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Autore: Abigail_Cherry    17/09/2014    1 recensioni
Tutti i diciassettenni delle razze pure (umani, fate, elfi e maghi) sono stati raccolti in un unica accademia: la "Valiant Academy". Il motivo? Nessuno lo sa ancora. Ma non si può disobbedire ad una decisione di importanza mondiale. Qui, i protagonisti: Ashley, Amy, Kay ed Anta dovranno affrontare lezioni di combattimento, medicina, latino, magie oscure... e, chissà, sboccerà anche l'amore?
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 6:

Lettere

 

Un mese dopo.

Anta e Amyas stavano in piedi appoggiati al muro di un enorme atrio che faceva da entrata all'aula magna, aspettando che le porte si aprissero. Anta giocherellava con una ciocca dei suoi capelli e batteva in continuazione la punta del piede sinistro sul pavimento, con lo sguardo basso e perso nel vuoto. Non le piaceva l'aula magna. L'ultima volta che c'era stata, le avevano detto che non avrebbe più potuto avere contatti con la sua famiglia, né con nessuno al di fuori dell'accademia, e che doveva studiare e studiare per non farsi cancellare la memoria e che, comunque, sarebbe finita in battaglia, dove qualcuno si sarebbe ferito o sarebbe morto.

Amyas si sporse in avanti. Le mani nelle tasche della divisa della scuola. Osservò Anta per qualche secondo, perplesso, poi si staccò dal muro e le si mise di fronte.

- Tutto bene? - le chiese.

Anta sollevò la testa di scatto, risvegliandosi dai suoi pensieri, e guardò Amyas. - Si. - rispose, accennando un sorriso poco convinto. Nell'ultimo mese si era vista spesso con Amyas, e passava quasi più tempo con lui che con la sua squadra. Stranamente, non si sentiva in colpa. - Però... - continuò lei. - Se potessi avere...

Amyas non aspettò neanche che Anta concludesse la frase. Si frugò tra le tasche dei pantaloni e tirò fuori un cibo rotondo e piccolo. - Fry?

Anta annuì e sorrise, questa volta davvero. Prese la pallina e la mangiò in tre bocconi. - Grazie! - disse poi.

Amyas rispose al sorriso, ed in quel momento le porte dell'aula magna si aprirono.

Tutti i ragazzi che erano ammucchiati intorno a loro cominciarono ad entrare, Anta e Amyas aspettarono che la folla diminuisse prima di seguirli.

Si sedettero in decima fila, uno affianco all'altra. Non sapevano cosa stava succedendo: la scuola aveva mandato un annuncio agli altoparlanti dicendo di recarsi subito in aula magna e nessuno aveva obiettato. Tuttavia, se prima Anta poteva essere preoccupata, ora lo era molto di meno. Succedeva così, quando mangiava una Fry: tutte le sue emozioni negative sparivano.

Anta guardò il palco dove si stava avvicinando un uomo alto, coi capelli rossi e meches verdi legati in un codino dietro la testa. Indossava uno smoking azzurro che faceva risaltare i suoi occhi, anch'essi azzurri. Si posizionò al centro del palco, con affianco la vicepreside Punkins che gli passò il microfono. Lui si schiarì la voce e sfoggiò un sorriso a 32 denti sul viso, con aria sinceramente felice.

- Buonasera, ragazzi. - cominciò. Tutti i pochi che stavano parlando poco prima si zittirono e guardarono incuriositi il palco. - Io sono il nuovo preside. Mi chiamo Richard Micchel! Potete chiamarmi R.M., o M.R., o preside, o Richard, o Micchel, o Richard Micchel, o Micchel Richard o...

- Basta! - lo interruppe la vicepreside Punkins quasi urlando e strappandogli il microfono dalle mani. Dalla sala si sentirono delle timide risatine. Il preside non sembrò sorpreso, anzi, aveva continuato a sorridere per tutto il tempo mostrando fiero i suoi denti forse fin troppo bianchi. Mancava solo lo scintillio del riflesso della luce, e sarebbe stato da film. - Chiamatelo preside e basta! - concluse la vicepreside.

