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Autore: skippingstone    04/09/2014    1 recensioni
"Mi avevano detto che pensare troppo fa male, mi avevano detto che sarebbe passato tutto eppure la testa mi scoppia, gli occhi bruciano e respirare sembra la cosa più difficile da fare. Rifletto sulla mia probabile morte e sorrido, almeno potremmo stare vicino. Posso affermare di aver combattuto per tutti quelli che non sono riusciti a farlo: ho combattuto anche per te.
Se, invece, riuscirò ad uscire da questa Arena, non sarò più lo stesso: tutte le cicatrici si stanno aprendo nell'interno della mia bocca lasciando un retrogusto di sangue e troppe sono nel cuore. Anche se uscissi da questa Arena, non ne uscirei vincitore. Ho già perso tutto.
Tutto tranne una cosa: la voglia di vendetta.
Possa la luce essere, ora, a mio favore!"
Genere: Azione, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Altri tributi, Presidente Snow, Tributi edizioni passate
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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25. L’Arena
 
È la prima volta che seguo davvero gli Hunger Games in televisione. I tributi sono in un deserto. È il secondo giorno che sono lì e il tributo femmina del distretto 11 sta diventando pazzo. Ha le allucinazioni, cammina senza grandi risultati, non è in forma.
«Quella potrebbe essere la fine di mio figlio.» – mio padre guarda lo schermo. In mano ha un bicchiere di vino rosso.
«Povera ragazza.» – mia madre è seduta sul divano accanto a mio padre.
Grazie al nuovo modo interattivo di vedere i Giochi, da questa edizione, si può scegliere quali tributi seguire in tv. Quelli del distretto 2 sono morti nel Bagno di sangue. Così mio padre ha scelto di seguire la ragazza del distretto 11. Si chiama Lora. Ha 15 anni, la stessa età di mio fratello.
Mia madre sobbalza quando, dalla sabbia, sbucano strani esseri deformi. Sono un ammasso di ossa ingiallite e denti dorati: sono schifosi! Uno di questi “cosi” aggrappa la caviglia della ragazza che inizia a ridere e ballare. Lei non li vede come minacce, ma come suoi amici.
«Ha perso il senno, povera cara.» - io guardo mia madre che sta quasi per scoppiare in lacrime. Mio padre, invece, è così inorridito dalla scena che lancia il bicchiere di vino contro il televisore che si spegne.
«Non potevo vedere quella scena.»
«Perché papà?» – gli chiedo curioso di sapere cosa sarebbe successo dopo.
«Sto pensando a tuo fratello… se lui fosse lì… io…»
C’è anche mio fratello nella stanza con noi. Lui non ha parlato proprio. È semplicemente lì a guardare mio padre.
«Papà, io resto qua.» – glielo dico davvero, seriamente.
«Non è la stessa cosa.» – mi dice dopo avermi guardato a lungo. – «Tu non sei lui!»
Ecco che, da sola, si riaccende la televisione, in tempo per vedere gli ibridi che banchettano con il corpo della ragazza del distretto 11.
 
Un altro aereo vola nel cielo. Søren abbraccia Chimio, non vuole lasciarlo per nulla. Avvicinandosi sempre di più, capisco che quello non è un aereo ma un hovercraft pronto a prendersi uno dei tributi morti. Si avvicina molto a noi ma non ci supera, anzi sembra fermarsi proprio su di noi. Io alzo lo sguardo, anche se mi sembra la cosa più complicata da fare e, seguendo con lo sguardo la gabbia/bara che scende dall’hovercraft, scopro che il morto è Falloppio (o almeno quel che resta di lui).
Chimio urla, si dimena come un pazzo. Søren cerca dolcemente di zittirlo, di coccolarlo ma non riesce nel suo intento. Chimio si porta le ginocchia al petto, si tappa le orecchie e chiude gli occhi.
Io, invece, riesco a capire cosa diceva Livius e perché Chimio è così scosso. Il sangue sulle mie mani è di Falloppio. Aveva ragione Livius: è davvero morto qualcuno. Io pensavo di essere quello rimasto dietro con Chimio e, invece, Falloppio era più indietro di noi. Io non l’ho visto. Io non ci ho fatto caso e lui è morto.
Chimio riapre gli occhi e combatte per liberarsi di Søren. Lui urla, urla con il massimo delle sue forze perché sta vedendo andare via, per sempre, Falloppio. Quello è il suo addio. Io non so che fare, come dire addio.  Il mal di testa, inoltre, peggiora e mi “regala” nuovi flashback intensi. Davanti a me passa un Falloppio che smonta una pistola e mi sorride, poi Falloppio che parla con Søren, Falloppio che mi toglie le siringhe da dosso con Loto, Falloppio che mi dice di riposare. Anche lui, ora, sta riposando. Non nel modo in cui dovrebbe.
