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Autore: finnicksahero    12/09/2014    2 recensioni
Chi era la madre di Katniss? Come ha conosciuto il signor Everdeen?
Io ho provato a rispondere a queste domande.
Dal testo:
'Le strade del giacimento erano deserte, si sentivano i canti dei bambini e qualche rumore di stoviglia, ma per il resto il silenzio era assordante, neanche gli uccellini cantavano, il cielo da azzurro era diventato nuvoloso. Rendendo l'ambiente ancora più grigio, i miei stivali alzavano la cenere argentea per aria, creando delle piccole nuvole che stancamente si riposava a terra. Era così folle alzarla, dargli della speranza, facendogli credere di poter volare, quando in realtà si sarebbe schiantata al suo suolo da li a poco. Mi ritrovai a pensare che prima o poi tutti diventavamo polvere.
Polvere alla polvere.
Cenere alla cenere.'
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Maysilee Donner, Mr. Everdeen, Mr. Mellark, Mrs. Everdeen, Mrs. Undersee
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'I'm in love with you ...'
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Capitolo otto.

John


 


 

La vidi stringere fra le mani la tazza calda, il vento estivo le baciava la pelle, e i vestiti pesanti avrebbero dovuto scaldarla. Ma non era così. Lei indossava la mia giacca, due maglioni e una coperta, eppure aveva freddo, tremava. Come una foglia mossa dal vento, le sue piccole spalle si muovevano a scatti, ma non singhiozzava. no. Erano giorni che non versava più una lacrima, solo il primo giorno, dopo fissava il vuoto e si mordeva un labbro. Tremando.

Fissava il vuoto.

Era così brutto. Il pianto sai come farlo passare, la rabbia pure. Ma il niente no. Non puoi farlo passare, devi solo aspettare, anche una minima reazione.

Osservai il suo profilo, stava guardando le stelle, la bocca semi aperta, aveva le pupille completamente dilatate a causa dell'oscurità, rendendo così l'azzurro intenso dei suoi occhi ad una piccolissima coroncina al bordo dei suoi grandissimi occhioni.

Mi sistemai e presi un filo d'erba, il distretto era tutto illuminato, era bello da vedere come scenario. Maledii quel panettiere di Alus, lui avrebbe potuto ricreare quello scenario, e avrebbe dato ad Anse un bellissimo cerchio di luce intorno a lei. Poi gli avrebbe regalato la tela con un sorriso timido e arrossito e lei l'avrebbe abbracciato.

Ma non sarebbe successo. Lei non era andata a chiamare lui, ma me. Ero io quello che voleva affianco in quel momento di vuoto. Non sapevo se era un bene. Ma mi piaceva. Sapere che lei aveva scelto me, almeno per oggi. Almeno per stasera.

Mi schiarii la voce e lei non si mosse, mi appoggiai ai gomiti e guardai le stelle. Era tardi, lo sapevo, il mio pubblico stava dormendo, ma non m'importava, per una volta non cantavo per me, oppure per dare un senso al mondo. No. Volevo cantare per lei, per fargli capire che io ero li. E lei non sarebbe scivolata nel vuoto, non così facilmente.

Mi preparai, guardai le stelle, ognuno più brillante dell'altra, guardai quella tela nera, e quelle lucine lontanissime da noi.

Brillavano quasi, avrei potuto toccare con un dito tutto quanto, se solo avessi allungato una mano. La luna era coperta da un albero, ma sapevo benissimo che era piena.

Avevo aspettato tanto tempo la luna piena. Era perfetta, così tondeggiante, quando bevevo mi ci arrabbiavo, gli gridavo contro degli insulti, dicendogli che era stronza, che non doveva farci sperare, che quella luna e quella vita che i poeti avevano cantato un tempo era falsa. Che lei ci rendeva euforici e felici. Era veramente stronza quella luna lunatica.

Chiusi gli occhi e riportai a me il testo della canzone, e presi un respiro profondo.

-John?- chiamò la sua vocina, aprii di botto gli occhi e mi tirai su, lei aveva appoggiato la testa sulle ginocchia e la teneva rivolta verso di me. Aveva un viso tristissimo, anche in quell'oscurità -Ciao- sussurrai, non potei trattenere un sorriso nel vederla parlare -John- chiamò di nuovo, la voce gli si stava incrinando, mi avvicinai a lei, e gli misi un braccio intorno alle spalle -Sono qui- dissi, non sapevo perché lo dissi, ma lo dissi. Lei annui, appoggiò la sua testolina a me.

E rimanemmo così in silenzio, iniziai ad accarezzarle la spalla, con delicatezza, scendevo giù fino al polso, lei si accoccolava sempre di più a me, le spalle gli si mossero e pensai che stesse di nuovo tremando. Ma non era così. I cristalli nel cielo si erano staccati ed erano andati a posarsi sulle sue guance.

Sentii le lacrime bagnarmi la maglietta, ma lasciai perdere. Lei pianse, singhiozzando, e scuotendo la testa. Stava scappando dal niente. Stava tornando da noi. Tirai un sospiro di sollievo e la tenni ancora stretta.

Quando si calmò e smise di piangere, dopo quasi venti minuti appoggiai la mia testa sulla sua, guardavamo il distretto. Che pian piano si spegneva. Riuscivamo a vedere la casa dei Donner. Che era completamente illuminata, come se qualche candela in più potesse prendere il posto della loro figlia.

Guardai la casa di Haymitch, era completamente scura. Nessuna luce. Nessuna speranza. Solo oscurità. Mi venne un magone alla gola ma lo lasciai perdere.

Rimanemmo in silenzio ancora un po', alla fine lei si scostò da me e mi guardò, credo, negli occhi -John, potresti cantare?- chiese, aveva la vocina timida, sorrisi delicatamente, gli accarezzai la guancia e annui, ma mi resi conto che non poteva vedermi e mi passai la lingua sulle labbra -Si, canterò- le dissi, fissai l'oscurità e chiusi gli occhi.


 

Là in fondo al prato, all'ombra del pino

c'è un letto d'erba, un soffice cuscino

il capo tuo posa e chiudi gli occhi stanchi

quando li riaprirai, il sole avrai davanti.


 

Dissi queste parole e lei si inginocchiò, sorrideva ma si copriva la bocca con le mani, le spalle erano di nuovo mosse da dei singhiozzi, sperai vivamente che fossero delle lacrime di gioia quelle che uscivano dai suoi occhi.


 

Qui sei al sicuro, qui sei al calduccio,

qui le margherite ti proteggon dal cruccio,

qui sogna dolci sogni che il domani farà avverare

qui è il luogo in cui ti voglio amare.


 

Mi voltai verso di lei, per vedere che reazione avevano avuto quelle parole, quella canzoncina per bambini, ma non appena voltai il capo, le sue labbra erano sulle mie, calde e umide.

Chiusi gli occhi e assaggiai il suo sapore. Sentii la sua lingua calda, i suoi denti affondarmi nel labbro. La sentivo.

Sorrisi sulle sue labbra, con il cuore a mille, quando ci staccammo, lei si portò una mano alle labbra e tenne lo sguardo basso.

L'abbracciai forte, stringendola a me 'Ti porterò via di qui' pensai, mentre respiravo la notte dai suoi capelli 'Fosse anche l'ultima cosa che faccio'.

  
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