- Suvvia, Ellen. Mi ridia il microfono. - disse il preside stendendo le mani davanti a lei. La vicepreside ebbe un attimo di esitazione, ma lo restituì al preside sbuffando, con i nervi a fior di pelle.

- Ha due minuti. - gli disse in tono minaccioso.

- Saranno sufficienti, grazie. - rispose il preside col suo impeccabile sorriso. Anta si chiese se gli facessero mai male le guance, perché non sembrava. - Ri-buongiorno ragazzi. - continuò – Come vi stavo dicendo, prima che la gentilissima vicepreside mi interrompesse, io sono il nuovo preside, inviato direttamente dal consiglio stesso. Sono qui per farvi studiare tra un divertimento e l'altro.

Amyas si sporse da un lato per raggiungere l'orecchio di Anta. - Non dovrebbe essere il contrario? - sussurrò sorridendo. Anta soffocò una risata, ma poi riprese ad ascoltare il preside.

- Organizzerò insieme agli insegnanti tante belle cose da fare assieme a voi. Come, ad esempio, le gite, o i balli scolastici e poi, ovviamente, ognuno di voi avrà una domenica libera ogni due settimane, per riposare la mente. Essa sarà organizzata in questo modo: ogni due ore passeranno dei pullman a scuola, a partire dalle sette del mattino. Ogni pullman porterà da una parte diversa, ed ogni insegnante vi accompagnerà nel giorno libero. Ovviamente, non siete costretti a salire su un pullman, se volete potete anche restare a scuola, anche se io vi consiglio di uscire ogni tanto! - lui batté le mani una volta.

- Oddio... - sentì bisbigliare una voce familiare dietro di sé. Anta si girò. Era Kay, che si era messo una mano a coprirgli il volto. Anta sorrise divertita. Nell'ultimo mese, il loro rapporto era migliorato, ma Anta non l'aveva ancora perdonato del tutto per averle fatto riaffiorare ricordi che lei non avrebbe mai più voluto ricordare. E si sentiva a disagio con una persona che poteva capire quello che pensava e che poteva vedere e mettere a nudo tutto il suo passato. Nonostante questo, erano normalissimi compagni di stanza, ma Anta non sapeva se si potevano ancora definire “amici”.

Tornò a guardare il palco. Il preside aveva cominciato a parlare di qualcos'altro, ma Anta non ascoltava più. Le piaceva quel preside, e le faceva piacere che almeno c'era qualcuno che pensava al benessere mentale degli alunni. Ma allo stesso tempo si chiedeva cosa ci fosse sotto. Perché il consiglio avrebbe mandato una persona che sembrava così poco seria, a fare il preside dell'accademia? Insomma, frequentare l'accademia per salvare il mondo è un affare abbastanza serio... era saggio divertirsi mentre il mondo stava andando alla rovina?

 

Ashley si alzò nel cuore della notte. Guardò l'orologio. 02:12. Non gli era mai capitato. Mai una volta si era svegliato prima delle sei del mattino. Ma si accorse subito cosa lo aveva svegliato. O meglio... Chi l'aveva svegliato. Si mise seduto sul letto e guardò verso quello di Kay. Il letto era vuoto. Kay si era rumorosamente spostato alla sua scrivania ed aveva acceso una piccola lampada appoggiata sulla scrivania.

- Che fai? - gli chiese Ashley, tra uno sbadiglio e l'altro.

- Ammazzo il tempo. - rispose Kay.

- Non puoi ammazzarlo dormendo? - Kay non rispose. In quel momento Ashley si accorse che stava scrivendo qualcosa su un foglio. - Che cosa scrivi?

- Non sono affari che ti riguardano! Torna a dormire! - rispose sgarbatamente Kay. Ashley fece una smorfia e sospirò per tranquillizzarsi.

