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Autore: Valentina_1D_98    10/09/2014    15 recensioni
Caroline Manson era sicura.
Sicura di poter continuare a vivere, sicura che il suo passato fosse al sicuro, ben riservato, lontano da lei e da chiunque altro.
Ma se tutto ripiombasse di colpo nella sua vita, senza preavviso?
Genere: Mistero, Romantico, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Zayn Malik
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo Sei. 

 
Non capivo la situazione.
Non capivo che avevo fatto per meritarmi di andare in presidenza.
Non capivo che problemi c’erano.
Non capivo perché la vicepreside, quando mi aveva richiamata, era sembrata così … arrabbiata.
Capii un po’ di più quando, entrando nell’ufficio di presidenza, seduto alla sedia di fianco a quella dove mi sarei dovuta sedere io, vidi Zayn.

< Si accomodi pure, signorina Manson. > la Montgomery si rivolse a me con un tono troppo calmo – e questo mi mise assai ansia.

Mi sedetti.
Guardai Zayn, che teneva la testa bassa, per qualche secondo; poi rivolsi il mio sguardo alla preside.

< Posso sapere il motivo per il quale sono stata invitata nel suo ufficio, preside? > chiesi, cercando di sembrare calma.

< Questo istituto è attrezzato di telecamere che riprendono quasi ogni zona, ogni corridoio, ogni classe. I punti morti sono veramente pochi, quasi inesistenti, e quello dove stamani è accaduto ciò che è accaduto non era un punto morto. > fece una pausa e osservò i nostri volti. < Siete stati fortunati che non c’era alcun professore nei dintorni, altrimenti sareste stati spediti direttamente nel mio ufficio. Invece solo per caso mi è passata sottocchio questa registrazione. >

La Montgomery girò il computer sulla scrivania dalla nostra parte, clicco play e fece partire il video che raffigurava la scena vista dall’alto dalle telecamere.
Anche Zayn guardò.

< Avete qualcosa da dire? >

Questa volta lo sguardo lo abbassai io.

< E’ colpa mia. >

Il suono morbido della sua voce mi fece partire un brivido, che percorse la mia schiena, fino a dissolversi.

< Ho avuto una reazione esagerata, lo ammetto. Ma non vedo il motivo di punire anche lei, dato che lo sbaglio è stato il  mio. > aggiunse.

< Signor Malik, non faccia il gentiluomo. Verrete puniti entrambi, dato che entrambi avete partecipato a ciò che è successo. >

< Scusi, non per mancarle di rispetto, ma Nick? A lui nessuna punizione? > intervenni, alterandomi lievemente.

< Non penso se lo meriti. Il labbro spaccato e il taglio che si ritrova sul sopracciglio, beh, penso che siano abbastanza. >

< E quale sarebbe la nostra punizione, preside? >

< Oggi pomeriggio, dopo la fine dell’ultima lezione, vi recherete dalle bidelle. Loro sapranno cosa fare, o meglio, cosa farvi fare. >

Uscimmo dall'ufficio della preside insieme.
Pochi centimetri di distanza.
Non volò una mosca.
Non una parola, non uno sguardo. Nulla.
 

L’ultima lezione della giornata terminò e mi recai, come mi era stato imposto, dalle bidelle.
Zayn non c’era ancora, ma non avrei fatto nulla senza che ci fosse anche lui. La punizione era di entrambi, no?
Ci volle poco prima di intravedere il suo passo sbilenco e quel ciuffo moro all'insù avvicinarsi alla porta trasparente della segreteria.

< Ehi … > mi disse in un sussurro, quasi non volesse farsi sentire.

Non risposi.
Una bidella bassa e grassottella si avvicinò a noi.

< Dovete essere Zayn e Caroline voi, giusto? >

< Giusto. > dicemmo all'unisono.

Mi girai involontariamente verso di lui, che fece la stessa cosa, ma non appena mi accorsi che ci stavamo fissando feci cambiare meta ai miei occhi, nonostante loro amassero l’incontro con i suoi.
La bidella non si curò di quello che era appena successo – per lei era nulla, per me era uno dei momenti più imbarazzanti, e c’era il colore rosso fuoco delle mie guance a dimostrarlo – e ci lanciò, letteralmente, due tute arancioni.
Si allontanò un attimo, per poi tornare con due bastoni neri, con una punta d’acciaio all'estremità finale.

