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Autore: Ciajka    21/09/2014    5 recensioni
AU dove i personaggi di Sherlock sono uniti alla mitologia nordica.
John è un umano. Sherlock è un Dio.
Sono entrambi uniti da un patto infrangibile. La vita di John ora è completamente nelle mani della spietata divinità.
O, almeno, questo era il piano iniziale di Sherlock.
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Mycroft Holmes, Sherlock Holmes
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Mycroft uscì dalla sala di ricevimento con un'espressione esausta. Aveva appena terminato un'infinita discussione con il Capo degli Dei. Mycroft riteneva Odino una testa calda: possedeva quel particolare tipo di carattere che tendeva a fargli credere che era perfettamente logico buttarsi in mezzo ad un'orda di nemici e pretendere di sconfiggerli con la sola sua eroica presenza. Ma, grazie al cielo, non era ancora così stupido. Mycroft lo aveva convinto a non iniziare immediatamente lo scontro ma di provare a stringere un'alleanza con il popolo dei nani.

Sospirò.

Sperò vivamente che i nani si fossero dimenticati del recente inganno fatto all'ormai defunto Alvis. Anche se, a dirla tutta, l'idea era stata partorita e compiuta unicamente da quel genio di Thor.

Mycroft si ritrovò a pensare a quell'accaduto.

Tutto ebbe inizio quando il Capo degli Dei aveva promesso la figlia di Thor ad Alvis. Ovviamente il figlio di Odino era tutt'altro che propenso a quell'unione e, con la scusa del “Provami la tua saggezza, non voglio correre i rischi che i miei nipoti siano stupidi perché troppo bassi.”, costrinse Alvis a svolgere una prova che durò fino al sorgere del sole.

Si sa che i nani alla luce diventano pietra e Alvis non fu da meno.

Mycroft stava ancora ripensando alla triste fine del nano quando si ritrovò davanti a sé il viso preoccupato della Dea Eir.

“Signore... Scusi per la mia sfacciataggine” iniziò lei, con velato timore “ma vorrei chiederle cosa ne sarà di Sherlock.”

“Sherlock?” si ritrovò a ripetere il Dio.

Lo sguardo serio di Mallaidh puntava dritto verso i suoi occhi, con un coraggio che non era molto comune trovare in lei.

Mycroft decise di risponderle: “Per ora sto cercando di proteggerlo. Non gli accadrà nulla di male.”

“Ma rimarrà mortale?!” esclamò, con i pugni chiusi.

“Se è quello che lui desidera...”

Mallaidh iniziò, con fare concitato: “Tutta Asgard parla dell'accaduto. Sappiamo di non dover mettere il naso in questa faccenda, ma questo non impedisce agli Dei di seguire da lontano ogni mossa di vostro fratello! È praticamente il pettegolezzo del momento!”

Mycroft rimase interdetto, non si era reso conto che quel fatto avesse attirato così tanto l'attenzione.

Si ritrovò a sussurrare, più a se stesso che alla Dea: “La futile curiosità degli Dei è impressionante!”

“Vi prego.” il tono di voce della Dea divenne supplichevole “Potreste perdonarlo, penso che abbia capito la lezione.”

“Il tuo attaccamento per lui non ti fa aprire gli occhi, Mallaidh. Farlo ritornare Dio ora sarebbe la cosa più sbagliata da fare.”

“Ma...” provò a ribattere lei.

Mycroft iniziò, innervosito perché punto sul vivo: “Non capisci che il mio scopo è quello di-”

Non riuscì a terminare la frase: Anthea era apparsa al suo fianco e, con voce grave, lo aveva interrotto: “Signore, abbiamo un problema.”

“Cosa?” esclamò Mycroft, visibilmente infastidito dall'interruzione e dalla maleducazione della Dea dai lunghi capelli scuri.

“Vostro fratello. Ha trovato il modo di lasciare il fiordo.”

L'espressione del Dio mutò improvvisamente.

 

 

 

 

La casa di Gregory Lestrade era una abitazione semplice. Anche se era un mercante, e quindi guadagnava molto più di un semplice pescatore, l'interno era arredato in modo piuttosto spartano. Gli unici abbellimenti presenti erano delle asce appese al muro che, detto da lui, erano cimeli di famiglia.

Offrì ai suoi due ospiti della calda zuppa di pesce, cucinata con gli avanzi del pescato del giorno precedente.

John si precipitò sul piatto come se non avesse toccato cibo per giorni. Sherlock, come al suo solito, diffidava anche solo nell'assaggiarlo.

Gregory sorrise involontariamente nell'osservare quella strana coppia. Non sapeva molto su di loro, ma qualcosa gli diceva che erano brave persone. Il biondo, per lo meno. Del moro nutriva delle leggere perplessità. Non si comportava come un qualunque altro essere umano.