- Ok, ok. Vado a prendere qualcosa da bere e torno, ho la gola secca. - Ashley si alzò dal letto ed arrivò alla porta della stanza. - Vuoi qualcosa anche tu? - Kay non rispose, troppo impeganto a scrivere sul suo foglio. - Sai, a volte un semplice “no, grazie” basterebbe! - e con questo uscì dalla stanza, arrabbiato più che mai con Kay. La porta conduceva direttamente al salotto dove si trovava anche il minibar. Fece qualche passo, poi notò Summer, sdraiata sul divano con le mani giunte sotto il fianco del viso, ad occhi chiusi. Dormiva. No. pensò Ashley. I robot non possono dormire. Sono delle macchine! Questa è solo la simulazione di una dormita. Accese la luce e Summer aprì gli occhi, mettendosi di scatto seduta. Ashley strizzò per qualche secondo gli occhi per abituarsi alla luce, poi li riaprì e riuscì a vedere meglio tutta la stanza.

- Buonasera, Ashley. - lo salutò Summer. Lui si girò a guardarla. Solo in quel momento si accorse che Summer indossava una camicia da notte. Era azzurra, di seta, senza maniche e le arrivava fino a metà coscia. Si accorse, però di un cavo che le spuntava da sotto la camicia da notte e percorreva metà stanza fino ad arrivare al trasformatore del suo caricatore che poi si collegava ad una spina: si stava caricando. Per questo stava simulando una dormita! Ma... perché il pigiama? Ai robot non servono i pigiami. - Posso fare qualcosa per lei? - continuò Summer.

Ashley sentì un sapore amaro salirgli alla bocca. - La prima volta che ti ho incontrato, che ti abbiamo accesa... fingevo. O meglio, cercavo... credevo di potermi abituare ad averti attorno. Ma mi sono ricreduto... La tua presenza per me è... insopportabile! - Ashley fece un lungo sospiro. - Ti odio, lo sai?

- Ho fatto qualcosa di sbagliato? - chiese lei con la sua solita voce priva di emozione.

- TU sei sbagliata! - sbottò lui. Camminò fino al divano e si appoggiò al bracciolo. Ci fu un attimo di silenzio.

- Errore. - disse poi lei. - Il mio programma è assolutamente privo di errori.

- Non intendo quello! - esclamò Ashley.

- Potrebbe spiegarmi?

- Tu sei una macchina! Un robot! Un inutile tentativo dell'uomo di fotocopiarsi! Ma nessuna macchina sarà mai in grado di provare emozioni proprie! Potranno simularle, certo, ma non potranno provarle davvero, né potranno pensare... Tu non avrai mai un cervello... Nè avrai mai un cuore! - Ashley prese il cavo che collegava Summer al caricatore e lo staccò da lei. In quel momento la camicia da notte si sollevò e Ashley vide la presa, su fianco destro del bacino, ma solo per un istante, prima che la camicia da notte tornasse al suo posto. - Tu hai bisogno una batteria per vivere!

- Sono spiacente di non essere in grado di soddisfarla. Mi dica cosa posso fare per renderla felice.

- Non starmi più tra i piedi! - il tono di Ashley era duro, aggressivo. Più di quanto voleva far apparire. Non aveva mai parlato a qualcuno così. Ma, dopotutto, quella non era qualcuno... era qualcosa. Un oggetto creato dall'uomo per soddisfare la propria superbia, che serviva solo ad inquinare lo stupendo pianeta che Dio gli aveva donato. Odiava le macchine. Odiava Summer.

- Appreso. - rispose Summer.

Ashley si alzò e camminò fino alla porta di camera sua. Poi la aprì.

- Le auguro una buona nottata, Ashley. - fece Summer. Ashley entrò in camera sua e si richiuse la porta alle spalle, sbattendola appena.

Si appoggiò con la schiena alla porta e sospirò. Poi si guardò le mani e rise istericamente, ma come un sussurro.

