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Autore: morrigan89    27/09/2008    2 recensioni
Anno 2191. Il pianeta Terra è stato devastato da una Guerra Nucleare. La città di Nuova Edo è sotto dittatura della potente Mishima Zaibatsu, la violenza è all’ordine del giorno, la libertà è un sogno destinato a pochi. Tra i resti di un mondo morente si intrecciano le vicende di alcuni personaggi, alcuni guidati dall’avidità, altri dall’odio, alcuni dai propri desideri innocenti, altri dai propri ideali.
-Perché non tutti i cuori sono morti-.
Genere: Azione, Drammatico, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hwoarang, Jin Kazama, Kunimitsu, Ling Xiaoyu, Sorpresa
Note: AU | Avvertimenti: Incompiuta
Capitoli:
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3. Claustrofobia


Il sole era già tramontato quando Kunimitsu aveva deciso che sarebbe stato sicuro fare ritorno a casa sua dopo un intero pomeriggio passato a nascondersi dalla polizia; ed era con un vago senso di stanca soddisfazione che la donna avanzava cautamente nel vicolo buio, alla cui fine scorgeva l’ingresso fiocamente illuminato dell’Edificio Abitativo 2.
Kunimitsu?–. Quel sussurro inaspettato, proveniente dal buio di fronte a lei, la raggelò.
Kunimitsu si fermò, cercando di distinguere l’altra persona. –…Anna! Sei tu? Non si vede niente–.
Sst–. La sagoma della barista del White Crow si scostò dalla parete, stagliandosi nella penombra. –Grazie al cielo sei arrivata! È da ore che ti sto aspettando!–.
–Certo che sono arrivata!– esclamò la kunoichi, sorpresa. –Perché mi stavi aspettando?–.
–Sono venuta ad avvertirti, Kuni…– Anna parlava con concitazione –La polizia ha fatto irruzione in casa tua due ore fa! Io non so cosa volessero ma erano Agenti Speciali! Sanno chi sei, hanno diramato il tuo identikit a tutte le stazioni–.
Il cuore che salta un battito.
Cos’è questa sensazione, Kunimitsu? È forse quella del topo caduto nella trappola? È forse paura?
–No. Non è possibile– cercò di ragionare –Ho abbandonato la mia vera identità anni fa, nessuno conosce il mio volto e il monolocale non è registrato a nome mio. Non possono essere risaliti a me!–.
Anna non rispose, il silenzio avvolse le due donne.
–A meno che…– la voce di Kunimitsu si fece ad un tratto più dura –A meno che qualcuno non abbia fatto la spia. È così, Anna?–.
Nessuna risposta, solo il rumore di un respiro trattenuto.
–È così, Anna?–.
Kunimitsu la sentì scoppiare in lacrime. –Mi… mi dispiace tanto! Hanno detto che avrebbero portato via me e Marshall se non… se non gli avessimo detto dove trovarti! E così… e così Marshall ha parlato. Tu sai cosa significa essere “portati via”, vero?–.
Per un attimo fu presa dall'impulso di prenderla a pugni. –Temo che per colpa vostra potrei scoprirlo molto presto– osservò gelidamente.
Anna afferrò il braccio dell’amica. –Kuni ti prego, non fare così! Lasciami spiegare!–.
–Non fare scenate Anna– disse l’altra, allontanando il braccio dalla presa della donna –Non c’è niente da spiegare: volevate vivere. È umano. Del resto sono stata io a mettervi in questa situazione. Però non riesco a capire per quale motivo la polizia ce l’abbia così con me... Agenti Speciali addirittura! In genere non mandano mai agenti della Squadra Speciale a stanare gli abitanti di questa zona per reati minori come detenzione di droga e clandestinità. Cazzo, qui tutti detengono droga e usano identità false!–.
–Anche a me sembra strano... Io e Marshall pensiamo che potrebbero averti scambiato per un'altra persona.– disse Anna, che sembrava aver riacquistato un po’ della sua compostezza –Senti, c’è un'altra cosa che devo dirti–.
–Cioè?–.
–Marshall mi ha pregato di dirti che vista la situazione dovresti accettare l’aiuto che ti è stato offerto–.
–Quale maledettissimo aiuto?!– esclamò. Poi ebbe un fugace flash di un uomo con la voce metallica e la maschera da teatro Noh.
–Non ne ho idea. Marshall è stato poco chiaro su questo punto, ma ha detto che tu avresti capito–.
Kunimitsu indugiò sotto il peso della sorpresa. Dunque Marshall conosceva quel pazzoide? E voleva che lei andasse a cercarlo lì dove le era stato detto? Cercò di riportare alla mente il contenuto del biglietto: Zona Industriale, dietro la fabbrica di elettrodomestici. Certamente un luogo poco invitante.
–Credo di aver capito infatti, anche se la cosa mi sembra assurda–.
–Allora sei al sicuro?– la voce di Anna era sollevata –Mi sento molto meglio!–.
–Ora come ora la parola “sicuro” mi sembra un’esagerazione ma forse ho un posto dove andare. Però prima ho bisogno che tu mi faccia un favore–.
–Qualsiasi cosa, Kunimitsu. Mi sento così in colpa per quello che è successo…–.
–Quando vedi Hwoarang digli che mi dispiace di aver combinato questo casino e che mi farò viva quando la situazione si sarà fatta più tranquilla. Puoi farlo?–.
–Certo, glielo dirò, non ti preoccupare–. Anna si mise la mano sul cuore come per dare più forza al suo giuramento, pur sapendo che l’altra poteva a stento vederla.
–Bene, allora… vado–.
E così Kunimitsu tornò da dove era venuta, lasciando alle spalle la sua casa, e mentre affondava nuovamente nell’oscurità più cupa dei vicoli interni ebbe la spiacevole sensazione di stare per abbandonare tutto ciò che era stata.

