CAPITOLO 6
Sam si risvegliò, e pian piano
riprese i sensi.
Il suo corpo era tutto intorpidito e umido.
Non aprì gli occhi subito. Era
disteso su qualcosa di soffice, sembrava erba, e dalle sue narici entrava aria
fresca e pura. Il corpo riprese rapidamente sensibilità ed uscì dallo stato di
torpore in cui era stato avvolto fino a quel momento.
Si rigirò su un fianco, e, sempre
senza aprire gli occhi, decise che voleva continuare a stare lì immobile e a
riposare. Poi, tutto a un tratto, rivide gli ultimi istanti della sua vita. La
tempesta, l’oceano che lo inghiottiva, il suo urlo di terrore strozzato
dall’acqua, ed infine era sprofondato e svenuto. Forse era morto.
Spalancò gli occhi. La vista
all’inizio era un po’ confusa, ma tornò subito limpida. Era immerso in un luogo
bellissimo. Era disteso su un bel prato di erba verde, il sole splendeva sopra
di lui, e a fargli ombra c’era un magnifico albero. Di fronte a lui iniziava
una breve spiaggia, che dopo pochi metri si gettava nelle profondità delle acque
limpide dell’oceano. Dietro di sé, il bel prato continuava, e si trasformava in
un rigoglioso sottobosco, mentre albero altissimi e verdeggianti si innalzavano
fino al cielo, che tra l’altro era completamente sgombro da nubi.
Era un territorio idilliaco, immerso
in una pace estrema ed eterna.
Sam si sentiva benissimo; si alzò e
fece qualche passo barcollando, la situazione ancora non gli era ben chiara.
Poi sentì alcuni rumori provenire da dietro alcuni alberi, e anche qualche
parola, che divenne sempre più nitida, finché pure Sam riuscì a comprendere.
’’Sei sempre il solito, Wolfy: ti era
stato detto di stare con l’umano, ed invece tu sei andato in giro, lasciandolo
incustodito’’. Il tono era di rimprovero, ma la voce non aveva nulla di umano,
era molto pacata.
Sam fece per allontanarsi, ma cadde, poiché i
suoi sensi non si erano ancora ben ristabiliti. Decise quindi di attendere chi
lo cercava.
’’Siete sempre così, voi unicorni;
non ve la prendete mai una responsabilità, vi piace cavalcare liberi e poi ve
la prendete con gli altri’’, rispose una nuova voce, un po’ irritata, ma non di
certo arrabbiata.
Poi, due figure sbucarono da dietro
le fronde di un alberello piuttosto basso, e Sam rimase molto sorpreso da ciò
che vide.
Di fronte a sé c’era un bel cavallo bianco
immacolato, con lunghi crini bianchissimi, ed aveva un corno lunghissimo che
fuoriusciva dalla testa, e un bel paio di ali sulla schiena; al suo fianco,
c’era un grosso lupo, grigio e con il pelo leggermente irto nella schiena, con
profondi occhi verdi. Entrambe le creature non erano di grosse dimensioni, ma
ciò spaventò molto Sam, che fissò male le creature, terrorizzato. Non riusciva
a comprendere che razza di luogo fosse quello. Le creature, d’altro canto,
sembravano altrettanto scosse; si erano fermate e fissavano stupite l’umano.
’’Bene, si è svegliato e si stava
quasi per inoltrare nel bosco. Hai visto anche tu no? A momenti lo perdevamo.
Bene, Wolfy, farò rapporto’’, disse l’unicorno, e senza attendere che il lupo
rispondesse, continuò.
’’Oh, umano, non ci temere. Noi siamo
qui per te; ti abbiamo atteso per molto, molto tempo. Qui nessuno ti farà del
male. E tu Wolfy, visto che ai tanta fretta di tornare a casa, puoi andare’’,
disse con fare sbrigativo.
Il lupo non se lo fece ripetere, ma
prima si avvicinò a Sam e lo annusò. Sam si ritrasse, spaventato. Con un
espressione quasi dispiaciuta, il lupo parlante si diresse a passo lento verso
l’oceano. Sam continuò ad osservarlo per qualche istante. Il lupo entrò in
acqua e percorse qualche metro, prima di immergersi in essa. Non riapparve più,
ma poco più in là affiorò una grande pinna dorsale, simile a quella di una
balena.
