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Autore: Rusty 93    15/09/2014    1 recensioni
Dopo aver visto diversi film con Carlyle, dopo aver sbirciato un po’ la sua biografia e dopo aver scoperto dell’esistenza dei Robelie... In sostanza ho messo tutto in un grosso calderone e ne ho fatto un minestrone-fiction(Lol ). Buona lettura.
Genere: Angst, Fluff, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Emilie de Ravin, Robert Carlyle
Note: AU, Cross-over, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Glasgow, parte seconda.

Sono le due e mezza e ho da poco terminato la mia pausa pranzo. Io e mio padre abbiamo quasi finito di togliere i vecchi strati di vernice ingiallita dalle pareti: ora sono più spoglie e tristi di prima, ma almeno la puzza di fumo si è ridotta.

Dio, il vecchio proprietario di questa cazzo di villa doveva essere l’equivalente di una ciminiera... e a giudicare da una macchia di liquore che ho dovuto scrostare dal muro, probabilmente era anche matto da legare. Riesco quasi a immaginarmi la scena: il tipico scozzese ubriacone di mezza età che, dopo aver perso l’ennesima partita a poker o a biliardo, scaglia il suo bicchiere di brandy attraverso la stanza e lo manda in frantumi sul muro.

La casa è stata silenziosa per quasi tutta la mattina: il padrone di casa è uscito verso le nove per andare al lavoro e visto che è giovedì, immagino che la sua bella ed imbranata figlia sia andata a scuola.

“Robert, tu prendi il rullo e inizia a dare una prima mano di bianco alle pareti, io intanto vado fuori a fumarmi una sigaretta... Vedi di sbrigarti, che quando torno ti do una mano a fare il soffitto.” Detto questo, sparisce con la sua solita velocità: se lo conosco (e cazzo, certo che lo conosco) ci metterà molto più di cinque minuti per fumarsi una sigaretta... probabilmente farà anche un salto al pub più vicino per bere qualcosa. Certo, non potrebbe farlo in orario di lavoro, ma se l’uomo-tricheco è abbastanza stupido da lasciarci da soli in casa sua, allora vuol dire che può permettersi di pagarci qualche sterlina in più.

Inizio col sistemare la carta di giornale sul pavimento, per evitare di macchiarlo troppo, poi apro il secchio di vernice e ci intingo il rullo e comincio il mio lavoro... Dopo poco più di cinque minuti sento dei passi in corridoio: come cazzo ha fatto mio padre a tornare così presto? Forse non ha trovato bar decenti nei paraggi... se è così, probabilmente sarà incazzato come una biscia. Non mi volto e non interrompo il mio lavoro, neanche quando sento i passi fermarsi davanti alla porta, ma intanto mi preparo ad una valanga di insulti gratuiti ed immotivati.

“Hei, ciao!” La voce che sento, decisamente non è quella che mi aspettavo. Mi volto di scatto e un po’ di vernice bianca mi schizza sui capelli, ma non ci faccio troppo caso, ci sono abituato.

La figlia del padrone di casa invece, sembra piuttosto divertita: è seduta sulla poltrona e mi guarda sorridendo.

“Hei...” E’ tutto ciò che riesco a dire ...dopodiché per evitare di stare ancora fermo a fissarla come un idiota, mi volto verso la parete e continuo a lavorare.

Dopo trenta secondi di silenzio, sento di nuovo la sua voce e decisamente, le parole che pronuncia mi spiazzano. “Posso darti una mano?”

Non può aver detto veramente una cosa del genere. Appoggio il rullo e la guardo “Cosa scusa?”

“Ti serve aiuto? Posso darti una mano a verniciare se mi insegni...” Giuro su Dio, non ci sta provando con me, non è una frase detta con malizia... vuole semplicemente... essermi d’aiuto, come se io fossi lì per farle un favore e non perché sono costretto.

Non posso ancora credere di aver capito bene “Vuoi... Aiutarmi a fare una cosa per la quale sono pagato?”

Annuisce “Si.”

“Perché?” Almeno ci deve essere una ragione, vuole qualcosa in cambio: e se non è sesso(mi sembra fin troppo ingenua per quello), allora è per forza qualcos’altro.

Lei è stupita dalla mia domanda, sembra quasi che per lei la risposta sia ovvia “Voglio imparare come si fa.”

Questo è da non credere, veramente: una ragazzina della Glasgow-Bene che vuole imparare a fare un lavoro da operaio? E’ una storia da tramandare ai propri figli, una di quelle a cui non crede mai nessuno.

“Come hai detto che ti chiami?” Intanto mi rivolto verso la parete e riprendo in mano il rullo.

“Te l’ho già detto stamattina.” Sembra un po’ offesa dalla mia mancanza di considerazione. “Non te lo ricordi?”

“Secondo te ti chiedo le cose che già so?” La mia voce è tagliente: non capisco perché è qui e la cosa mi mette a disagio.

Lei tace per qualche secondo “Tu invece, non mi hai mai detto il tuo nome.”

