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Autore: SunlitDays    18/09/2014    5 recensioni
Teddy aveva solo un anno e mezzo quando Hawwy lo fece sedere sulle proprie ginocchia e gli disse: «fra qualche mese avrai un cuginetto o una cuginetta con cui giocare. Sei contento?»
[...]
Non capiva cosa ci fosse di così speciale in lei.
[TeddyCentric | Teddy/Victoire | One-Shot]
Genere: Fluff, Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Potter, Teddy Lupin, Victorie Weasley | Coppie: Teddy/Victorie
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
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Prompt: Harry Potter, Teddy/Victoire, cambiare colore
Titolo: Il Tuo Colore
Autore: terachan / SunlitDays
Rating: Verde / PG
Avvertimenti: nessuno
Wordcount: 3306 (fdp)
Sommario: [TeddyCentric] Teddy aveva solo un anno e mezzo quando Hawwy lo fece sedere sulle proprie ginocchia e gli disse: «fra qualche mese avrai un cuginetto o una cuginetta con cui giocare. Sei contento?»
[...]
Non capiva cosa ci fosse di così speciale in lei.
NdA: questa fic si sviluppa in un arco temporale molto lungo, che va da poco prima la nascita di Victoire fino al momento in cui si mettono insieme. Ero piena di headcanon e da qualche parte doveva metterli, e quindi eccovi questa storia :D Spero di aver tratteggiato Teddy in modo plausibile, io sono abbastanza soddisfatta della sua caratterizzazione.
NdA2: scritta per l’iniziativa iniziaparole sulla piscinadiprompt

 

Da grande, non avrebbe ricordato il momento in cui nella sua vita tutto cambiò...

Teddy aveva solo un anno e mezzo quando Hawwy lo fece sedere sulle proprie ginocchia e gli disse: «fra qualche mese avrai un cuginetto o una cuginetta con cui giocare. Sei contento?»

Teddy non sapeva cosa fosse un cuginetto o una cuginetta, ma Hawwy sorrideva, il che stava a significare che lui ne era contento, e quando Hawwy era contento, Teddy era contento. E poi la parola giocare, in ogni contesto e luogo, era sempre qualcosa di positivo.

«Sìììì!» rispose il bambino. Hawwy lo abbracciò. E tutto andava bene.

Nonna Molly quell’anno passò molto tempo a lavorare a maglia e Teddy si divertiva a legare i fili di lana su ogni maniglia della Tana. Zia Floo si gonfiava ogni giorno di più e tutti sembravano più felici.

Non stava nella pelle quando Hawwy gli prese la mano e lo accompagnò nella camera dove avrebbe finalmente conosciuto sua cugina, ma il suo entusiasmo ebbe breve durata.

Vivì era minuscola e tutta rosa (Teddy odiava il rosa, era da femmine), non aveva capelli in testa (Teddy aveva una passione per i capelli lunghi e dai colori vivaci) e le tante rughe sulle braccia e sulle gambe la facevano somigliare più a una di quelle vecchiette che sedevano sulle panchine del parco giochi, che a una bambina con cui giocare. Provò a pizzicarle i grossi cosciotti, ma zia Floo lo rimproverò e gli fu spiegato che, con Vivì, doveva essere cauto, perché era una creatura molto fragile.

Non capiva cosa ci fosse di così speciale in lei.

Poi Hawwy la prese in braccio e le dette un bacio sulla fronte, e Teddy strillò e si attaccò alla sua gamba e decise che, da quel momento in poi, avrebbe odiato per sempre Vivì.

 

… ricordava perfettamente, però, quando capì di essere diverso dagli altri bambini...

Teddy conosceva il significato delle parole “mamma” e “papà” allo stesso modo in cui conosceva “dinosauri” e “Snidget”: sapeva che erano reali, ma lui non li aveva mai visti.

Vivì — che, quando Teddy aveva quattro anni, ne aveva due (era più piccola e lui non si stancava mai di ricordarglielo) —, non faceva che dire «la mia maman ha detto questo... il mio papa ha fatto quello...» e Teddy ogni volta pensava a quanto fosse ingiusto che Vivì avesse qualcosa che a lui mancava.