< Il giardino d’entrata e quello sul retro, tutto vostro. >

Sgranai gli occhi e spalancai la bocca. Non poteva essere possibile.
Quindi io, Caroline Manson, dovevo passare un pomeriggio a pulire il giardino per una cosa nella quale non c’entravo, insieme a Zayn Malik?
No, la permanenza nel campus iniziava a farsi tragica.
 

Iniziai a tirare su le cartine dalla parte opposta di Zayn.
Il mio sacco era quasi del tutto pieno, ed ero ancora all'inizio.
Lo stranissimo caldo di quella giornata di ottobre non aiutava affatto.
Goccioline di sudore iniziarono a calarmi dalle tempie, risplendendo perlate alla luce di quel sole così fastidioso e mai odiato tanto prima d’ora.
Mi accorsi che, ogni tanto, Zayn mi rivolgeva il suo sguardo, ridacchiava anche, specialmente quando si accorgeva che ero alle prese con qualche busta di patatine che non aveva intenzione di entrare nel sacco, o quando il vento non era a mio favore e mi costringeva di rincorrere la carta di  un pacchetto di cracker per tutto il giardino.
Era fastidioso che lui non doveva sforzarsi nemmeno tanto, mentre io mi stavo solo umiliando, quando l’unico a meritarsi quella punizione, in fin dei conti, era lui.
Me l’aveva fatta grossa stavolta, e l’odio che provavo per lui adesso era indecifrabile.
Ed eccola, l’ennesima risatina, la cosiddetta “goccia che ha fatto traboccare il vaso”.
Mi sedetti sul muretto, mi passai una mano sulla fronte e lo fulminai.

< Mi spieghi cos'hai da ridere? > alzai la voce, per far si che mi riuscisse a sentire.

Ero abbastanza seccata ma, a giudicare dallo sguardo beffardo che mi lanciò, non se n’era accorto.

< No, non hai capito. Mi stai veramente dando fastidio. >

Mi alzai dal muretto.
Buttò a terra il bastone e incrociò le braccia al petto, senza dire una parola ma continuando a guardarmi.

< Senti … > respirai profondamente, la rabbia che cercava di prendere il controllo del mio corpo mi avrebbe portata ad una nuova punizione, e magari di nuovo con lui. < Non so cosa tu abbia contro di me. Sono in questo giardino per colpa tua. Sto raccogliendo cartine che sembrano prendermi per il culo per colpa tua. Per colpa della tua rabbia incondizionata e priva di una base logica che ti ha portato a prendere a pugni quel ragazzo. Ora ti prego, illuminami. Cosa hai contro di me? >

Ad ogni parola mi avvicinavo, sempre di più, passo dopo passo, fino ad arrivare sotto al suo naso.
Solo lì mi accorsi di quanto effettivamente era alto, in confronto a me …
Lo fissai negli occhi, costretta a rimanere col naso all'insù, mentre il respiro pesante rilasciato dalla rabbia si scontrava contro di lui, impassibile.

< Tu sei speciale. >

Si girò e tornò al lavoro.
Ed io rimasi lì, immobile, col naso ancora all'insù.
Quando il respiro iniziò a regolarizzarsi posai di nuovo lo sguardo su di lui, nettamente più lontano da me.
 

< Caroline Manson, abbiamo finito. >

In realtà aveva fatto tutto lui. Aveva finito anche la mia parte, dato il mio stato di trance.
Magari aveva potuto pensare che l’avessi fatto apposta a rimanere ferma in quell'esatto punto, in piedi, senza muovermi, per più di quaranta minuti.
La verità era che quelle parole mi bloccarono, mi bloccarono da dentro.
Le avevo già sentite, mi erano già state dette.
 

Quando finalmente arrivai alla mia camera nel campus, l’unica cosa di cui avevo veramente bisogno era una doccia. Non solo perché ero sudata, ma avevo bisogno di rilassarmi un attimo, di far spazio nella mia mente e fermare tutto per un momento – anche più di uno solo.

< Eccoti finalmente! >

Emma mi venne incontro – ciò che speravo di evitare.

< Mi hanno detto della tua punizione, immagino sia stata una giornata pesante, ma io ho bisogno di sapere. >  sottolineò le parole “ho bisogno”.

< Emma, ti prometto che ti racconterò tutto ciò che vuoi, ma … Ma non ora, ti prego. >

Guardò l’ora – erano le cinque passate del pomeriggio – poi rivolse di nuovo la sua attenzione su di me.

< Stasera sono qui con la pizza e le mie orecchie saranno grate di ascoltarti. >

Accettai.
Infondo non mi era andata affatto male, avevo tutto il tempo di cui avevo bisogno.