*

Lee Chaolan stava sdraiato su una chaise-longue nel suo elegante salotto in stile minimalista, immerso nel silenzio e in una rilassante penombra, lasciando che gli occhi si riposassero dopo quella stressante giornata. Al di là delle finestre la rigogliosa vegetazione del giardino era immota, scossa soltanto dal lieve muoversi di qualche insetto. L’unica fonte di luce erano i globi luminosi delle lampade da esterno, il cui fioco bagliore filtrava attraverso le piante posandosi gentilmente sulla mobilia.
Improvvisamente il silenzio fu rotto da una voce di donna: –Sai, penso che dovresti migliorare il sistema di sicurezza della tua villa–.
Lee aprì gli occhi e sorrise. Ora una sagoma conosciuta sedeva sulla finestra aperta.
–Fortunatamente non ci sono persone più pericolose di te da cui dovrei difendermi, Nina– osservò lui con calma.
–E non pensi di doverti difendere da me?–. “Insinuante, Nina. Come sempre” pensò Lee.
–Che motivo avresti di farmi del male? In questa città non ci sono persone più potenti di me per cui lavorare, eccetto mio padre–.
–Lee, mi tratti sempre come se fossi uno schifoso mercenario!– rispose Nina, con tono ironicamente dispiaciuto. Touché.
–Non è forse quello che sei, Agente W?– chiese lui con un pizzico di cattiveria.
–Può darsi– disse lei con una smorfia simile a un sorriso.
–Per farmi cambiare idea, per esempio, potresti cominciare a passare dalla porta invece che infiltrarti furtivamente dalla finestra, che ne dici?–.
–Non mi va– sbottò lei, stiracchiandosi le braccia –Per entrare qui bisogna superare tanti di quegli sbarramenti di sicurezza… è solo una perdita di tempo!–.
Lee decise che era meglio tagliare corto. –Parliamo di cose serie adesso: che mi dici delle indagini dell’agente Wulong?–.
–L’ho seguito per tutto il giorno e l’unica informazione ricavabile è che le indagini proseguono molto a rilento. L’unica informazione che hanno è che uno di loro possiede una maschera Noh comprata da un antiquario, ma non è stato ancora rintracciato–.
–Pensi che sia un individuo affidabile?–.
–Oh, sì, è proprio una brava persona: diligente, scrupoloso, amante della legalità… Poverino, mi fa quasi pena. Non credo che possa rappresentare una minaccia per la Mishima, ma continuerò a tenerlo d’occhio in attesa che scopra qualcosa–.
–Ottimo, e per quanto riguarda quella faccenda del laboratorio? Il dottor Abel ha ritrovato l'Esperimento Numero 9?–.
Nina scosse la testa. –Basta parlare di lavoro per ora…– disse lei perentoriamente, saltando giù dalla finestra, per poi muoversi con passo felino verso l’uomo. Lee la vide armeggiare con la lampo e un secondo dopo la sua tuta da spia era scivolata a terra e la luce tremula dei globi luminosi si rifletteva sulla pelle nuda. “Sei proprio un uomo fortunato, Lee Chaolan” si ritrovò a pensare lui.
–Divertiamoci–.

*

Due occhi completamente neri, da bestia assassina, privi di ogni sentimento umano.
Ling Xiaoyu si svegliò di soprassalto e si guardò attorno nel disperato tentativo di riconoscere qualche oggetto familiare nell'oscurità della sua camera. Lo schermo luminoso della sveglia segnava le 3.42 a.m.
Si rannicchiò ancora di più nelle coperte, cercando di scacciare quell'immagine dalla sua mente, ma era difficile considerando che da quel pomeriggio non riusciva a pensare ad altro. Chi avrebbe mai immaginato che la sua storia d'amore si sarebbe trasformato in un horror?
Era difficile accettare che Kawamura, un ragazzo tranquillo e posato, anche se dal carattere ombroso e distaccato, potesse trasformarsi in qualcosa del genere. Già, ma che cosa, esattamente? Ciò che aveva visto quel pomeriggio sfuggiva da ogni classificazione, non aveva per niente l'aria di essere una malattia. Ma che cosa poteva essere allora?
Dopo che quel strano attacco era finito, Takeshi era tornato quello di sempre, se possibile più gentile di quanto era abituato ad essere. Forse aveva paura che lei avesse potuto svelare il suo segreto a qualcuno, e chi poteva biasimarlo? Ling non riusciva a immaginare in che modo si potesse convivere con qualcosa del genere. In ogni caso non doveva assolutamente preoccuparsi di lei, perché aveva giurato di non dirlo a nessuno.
Certo, probabilmente Kawamura non si sarebbe immaginato che Xiaoyu si sarebbe buttata da un palazzo di cento piani se lui glielo avesse chiesto! E nonostante la paura che ora cominciava ad ispirarle, lei era ancora pronta a fare qualsiasi cosa per lui, a dimostrazione che una cotta portentosa a volte può produrre più cambiamenti di un tornado.
Ling non dubitava che dopo questo episodio Takeshi si sarebbe fatto vedere di nuovo: appena il seminario del dottor Boskonovitch era finito, l'aveva guardata con uno sguardo indecifrabile e poi se ne era andato fingendo di essere la persona più tranquilla del mondo, come se non fosse successo niente. Ma lei sapeva che non era così.
Qualsiasi ragazza normale sarebbe fuggita di fronte a una situazione del genere, ma lei non poteva assolutamente, nemmeno volendo. Non poteva lasciare che i sogni che covava da anni, per quanto fossero infantili, morissero così, sotto quello sguardo gelido e inumano. Qualunque fosse stato il suo problema, lei l'avrebbe aiutato a risolverlo.
"Trema Kawamura! Mi occuperò io di te" pensò con un gran sorriso, incurante del fatto che forse quella che avrebbe dovuto tremare era lei.