- Hai bevuto? Ora puoi dormire? - gli chiese Kay, ancora intento a scrivere.

Ashley si lasciò ricadere le braccia sui fianchi, piegò la testa all'indietro e chiuse gli occhi, come rassegnato. - Non ho preso da bere.

 

Due ore dopo, alle quattro di notte circa, Kay aveva finito ciò che stava scrivendo. Ci stava lavorando parecchi giorni, dal suo primo giorno di scuola, in realtà. Non era facile per lui scrivere delle cose che non aveva mai raccontato a nessuno. E se era difficile scriverle, figuriamoci parlarne a qualcuno! Poggiò la matita sulla scrivania e si sfregò la faccia con le mani, esausto. Prese dal cassetto della scrivania una busta per le lettere, piegò il foglio, e lo infilò dentro la busta. Si alzò in piedi con la busta in mano ed uscì dalla stanza. In salotto, la luce era rimasta accesa, e Summer era ordinatamente seduta sul divano, dove Ashley l'aveva lasciata prima.

- Salve, Kay. - lo salutò, girandosi a guardarlo.

- Ciao, Summer. - rispose Kay, stanco.

- Posso fare qualcosa per lei?

- No, grazie. Come mai sei accesa? Non ti aveva mandato in stand-by Amy prima di andare a dormire?

- Si. - Summer annuì. - Ma Ashley mi ha riattivata.

- E se ne è andato senza lasciarti in stand-by né attaccarti al caricabatterie? Ma così ti scaricherai...

- Non si preoccupi, io mi ricarico anche ad energia solare, appena spunta il sole posso ricaricarmi. E comunque... non credo che ad Ashley interessi molto se io sia scarica o no. - rispose, unendo le mani ed appoggiandole sulle gambe. L'affermazione, s'immaginò Kay, doveva essere triste, ma lei aveva sempre la voce impassibile, senza emozioni, ed era difficile capire in che modo la pensasse.

- Che cosa intendi? - chiese alla fine lui.

- Non gli sono utile. Mi odia. Almeno, così ha detto.

- Senti, Summer. - Kay le si sedette accanto, sul divano. - Di una cosa sono sicuro: Ashley potrà anche essere un bambinone stupido che pensa solo alla natura ed a non inquinarla, ma... non è capace di odiare. Pensa a me! Io lo tratto male in continuazione, venticinque ore su ventiquattro! Ma lui... non mi odia. Tu, invece, non gli hai fatto niente. Quindi... non può odiarti!

- Sta dicendo che Ashley ha mentito?

- Si. Probabilmente l'hai visto in un momento “no” della giornata. - Kay accennò un sorriso.

- Un momento... “no”?

- Un momento della sua giornata in cui si rivela particolarmente antipatico. Capita a tutti.

Ci fu un attimo di silenzio. - Appreso. - rispose poi Summer.

- Su, avanti, non pensarci. Summer, stand-by.

Kay vide gli occhi di Summer spegnersi e le palpebre meccaniche chiudersi, dopo che lei si fu comodamente sdraiata sul divano. Sorrise di nuovo, poi guardò la busta che teneva in mano, facendo scomparire il sorriso. Andò verso la camera di Amy e Anta ed aprì la porta.

 

Ore 8:20. Prima ora di lezione. Medicina.

- Ahi! Mi fai male! - esclamò Amyas.

- S-scusa... - balbettò Anta, imbarazzata come non mai.

- Devi essere più delicata!

- Non l'ho mai fatto prima... secondo me è una cosa stupida... insomma, a cosa ci serve imparare a fare i prelievi del sangue? - Anta provò di nuovo. Prese l'ago e, con mano tremante, l'avvicinò al braccio di Amyas. Ma di nuovo fallì. Non prese la vena e spinse troppo forte.

- Ahi! - si lamentò di nuovo Amyas.

- Giuro che non lo faccio apposta...

- Comincia col tenere più ferma quella mano.

- Non posso... ho così pausa di farti male che...

- Mi fai male? - Amyas sorrise.