Emma arrivò con la pizza nell'esatto momento in cui il mio stomaco iniziò a lamentarsi. Adoravo il tempismo di quella ragazza.
Dopo aver mangiato la vidi irrequieta e mi scappò una risatina.
Come promesso le raccontai tutto per filo e per segno, ma con un compromesso: non avrebbe dovuto dire nulla a nessuno. Precisai di non voler dare informazioni per incalzare una nuova ondata di gossip.
Quando dopo una lunga mezz'ora – forse un po’ di più – finii di parlare, Emma rimase in silenzio per qualche secondo, come se stesse pensando, come se avesse bisogno di riflettere su ciò che le avevo appena detto, per creare un filo logico che fosse in grado di collegare tutti quegli eventi.

< Quindi vuoi dirmi che Nick Davis ha cercato di baciarti e tu hai rifiutato? Sei pazza? >

Aveva praticamente annullato tutto, soffermandosi sull'unico episodio che sarebbe stato un succulente argomento per le bocche di qualcosa come tremila studenti.
Sembrava voler deviare l’argomento Zayn.
Io le parlavo di quanto strano era il suo comportamento nei miei confronti e lei annullava le mie parole, incitandomi a provarci col canadese.
Il suo discorso finì con : < Ti organizzo un appuntamento con Nick, e ti assicuro che lascerai perdere Zayn. >
Stava per uscire dalla porta quando mi ammonì per la millesima volta.

< Ehi, ricordati che ti porterà solo guai quel ragazzo. >

Dopo che Emma se ne andò rimasi nel silenzio della mia camera a pensare. Era l’orario X, la sera, quando la testa si riempie di pensieri disordinati e tu ti ritrovi da sola, ad affrontarli.
Pensai a Nancy.
Era un po’ oramai che non la sentivo, così recuperai il telefono dal fondo della borsa e tenni premuto il tasto per accenderlo.
Quell’aggeggio cominciò a vibrare irrefrenabilmente, costringendomi ad aspettare la fine dell’arrivo di tutte quelle notifiche che, alla fine, notai erano tutte chiamate perse, tutte dal Numero Sconosciuto.
L’icona della posta attirò la mia attenzione.

“Non rispondi eh, brutta stronzetta? Ti troverò.”

Rabbrividii.
Solo in quel momento capii la gravità di ciò che stava succedendo.
Un sospiro varcò le mie labbra, rompendo il silenzio nella camera.
Rimasi a guardare quella scritta, a rileggere quel messaggio per qualche minuto, per realizzare ciò che stava accadendo, per capire che quello non era un film o un brutto sogno, ma la realtà.
Provai a ragionare, a cercare di dare un volto a quel “Numero Sconosciuto”.
Ripensai alla mia permanenza in Minnesota.
Lì, in realtà, mi volevano tutti bene. Essendo una piccola cittadina, la nostra, eravamo tutti molto legati e disponibili.
Di episodi che mi avrebbero portato a farmi odiare fino a tal punto non me ne erano mai accaduti.
Pensai agli studenti della Stanford, anche se non aveva senso.
Questo “Numero Sconosciuto” doveva trovarmi.
Gli studenti della Stanford potevano sapere dove io fossi in qualsiasi momento e senza nemmeno faticare.
Cercai di mettere da parte il panico, che oramai mi aveva invasa, e di ragionare bene.
Chi poteva odiarmi fino a tal punto?
 

 
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Eccomi qui con un nuovo e misterioso capitolo <3

Scusate immensamente il ritardo, ma ho avuto problemi con la connessione e il mio computer, come alcune di voi sanno, è stato per ben tre giorni dal tecnico, quindi non ho proprio avuto la possibilità di postare. 

Che ve ne pare?
Non ci sono flashback e cose del genere, stavolta, ma abbiamo una frase... una frase che blocca totalmente la nostra Caroline.
"Tu sei speciale."
Cosa pensate che significhi? Potrebbe, secondo voi, avere riferimenti col passato di Carol? 

Come altro problema, ora, abbiamo anche questo strano e continuo squillare del telefono della ragazza, che termina con un messaggio. 
Avete già idea di chi sia il mittente?
Cosa fareste se foste in Caroline?

Questa storia mi sta prendendo assolutamente tantissimo e, se vi fa piacere saperlo, io sono già al nono capitolo aaaaaah. 
Spero vivamente che il capitolo vi sia piaciuto.
Un bacio, Vale xx
 
   
 
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