*

"Ma che cazzo sto facendo?" pensava Kunimitsu mentre camminava con cautela avvolta nel buio della Zona Industriale, evitando la luce dei pochi lampioni solitari che rischiaravano la notte. Quel luogo lugubre le dava la spiacevole sensazione di essere l'ultima abitante di una città fantasma.
"Forse mi sto cacciando in un guaio ancora peggiore. Chi mi dice che quel tipo mascherato sia una persona affidabile? Penso che farei meglio a rifugiarmi da qualche altra parte". Ma ormai aveva già svoltato l'angolo e si era trovata di fronte l'insegna della Domestik s.P.a. Visto che ci aveva messo ore e ore per attraversare la città e arrivare là, tanto valeva tentare.
Kunimitsu si infilò nella stradina che costeggiava la fabbrica e raggiunse il retro, scarsamente illuminato da qualche lampione al neon ormai intermittente; dopo essersi guardata attorno scavalcò la rete che lo delimitava e si trovò in un largo piazzale occupato da un mucchio di containers e una massa di rottami. Avanzò esitando in quel cimitero di carcasse metalliche. "E adesso come faccio a sapere qual è il container giusto?" si chiese seccata.
Un suono acuto e sgradevole la fece scattare sull'attenti. Piccole figure zampettanti, spaventate dal suo arrivo, attraversarono una zona d'ombra e sparirono dietro un container con un sonoro squittio.
–Topi...– mormorò disgustata –Beh, almeno ho trovato l'ingresso–.
Seguì i roditori e si trovò di fronte ad un tombino leggermente socchiuso da cui esalava un odore di marcio. Kunimitsu esitò. Chi avrebbe mai potuto nascondersi in un posto simile? Forse quel tizio le aveva giocato un brutto tiro.
Stava quasi per andarsene quando un balenio di luci in movimento la raggelò, costringendola ad appiattirsi contro la parete metallica del container. Il balenio continuava a non molti metri da lei. Impossibile non riconoscere delle torce elettriche.
"Cazzo. Chi sono questi?". A quel punto le fogne le sembrarono stranamente invitanti e così, abbassatasi, iniziò a spingere il coperchio del tombino con estrema cautela; se quelle persone erano poliziotti il minimo rumore poteva costarle caro. Ormai cominciava a distinguere le loro voci, anche se non riusciva a capire cosa dicessero.
Il coperchio, dopo uno sforzo che le parve durare ere geologiche, si aprì su una scala a pioli che sprofondava in una nera voragine. Kunimitsu si affrettò ad entrare e a chiudersi il cerchio metallico sul capo, poi rimase lì ad attendere col fiato sospeso, illuminata solamente dai fili di luce che passavano attraverso la grata.

Per poco non perse la presa quando due piedi si posarono sul coperchio metallico.
L'abbiamo persa– disse una voce in superficie, stranamente fredda e impersonale.
Sei sicuro che sia entrata nel retro?– chiese una seconda voce.
Certo, l'ho vista con i miei occhi–.
Io non ho visto niente. L'abbiamo persa prima di raggiungere il retro della fabbrica– disse una terza persona.
Tu l'hai persa. Io sono sicuro che sia passata di qui–.
Forse si nasconde tra i container. Continuiamo a cercare!
Andiamo–.
Ancora rumore di passi e i suoi inseguitori si erano allontanati.
Kunimitsu prese a scendere le scalette mentre il cuore le batteva a mille. Ormai non aveva dubbi che quelli fossero poliziotti, forse della Squadra Speciale. Ma quando avevano cominciato a seguirla? Lei non si era accorta di nulla e ora avrebbe voluto prendersi a schiaffi. “Dannazione, forse erano rimasti ad aspettare vicino a casa mia. Certo, è così, razza di idiota che non sei altro! Ti sei fatta inseguire!”.
Dopo una lunga discesa toccò finalmente il suolo; era all'asciutto ma non vedeva assolutamente nulla. Una ventata di aria calda e fetida la raggiunse, provocandole un brivido di disgusto. Dalla stessa parte sembrava che provenisse una debole luminescenza verdognola.
Tese l'orecchio ma udì solo un lontano zampettare di ratti.

Tirò fuori un accendino e lo accese, scoprendo così di trovarsi in un cunicolo abbastanza alto da far passare una persona in piedi; vide che il cunicolo si estendeva dritto e pianeggiante per poi venire inghiottito nel buio ristagnante come nella gola di un mostro e così, fatto un respiro profondo, decise di imboccarlo.
 
Dopo un tempo che le parve un'eternità ma che poteva essere solo una manciata di minuti stava ancora proseguendo nel buio, nella speranza che la fogna la conducesse da qualche parte. Usava l'accendino solo ogni tanto per evitare che si esaurisse troppo in fretta.
Ad un certo punto si fermò, sentendosi incredibilmente idiota. "Ma che sto facendo? Qui non c'è nessuno oltre a me! Visto che lassù mi cercano per stanotte mi fermerò qui, ma è inutile andare avanti. Rischio solo di perdermi". E così si sedette in mezzo al corridoio, dove l'aria si era fatta nel frattempo più respirabile, e attese, nemmeno lei sapeva cosa.
Il tempo passò con incredibile lentezza, finché un rumore la fece scuotere.
Passi.

Passi nel cunicolo. Non sapeva dire di quante persone fossero perché l'eco ne amplificava e moltiplicava il rumore.
Kunimitsu saltò in piedi estraendo il kunai nello stesso tempo, decisa a far fuori almeno qualcuno dei suoi inseguitori prima di essere arrestata e rinchiusa in qualche luogo remoto.
I passi si avvicinarono velocemente, poi si fermarono. Kunimitsu era perfettamente immobile e silenziosa come una volpe in agguato. Qualcuno si era fermato a pochi passi da lei e indugiava ad andare avanti. Poteva sentirlo respirare di uno strano respiro soffocato.
La kunoichi si stava preparando ad attaccare quando una luce abbagliante si accese dal nulla rivelandole ciò che aveva davanti: un viso mostruoso e sfigurato, bianco come un cadavere putrefatto, con occhi gialli e sporgenti.
Kunimitsu urlò. L'essere orrendo urlò e la luce si spense. Un attimo dopo si riaccese.

Kunimitsu passò di colpo da uno stato di terrore a uno di allibita stupefazione. –TU!– gridò furibonda.
Quello non era un viso sfigurato, ma la maschera corrugata del demone Hannya e davanti a lei, con tanto di palandrana nera e criniera rossa, stava il misterioso individuo che poche ore prima le aveva offerto il suo aiuto.
–Oh, ma che piacevole sorpresa!– esclamò con la sua voce metallica non appena si fu ripreso dallo spavento.
–Si puoi sapere perché hai urlato!?– lo rimbrottò lei rinfoderando il pugnale ancora in preda allo shock.
–Mi hai spaventato! E tu perché hai urlato?–.
–Anche tu mi hai spaventato– ammise –Pensavo che fossi un mostro–.
L'uomo decise di sorvolare sulla frase poco complimentosa e le disse: –Non mi aspettavo di trovarti qui oggi. Come mai sei venuta?–.
Kunimitsu indugiò un po' a rispondere, ora che si trattava di confessare il motivo per cui era arrivata fin là. –Ho bisogno di aiuto, la polizia ha scoperto dove abito e non so dove andare–.
–Ah, e io che speravo che tu fossi venuta perché avevi voglia di vedermi!– esclamò lui con tono dispiaciuto.
–Non mi pare il momento di scherzare– replicò lei. –Mi spieghi dove ci troviamo? Non mi dirai che vivi qui!–.
–No, infatti. È un rifugio in cui vengo quando non so dove nascondermi e se proseguiamo per questa parte vedrai che arriveremo…–. Improvvisamente si zittì e si voltò.
Di nuovo passi, questa volta chiaramente di un gruppo di persone, risuonavano in fondo al cunicolo mentre fasci di luce fendevano il buio.
–Non mi avevi detto di aver portato ospiti– osservò.
–Maledizione!– esclamò costernata –Credevo che se ne fossero andati!–.
–Non importa, al buio faremo perdere le nostre tracce– disse lui spegnendo la torcia –Dammi la mano, ti guiderò io–.
I passi accelerarono di colpo: dovevano essersi accorti della loro presenza. Kunimitsu prese la mano dello sconosciuto senza esitare e sì lanciò a correre nell'oscurità. Ormai non poteva far altro che affidarsi a lui.
–Dove stiamo andando?– chiese con apprensione.
–Fuori di qua. Ai condotti d'areazione–.  