Anta non rispose ed abbassò lo sguardo, mortificata.

- Ehi, - fece poi Amyas, alzandole il viso con la mano libera. - Non preoccuparti. Riprova. Tanto ho quasi del tutto perso la sensibilità al braccio, con questo elastico che sarà dal almeno quindici minuti che mi stringe il braccio.

- Mi dispiace tanto! - disse Anta, sempre più mortificata. - Sono... un'incapace.

- Dai, ti aiuto io. - si offrì il ragazzo.

- Cosa?

Amyas prese la mano di Anta che teneva l'ago e l'accompagnò fino al suo braccio. - Non tremare. - le disse.

- F-farò del mio meglio... - rispose lei. Amyas accarezzò col pollice il dorso della mano di lei, che subito si stabilizzò. Poi, delicatamente, accompagnò l'ago dentro di sé. Anta ebbe un sussulto. Poi il sangue cominciò ad attraversare il tubicino collegato all'ago. Era scuro. Il sangue più scuro che Anta aveva mai visto.

- Ho preso la vena? - chiese Anta. Amyas annuì. Lei sorrise entusiasta. - Ho preso la vena! Ho preso la vena! - ripeté felice, alzando le braccia al cielo.

- Ok, ok. - cercò di tranquillizzarla Amyas, con un sorriso divertito. - Aspetta qualche secondo poi togli delicatamente l'ago, l'elastico e mettimi un cerotto. Non voglio che ti diano una cattiva valutazione.

- Grazie! - Anta buttò le braccia al collo di Amyas per stringerlo forte. Lui rispose con due pacche sulla schiena con la mano libera. - Anta... - cominciò lui. - Credimi, non vorrei interromperti ma... il braccio... diventerà viola se non ti sbrighi.

Anta si staccò subito da Amyas ed obbedì. Fu più facile togliere l'ago dal braccio di Amyas, piuttosto che metterlo. Ci volle un bel po' di cotone per tappare tutti i buchi che gli aveva procurato Anta.

- Ci vuole dello scotch per tenerlo fermo. - fece notare Amyas.

- Lo sto cercando. - fece Anta, guardando sopra e sotto il banco. Non lo trovò. - Aspetta, ne dovrei avere un po' nella borsa. - Anta aprì la borsa appoggiata sul banco per prendere dello scotch. Ma fu un'altra cosa che attirò la sua attenzione: una lettera. La prese in mano e la tirò fuori dalla borsa lentamente. Non era sua.

- Che succede? - chiese Amyas.

- N-non lo so... - rispose Anta, un po' distratta.

Girò la lettera e guardò il retro. In pennarello nero, con una calligrafia dura ma melodiosa, c'era scritto: Per Anta. Da Kay.

 

Amy era appena tornata in appartamento. Erano circa le nove di mattina e non si trovava in classe perché l'avevano chiamata in segreteria. All'inizio non si era preoccupata. Non aveva fatto niente di male, e non potevano incolparla di nulla se non di aver seguito le lezioni con massima attenzione. Ma non si sarebbe mai aspettata che le avrebbero consegnato una lettera. Da parte di suo padre. Amy sapeva che non le erano concessi contatti con i parenti ma, d'altra parte, suo padre era il sindaco. Ed era a conoscenza del perché gli studenti erano stati costretti a frequentare quella scuola. Aveva cercato di rifiutare, perché non le piaceva avere dei privilegi solo perché suo padre era importante. Tuttavia, la segretaria ha insistito, mostrandole il segno rosso sulla lettera: “Urgente”. Diceva.

Preoccupata, Amy si era fiondata in appartamento, per stare tranquilla e sola. Si sedette sul divano e cominciò a rigirarsi tra le mani la lettera. Indecisa se aprirla o no.

- Hei, bisbetica. Come mai qui? - sentì chiederle una voce. Kay, ovviamente. Chi altri?

- No, tu che ci fai qui! Dovresti essere a lezione! Farai perdere punti alla...