Si sedette a tavola lentamente, quella sera, avendo cura di farsi vedere da Vivì così che lei sapesse che Teddy ormai aveva superato l’età del seggiolone e lei no. C’erano tutti gli zii a cena e Harry era al suo fianco, come sempre.

«Harry,» chiamò, e il suo padrino cessò immediatamente la conversazione che stava avendo con zio George per dargli ascolto. «Voglio anch’io una maman e un papa come Vivì.»

Raramente capitava che ci fosse silenzio a uno dei banchetti organizzati da nonna Molly, ma quando succedeva, sembrava più rumoroso delle lotte tra tavoli che gli zii organizzavano spesso. Tutti si girarono a guardarlo e i capelli di Teddy divennero fucsia dall’imbarazzo.

«Adesso mangia tutta la pappa, Teddy, poi dopo ti racconterò una storia, ti va?»

Quando arrivò l’ora della nanna, Harry gli rimboccò le coperte, si stese al suo fianco e aprì l’album di foto che il bambino conosceva a memoria. Gli raccontò che, tanto tempo fa, c’era stata una guerra e che Papà Remus e Mamma Dora erano degli eroi coraggiosi che avevano dato la vita perché Teddy potesse crescere in un mondo pacifico. Teddy conosceva anche quella storia a memoria: Harry non raccontava mai favole come “Il Mago e il Pentolone Salterino”. Ma quella sera imparò qualcosa di nuovo: c’erano cose che, per quanto si desiderassero, non si potevano comprare, come una mamma e un papà.

 

… ma quanto diverso lo scoprì solo più tardi.

I capelli di Vivì erano lunghi e di un colore biondo argenteo e Teddy non era ancora riuscito a riprodurne la giusta sfumatura. Lei ne era contenta perché convinta che lui lo facesse apposta a non insegnarle come fare per cambiare il colore. Litigavano spesso per questo motivo (e per i giocattoli. E per chi dovesse avere il gelato più grande. E per chi avesse la scopa più veloce).

Zia Hermione spiegò loro che il motivo per cui Teddy riuscisse a cambiare aspetto fosse il suo essere un Metamorfomagus.

«Tu sei l’unico con questa abilità di cui si abbia notizia.»

L’unico...

«Me-ta-mor-fo-ma-gus» ripeteva sotto voce nel buio della notte. Era la parola più lunga che conoscesse.

Quando, a distanza di poco tempo, nacquero Dominique e Molly, Teddy ebbe un’altra delusione: sperava di avere un cugino maschio. Ma provò consolazione nel fatto che Vivì non fosse più l’unica femmina. Vivì era dolce e graziosa, dicevano, con quei suoi capelli splendenti e il sorriso affascinante. «Quando ti guarda con quegli occhioni blu non riesci mai a dirle di no» ripetevano. Teddy, invece, era l’orfano troppo timido per mettersi in mostra e troppo imbranato per volare bene su una scopa. Sapeva cambiare il colore dei suoi capelli e allungarli e accorciarli a volontà, ma non aveva ancora imparato a mutare la forma del suo naso come faceva mamma Dora nelle foto.

Nonna Andi gli aveva comprato una nuova veste formale per la serata sulla Commemorazione dei Caduti di Guerra che si teneva ogni anno al Ministero della Magia. Si festeggiava la fine della guerra, ma era anche l’anniversario della morte dei suoi genitori e di zio Fred, ed era il compleanno di Vivì. Teddy non aveva mai capito se fosse un giorno di festa o di pianto.

Harry si trovava sulla pedana a fare il suo discorso annuale quando il bambino dai capelli biondo cenere si avvicinò.

«Tu sei un licantropo» disse.

«No, non è vero!» obiettò Teddy, che poteva vantare una vasta conoscenza di creature magiche.

«Sì, invece. Me l’ha detto il mio papà.»