Sam guardava ad occhi spalancati dallo
stupore.’’Umano, andiamo via di qui. Non badare a Wolfy, come tutta la sua specie
a volte è inaffidabile. Vieni con me, ti porterò da un mio caro amico che potrà
ospitarti’’, disse l’unicorno, con voce molto gentile.
Sam decise di fidarsi di lui e lo
seguì.
’’Io mi chiamo Sam. E tu chi sei? E
dove mi trovo?’’, furono le domande che uscirono spontanee al ragazzo.
’’Ma come, non lo sai? Pensavo che il
tuo saggio maestro ti avesse preparato per giungere fin qui. Io mi chiamo Saby,
e sono un unicorno’’, disse l’unicorno, che evidentemente era femmina, un po’
stupito dal ragazzo.
’’Benvenuto nel mondo di Harlowhy’’,
concluse.
Saby rimase pensierosa per tutto il resto del percorso, mentre Sam la
seguiva, arrancando, lungo un sentiero che si inoltrava nella foresta. Di lì a
breve, il sentiero sfociò in un bellissimo villaggio, che però era in
miniatura. Infatti le casette erano molto piccole e basse.
Ma le sorprese per Sam non erano
finite. Da un cespuglio spuntò una strana creatura; sembrava uno scimmiotto, ma
non lo era. Era di taglia ridotta, con il pelo folto e grigio, molto simile a
quello dei gatti, ed in testa portava un bel cappellino rosso da contadino.
Sapeva parlare e gli si avvicinò con fare baldanzoso, camminando eretto ma
lievemente ingobbito.
’’Sì, brava Saby, ce l’hai portato.
Ciao umano, io sono Jack, sono un folletto e faccio parte della tribù dei
Pegul-cat. Benvenuto!’’, disse, tutto raggiante, verso Sam.
’’Ciao, mi chiamo Sam e non ho la più
pallida idea di come abbia fatto per finire qui’’, disse Sam,’’Però mi piacete
e mi state simpatici’’, confidò.
L’unicorno guardò Jack in maniera
confusa.
’’Ma sì certo che siamo simpatici!
Pensa, ti abbiamo aspettato a lungo. Ma ora per favore accomodati nel nostro
villaggio’’, disse Jack.
Sam entrò nel villaggio, ma era tutto
decisamente fuori misura per lui. Rendendosene conto, Jack lo rassicurò
dicendogli che avrebbero trovato una soluzione a breve.
’’Bene, ora devo andarmene. Buona
permanenza, Sam’’. Disse l’unicorno, che venne seguito per un breve tratto da
Jack. Parlarono tra loro per un ultima volta, piano, cercando di non farsi
udire da Sam.
’’Dove andrai adesso?’’, chiese Jack.
’’Ovvio, andrò dal Grande Drago, che
farà certamente convocare un grande raduno di tutte le creature fantastiche per
decidere il da fare’’, disse Saby.
’’ E io con l’umano che devo farci?’’,
chiese l’impaziente folletto.
’’ Trattienilo qui per un po’;
vedrai, a breve anche il tuo popolo sarà convocato al raduno. Quando ti
giungerà la convocazione dal Grande Drago, accompagna l’umano alla piana dei
vetri, poiché sarà lì che noi creature emaneremo un verdetto. Per ora fattelo
amico e fai in modo che si fidi di te. Poi, il resto si vedrà’’, concluse
l’unicorno, che si congedò velocemente e dopo pochi balzi prese il volo.
Jack, un po’ confuso, tornò dal suo
ospite umano, che continuava ad attenderlo, immobile, al centro del villaggio.
In quel mondo, gli elementi
leggendari, mitologici e magici si fondevano, dando vita a una realtà tutta
nuova agli occhi di Sam. Da quando era giunto al villaggio dei Pegul-cat, cioè
da parecchio, Sam era divenuto un fenomeno da circo. I piccoli folletti si
divertivano a fargli dispetti innocui nel sonno, ed erano molto buffi.
Jack gli aveva spiegato come era andata la sua
storia. Quando era stato risucchiato nelle profondità oceaniche, era stato
raccolto da Wolfy, una creatura che apparteneva al gruppo di creature
mitologiche degli Akluth, ossia orche che svolgono il mestiere di guardiano sul
confine con il mondo umano, e che possono salire sulla terra ferma diventando
lupi, per poi tornare in mare sottoforma di orche.