Inoltre non gli avevano spiegato il motivo del voler andare ad Uppsala. Forse per pregare Odino al grande tempio? Sapeva che c'erano molti fanatici che intraprendevano veri e propri pellegrinaggi pur di andarci almeno una volta nella vita.

Tra un boccone e l'altro, John disse: “Le siamo riconoscenti. Speriamo solo di non essere d'intralcio durante il viaggio.”

“Non vi preoccupate, per soli due giorni di navigazione! Inoltre Gregson, il mio socio, non farà nessuna storia nel darvi un passaggio. È un tale bonaccione!” rise sforzatamente Gregory. In realtà era tutto il contrario, ma non voleva far preoccupare i suoi due ospiti e salvatori.

Sherlock si accorse immediatamente della menzogna, ma non disse nulla; continuò invece a sorseggiare quella zuppa dal sapore di mare con circospezione.

“Per questa notte potrete rimanere in questa stanza. Vi presterò le mie due brande da viaggio. Per fortuna ne ho una di riserva, così potrete dormire comodamente entrambi!”

“Troppo gentile da parte vostra!” disse John.

“Vi sono debitore.” sorrise, mentre Sherlock lo guardava con un'espressione indecifrabile.

 

 

 

 

Calarono le tenebre.

Nulla si muoveva all'interno della stanza, come se il tempo si fosse arrestato. Eppure né Sherlock né John, entrambi stesi sulla branda da più di un'ora, avevano intenzione di dormire.

La luce lunare, passante per un foro nel legno della finestra serrata, formò un lungo filamento argentato che raggiunse la parete opposta.

Sherlock non ne poteva più. Si alzò, facendo scricchiolare le assi della branda.

Ignorando che neanche John non aveva ancora chiuso occhio, uscì dall'abitazione senza fare alcun rumore.

La luminosità del cielo stellato lo inondò, rischiarando i contorni del viso e del resto della sua figura. Ma non si soffermò ad ammirare il cielo. Guardarlo significava ricordare Asgard.

Si appoggiò al muro della casa, guardando dritto avanti a sé: poteva sentire il mare, non molto lontano da lì, che si infrangeva rumorosamente tra i ripidi scogli.

La sua mente si riempì inavvertitamente di numerosi quesiti.

Sarebbe riuscito a raggiungere il suo scopo? Ritornare Dio senza doversi per forza prostrare al volere di suo fratello? Possedere di nuovo i suoi poteri magici e compiere finalmente tutto quello che voleva senza nessun impedimento?

Ma che cos'è che avrebbe voluto fare, specificatamente? Cosa aveva mai fatto in tutti questi secoli?

Aveva collezionato anime per noia.

La noia.

Sfuggirle era il suo unico scopo di vita.

Quell'orribile presenza gli dava tregua solamente mentre cercava di convincere la propria vittima a vendergli l'anima o quando la sterminava dopo averla appena salvata. Finora aveva vissuto solo per sentire quella fugace sensazione di onnipotenza che lo aiutava a sopprimere la monotonia della sua esistenza.

Eppure...

Senza rendersi conto, aveva tirato fuori la fiala contenente l'anima di John.

Stava guardando quel flusso pieno di vitalità completamente ipnotizzato. Non era mutata per niente da quando l'aveva prelevata.

John.

Chissà se anche sotto forma di umano era ancora in grado di controllare quell'anima. Poteva ancora ordinargli di appiccarsi fuoco da solo anche se non era più un Dio? O neanche quello non rientrava più nei suoi poteri?

“Cosa hai intenzione di fare con quella?”

La voce di John arrivò alle sue orecchie senza alcun preavviso.

Si girò verso di lui. Il suo sguardo lo stava trafiggendo come una lama appuntita di una spada.

“Custodirla, come era da accordo.” rispose cupamente Sherlock, rimettendola al sicuro sotto il mantello.

Non ci voleva un genio nel dedurre che John stava dubitando delle parole del moro.

“Prima che tu diventassi umano, cosa volevi farne della mia anima?” chiese il guaritore, con la voce che tremava dalla rabbia e dalla paura.

Sherlock continuò a guardarlo dritto negli occhi, senza però dire una parola.

“Ho visto come ti divertivi nel tormentare quell'uomo, a farlo sentire in colpa. Aveva paura di te, Sherlock.”

Non sentendo arrivare una risposta, John iniziò ad urlargli contro:“Ti stavi divertendo! E l'avresti ucciso, solo per il tuo stupido divertimento!”

John aveva il fiatone, anche se non aveva mosso neanche un muscolo.

Abbassando il tono di voce continuò: “Era quello che avevi pianificato anche con me, vero?”

Sherlock aprì la bocca per commentare, ma John lo bloccò: “Non so perché ti sto ancora aiutando. Davvero, non lo so.”