«Chimio…» - Søren, appena pronuncia parola, inizia a piangere.
Ma la tortura dell’Arena sembra non essere finita perché, adesso, sta davvero arrivando un altro aereo.
«Un altro aereo!» – mi asciugo velocemente una lacrima e credo di sporcarmi ancora di più il viso. Sì, sono un misto di sangue, sudore e polvere. Noi, però, non ci muoviamo. Chimio resta a guardare l’hovercraft e Søren continua a dondolarsi per far calmare Chimio. L’aereo passa sulle nostre teste, si sentono le stesse parole dell’aereo precedente ma non cade niente. L’aereo ci oltrepassa. Lo seguo con lo sguardo e, a distanza di chilometri, lascia cadere un’altra bomba. Il rumore della bomba si mischia con un nuovo colpo del cannone. Un altro tributo è morto. È sottile la differenza tra un suono e l’altro: forse, proprio per questo, prima non ho sentito il colpo di cannone che annunciava la morte del mio alleato, del mio amico, di Falloppio.
«Dobbiamo andare! Qui non siamo più sicuri.» – Søren cerca di far ragionare Chimio. Io vorrei tanto dire loro che non siamo sicuri da nessuna parte. Chimio si rialza molto lentamente.
«Dobbiamo ripulirci!» – Søren continua a dirci cosa fare. Dei tre è quella più lucida, o meglio, quella più forte.
«Dobbiamo…» - apro bocca e le ferite che sono in bocca ritornano a sanguinare. Così sputo, sputo sangue.
«Snow!» – Søren mi guarda spaventata ma io, passando una mano sulla bocca (che non mi ripulisce tanto visto che anche la mano è sporca), le faccio capire di star tranquilla.
«Dobbiamo…» - ritorno a parlare. – «…trovare un luogo in cui nasconderci per questa giornata. Trovare da mangiare.»
«Allora andiamo in una delle case di quest’Arena. Hai detto che hai trovato acqua e carne essiccata.» – Søren propone il nuovo piano. Chimio guarda a terra, ha lo sguardo vuoto, perso. Chissà se ha mai visto un morto in vita sua.
«Ok!»
Iniziamo a incamminarci senza saper bene dove andare. Non riusciamo a orientarci perché tutto è molto confuso, non si riesce a vedere nulla. Riusciamo solamente a capire che ci stiamo allontanando dalla parte “abitata” perché sentiamo il rumore della corrente della recinzione. Quindi ci voltiamo e andiamo verso la direzione opposta. Durante il cammino, Chimio non dice nulla. A volte si fa scappare qualche strano lamento.
All’improvviso ci fermiamo. Ci guardiamo attorno per capire bene dove siamo, ma, con orrore, scopriamo che l’Arena che finora abbiamo visto non esiste più. Siamo, infatti, vicini alla Cornucopia e la casa rossa è rasa al suolo. Al suo posto vi sono solo macerie. La città è completamente distrutta. Le uniche cose rimaste intatte sono, appunto, la Cornucopia, che è sempre rinchiusa in quel proiettile d’oro, e la grande fabbrica/palazzo della Giustizia o che sia lui.
«Ragazzi, se prima era l’inferno, ora non so che sia.»
 
Il piano è cambiato: cerchiamo rifugio in quell’unico posto rimasto intatto e ancora inesplorato da noi tre. Camminiamo insieme. Io, che sto a destra, controllo la mia destra, Søren, che sta a sinistra, controlla la sua sinistra e Chimio cerca (nel pieno delle sue possibilità) di controllare la visuale centrale che, bene o male, controlliamo anche noi altri due. Chimio è ancora evidentemente scosso dallo scoppio della bomba.
«Sta arrivando qualcuno!» – Søren, che ha lo sguardo rivolto dove, prima, c’era la strada principale dell’Arena, ci avverte dell’arrivo di qualcuno. Immediatamente ci nascondiamo dietro le macerie che occupano più spazio e che, quindi, ci donano più riparo. Cerco di spiare e vedere chi sia là fuori e, stranamente, ci sono dei Pacificatori che stanno marciando. Guardano dritto e camminano indisturbati.
«Questi Pacificatori sono come quelli dietro la barriera.» – affermo.
«Sono gli stessi?»