*

Jin Kazama fissava la sagoma della finestra che i lampioni proiettavano sul soffitto della sua camera. Quella notte si era imposto di non dormire e, nonostante la stanchezza che gli intorpidiva le membra, fino ad ora c'era riuscito benissimo. Non aveva nessuna intenzione di addormentarsi e ripiombare nei sogni notturni, ora che la sua stessa vita diurna si era trasformata in un incubo.
Quello che aveva avuto quel pomeriggio era stato il decimo attacco in 5 mesi, ed era stato il peggiore: quella voce gli aveva già parlato prima d'ora, ma le scorse volte non si era mai ritrovato in un tale stato di schizofrenia, non gli era mai successo di parlare con se stesso; perché ora sapeva che quella voce bestiale era sua e non poteva rifiutarsi di accettarlo. Era stato lui stesso a dire di uccidere Ling Xiaoyu, sebbene fosse un lui diverso.
"Beh, sto impazzendo, non c'è niente da fare"; ma la pazzia poteva spiegare solo quello che accadeva nella sua mente, non quello che capitava al suo corpo.
Stavolta i cambiamenti nella sua morfologia erano stati più dolorosi del solito e, benché non si fosse visto allo specchio, sapeva che erano stati più evidenti delle altre volte. Aveva sentito le sue membra espandersi, i muscoli gonfiarsi fra la pelle e le ossa. E poi c'era stata quella sensazione orribile, come se qualcosa avesse voluto schizzare fuori dalla sua schiena.
Una malattia avrebbe potuto spiegare quei sintomi e lo stato di alterazione mentale? Non ne era sicuro; e se non era sicuro nemmeno di se stesso di che altro avrebbe potuto esserlo?
Come se non bastasse si era aggiunto un altro problema: Ling Xiaoyu. Lei sapeva e avrebbe potuto dirlo a qualcuno, cosa che non poteva assolutamente permettersi.
Da quando la guerra nucleare era finita il governo aveva cominciato a raccogliere in istituti speciali tutte le persone che avevano subito malformazioni o malattie sconosciute. Jin lo sapeva solo perché lo aveva visto accadere ai suoi vicini di casa: un giorno alcune persone in giacca scura erano venute a prendere il loro figlio nato da poco, dicendo che per via della sua malattia avrebbe dovuto vivere per qualche tempo in un istituto speciale, dove fior fior di medici avrebbero salvaguardato la sua salute; ma erano passati anni, il figlio non era più tornato e l’uniche notizie che ricevessero erano lettere sempre uguali che dicevano “vostro figlio sta bene e fa progressi”, finché i due dovettero autoconvincersi che fosse la verità.
Dicevano che era per il loro bene, ma questo non era un dato di fatto; il dato di fatto era che persone come quel bambino svanivano nel nulla e Jin non dubitava che avrebbe fatto la stessa fine se le autorità avessero scoperto quello che gli stava succedendo; perciò aveva preso la risoluzione di parlare con quella ragazza per decidere se avrebbe potuto fidarsi di lei.

