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Autore: TastemyMarsBar    17/09/2014    0 recensioni
I più brillanti maghi della loro epoca, Albus Silente e Gellert Grindelwald, si incontrarono in seguito a mille casualità nell'estate del 1899 a Godric's Hollow. Cosa successe tra di loro in quell'estate, cosa li portò tanto lontani?
|| dal prologo ||
La cera della candela macchiava il foglio, ne bruciava le estremità. La piuma non aveva ancora toccato la pergamena, e forse mai l’avrebbe fatto.
Cosa scrivere? Cosa dire? Come trovare le giuste parole?
Avrebbe rovinato tutto, ma era il momento.
Genere: Angst, Fluff, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Albus Silente, Ariana Silente, Bathilda Bath, Elphias Doge, Gellert Grindelwald | Coppie: Albus/Gellert
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Dai Fondatori alla I guerra
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 Capitolo 4
Sentiva il rumore del suo sbattere di ciglia. Buio, palpebra chiusa, palpebra aperta, luce. Buio ancora.
“Dove sono?” soffiò Albus, stordito. “Chi sei?”
 “Il mio nome è Gellert, sono il nipote di Bathilda. E tu devi essere…” 
“Svenuto.” Aprendo nuovamente gli occhi, ancora una volta con fatica, rivolse un sorriso al giovane che gli si era avvicinato. Mentre le sue iridi si abituavano alla luce circostante vide con chiarezza l’uomo simile agli dei che gli sedeva innanzi. Il sorriso che strappò al giovane fermò per un attimo il tempo e annullò lo spazio: non erano più Albus e Gellert a  Godric’s Hollow in quell’afoso lunedì che aveva forse causato il suo svenimento, erano due anime affini legate da promesse di infinito. Gli occhi che lo fissavano non erano gli occhi di uno sconosciuto, non più: erano andati a fondo nei loro spiriti, avevano stretto le loro anime in un eterno sigillo di eternità, e solo un secondo era passato ma erano come cent’anni in cui Albus aveva vissuto il loro amore. Nell’esatto momento in cui comprese l’entità di quel sentimento, la sua eternità, la sua forza distruttrice e sanatrice, così forte da far sbiadire e svanire ogni immagine di precedenti e vane infatuazioni, ne comprese anche l’eterno fardello. Mai ne avrebbe parlato, mai ci avrebbe sperato, perfino confessarlo sottovoce di notte sarebbe stato un pericolo immenso.
Una notte lontana, ad Hogwarts, aveva giurato che non sarebbe dovuto accadere mai più.
Con gli occhi gonfi di lacrime, Albus entrò nel dormitorio Grifondoro.
Non gli importava ciò che vedevano gli altri, non gli importava cosa pensassero: poteva far dimenticare ogni cosa con un semplice gesto, poteva far cambiare loro idea con un sussurro.
Ciò che gli importava erano le
sue parole, i suoi gesti, ciò che importava era potersi amare nonostante tutto, nonostante tutti. Ciò che importava era che fosse per sempre, ma quel giorno si rese conto che non era così.
In silenzio, sopprimendo i singhiozzi che gli stringevano la gola, mettendo a tacere l’urlo che gli riempiva i polmoni e voleva solo poter riempire la sua bocca e risuonare, si gettò sul suo letto.
“Abdensi!”soffiò con voce spezzata. Le pesanti tende del baldacchino si chiusero a formare un muro impenetrabile tra lui e il resto della camera, del dormitorio, della torre, della scuola. Se in quel momento qualcuno lo avesse visto, lui non avrebbe potuto spiegare, non avrebbe saputo spiegare, né sarebbe stato in grado di far dimenticare: la sua mente era impegnata in un solo ricordo, in un’immagine bruciante che avrebbe fatto qualsiasi cosa per cancellare ma allo stesso tempo sapeva di dover ricordare. Sentiva le sue mani ribollire di rabbia, i polmoni pompare affannati, sentiva di voler strappare quella scena, di volerci affondare le mani e tirarla via a brano a brano, perché doveva risiedere in qualche punto del suo corpo, doveva essere qualcosa di materiale: il dolore che gli arrecava era troppo forte, troppo fisico.

Elphias, i suoi capelli castani, un turbine che gli sfrecciava accanto. Il suo odore, di passaggio come una meteora; la sua presenza, che c’era e un momento dopo non c’era più. Correva avanti, lontano da lui.

La ragazza senza nome, i suoi capelli neri come la pece, lunghi fino alla vita. La sua tunica nera impeccabile sotto la quale si supponevano curve femminili. Lui le correva incontro.

Le loro labbra si incontravano e si suggellavano in un bacio, mentre Albus assisteva attonito. Non una parola, un cenno, per Elphias il giovane mago non esisteva: voleva essere altro, e altro era diventato.
Il significato profondo di quelle parole pronunciate settimane prima si abbatté pesante su Silente, la profonda determinazione del vecchio compagno di mistero gli si rivelò davanti agli occhi. Non c’era un per sempre felici e contenti per loro, non era mai stato previsto e mai si sarebbe potuto avverare. Cercando di non dare nell’occhio corse via, via, via. 
Quella notte, ad Hogwarts, aveva giurato che una cosa del genere non sarebbe avvenuta mai più.


Stava accadendo.
Deglutì a vuoto. “Io… dovrei proprio andare.” Sussurrò con la bocca secca. Cercò di alzarsi, ma tutto girava davanti ai suoi occhi e i contorni del mondo erano sempre più confusi. Gli occhi gli si chiusero una seconda volta in un sonno profondo dove la realtà era più vera e più falsa.


Anche per questa settimana ce l'ho fatta *O* al prossimo capitolo! 
 
   
 
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