- Ehi, non sono stupido. - la interruppe Kay. - Le conosco le regole. Ma questa notte ho dormito poco, avevo bisogno di dormire! Quindi ho telefonato alla segreteria e ho detto che mi sono sentito poco bene e che entrerò in ritardo, solo quando mi sentirò meglio.

- E se la sono bevuta? - chiese Amy, diffidente.

- Altro che. - ci fu una pausa di pochi secondi. - Quindi... tu che ci fai qui?

- Non sono affari che ti riguardano! Ti basti sapere che ho una valida scusa e che la scuola è stata informata della mi assenza.

- Sarà. Ma rimani sempre una bisbetica.

- E tu un cinico deficiente!

- Ammazza allegria.

- Gigolò.

- Arrogante.

- Detestabile.

- Insopportabile.

- So-tutto-io.

- Cretino.

- Frigida.

- Questo punto l'abbiamo già chiarito, mi sembra!

- A me no... non ho ancora ricevuto nessun bacio da te... - Kay sollevò gli angoli della bocca in un sorriso malizioso.

- È inutile parlare con te! Vattene! Sono impegnata. Tagliò corto Amy, rabbiosa. Ma quando riabbassò lo sguardo sulla lettera lo sguardo si fece più triste. E Kay, notandolo, divenne più serio.

- Senti... - Kay si avvicinò al divano e si sedette vicino ad Amy. Lei lo lasciò fare. - Davvero, è successo qualcosa?

Amy non rispose subito, dubbiosa se sfogarsi o no con Kay. Era un tipo affidabile? Per niente. Ma era l'unica persona presente in quel momento. E se la lettera conteneva delle cattive notizie, avrebbe avuto bisogno di qualcuno con cui parlarne. - Ecco... non dirlo a nessuno, ok?

- Hai la mia parola! - Kay alzò la mano sinistra, mentre quella destra la poggiò sul cuore e sorrise, per sdrammatizzare un po' la situazione.

- La segreteria mi ha fatta chiamare, e sono dovuta uscire dall'aula. Una volta lì, mi hanno consegnato questa. - Amy fece vedere la lettera a Kay. - È... da parte di mio padre. E sopra c'è scritto che è urgente.

- Beh, perché non la apri? - fece Kay.

- Mio padre non utilizza mai la parola “urgente” se non è una vera urgenza. E quando dico vera intendo molto molto spiacevole.

- E quindi... non l'aprirai?

- Io... - Amy strinse forte tra le dita la lettera. - Non lo so. Non voglio soffrire per una lettera con su scritto “urgente”... Non di nuovo.

- Di nuovo?

- Già. Non... non voglio parlarne.

- Ok. - Kay fece schioccare le labbra, un po' nervoso. Poi Amy fece ciò che lui meno si aspettava: gli porse la lettera.

- Aprila tu. - disse lei.

- Io? Sei sicura?

- Si. Leggimela. Penso sarà più semplice per me.

- Va bene. - Kay prese la lettera in mano. - Se ti può aiutare...

Kay aprì la lettera lentamente, attento a non rovinarla. Amy mise i piedi sul divano e si raggomitolò stringendo un cuscino tra le braccia.

Quando Kay tirò fuori il contenuto della busta – un paio di fogli bianchi a righe, scritte a mano – vide le braccia di Amy stringersi ancora più forte al cuscino.

- Hei. - la rassicurò Kay, in tono dolce. - Magari non è una cattiva notizia. Non lo puoi sapere. - Amy sorrise per un attimo, poi torno seria.

Kay raddrizzò i fogli.

E cominciò a leggere.

 

- Allora, hai intenzione di aprirla quella lettera o vuoi sospirarci sopra ancora un po'? - chiese Amyas, a fine lezione.

- Lo faccio, lo faccio. Ora c'è la pausa di dieci minuti tra una lezione e l'altra, no? La leggo ora. - rispose tranquillamente Anta.