*

L'uomo mascherato si accasciò al suolo lasciandole la mano. Kunimitsu frenò di colpo, allarmata.
–Che hai!?– chiese con apprensione.
–Niente, ho solo bisogno di riprendere fiato… Non sono più un ragazzino, eh eh– ridacchiò lui mentre il respiratore emetteva degli sbuffi affannosi. –Ormai… dovremmo averli seminati–.
Kunimitsu si voltò a fissare il buio, augurandosi che i loro inseguitori si fossero persi nel labirinto delle fognature. Non aveva idea di come la sua guida fosse riuscita ad orientarsi in quell'intricato groviglio di canali, al buio per di più.
Lo sconosciuto si rimise lentamente in piedi e accese la sua torcia elettrica illuminando una scaletta di ferro che pendeva sopra le loro teste. –Saliamo–.
I due salirono e uscirono da un tombino del tutto simile a quello da cui erano entrati.
Kunimitsu si guardò attorno, ora che i cunicoli erano illuminati da piccole lampadine, e vide che lo scenario era cambiato: non si sentiva più alcun fetore e i vicoli di pietra si erano allargati trasformandosi in spaziosi corridoi di cemento. Alzò la testa: il soffitto era percorso da una dozzina di tubi simili a serpenti d'alluminio.
L'uomo mascherato richiuse il tombino e ci spostò sopra un bidone metallico già pronto in un angolo. Evidentemente non era la prima volta che passava di là.
–E così ci siamo liberati dei nostri sgraditi ospiti– disse lui spolverandosi le mani.
–Dove ci troviamo?– chiese la kunoichi.
–Alle porte della città, per così dire. Oltre queste mura ci sono i macchinari che prendono l'aria dall'esterno quando il vento allontana le nubi tossiche. Poi la filtrano e la mettono in circolazione dentro la cupola– spiegò.
–Non ero mai stata così lontana dal centro di questa città-prigione– disse lei con aria sollevata –Mi sembra di essere a un passo dalla libertà–.
–Non c'è libertà oltre questi cancelli– disse lui con un tono di voce che si era fatto improvvisamente tetro –Solo desolazione–.
Kunimitsu lo guardò stupita per quel repentino cambio di umore e per la prima volta che si trovava con lui sentì un brivido attraversarle la schiena. Chi era questa persona? Ora che si trovava fuori pericolo e aveva più tempo per pensare, si era resa conto di non sapere assolutamente niente di lui, nemmeno il suo nome.
–Vogliamo andare?– chiese lui ritornando allegro. Lei annuì, un po' interdetta.
E così i due ripresero a camminare con passo sostenuto nei grigi corridoi, che alla luce fredda delle lampade prendevano un aspetto tetro, di catacomba. "Persino il buio delle fognature era più invitante" pensò lei, ma forse era solo una sensazione dovuta al fatto di trovarsi ai confini della civiltà con un perfetto sconosciuto. E se fosse stata una trappola?
Mentre le camminava davanti con la sua massa di capelli rosso fuoco lei lo osservò attentamente, studiandolo. Era ovvio che fra loro due ci fosse una certa somiglianza, e questo l'aveva stupita già la prima volta che si erano incontrati, ma c'era qualcos'altro che le dava da pensare. "Ha un'aria così familiare…" rifletté, "Ok, questo non mi tranquillizza per niente!".
Procedevano in completo silenzio da alcuni minuti quando la voce di Kunimitsu interruppe la quiete.
–Questo pomeriggio mi stavi seguendo, vero?–. La rivelazione le aveva fatto capolino nella mente, chiara come l'evidenza.
L'uomo mascherato non si scompose. –Sì–.
Quella conferma così distaccata la mise sulle spine, dicendole che probabilmente si trovava sulla via per scoprire l'identità di quel misterioso personaggio. –E perché?–.
–Marshall Law mi ha parlato di te un po' di tempo fa–.
Il nome dell'amico barista la tranquillizzò. Allora era davvero a questo strano tipo che si riferiva il messaggio riferitole da Anna. –E così conosci Marshall–.
–Beh, un po' tutti conoscono Marshall– ammise lui.
–Io però non ti ho mai visto al White Crow, eppure ci passo tutti i giorni– osservò lei, stando attenta alle sue reazioni.
–È vero, non vengo mai al White Crow… Troppi impegni da sbrigare, sai com'è! Si può dire che oggi abbia fatto un'eccezione apposta per te– ridacchiò. –E a giudicare da come hai messo k.o. quel poliziotto penso di aver fatto bene–.
Kunimitsu si fermò di botto. La lampadina che illuminava quel tratto di corridoio si spense e si riaccese sfrigolando. –Ok, la chiacchierata è finita!– esclamò lei minacciosamente –Dimmi chi cazzo sei e che cazzo vuoi da me–.
Lo sconosciuto si voltò lentamente, mostrandole il feroce e sardonico sogghigno del demone Hannya. –Non conosco il mio vero nome ma tutti mi chiamano Yoshimitsu e ci ho messo un sacco di tempo a trovarti, Kunimitsu. O forse dovrei dire… Motoko–.
Trasalì. Era da anni che non sentiva quel nome, nessuno che fosse ancora vivo l'aveva mai chiamata così. L'unico modo che uno avrebbe avuto per risalire al suo nome era consultare la Banca Dati Elettronica di Nuova Edo, e quella era accessibile solo a quelli del governo e ai cyberpoliziotti. E agli agenti della Squadra Speciale.
La donna dai capelli rossi cominciò ad indietreggiare senza rendersene conto. –Motoko è morta anni fa. Io sono Kunimitsu, la volpe–. Quasi meccanicamente estrasse il suo kunai.
Yoshimitsu fissò la lama lucente che rifletteva il bagliore elettrico della lampadina rotta. Ridacchiò, per poi replicare con tono insinuante: –E pensare che un tempo eri una bambina così gentile, Motoko. Questa Kunimitsu invece mi pare che abbia un caratteraccio…–.
–Ti sbagli, io non ti conosco!– esclamò lei brandendo il pugnale nella direzione dell'uomo –Mi ricorderei di un tipo strano come te–.
Yoshimitsu sospirò, ignorando anche quest'altra frase poco complimentosa. –Effettivamente all'epoca tu eri troppo piccola e io ero un po' diverso da ora… Sai, non portavo ancora la maschera e nemmeno tu la portavi, del resto. E nessuno dei due aveva ancora i capelli rossi– disse lui passandosi una mano nella folta criniera. –La mia purtroppo è solo una parruca, eh sì–.
–Smettila di fare il cretino– sbottò lei –Sei un Agente Speciale in borghese, è così? Hai fatto tutta questa messa in scena per arrestarmi e probabilmente hai ingannato anche Marshall! Forse speravi che ti avrei dato informazioni su altri ricercati, è perciò che mi cercate?–.
L'uomo si mise una mano sul petto, offeso. –Io? Agente Speciale? Se io fossi uno di loro tu a quest'ora saresti già morta– tuonò, poi prese ad avanzare verso di lei. –Finiamola con questa farsa, Kunimitsu. Rinfodera il kunai– disse lui protendendo il braccio sinistro verso di lei.
–Non ti avvicinare!–.
Un breve lampo e Yoshimitsu fu costretto a ritirarsi. La manica dell'impermeabile presentava ora un largo squarcio all'altezza dell'avambraccio.
–Scusami, hai ragione. Capisco la tua diffidenza– si affrettò a spiegare lui mostrandole i palmi delle mani in segno di pace –Ma non c'è bisogno di distruggere ulteriormente la mia giacca nuova, ok? Ti spiegherò tutto dopo–
Anche Kunimitsu si era ritratta, stupita. Quando il suo kunai era entrato in contacco col braccio del suo avversario aveva udito un rumore metallico. Nessuna traccia di sangue sporcava la lama.
La kunoichi si rimise in posizione di guardia, studiando l'avversario. –Un braccio meccanico?–.
Yoshimitsu annuì. –Più o meno–.
Kunimitsu continuava a puntargli la lama contro e a squadrarlo con diffidenza, soppesando le sue intenzioni. –Devo ammetterlo, non hai l'aria di essere un Agente Speciale. Ma allora come fai a conoscere quel nome... "Motoko"? E non dirmi "ti spiegherò tutto dopo". Voglio saperlo ora–.
Yoshimitsu annuì e poi cominciò a raccontare: –Ho conosciuto tuo nonno, Sunichiro, durante l'inverno nucleare. Siamo diventati amici, più o meno. Mi insegnò alcune delle sue tecniche di combattimento e poi mi disse che, se un giorno ne avessi avuto bisogno, avrebbe forgiato una spada per me. "Il bushido è inutile quando i tempi si fanno troppo duri, ma una spada vale sempre" diceva–.
A quelle parole Kunimitsu sentì che le lacrime stavano per salirgli agli occhi. Suo nonno ripeteva spesso questa frase anche a lei.
L'uomo continuava a parlare: –Alcuni anni dopo, quando il suo dojo era già fallito andai a visitarlo per dirgli che avevo bisogno di una katana. Lui accettò e mi presentò la sua nipote di sei anni dicendomi che presto avrebbe cominciato a insegnarle il ninjutsu. E così ha fatto, evidentemente–. Yoshimitsu sorrise al di sotto della sua maschera.
La ninja lasciò la posizione di guardia e rinfoderò il pugnale, ritrovandosi a sorridere per la nostalgia. –"Il samurai decide le sorti della battaglia, il ninja decide le sorti della guerra". Mio nonno amava i vecchi proverbi. Ti credo–.
–Ne sono felice, la mia giacca nuova non avrebbe resistito ad altri attacchi!– disse lui sollevato –Ora però è meglio che ci sbrighiamo: se stiamo ancora a chiacchierare rischiamo di imbatterci nei tecnici del turno mattutino–.
–Sì–.
 