Teddy continuò a protestare, ma l’altro bambino insisteva e così si mise a piangere. Fu Vivì a difenderlo. Dette una grossa spinta al biondo che corse in lacrime da suo padre. Ne nacque una lunga discussione fra adulti finché non arrivò Harry a metter fine a tutto.

«Dovresti stare più attento a quello che dici a tuo figlio, Zacharias. E adesso va’ via prima che chiami la sicurezza.»

Quella sera, Harry gli raccontò una nuova storia, su un licantropo e la sua lotta per essere accettato dalla società. Teddy chiuse gli occhi, rincuorato, ma dentro di sé aveva imparato un’altra verità: per quanto provasse a prendere sembianze altrui, non sarebbe mai stato come gli altri.

 

Arrivò poi il giorno in cui tutti i suoi più grandi timori si avverarono...

Quando Teddy aveva sette anni, Harry gli fece cenno di sedersi sulle sue ginocchia, come faceva sempre quando voleva dirgli qualcosa di importante. Teddy adorava quei momenti: accoccolarsi tra le braccia del suo padrino, poggiare la testa sul suo petto, inspirarne l’odore e ascoltare le vibrazioni della sua voce.

Harry era suo e di nessun altro. Non doveva condividerlo e non aveva bisogno di lottare per avere la sua attenzione.

«Io e la zia Ginny avremo un bambino.» Teddy non parlò.

«Non cambierà niente, Teddy, capito? Tu avrai sempre un posto speciale nel mio cuore.» E per la prima volta in vita sua, Teddy non gli credette.

James Potter faceva star male zia Ginny durante la gravidanza e le toglieva le ore di sonno dopo la nascita. Urlava peggio di una banshee e aveva l’abitudine di lanciare il piatto con la pappina ovunque gli capitasse. E per quanto Harry non facesse che ripetere che amava entrambi con la stessa intensità, passava più tempo con il suo vero figlio, viveva con lui e i suoi occhi si illuminavano ogni volta che lo guardava.

Si nascose nella casa sull’albero per sfuggire al sorriso orgoglioso che il suo padrino sfoggiava ogni volta che il piccolo James diceva , ma Vivì lo trovò, con quella straordinaria capacità che aveva di sapere sempre dove si trovava.

«Giochiamo a fare finta che io sono la sorella cattiva e tu il bravo fratello maggiore?» chiese, con il tono che usava sempre quando non voleva sentirsi dir di no.

«No!» rispose comunque Teddy.

Ma lei non ne volle sapere e, come ogni volta, riuscì a convincerlo a fare quello che voleva.

«No! No!» obiettò Vivì durante il gioco. «La sorellina piccola non si picchia. Tu sei grande e buono e lei è cattiva e tu devi insegnarle come fare a fare la brava.» E fu in quel momento che Teddy ebbe la rivelazione.

Quando tornò nel salotto della Tana, trovò Harry con James in braccio. L’altro lo notò, gli sorrise titubante e gli fece cenno di avvicinarsi. Teddy gli si arrampicò sulle ginocchia e si accoccolò come non faceva da troppo tempo. Harry ne sembrò particolarmente felice.

Appoggiò la testa sul petto del suo padrino, ascoltandone il respiro calmo e il battito del cuore regolare. E quando James cominciò a fare i capricci perché voleva prendere gli occhiali di suo padre, Teddy gli parlò dolcemente: «Non piangere, James, i bambini bravi non fanno i capricci. Se no ti crescono le orecchie da asino. Guarda!» Trasformò le proprie orecchie in un’approssimativa caricatura di quelle di un asino. James rise, estasiato. Ma è Harry che Teddy guardò, e quel sorriso orgoglioso era lo stesso che riservava a suo figlio.

«Sei il fratello maggiore migliore del mondo.»

 

... e quello che tutti i piccoli maghi e streghe aspettano con ansia.

Nonostante non fosse mai stato una persona mattiniera, per settimane Teddy si era svegliato all’alba con gli occhi che schizzavano subito sulla finestra della sua camera. Ma ogni mattina i gufi arrivavano portando bollette da pagare e quotidiani, e della lettera di Hogwarts nemmeno l’ombra.