“Puoi abbandonarmi qui e tornartene a casa, allora.” riuscì finalmente a dire Sherlock. Voleva usare un tono di voce secco e distaccato, eppure non ci riuscì. Il pensiero di venire abbandonato da John non gli piaceva per niente.

“Quale casa? Quale villaggio? Quello dove mi cercano per tradimento?” disse John, senza rabbia ma con solo tristezza nel cuore.

“Andrò avanti con la missione.” concluse infine John “Perché, malgrado tutto, mi fido ancora di te.”

Detto questo tornò all'interno dell'abitazione, lasciando da solo un basito Sherlock.

Un'ombra inosservata scivolò lontano, verso lo spumeggiante mare. Sparì, mescolandosi con le sue onde.

 

 

 

 

Il porto della cittadina era piuttosto grande: molte imbarcazioni erano attraccate ai ponteggi, anche se la maggior parte di esse erano di piccole dimensioni. Un gran numero di pescatori stavano scaricando delle grandi casse, contenenti il pescato della notte, pronte per essere trasportate al mercato cittadino.

Gregory, scortato da Sherlock e John si era avvicinato ad un'imbarcazione leggermente più grande della norma. Si trattava di un knarr mercantile.

“Hey, Lestrade! Chi sono questi due?” lo accolse con tono burbero un personaggio piuttosto in carne e più anziano di una decina d'anni rispetto a Gregory.

“Sono amici, vengono con noi.”

“Cosa?! Nemmeno per sogno!” esclamò l'uomo, con sguardo truce.

“Devo loro un favore, Gregson.” disse Gregory, prendendo da parte il collega, in modo che gli altri due non sentissero la loro discussione “Sarà per un tratto breve, una giornata e mezza di navigazione! Nulla di che.”

“Sai benissimo che non voglio clandestini a bordo!” continuò Gregson imperterrito.

“Ma loro non sono clandestini! Li ho invitati io!” esclamò Lestrade.

La logica di Lestrade non convinse per nulla Gregson, che continuò a guardarlo in cagnesco.

Lestrade sospirò.

Iniziò quindi a raccontare: “Mi hanno salvato la vita, due ladri volevano derubarmi ed uccidermi, ieri.”

A mano a mano che Gregory spiegava l'accaduto del giorno precedente, il collega marinaio mutava la sua espressione.

Dopo qualche secondo di riflessione, acconsentì di accompagnare quei due strani individui verso la costa nord.

Dopo neanche un giro di clessidra, l'imbarcazione aveva già lasciato il porto, con l'enorme vela quadrata gonfia grazie al generoso vento.

 

 

 

 

“Quindi sono riusciti a trovare il modo per uscire dal fiordo.” meditò Mycroft, con una mano sul mento.

Lui ed Anthea si trovavano nuovamente nella sala del pozzo. Il Dio stava osservando con occhio critico un primo piano di Gregory Lestrade.

Dopo qualche secondo di pausa, continuò: “Hanno avuto una fortuna sfacciata. Dobbiamo fermarli.”

“Come pensa di fare, signore?”

“Inizialmente avevo pensato ad una tempesta eterna, in modo che nessuna nave potesse più salpare.” rispose Mycroft “Ma sai meglio di me quanto costi una maledizione simile dal punto di vista mentale. Inoltre rovinerei quella cittadina che si basa quasi esclusivamente sulla pesca e sul commercio via nave.”

Anthea abbozzò un sorriso quando sentì Mycroft proclamare: “Non sono quel tipo di Dio che non guarda oltre il suo naso.”

“Quindi cosa propone di fare, signore?”

Mycroft mise entrambe le mani su cornicione del pozzo, come per farsi forza. Era un'idea pericolosa, ma poteva funzionare.

Sempre senza distogliere lo sguardo dall'acqua mistica, domandò alla Dea: “Da quanto non mangia?”

Anthea non fece a meno di assumere un tono meravigliato: “State parlando di lui?”

“Sì.”

“Da non molto, in verità.”

“Ottimo, non avrà problemi nell'ubbidirmi.”

Sospirò, prima di girarsi verso la Dea.

“È ora di liberare il Kraken.”



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*Parte la colonna sonora dei Pirati dei Caraibi*

Già, il Cracker Kraken! Prima che cominciate a dire “Hai copiato PdC” voglio precisare che in realtà il Kraken ha origini proprio dalla mitologia norrena. (veniva chiamato Hafgufa, ma preferisco il nome “moderno” -Kraken- per questa fic.)

Per chi non ha presente cosa sia un Knarr, potete cercare su wikipedia (la fonte del sapere universale) a questo link


Sì, sto facendo finta che non mi sia accorta del ritardo di pubblicazione hahaha


Alla prossima! 

  
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