I due avevano camminato per un'altra mezzora finché non si erano ritrovati di fronte a una porta d'acciaio su cui era posto il cartello "Ingresso del personale addetto alla manutenzione" sormontato da uno di "attenzione, cautela".
–Ci siamo quasi– disse Yoshimitsu mentre si sforzava di far girare la ruota che la chiudeva. Entrarono in un buio androne che aveva l'aria di un magazzino, lungo almeno un centinaio di metri e dal soffitto altissimo. Gigantesche pale arrugginite, simili a quelle di un ventilatore, erano allineate in perfetto ordine accanto ai muri, ognuna sorretta da un sostegno metallico. Il centro dell'enorme area era occupato da un gigantesco portellone d'acciaio mentre sul fondo vi erano dei macchinari simili a gru, coperti di ragnatele. Dall'altra parte una porta anch'essa altissima permetteva l'ingresso nella sala ai macchinari. Ogni cosa sembrava essere stata abbandonata lì da qualche anno: evidentemente quei condotti non erano in funzione così spesso da aver bisogno di molta manutenzione. –Wow– mormorò Kunimitsu osservando tutto questo.
Yoshimitsu si era chinato di fronte a una cassa arrugginita vicina alla porta e ne aveva tirato fuori  un involucro bianco. –Maledizione– imprecò –Ne è rimasta soltanto una... Beh, non mi aspettavo di avere visite stasera e non immaginavo che tu ti trovassi in tali condizioni di pericolo, altrimenti ti avrei cercato una via di fuga diversa. Ma ormai sembra che tu non possa fare altro che venire con me–
–Che cos'è quella roba?– chiese Kunimitsu vedendo l'altro che la srotolava.
–Una tuta per evitare di farsi friggere dalle radiazioni. Tienila tu, io ormai posso farne anche a meno– rispose lui tendendogli il pesante indumento, a metà tra una camicia di forza e una tuta da astronauta.
Kunimitsu la prese. –Una tuta antiradiazioni? A che mi serve?–.
–La usano i tecnici per la manutenzione dei condotti d'areazione. Noi la useremo per uscire di là– disse Yoshimitsu e indicò un portellone più piccolo incastonato nel pavimento a pochi passi da loro.
Kunimitsu rabbrividì. Uscire… di là? Nel condotto d'areazione? –Nel bel mezzo delle radiazioni? Tu sei pazzo!– gridò completamente sconvolta –Questo aggeggio non può funzionare! Moriremo entrambi, prima tu e poi io!–.
Yoshimitsu respirò profondamente, sembrava un po' teso. –Non ti preoccupare, non è pericoloso se usi quella tuta e non ti esponi alle radiazioni per più di cinque minuti–.
–Ma si può sapere perché dovremmo uscire all'aperto? Che cosa c'è là fuori?–.
–C'è un veivolo schermato nascosto dietro una collina. Ci porterà lontano da questa città. È l'unico posto in cui tu possa essere al sicuro dagli Agenti Speciali, se questi ti stanno dando la caccia–.
Kunimitsu lo guardò a bocca aperta. Abbandonare la città? Non aveva ancora avuto il tempo di realizzare che forse avrebbe dovuto fare una cosa del genere. Pensò a casa sua messa a soqquadro dagli Agenti Speciali e a quelli che l'avevano pedinata fin dentro le fogne della Zona Industriale. Non sapeva perché fosse ricercata così senza posa dalla polizia, ma era evidente che se fosse rimasta lì l'avrebbero stanata nel giro di qualche ora.
–Beh, immagino di non avere altra scelta per stavolta. Ma tu come farai senza tuta?–.
Yoshimitsu fece spallucce. –A me non serve, sono schermato a sufficienza–.
–Di' un po', sei sicuro che riuscirò a raggiungere il tuo velivolo in cinque minuti?– chiese con sospetto.
–Per niente, ma tanto vale tentare, no?– disse lui con aria serafica.
Kunimitsu lo fissò con orrore.