Durante la pausa pranzo, le fiamme del camino diventavano verdi e la testa di Harry compariva. «Allora? È arrivata?» chiedeva ogni volta, e dall’espressione del suo figlioccio capiva subito la risposta. «Non ti preoccupare, vedrai che non manca molto» lo rassicurava poi.

Era ormai luglio inoltrato quando finalmente arrivò il gufo reale, e Teddy, che ormai aveva quasi perso le speranze, saltò sulla sedia e rovesciò il porridge. Nonna Andromeda era così orgogliosa che si dimenticò di rimproverarlo. Harry gli promise di accompagnarlo a Diagon Alley e di comprargli tutto quello che voleva. Zia Ginny gli organizzò una festa e, nell’eccitazione generale, James cadde con la faccia nella torta.

L’unica che non sembrava contenta della notizia era Vivì.

«Ti scriverò ogni settimana» le promise, quella mattina del primo settembre. «Ti racconterò tutto di Hogwarts.»

Quasi tutti i Weasley erano venuti a salutare il primo componente della famiglia a frequentare la scuola dopo zia Ginny. James e Albus, che camminava appena, gli giravano intorno eccitati e c’erano decine di volti sconosciuti che li guardavano e bisbigliavano tra loro.

Prima di montare sul treno, Harry lo prese in disparte e gli consegnò una vecchia pergamena logora e ingiallita. Teddy lo guardò interrogativamente.

«L’hanno creata i nostri genitori. Appartiene a te di diritto adesso. Vedrai che ti tornerà utile.» Gli sussurrò le password e poi gli fece l’occhiolino: «Meglio non dire niente ad Andromeda.»

Hogwarts era enorme e intimidente come l’aveva immaginata. I suoi compagni di scuola lo fissavano e poi giravano la testa quando lui se ne accorgeva. Sembrava essersi già fatto una fama per il solo fatto di essere il figlioccio di Harry Potter.

Fu smistato a Tassorosso, con grande delusione di Teddy che sperava di essere un Grifondoro come quasi tutta la sua famiglia. Le classi erano difficili, i compiti troppo numerosi e, se non fosse stata per la geniale Mappa che gli aveva dato Harry, si sarebbe perso ogni giorno per i lunghi e mutevoli corridoi.

Si fece un paio di amici, ma sembrava che nessuno riuscisse a passare oltre il fatto che appartenesse a una potente famiglia. Continuavano a fissarlo, a esaminare ogni sua mossa e, puntualmente, Teddy non riusciva a controllarsi e i suoi capelli diventavano di un imbarazzante color fucsia. Divenne presto una fonte di divertimento e canzonature.

Le vacanze di Natale sembravano non arrivare mai e quando finalmente l’Hogwarts Express si fermò a King’s Cross, tutto ciò che voleva fare Teddy era attaccarsi alla gonna di sua nonna. Ma non lo fece; i suoi compagni stavano ancora guardando.

«Sei cambiato» gli disse Vivì.

«Io? In che senso?»

«Sei diverso. Hai cambiato colore.»

Teddy si guardò allo specchio per assicurarsi di non aver inavvertitamente reso la sua pelle verde, ma era tutto regolare.

«I tuoi capelli sono di un blu più scuro, non più azzurri» specificò la ragazza.

«E allora? Posso cambiarli quando voglio, che differenza fa?»

«Sei cambiato» ripeté lei. «E non mi hai scritto una sola lettera.»

 

Partì per un metaforico viaggio alla ricerca di se stesso...

Vivì, o, come preferiva essere chiamata ora, Victoire, venne smistata a Grifondoro e Teddy ne fu segretamente contento. Questo non le impediva di seguirlo ovunque andasse.

Teddy, che a tredici anni decise che uno stile emo facesse al caso suo, trovava davvero inconveniente avere una ragazzina del primo anno perennemente alle calcagna. Una ragazzina bionda che aveva l’abitudine di indossare fermagli luccicosi e calze rosa sotto la divisa. Davvero imbarazzante.