Prendo un respiro profondo e conto fino a dieci. Calma Robert, continua a comportarti gentilmente. E’ la figlia del capo e la devi trattare bene. Quando sono certo che non mi scapperanno parolacce fra una frase e l’altra, rispondo. “Mi chiamo Robert. Robert Gold.”

La sento alzasi dalla poltrona e un attimo dopo, è di fianco a me: mi guarda in faccia, ma io non ho intenzione di distogliere lo sguardo dalla parete e dal movimento del rullo.

Però non posso fare a meno di guardarla con la coda dell’occhio: mi sembra che stia sorridendo. “Piacere di conoscerti Robert, io mi chiamo Emilie. Emilie Belle French.”

Mi scappa uno sbuffo dalle labbra. Sempre con la coda dell’occhio, vedo che mi osserva attentamente:

“Per cosa ridi?” Non sembra offesa, solo curiosa. Ma comunque è meglio non rischiare.

“Per nulla.”

“Puoi dirmelo.” Cazzo, ma questa ragazzina non molla la presa neanche per un secondo?

“E’ un nome molto... prezioso, ecco.” Non so se è la parola giusta per dire quello che penso, ma al momento è l’unica che mi viene in mente.

Scorgo le sue sopracciglia sottili sollevarsi scettiche “Prezioso?”

Mi volto esasperato verso di lei. Questa Emilie è insopportabile “Appena mi viene in mente un altro aggettivo più colto e adatto, vengo a dirtelo ok? Adesso però devo lavorare, perciò ti sarei grato se mi lasciassi in pace.” Sono quasi fiero di me, per essermi perfino espresso senza imprecazioni ...anche se le sento fremere sulla punta della lingua. Trattieniti Robert, puoi farcela.

Lei arrossisce e io non posso fare a meno di sentirmi un po’ in colpa per averla trattata male. “Scusa, mi dispiace, non volevo... Prezioso va benissimo, è appropriato perché mi hai fatto capire quello che intendevi.” Mi dice quasi sussurrando, mentre si guarda la punta delle scarpe.

Adesso che la sto guardando, non posso fare a meno di notare la sua mano fasciata. “È uscito tanto sangue?”

“Oh... nono, ma mio padre è un tipo iperprotettivo e ha voluto che la fasciassi bene per evitare che si infettasse... È stato parecchio difficile oggi, scrivere con la mano fasciata.”

Non dovrei conversare con lei mentre sto lavorando, se papà torna e ci scopre stasera mi becco uno di quei cazziatoni che continuano fino alla mattina del giorno dopo... uno di quelli della serie Ci farai finire entrambi in banca rotta, con le tue cazzate. Quindi non dovrei proprio continuare a parlare. Non dovrei, ma lo faccio comunque.

“Che classe fai?” Intanto riprendo a passare il rullo, almeno se papà mi dovrà urlare contro, non potrà dire che stavo trascurando i miei compiti.

“Sono in quinta superiore.”

La prima cosa che mi viene in mente è ‘18 anni!’e l’immagine che segue a quel pensiero è il ricordo delle gambe snelle di Emilie. No, basta così Robert. Ma l’hai guardata? Avrà anche 18 anni ma è decisamente molto ingenua, pura... e poi vuoi davvero rischiare di essere linciato dal’uomo-tricheco per aver compromesso la sua giovane figlia? No, meglio di no.

“A cosa pensi?” Mi rendo conto che mentre io stavo sorridendo durante tutti i miei ragionamenti, lei non aveva smesso un attimo di guardarmi. Merda, ora cosa le rispondo?

“Oh, a nulla di importante... una cosa divertente.”

“Non hai voglia di raccontarla anche a me?” Dio, ma perché questa ragazzina è così maledettamente insistente? Giuro che adesso do di matto... e ora che le racconto? Forza, Robert, fatti venire un’idea, una qualsiasi.

“Ecco... c’è quest’uomo che entra in un caffè...” Non ci credo, le sto davvero raccontando una barzelletta. “e...SPLASH!”

Lei ride sinceramente e sul serio, io non riesco a capire cosa ci trovi di così divertente. Però allo stesso tempo, mi viene da sorridere, perché Emilie ha un sorriso contagioso... Dio, ma che ho in testa oggi? Prima mi vengono pensieri da pedofilo e poi inizio a fare lo stucchevole per una che conosco da mezza giornata?

In un modo o nell’altro, sono arrivato alla fine della parete. Appoggio il rullo e do uno sguardo soddisfatto al mio lavoro: ora manca solo il soffitto e decido di cominciarlo senza mio padre. Tanto meno lavoro ha da fare, più è contento. Afferro la scala e la posiziono, poi comincio a versare ancora un po’ di bianco nella ciotola.

“Non hai intenzione di insegnarmi allora?” Mi accorgo che Emilie mi ha fissato per praticamente tutto il tempo e adesso, ha la faccia di una bambina a cui hanno appena rubato una merendina.

“Senti, mi dispiace ma è il mio lavoro... e se mio padre scopre che te l’ho fatto fare al posto mio, mia ammazza.”