*

Hwoarang, piegato in due con la testa poggiata sull'asfalto di un vicolo, sputava sangue sotto lo sguardo ostile di tre uomini ben piazzati e armati di pistola. Il Taekwondo non serviva a molto in questi casi.
–Hai fatto bene a farti vedere in giro stamattina, piccolo bastardo– ringhiò uno dei tre, vestito di nero e con lo sguardo coperto da occhiali da sole –O non avremmo potuto renderti la lezione che ti meritavi–.
–Il nostro capo non tollera che i suoi spacciatori spariscano senza restituire i soldi– intervenne minacciosamente un altro, quasi gemello del primo.
–Il vostro capo mi sembra ragionevole, vorrei stringergli la mano– disse Hwoarang col fiato spezzato a causa delle botte ricevute.
–Maledizione, smettila di fare lo spaccone!– inveì il primo preparandosi a dare un calcio.
Il terzo, che fino ad ora era stato a controllare l'uscita del vicolo, si voltò: –Arriva–.
–Ritieniti onorato– continuò il secondo gorilla –Il nostro capo si sporca raramente le mani con dei topi di fogna come te–.
Un quarto uomo, se possibile ancora più nerboruto dei tre, avanzò nel vicolo. Quando fu vicino, Hwoarang, che si trovava ancora carponi, lo squadrò con la coda dell'occhio guardandolo dal basso verso l'alto: scarpe costose, completo rosso scuro cucito su misura, anelli d'oro alle dita, capelli lunghi fino alle spalle, basette spesse e sopracciglia selvagge.
"Cazzo" pensò il giovane dai capelli arancioni "Feng Wei. Sono morto".
–L'avete conciato piuttosto male– disse il capo con assoluta nonchalance alla vista del ragazzo sanguinante che si trascinava a fatica verso un muro.
–Continuava a fare l'ironico– spiegò il primo scagnozzo.
–Capisco...– disse Feng Wei –L'ironia è un'ottima dote ma può risultare pericolosa per chi si comporta slealmente con me, ragazzo–.
–Me ne sono accorto– disse Hwoarang mentre si metteva a sedere contro la parete.
"Visto?" parve dire il primo scagnozzo che stava per lanciarsi a picchiarlo di nuovo quando il boss lo bloccò con un cenno della mano. Dopodiché si mise a passeggiare su e giù davanti allo sguardo pesto del ragazzo.
–Quante scene che fate voi mafiosi– mormorò il ragazzo dai capelli arancioni mentre si massaggiava lo stomaco dolorante..
–Mi risulta– cominciò Feng senza dar segno di averlo sentito –che da un mese intero non ci fai più avere tutti i soldi che ricavi dalla vendita della droga che ti passiamo. Io concedo ai miei spacciatori di trattenere una percentuale dal ricavato, ma tu hai preferito fare l'ingordo e ti sei tenuto più di quanto avresti dovuto. Pensavi davvero di farla franca?–.
Hwoarang scosse lentamente la testa. –Giuro che restituirò tutto... Ero solo un po' a corto di soldi. Appena avrò venduto il pacco di ieri restituirò tutto quello che devo–.
–Il punto non è questo.– lo raggelò Feng –Il punto è che hai commesso un errore imperdonabile. E gli errori si pagano–.
Il ragazzo rimase zitto. In fondo il boss aveva ragione sul suo conto. Tanto valeva che lo uccidessero subito e gli risparmiassero quel teatrino da film di serie B.
–Però– continuò –visto che sei ancora un novellino per questa volta chiuderò un occhio. Non ti ucciderò a patto che tu restituisca tutto prima della mezzanotte di sabato prossimo. Mancano sette giorni, pensi di avere abbastanza voglia di vivere?–.
–Sì. Sette giorni. Non c'è nessun problema–.
–Ottimo. Andiamocene adesso, ho perso fin troppo tempo–.
E così Fei gli voltò le spalle e se ne andò seguito dai tre scagnozzi, dopo che tutti e tre ebbero sputato addosso al giovane spacciatore.
Hwoarang restò solo nel vicolo, completamente inerte.    
"Il problema" pensò "è che il pacco di ieri non è ancora arrivato. Devo cercare Kuni".
 
Craig Marduk se ne stava sconsolatamente seduto sull'ingresso del White Crow quando vide un ragazzo dai capelli arancioni e dal volto tumefatto che barcollava verso di lui. Il volto solitamente inespressivo si contrasse in una smorfia di sconcerto.
–Ehi piccoletto, chi ti ha ridotto così?– chiese al ragazzo quando gli fu davanti.
–Lasciamo perdere…– rispose Hwoarang mentre, piegatosi a sostenere il peso della schiena puntando le braccia contro le ginocchia, riprendeva fiato. Solo quando si sollevò notò che sotto la finestra dell'ufficio c'era una grande quantità di cocci di vetro.
–Che è successo qui? Marshall ha buttato un altro esattore dalla finestra?–.
Marduk scosse la testa, facendo un'espressione indecifrabile. –È meglio che ne parli con lui–.
Quando Hwoarang aprì la porta si trovò di fronte a uno spettacolo che non avrebbe mai immaginato. Il locale, solitamente gremito fin dal mattino, era completamente vuoto, il bancone di legno era del tutto carbonizzato e pieno di fori e le innumerevoli bottiglie di alcol che gli stavano dietro erano tutte infrante.
Marshall Law e Anna Williams, seduti attorno a un tavolo circolare nel centro della sala, si voltarono verso di lui e poi si scambiarono un'occhiata, allarmati.
Hwoarang li guardò a bocca aperta. –Chi ha combinato questo casino?–.
Marshall, dopo un attimo di esitazione, decise di prendere in pugno la situazione e di sobbarcarsi l'onere di raccontare tutto. Sapeva che l'avrebbe presa malissimo, forse avrebbe sfasciato il locale più di quanto già non fosse.
–Vieni Hwoarang, siediti– disse indicando una sedia al loro tavolo.
Il ragazzo avanzò barcollando e si sedette, osservando prima Marshall e poi Anna, che se ne stava a capo chino senza guardarlo. Il barista cinese, senza dire una parola, gli porse un fazzoletto con cui iniziò a tamponarsi il sangue. Non era raro vederselo arrivare in quello stato.
–Allora?– chiese il ragazzo.