Sospettava che Victoire lo sapesse e lo facesse apposta, così decise di ripagarle con la stessa moneta: durante il banchetto di Halloween, consapevole che tutti gli studenti sarebbero stati presenti, incantò tutta la bigiotteria che indossava perché cantasse canzoni imbarazzanti e la seguisse ovunque andasse. Tutti risero. Victoire gli lanciò uno sguardo glaciale e non gli parlò più.

Teddy si disse di esserne contento. Era quello che voleva. Riuscì quasi ad auto convincersene.

Stranamente, scoprì che nessuno in famiglia sapesse dell’accaduto, ma tutti notarono l’atmosfera fredda che cadeva ogni volta che si trovavano nella stessa stanza, lui e Victoire.

Nonna Andromeda borbottava spesso «proprio come sua madre», Harry lo guardava come se fosse un puzzle e zia Ginny diceva che era normale. «Gli passerà.» Ma secondo Teddy nessuno poteva comprendere il suo bisogno di cambiare stile ogni anno.

A quindici anni, era riuscito a guadagnarsi la nomina di burlone della scuola. Se proprio doveva essere imbranato, tanto valeva farlo con stile. Ogni volta che inciampava, era il primo a prendersi in giro con battute argute, se in classe prendeva un brutto voto, assumeva quell’espressione impassibile di chi non frega niente dei GUFO. E se i suoi capelli cambiavano colore senza il suo consenso, fingeva di averlo fatto apposta.

Victoire, che a tredici anni era già un esempio di moda da seguire per molte compagne, si limitava ad alzare gli occhi ombrati di viola al cielo ogni volta che Teddy sfoggiava un nuovo piercing.

I suoi voti calarono precipitosamente, i suoi sabati erano passati in detenzione, nonna Andromeda lo tartassava di Strillettere e perfino Harry era venuto a scuola per fargli un discorsetto. Ma a Teddy non interessava. Aveva degli amici che lo ammiravano e ragazze che gli facevano il filo. Era popolare. Cosa ne potevano mai sapere gli adulti?

Si trovava nello stanzino delle scope con una ragazza quando il cervo argenteo del Patronus di Harry li interruppe. «Recati all’ufficio del preside. Subito.»

Chiedendosi cosa mai avesse fatto questa volta, Teddy eseguì di malavoglia l’ordine. Il volto cinereo di Harry gli dette la risposta che cercava.

Il funerale di nonna Andromeda fu solo per pochi intimi. Tutti dissero un paio di parole in suo onore. Teddy non fiatò. E non pianse. Il suo dolore si manifestò solo nelle nocche insanguinate e nelle ante rotte degli armadi. Gettò via tutti i piercing e i pantaloni sfilacciati, negli occhi della memoria solo lo sguardo deluso della nonna perché suo nipote non era diventato Prefetto.

Harry non perse tempo a portare tutte le sue cose in casa Potter e perfino i bambini erano silenziosi e seri.

Quando, un mese dopo, tornò a scuola, la prima persona che vide fu Victoire, e per la prima volta dopo anni non lo guardava con sufficienza.

«Mi dispiace non esserci stata, ma non potevo assentarmi per colpa dei GUFO.»

«Non ti preoccupare» borbottò Teddy, poi le voltò le spalle e si allontanò. Non ce l’aveva davvero con lei, ma per qualche ragione non riusciva a guardarla nei suoi profondi occhi celesti. Temeva di vederci pietà. E accusa.

 

… finché non si rese conto che il se stesso che cercava l’aveva sempre avuto con sé;

l’aveva solo perso di vista.

«Sai, Harry,» disse Teddy durante la cerimonia dei MAGO. «Ci ho pensato e credo che proverò a entrare nel corso Auror.»

Il suo padrino non cambiò espressione, ma Teddy lo conosceva abbastanza bene da sapere che fosse contento. «Sicuro? È perché lo vuoi veramente o perché è la carriera mia e di tua madre?»

«È perché il mio padrino è il Capo dell’ufficio Auror e di sicuro avrò delle ottime raccomandazioni» scherzò.