Infatti era stato atteso
dall’unicorno Saby, che era il preferito da Jack, il capo tribù dei Pegul-cat.
Infatti aveva imparato dal suo nuovo amico Jack che c’erano più tribù di Pegul,
tutte risiedenti poco distante da lì, ma che avevano abitudini diverse, e per
evitare discussioni i gruppi si erano divisi. A differenziare una tribù
dall’altra era il colore del cappello che i Pegul portavano sempre in testa, e
che tenevano in grande considerazione.
In più, ogni Pegul era legato ad un
unicorno, ed erano molto amici. I Pegul amavano quelle figure equine, e si
divertivano a passare il tempo intrecciando i crini degli unicorni, che
riposavano placidamente, contenti delle attenzioni ricevute dai loro amici
folletti.
I più grossi problemi per Sam erano
quelli di svolgere una regolare vita biologica. Infatti, nel mondo fatato in
cui si trovava, non esisteva la notte, ma solo un giorno eterno, non c’erano
neppure le stagioni, era come se lo scorrere del tempo non esistesse. Gli
alberi erano sempre verdi, e gli esseri fantastici vivevano in pace in un
giorno eterno.
Per dormire e rispettare i ritmi
biologici, Sam si era fatto costruire dai folletti una capanna a sua misura,
dove poteva ricreare un po’ d’ombra. Per nutrirsi c’erano stati grossi
problemi; aveva scoperto che i folletti non mangiavano, e aveva iniziato a
nutrirsi, di nascosto, di vegetali che trovava nel sottobosco. Nonostante ciò,
quel mondo stava iniziando a sfinirlo. Perdeva peso, mentre non aveva neppure
idea di quanto tempo fosse rimasto lì fermo nel villaggio. Voleva andarsene.
Sam prese una decisione: uscì dalla
sua capanna e si recò a parlare con Jack. Jack gli stava simpatico. Anche se
inizialmente il folletto e la sua tribù si erano mostrati un po’ distaccati con
lui, come se fosse un peso, ora invece lo accettavano e lo trattavano quasi da
loro pari. Trovò il folletto seduto sotto un grande albero, con gli occhi
chiusi. Ora sapeva che si poteva fidare di lui. Si sedette al fianco della
minuta creatura, ma lui non lo guardò, e i suoi occhi continuarono a restare
chiusi, ma Sam non poteva più rimandare.
’’Scusa Jack, disturbo?’’, chiese
cortesemente.
Il folletto parve riscuotersi dal suo stato di
trance.
’’No, certo che no, amico. Stavo
meditando un po’, in compagnia degli alberi’’, disse il pacifico Jack.
’’In compagnia degli alberi? Ahah
..’’, disse un incredulo Sam.
‘’Non ridere Sam: qui tutto quello che vedi è
pieno di vita e può comunicare, se vuoi sentirlo. Ma dimmi, ti vedo un po’
preoccupato. C’è qualcosa che non va?’’, chiese il folletto.
Sam si rese conto che i folletti erano sì
creature scherzose, ma anche molto sensibili. Decise di essere sincero con lui.
’’Sì Jack, qualcosa non va. Questo
non è un posto per me, ma non a causa vostra, anzi, voi folletti siete gentili
con me e con voi mi trovo bene, ma io ho bisogno di nutrirmi con regolarità e
sono ancora legato al mio mondo. Vorrei andarmene’’, concluse Sam.
’’Questo non è possibile. Tu resti
qui. Non puoi gironzolare per la foresta, ci sono altre innumerevoli razze di
esseri fantastici. Ci sono arpie, elfi, draghi.. No è troppo pericoloso. Poi
sei sotto la mia custodia. Da qui non parti. Inoltre potresti girare il questo
mondo fintanto che le tue gambe non ti reggeranno più, ma non troverai mai un
posto per te, poiché esso non ha confini né limiti, ed è abitato da tutte le
creature magiche e mitologiche che vengono narrate nei racconti di voi umani. E
non tutte le creature vedono di buon occhio gli umani’’, concluse il folletto
in tono risoluto.
Sam a quel punto era esasperato.
’’Non posso resistere qui; devi
capirmi. Voi ormai non mangiate, non dormite.. Non fate nulla di ciò che fanno
gli umani nel loro mondo. E io sono un umano’’, ribadì il ragazzo.
