliati con l’acqua gelata in pieno inverno.

Nessuno si era preoccupato del fatto che magari avessi dei sentimenti, che un qualcosa battesse nel mio petto: si erano limitati a distruggermi, più di una
volta, e avevano deciso, probabilmente di comune accordo, di far finta che non fosse successo nulla.

Ma io ero abbastanza forte per farcela, nessuno mi avrebbe messo i piedi in testa.

Nemmeno la mia famiglia.
* * *

Eravamo alla stazione, pronti per partire per Hogwarts: ero su di giri, dico sul serio! 

Non vedevo l’ora di tornare a casa mia per frequentare il quarto anno di scuola e sinceramente speravo fosse migliore di quello passato

Era finalmente arrivato il momento di salutare tutti e salire nel treno.

Salutai i miei parenti e per la prima volta dopo mesi ero autenticamente felice, mica come Rose che piangeva come una fontana.

Sappiamo tutti che le adolescenti Corvonero sono davvero emotive, non farti una colpa se sei un blocco di marmo, Lilian!
Di un po’ ma sei la mia coscienza oppure una rompiballe che prende lezioni da James Potter?

-Allora ciao a tutti, io vado per cercare uno scompartimento vuoto. Ci vediamo.- dissi rivolgendomi ai miei.

Mi feci abbracciare freddamente da mia madre e mio padre mi rivolse un sussurrato “Ciao Lilian”.

Un amore insomma.

Entrai nel treno e cercai, negli scompartimenti riservati ai Serpeverde, un posto libero. Dire che era pieno era fare un complimento.

Sospirai ed entrai in uno scompartimento semivuoto, occupato solamente da due ragazzi che di primo acchito mi sembrò non conoscere, ma subito dopo li riconobbi come Lucas Zabini e Mattew Nott, due tipi decisamente troppo in vista per essere sconosciuti.

-Si può?- chiesi con il mio solito aplomb da serpe.

-Certo, accomodati pure.- disse Zabini, accennando un bianco sorriso, che faceva contrasto con la pelle cioccolato.

-Tu sei…?- chiese Nott, un ragazzo dalla pelle chiara come il latte, i capelli color caramello parecchio disordinati (nella scala James Potter avrebbe un dignitoso 7) e gli occhi color miele –Oh cielo, scusa, è ovvio che so chi tu sia. Sei la Potter no?-

-Si- dissi senza guardare i due negli occhi – Voi siete Zabini e Nott. Direi che ci conosciamo già tutti.-

-Il fatto è che ti si vede poco in giro, Potter, è strano sai? Tu che sei l’unica figlia del salvatore del mondo magico non dovresti, che ne so, sfruttare la popolarità del tuo cognome?- come sempre, la parola preferita del serpeverde era “sfruttare”.

-Onestamente le persone che compongono la mia famiglia non mi fanno venire l’idea di poter sfruttare il mio cognome. Così lascio a loro la gloria di essere grifondoro, figli e nipoti dei salvatori del mondo magico e star della scuola.- dissi annoiata. Quella conversazione non stava andando per nulla come avevo prospettato.

Rivolsi il mio sguardo fuori dalla finestra e guardai il paesaggio scorrere sotto i miei occhi: era davvero l’unica cosa che mi stupiva sempre e che mi rilassava moltissimo.

Dopo un po’ di tempo, mentre ero lì che mi stavo rilassando intenta a leggere un libro, la porta dello scompartimento si spalancò con un gran tonfo ed entrò un Malfoy piuttosto contrariato, il quale divenne ancora più inviperito non appena notò la mia presenza seduta al suo posto.  

-Ehi Zab, che cazzo ci fa una Potter nel nostro scompartimento?- chiese rivolgendosi a Lucas.

-Che cosa dovrei farci in uno scompartimento secondo te?- dissi senza staccare gli occhi dalle pagine.

-In realtà non dovresti nemmeno essere qui.  Comunque non stai con la tua famiglia di pezzenti? Non siete una specie di clan che sta tutto insieme appassionatamente?- disse velenoso, ma senza scalfire in alcun modo la mia maschera d’indifferenza.

-Direi che i motivi che mi portano a non passare il mio tempo con loro non sono affari tuoi. E non siamo un clan, loro sono un clan.-  ribattei posando il libro e alzandomi dal mio posto –Con permesso, vado a cambiarmi da qualche parte, ormai dovremmo essere vicini ad Hogwarts.- dissi scostando le gambe da Malfoy e uscendo dallo scompartimento.

Quando ci accorgemmo che il treno perdeva velocità e si apprestava a rallentare cominciammo a radunare i nostri effetti personali e a riporre le cose nelle borse.

Uscita dal treno mi ritrovai al castello, nella mia vera casa, dove avevo vissuto dei bei momenti e dove tutto andava bene.

Ero a casa, finalmente ed era un sollievo per me.
 
 
 
  
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