- Sarà una cosa del tipo: “incontriamoci sul terrazzo della scuola, devo parlarti”? O semplicemente una confessione d'amore perché non ha il coraggio di farsi avanti di persona?

- Ma che dici! - Anta mordicchiò una Fry che le aveva dato poco prima Amyas. - Io non gli piaccio. A Kay piacciono le ragazze formose, belle e... bionde! Io non sono nessuna di queste tre.

- Ti sbagli. - fece Amyas. - Tu sei bella, Anta. - lui le sfiorò la punta del naso, come gesto affettuoso. Stettero a guardarsi negli occhi per qualche istante. - Beh, qualunque cosa ci sia scritta in quella busta, - disse Amyas, alzandosi dal banco e prendendo il suo zaino. - sono sicuro che Kay non voglia che altre persone oltre a te lo sappiano. Quindi ti saluto! Ci vediamo alla prossima lezione di medicina! - Amyas arruffò i capelli di Anta e uscì dalla classe, scomparendo nei corridoi.

Anta rimase sola in una classe vuota. Aprì la lettera di Kay, un po' esitante, e cominciò a leggere:

 

“Ascolta, non sono bravo formulare discorsi. Quindi diciamo che volevo raccontarti

cosa mi è successo. Tu e solo tu dovrai leggere queste parole. Chiaro?

Prima di tutto, ti chiedo scusa per la duecentesima volta per aver scavato nel tuo passato.

Ma... ricordi quando ti ho detto che siamo “simili”? Beh, è così.

A me è successa più o meno la stessa cosa. Alla tua stessa età. Con soli due giorni di differenza.

Ed è per questo che non posso far a meno di pensare... che i due omicidi siano collegati.

E premeditati da qualcuno.

Voglio... voglio raccontarti ciò che mi è successo. Così... anche tu conoscerai il mio passato.

Per me è molto difficile parlarne, quindi scusa se non sarò chiaro e dettagliato.

Avevo dodici anni.

Come ogni domenica, io e la mia famiglia eravamo in giro per i boschi alla ricerca di erbe,

medicinali e non, e a caccia di animali. Non ti voglio spiegare il perché, se no sarei costretto a spiegarti come funziona la vita da noi, e sarebbe una storia molto lunga.

Come dicevo,

quando tornammo a casa e trovammo tutto il nostro villaggio fatto a pezzi.

O meglio, a macerie e cadaveri decapitati.

Scioccati, abbiamo cominciato a camminare. Non sapevamo che cosa stessimo cercando,

ma camminavamo. Quando all'improvviso, spuntò da sotto delle macerie un demone.

Era un demone gigantesco e nero. Si fiondò su di noi e prese mia sorella.

Era un demone volante, non potevamo fare niente per raggiungerlo.

Ellie. aveva solo un anno. La uccise davanti ai nostri occhi.

La prese da due lati e tirò con gli artigli finché la testa di Ellie non si staccò.

Il suo sangue ci schizzò addosso. E tutti noi restammo immobili, incapaci di muoverci.

Il demone poi mangiò la testa di mia sorella e buttò via il corpo, che atterrò su mio padre.

Passato un giorno da allora. Mia madre era cambiata. Come impazzita.

E uccise mio padre.

Disse che l'aveva dovuto fare, perché non voleva che soffrisse come stava soffrendo lei.

Lo amava troppo per vederlo soffrire.

Trasferiti in un nuovo villaggio, io fui portato via dagli assistenti sociali per una mia chiamata.

Non potevo restare con la donna che aveva ucciso mio padre.

Fui affidato a una famiglia che non conoscevo. E da allora loro sono la mia famiglia.

Non riesco a scrivere altro. Non ce la faccio.”

 

E lì la lettera finì. Anta notò che sulla pagina c'erano un paio di cerchi bagnati.

Lacrime.

Kay aveva pianto mentre scriveva?

No. Non erano le lacrime di Kay.

Ma quelle di Anta, che le scorrevano veloci giù per il viso.

   
 
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