Jack constatò che l’umano aveva ragione. Saby
non aveva ancora fatto ritorno, non si sapeva ancora nulla. Se l’umano avesse
continuato a dormire e a strappare frutti del sottobosco, avrebbe di certo
intaccato l’ordine del mondo delle creature fantastiche, mutandolo. E questo
non doveva succedere. Decise di parlargli chiaramente.
’’Sam, devi sapere che noi questo
mondo ce lo siamo costruito. Gli umani ci stavano dando la caccia per tutto il
nostro mondo, che ora è vostro. E’ stata la volontà del Grande Drago, che qui
regola tutte le cose grazie ai suoi infiniti poteri, a creare questo mondo,
dove noi creature di tutte le specie abbiamo potuto vivere in pace e armonia
fino ad ora. Noi non abbiamo più bisogni materiali: sì, in un certo senso voi
umani potreste considerarci ‘’morti’’. Ma non lo siamo; anzi, abbiamo raggiunto
un perfetto equilibrio, che sostiene il nostro magico mondo, che è stato
appositamente separato dal vostro grazie alla grande tempesta, che solo tu
potevi attraversare’’. Il folletto fece una pausa breve, e poi riprese.’’E’
stato un elfo a lasciare una chiave di salvezza al genere umano. Tu ora sei qui
per richiedere il nostro aiuto, scommetto’’.
’’Sì, non ti stai sbagliando, ma io
sto male Jack. Tanto male’’, ribadì Sam.
Il folletto non sapeva che fare.
L’umano sarebbe potuto scappare, o peggio ancora avrebbe potuto rovinare un
albero o il sottobosco, rompendo l’equilibrio che domina il mondo magico.
All’inizio, pensava che di lì a poco Saby fosse tornata, e che si fosse ripresa
l’umano. Ma ciò non era accaduto, e per l’umano il tempo continuava a scorrere
a causa dei suoi bisogni biologici e non c’era via d’uscita. Tranne una
estrema.
’’Aspettami qui. Non ti muovere, ho
una soluzione’’, disse Jack, alzandosi repentinamente.
Si era ricordato solo ora della
pozione magica. La pozione era stata creata del grande drago, ed era stata
distribuita a tutte le creature fantastiche, in modo che la bevessero, poiché
aveva il potere di togliere qualsiasi bisogno biologico, ed ingerirla era stato
necessario per chiunque avesse voluto vivere nel nuovo mondo magico.
Sam osservò il folletto mentre
balzava in piedi, e in pochi passi fu dentro la sua capanna, quella del capo
tribù. Se ne tornò poco dopo con un ampolla, che conteneva un liquido
verdastro. La porse a Sam.
’’Bevi’’, gli disse,’’questa pozione
porrà fine alle tue sofferenze’’.
Sam non ne era convinto, ma era
disperato. Prese l’ampolla e, senza fare ulteriori domande al folletto,
ingurgitò un po’ del contenuto. Immediatamente, il suo corpo si rigenerò, fame
e sete non esistevano più, lasciando spazio ad una profonda sensazione di
benessere. Ora si sentiva meglio, si distese pigramente mentre tutte le
sofferenze da lui patite sembravano essere solo un lontano ricordo.
’’Come ti senti?’’, chiese Jack, incurvando
un folto sopracciglio.
’’Bene, benissimo!’’, disse raggiante
Sam.
E se ne stettero lì a chiacchierare
all’ombra del grande albero, come due veri amici. Solo dopo un bel po’, a Sam venne un dubbio. Era come se una
parte di sé stesso fosse stata rimossa. Non riusciva più a pensare in modo
critico, la sua mente era come abbagliata da una luce profonda e benevola, che
gli impediva di utilizzare appieno le sue facoltà mentali, lasciandolo lì
immerso in una sensazione strana di profondo benessere.
Ma fu un dubbio passeggero; pochi
istanti dopo, Sam se n’era già dimenticato, e non aveva neppure più intenzione
di lasciare il villaggio. Quasi non gliene importava più nemmeno della sua
missione.
Jack non si rese conto del grave errore che
aveva fatto dando la pozione a Sam. La pozione era stata creata per le creature
fatate, non per gli umani.
L’errore di Jack in futuro costerà molto caro
a Sam.