–Ecco…– esordì con nervosismo il proprietario del White Crow, guardando il coreano negli occhi –Ieri pomeriggio Kunimitsu è stata qui–.
Hwoarang ne fu sorpreso e allarmato. Cosa c'entrava la sua amica con tutto quello sfacelo?
Law continuò a parlare con circospezione. –A quanto mi ha detto Anna era venuta qui a ritirare un pacco di droga…–.
–Sì, sì– sbottò Hwoarang con impazienza –Era venuta per conto mio. Ma che c'entra?–.
Il cinese abbassò lo sguardo.–Mentre era ancora qui sono arrivati degli agenti della polizia per una perquisizione antidroga, e l'hanno scoperta…–.
Hwoarang scattò in piedi. –Che cosa!?–.
–Ma è riuscita a scappare!– esclamò Law prima che l'altro cominciasse a fare una scenata –è scappata dalla finestra. Non l'hanno presa Hwo, non ti preoccupare! Corre troppo veloce per quella gente–.
Hwoarang prese a camminare su e giù nervosamente, tentando di calmarsi. –E dopo cosa è successo?–.
–I poliziotti sono andati a cercarla ma non l'hanno trovata. Poi non ne abbiamo saputo più niente per qualche ora–. Sospirò. Ora arrivava la parte dolente.
–Due ore dopo sono arrivati degli agenti della Squadra Speciale. Non so perché. Hanno cominciato a farci domande sul suo conto. Volevano sapere quale fosse il suo nome e volevano che descrivessimo il suo viso. Ma noi ovviamente non lo sapevamo, e loro ci hanno creduto, a quanto pare–.
–Certo, sì, capisco–.
–Poi ci hanno chiesto dove abitava. Hanno detto che ci avrebbero portato nel carcere di massima sicurezza nell'Isola speciale fuori città. Quella da cui non torna più nessuno–.
L'Isola. Una gigantesca prigione dotata di schermo antiradiazioni, costruita a venti chilometri da N.E. Il terrore di ogni abitante della Zona Rossa.
Hwoarang spalancò gli occhi. –E voi?–.
–Gliel'abbiamo detto, Hwoarang– ammise Marshall –Non avevamo scelta–.
Il ragazzo rimase a fissarlo, ammutolito, mentre le mani cominciavano a tremargli.
Il cinese si affrettò a continuare. –Dopo che se ne sono andati Anna è corsa ad aspettare Kunimitsu sotto il suo edificio mentre i poliziotti perquisivano casa sua. Poco dopo il tramonto Kuni è arrivata e Anna le ha raccontato tutto. Non ti preoccupare, sai bene che se l'è sempre cavata... So per certo che un mio conoscente le ha offerto aiuto e sono convinto che adesso si trovi al sicuro–.
Il ragazzo dai capelli arancioni abbassò la testa e strinse i pugni, in silenzio. Anna e Marshall lo osservarono con la speranza che si fosse tranquillizzato abbastanza.
Un attimo dopo Hwoarang scaraventò con un calcio il tavolo a cui stavano seduti, facendoli sussultare terribilmente. Anna si coprì la bocca con le mani.
–Come avete potuto!?– gridò furiosamente perforando i due amici con lo sguardo –Traditori! Non vi rendete nemmeno conto di cosa avete fatto!–.
Marshall scattò in piedi e tentò di afferrarlo per le spalle –Cerca di calmarti, Hwoarang! Kunimitsu sta bene! Non è questo che conta?–.
Hwoarang lo respinse mentre lacrime d'ira gli salivano agli occhi. –Vigliacchi… siete dei vigliacchi…–.
Anna, anche lei sul punto di piangere, scattò in piedi. –Hwoarang, non ti devi preoccupare perché…–.
Ma il ragazzo corse in strada senza nemmeno darle l'occasione di finire la frase.
 
Hwoarang correva come un lampo per le sudicie strade della Zona Rossa, incurante dei dolori che lo afferravano come una morsa a ogni passo. Per quanto lo riguardava sarebbe anche potuto morire in quel momento, ormai non gli importava. Non gli importava più niente.
Che cosa avrebbe fatto se Kunimitsu fosse morta per causa sua? Perché sì, la colpa era sua e non di Marshall ed Anna. Era stato lui che le aveva chiesto di ritirare la droga per conto suo, solo perché aveva paura che gli scagnozzi di Wei lo avrebbero ammazzato di botte se si fosse fatto vedere in giro.
Non riusciva a pensare ad altro. 
"Che cosa ho fatto… è tutta colpa mia… sono io il vigliacco!".
Non credeva assolutamente a quello che gli aveva detto Law. Se gli Agenti Speciali ti cercano, non sei al sicuro da nessuna parte. Nessun fantomatico "conoscente" di Marshall avrebbe potuto nasconderla a lungo da loro. Era finita. Non l'avrebbe rivista mai più. E pensare che ieri le aveva promesso che non le sarebbe successo niente!
Hwoarang imboccò l'ingresso dell'edificio in cui abitava Kunimitsu. Venti rampe di scale per arrivare al suo cubicolo, nessun ascensore. Quando arrivò davanti alla porta scardinata del suo appartamento, sentì il cuore scoppiargli, non sapeva se per la fatica o per il panico.
Entrò e si guardò intorno con orrore crescente. La scarsa mobilia era rovesciata, il materasso era stato squartato, ogni oggetto che aveva costituito la vita di Kunimitsu era scomparso. In breve qualche senzatetto sarebbe venuto ad occupare quello spazio e di lei non sarebbe rimasto più niente.
Hwoarang cadde in ginocchio mentre le lacrime finora trattenute cominciavano a rigargli il viso, mescolandosi al sangue che ancora lo sporcava.
–Perdonami…–.







E allora... ecco che anche questo capitolo è finito! Finalmente abbiamo scoperto chi era il misterioso individuo mascherato anche se pare che Yoshimitsu sia restio a dire tutta la verità a Kunimitsu. Chi è? Dove la starà portando? Credo che lei cominci a non vedere l'ora di prenderlo a calci e non posso darle torto.
Come abbiamo visto Lei Wulong aveva ragione, Kunimitsu era davvero Motoko Kunikata, la nipote del forgiatore di spade (i nomi li ho inventati, ma nella storia di Tekken Kuni è davvero nipote di un forgiatore di spade), ma il detective ha ancora parecchio da indagare.
Mi sto rendendo conto di bistrattare selvaggiamente Jin e Hwoarang... ma non dubito che anche loro si faranno valere prima o poi.


Miss Trent: Grazie grazie... hai addirittura paragonato la scena del White Crow a Matrix... Troppo onore! Kunimitsu, come si sarà capito, è il mio personaggio preferito. Come vedi avevi ragione: Nina è apparsa e credo proprio che la rivedremo ancora. Spero che per ora non sia risultata troppo OOC.
DarkTranquillity: grazie per la recensione. Mmm... non sapevo che questo stile si potesse chiamare "Point of view". Beh, grazie a te ho scoperto qualcosa di nuovo! Per quanto riguarda "V per vendetta" l'ho visto quando avevo già cominciato a scrivere la storia e devo dire che mi ha colpito molto, per cui immagino che l'atmosfera mi abbia involontariamente contagiato nel proseguire il racconto (quando l'ho visto mi sono detta "Caspita, ma V è uguale a [spoiler]"). Mi dispiace che Jin e Ling non ti stiano piacendo... spero che riuscirò a farti cambiare idea!
Grazie anche a Elilly e AngelTexasRanger.

   
 
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