Lei annuisce “Quindi il tuo capo è anche tuo padre?”

“Già.” Rispondo atono.

“Deve essere bello lavorare a stretto contatto con i propri genitori.”

Non può essere seria. E invece si: l’ha detto sul serio. Ok, non mi aspettavo molto di più da una ragazzina che vive in un villino bianco con un giardino perfetto, e un padre adorante e iperprotettivo... ma questo no. Emilie non è solo ingenua: praticamente vive su una nuvola di zucchero filato. “Mio padre gestisce un’azienda che importa tulipani e altri fiori dalla Francia, ed ogni tanto lo aiuto con la contabilità, ma non è la stessa cosa: di solito lui sta in un ufficio ed io in un altro.”

E chi te l’ha chiesto? È la prima cosa che penso. Poi però vedo il suo sorriso e i suoi occhi luminosi e pieni di vita, e mi ritrovo a desiderare di sentirla parlare ancora di sé, solo per poter vedere ancora quello sguardo nei suoi occhi.

Le chiedo la prima cosa che mi passa per la testa “Ti piacciono i fiori?”

“Oh, si! Mi piacciono tutti i tipi di fiori, ma i miei preferiti sono i cactus e le rose rosse!”

Ok, non devo ridere, potrebbe prenderla come un’offesa... Cazzo Robert, controllati. Cazzo, non ce la posso fare, questo è veramente troppo. La mia risata è fragorosa, lei mi guarda un po’ stupita e spaventata dalla mia esplosione, ma non m’importa. Cerco di controllarmi e mi asciugo le lacrime: “Ahah... ok, scusa... non volevo, adesso la smetto. Solo non capisco... cosa centrano in cactus con le rose?”

“Beh, tutti e due hanno le spine, no?” La sua risposta è di un ovvietà talmente disarmante, che mi fa sentire un perfetto idiota. Eppure non posso fare a meno di vederci un doppio senso... sono incuriosito da questa ragazza: mi avvicino di un passo, per guardarla attentamente in faccia.

“Ti piacciono le cose che provocano dolore, Emilie?”

Lei scuote la testa e cerca di spiegarsi meglio “Non è solo per le spine, infatti non mi piacciono i cactus che hanno solo le spine, ma quelli che ogni tanto fioriscono anche ...e questi quasi sempre fanno dei fiori dai colori vivaci. Allo stesso modo, le rose sembrano pericolose perché hanno le spine, ma poi in realtà fanno dei fiori stupendi, delicatissimi e profumati. A me piacciono le cose che non sono mai come sembrano.”

Cosa dovrei rispondere ad una cosa del genere? Questa ragazzina sarà anche un po’ ingenua, ma perfino io sono in grado di capire che è dannatamente intelligente: non mi sento in grado di sostenere una conversazione a questi livelli. Afferrò il pennello con la vernice e salgo sulla scala.

“Tu hai un fiore preferito?” mi chiede spostandosi più vicina alla scala.

“No... non lo so, non ci ho mai pensato.” Come accidenti fa a mettermi così in difficoltà con una semplice domanda? Sto per dare di matto.

In quel momento, arriva mio padre. Hallelujah.

“Oh, bene ragazzo, hai già cominciato senza di me! Ora scendi e riposati un po’, qui continuo io.” Sta facendo il carino perché c’è anche Emilie, ne sono certo ...ma va benissimo così, qualunque cosa pur di prendermi dieci minuti di pausa. Papà si volta verso Emilie sorpreso, come se l’avesse appena notata: “Oh, salve signorina French! Non dovrebbe stare qui, rischia di sporcarsi la divisa di vernice!”

“Salve! Volevo solo sapere se fosse possibile per lei insegnarmi a dipingere, poi se la disturbo me ne vado...” Accidenti, è davvero cocciuta la ragazza.

Perfino mio padre che è nato dissimulatore, fatica a nascondere lo stupore per la sua richiesta “Nessunissimo disturbo signorina, io lo dicevo per lei... ma purtroppo, temo non sia possibile, lei non è ...assicurata e se le succedesse qualcosa, dovrei risponderne io.”

Ma quale cazzo di assicurazione, papà? Non so se esiste un’assicurazione per gli imbianchini, ma di sicuro, noi non ne abbiamo mai avuta una: è già tanto se facciamo la fattura ai clienti!

Mentre scendo dalla scala e passo il pennello a mio padre, osservo attentamente Emilie: è ovvio che sta facendo solo finta di crederci, ma non insiste.

“ ‘Pà, allora io esco a fumarmi una sigaretta.” Approfitto della disponibilità di mio padre, mentre Emilie è ancora qui.

Lui annuisce “Vai pure, ragazzo mio.”

Esco in fretta e intanto tiro fuori le sigarette e l’accendino. Dietro di me sento Emilie che saluta educatamente mio padre ed esce dalla stanza. Evidentemente, perfino lei ha capito subito quanto sia viscido e poco raccomandabile Robert Senior Gold.

  
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