Teddy aveva la sensazione che quel giorno marcasse la fine non solo della scuola, ma della sua infanzia. Adesso era un adulto, un mago a tutti gli effetti, e lui si sentiva in bilico tra due mondi. Pensò a quante cose erano cambiate negli ultimi mesi. La nonna non c’era più e Teddy aveva improvvisamente ritrovato la motivazione di studiare. Era convinto che, ovunque fosse, lo stesse guardando con il suo solito sguardo altero ma con un pizzico di orgoglio.

Si guardò intorno e vide l’altra fonte dei suoi cambiamenti. Victoire stava parlando con un ragazzo che aveva terminato come lui il settimo anno, con quel sorriso che poteva essere considerato civettuolo per chi non la conoscesse. Il ragazzo sembrava alquanto accaldato e il suo sguardo continuava a scivolargli nella scollatura di Victoire.

Teddy provò un moto di gelosia, come gli capitava sempre ormai da mesi. Non era colpa della ragazza, lo sapeva. Lei era bella, troppo, e il suo fascino Veela si manifestava nei momenti più inopportuni. Teddy ne era immune, ma non era immune a Victoire, alla sua voce melodiosa e alla sua pelle lucente, alla sua capacità di capirlo sempre e comunque, di farlo ridere un attimo e arrabbiare l’altro.

Era stata lei a tirarlo fuori dalla fase depressiva in cui era caduto dopo la morte di nonna Andromeda. Nonostante lui continuasse a evitarla, lei non aveva voluto sentire ragioni e, come se non avessero passato anni a ignorarsi, aveva cominciato a seguirlo come faceva quando erano bambini. I capelli color pulce di Teddy diventavano rosso fuoco ogni volta che lei, con la sua persistenza, gli faceva perdere la pazienza. E allora lei sorrideva soddisfatta e lo lasciava in pace per qualche ora, per poi tornare alla carica.

Nel frattempo Teddy aveva scoperto che la popolarità è un’arma a doppio taglio, che la sua imbranataggine faceva semplicemente parte del suo essere e, come tale, andava bene così. Ma, soprattutto, aveva scoperto quanto fosse bella Victoire.

Harry tossì e lo guardò con un sorrisetto che sembrava dire “conosco i tuoi segreti” e i capelli di Teddy diventarono fucsia.

«È meglio che vai a salvarla da quel ragazzo che la sta importunando.»

«È così palese?» chiese.

Harry fece spallucce. «Solo per chi è già capitato di avere la ragazza dei propri sogni davanti agli occhi per anni prima di accorgersene.»

Quando Teddy si avvicinò a loro, gli bastò guardare in cagnesco il ragazzo perché lui si dileguasse. Victoire non se ne accorse e lo abbracciò di slancio.

Parlarono del più e del meno, ma Teddy era distratto, i capelli di Victoire continuavano a riflettere la luce del sole. E lui non era ancora riuscito a imitarne la giusta sfumatura.

«Teddy! Non mi stai ascoltando!»

«No,» confermò, e prima che lei potesse arrabbiarsi, aggiunse: «Senti, che ne dici... voglio dire, adesso comincia l’estate e gli allenamenti per gli Auror non cominciano fino a settembre, ma poi tu tornerai a scuola e chissà quando ci vedremo e...»

«Sì?» lo incitò lei, lo sguardo pieno di aspettativa.

«Pensavo... potremmo passare un po’ di tempo insieme quest’estate. Potremmo andare al mare. O ovunque tu voglia. Solo io e te» finì, il fiato corto e il cuore in gola.

«Beh, ce ne hai messo di tempo» commentò lei.

«Cosa?» chiese, confuso.

Victoire scosse la testa. «Sì, Teddy, mi piacerebbe passare l’estate con te. Solo tu ed io. Infatti, aspettavo che tu me lo chiedessi già dal primo anno.»

«Davvero?»

«Già.» Gli tirò leggermente una ciocca di capelli. Lontanamente, Teddy si rese conto che erano diventati azzurri. «Ecco,» continuò. «Questo è il tuo colore.»

   
 
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