«Non lo so, ma non sono qui per ucciderci. Forse vogliono solo impedirci di andare avanti.» – infatti, proprio come quei Pacificatori che sparavano contro i nostri piedi senza colpirci, questi altri Pacificatori non sembrano interessarsi di noi tributi.
Dopo il passaggio dell’ultimo Pacificatore, noi, con estrema cautela, procediamo verso quel grande palazzo. Appena ci avviciniamo, le porte di vetro si aprono scorrendo una da un lato e una dall’altro.
«Pensi che qualcuno ci stia guardando?» – chiede Søren ma, poi, si fa scappare una risata. – «C’è sempre qualcuno che ci sta guardando. Siamo sempre registrati. Siamo le loro cavie da laboratorio, il loro esperimento.»
«I loro giocatori, il loro spettacolo.» – aggiungo.
Entriamo e una specie di cane ci abbaia contro. È piccolo e cerca di impaurirci saltellando. Addosso ha mille bolle rosse che, quando vuole, si gratta con le zampette. Ci guarda per un po’ ma, poi, decide di lasciarci perdere per poter giocare con un pupazzo a forma di gallina spennacchiata.
«Cosa si fa?» – Søren parla ma, subito, il cane ritorna ad abbaiare.
«Varicella!» – Chimio, dopo tempo, ritorna a parlare. Io e Søren lo guardiamo e ci chiediamo cosa voglia dire con quella parola.
«Spiegati meglio!»
«Non avviciniamoci al cane. Soffre di varicella.»
Con tutto la compassione e la pietà di questo mondo, io vorrei capire quel che dice Chimio ma non ci riesco proprio. Vorrei chiedergli, con molta calma, di dirmi cosa sia la “varicella” ma è proprio la calma che ho perso.
«Chimio, sono sporco di sangue e terra, mi fa male la testa e ci troviamo in un luogo dimenticato da tutti. Quindi, per favore, spiegati meglio. Cosa cazzo è questa varicella?»
Søren mi guarda come per dire “ma sei scemo?” ma non ho neanche la forza di rispondere a quella comunicazione non verbale. Chimio, allora, ci afferra per i polsi e ci invita a indietreggiare. Facciamo ciò con passo lento e silenzioso affinché il cane non ci possa vedere andare dietro e seguirci.
Usciamo da lì e Chimio inizia a spiegarci tutto: «La varicella è una malattia infettiva. Se entri in contatto con qualcuno che soffre di varicella, hai la probabilità che si mischi anche a te.»
«E questa malattia cosa fa?» – chiede interessata Søren.
«Oltre ad avere quelle pustole di color rosso sul corpo, provi prurito e, quindi, hai una gran voglia di grattarti.» – inizia una conversazione tra i due.
«E si può morire per questa malattia?»
«Che io sappia no.»
«Allora perché ci spaventiamo di quel cane? Andiamo dentro. Insomma, se devo morire, voglio farlo con lo stomaco pieno. Non mi spaventa un po’ di prurito.»
«Ci dobbiamo fidare di quest’Arena?» – chiede Chimio ironico. – «Mi sembra che ci riservi fin troppe sorprese.»
«Perché mi sembra di aver già sentito parlare della varicella?» – chiedo interrompendo i due.
«Bene, Snow: non sei ignorante! Hai una nuova parola da aggiungere al tuo vocabolario. Ascolta come fare: “tu, Snow, sei per me come varicella: mi provochi prurito!”»  – Søren mi prende in giro.
«Simpatica come la varicella.» – le rispondo stando al gioco.
«Il distretto 13 fu il primo distretto a riscontrare la varicella.» – mi dice Chimio.
È come un flash, un’illuminazione improvvisa quando, finalmente, capisco che cosa sia l’Arena.
«Ragazzi, l’Arena è il distretto 13! Siamo finiti nel distretto 13!»
Søren mi guarda sconvolta, Chimio anche lo fa, ma riesco a capire che anch’egli, come me, sta componendo tutti i pezzi del puzzle che sembrava essere incomponibile.
«Questi sono i Giorni Bui della rivolta!»
La barriera esiste perché ogni distretto di Panem ha una barriera che delimita i confini, i Pacificatori di Capitol City sono i guerrieri che hanno combattuto contro il popolo, gli aerei che sganciavano le bombe contro il nemico erano gli aerei che hanno distrutto il distretto 13, le case dei dottori sono proprio quelle che ospitavano le persone che curavano gli infettati dai raggi nucleari e dalla varicella, la foresta è la famosa foresta di conifere del distretto 13.
«Il distretto 13!!»
Sorrido. Ora posso dare un nome a questo inferno.
  
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